Ai Donatisti dopo la conferenza |
Questo principio, da essi proclamato, che una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona, hanno forse potuto sfruttarlo in qualche modo ai fini della loro difesa dopo la conferenza, o non si sono trovati piuttosto in una situazione molto più aggrovigliata?
Ecco, infatti, ciò che affermano in alcuni loro scritti: " È stato riferito correttamente - dicono - che noi abbiamo sostenuto: Una causa non pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona, ma soltanto in questo senso: Non arrecano pregiudizio alla nostra causa coloro che noi abbiamo espulso o coloro che abbiamo condannato.
Quanto a coloro che discendono dall'ordinazione di Ceciliano, la cui dipendenza originaria da un simile predecessore annovera fra i colpevoli, come potrebbero non essere collegati ai crimini del loro consacratore, dal momento che la fune dei peccati, allungandosi a poco a poco, deve necessariamente rendere complici di peccato tutti coloro che ha legato insieme attraverso il vincolo della comunione? ".27
Apologia stupenda! È così densa e compatta la melma, nella quale sono affondati i loro piedi, che, sforzandosi inutilmente di tirarli fuori, vi figgono anche le mani e la testa; e più indugiano in quella poltiglia, più vi si avvoltolano!
Infatti, fra coloro che rammentano o perché espulsi o perché condannati, cioè i Massimianisti, essi tengono con sé Feliciano, che a sua volta condannò Primiano e fu condannato da loro nella causa di Primiano.
Ora, come possono pretendere di avvolgere in una fune così lunga la Chiesa cattolica, che parte da Ceciliano e arriva fino ai giorni nostri, quando non vedono la loro catena così prossima?
Celebre, poi, la sentenza di Bagai, che dice testualmente di Massimiano e dei suoi soci: " La catena del sacrilegio ha trascinato una moltitudine nella complicità del crimine ".
Dunque, Feliciano era trascinato da questa catena; ora, se Feliciano non pregiudica costoro, perché mai Ceciliano dovrebbe pregiudicare noi?
O, forse, una causa pregiudica quando lo vogliono loro, un'altra invece non pregiudica se non lo vogliono loro?
Sarà mai che, per un loro capriccio, una corda vecchia sia più resistente di una catena nuova?
Dunque: Massimiano non pregiudica Feliciano, da cui è stato condannato; Massimiano e Feliciano non pregiudicano Primiano, dai quali è stato condannato; Massimiano non pregiudica coloro che ricevettero una dilazione, suoi complici nel medesimo scisma; Feliciano non pregiudica il partito di Donato, che lo ha accolto con gli stessi onori e non ha rigettato il battesimo che egli ha conferito durante lo scisma sacrilego; invece Ceciliano, lui sì, pregiudica tante comunità cristiane: lui, che una volta è stato condannato assente come Primiano e tre volte è stato assolto in sua presenza, al contrario di Primiano.
Uno sconosciuto, morto da tanto tempo, ci è di pregiudizio; invece uno che vive tuttora, di cui si legge che lo hanno recentemente condannato, e adesso lo si vede in perfetta comunione con loro, lui non è di pregiudizio per loro.
La corda di Ceciliano ci avvolge, noi che l'ignoriamo; la catena di Feliciano invece non li rinserra, pur avendo essi emesso una sentenza contro di lui, in cui è condannata la stessa catena.
Essi hanno il diritto di affermare: " Noi abbiamo accolto coloro che avevamo condannato per salvaguardare la pace di Donato, poiché una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona un'altra persona "; noi invece non abbiamo il diritto di dire: " Non abbandoniamo la pace di Cristo a causa di coloro che voi avete condannato, poiché né una causa pregiudica un'altra causa né una persona pregiudica un'altra persona ".
O teste dure come il ferro, o follia tenebrosa!
Essi hanno da recriminare col giudice perché ha emesso la sentenza di notte, e nella notte del loro cuore vanno a tentoni, si urtano, cadono!
Litigano rabbiosamente contro di noi, ma dicono cose così stupende in nostro favore!
Per di più, osano citare ancora le testimonianze dei Profeti e degli Apostoli, pur avendo dato loro una risposta globale ed esauriente durante la conferenza.28
Noi gli abbiamo dimostrato che questi santi Profeti vivevano insieme ai peccatori in un unico tempio, sotto la guida degli stessi sacerdoti, compartecipi nella celebrazione degli stessi sacramenti, senza per questo essere inquinati dai peccatori, poiché sapevano distinguere bene tra il santo e l'impuro, senza scindere il popolo in due corpi separati, come vanno dicendo costoro, ma con il loro saggio discernimento e la santità della loro vita.
Ed essi si dedicavano a quest'opera incessantemente, affinché in quella grande casa, ove si trovavano - come dice l'Apostolo - vasi destinati ad usi nobili e vasi per usi più spregevoli, si purificassero attraverso una condotta opposta a quella di questi ultimi, per essere vasi di onore, utili al Signore, sempre pronti ad ogni opera buona. ( 2 Tm 2,20-21 )
È stato un bene che essi stessi, attraverso i numerosi testi che hanno inserito nella lettera senza comprenderne il senso, i quali poi hanno presentato e letto durante la conferenza, abbiano rammentato, poco dopo la conferenza che li vide sconfitti, il testo del profeta Aggeo come il più importante.
In questo profeta, in effetti, noi troviamo la prova più evidente di ciò che vogliamo dimostrare, e cioè: non è il contatto dei corpi, ma quello delle anime, il quale si verifica attraverso il consenso che inquina gli uomini, ed è proprio il loro consenso che unifica la loro causa.
Infatti, quando il Signore volle mandare in perdizione gli empi anche con un castigo visibile, egli stesso separò i giusti con un avviso.
Così, separò Noè con la sua famiglia da coloro che stavano per essere travolti dal diluvio, ( Gen 7-8 ) Lot da coloro che stavano per essere consunti dal fuoco, ( Gen 19 ) il suo popolo dalla banda di Abiron, che presto sarebbe stata distrutta. ( Nm 16 )
Così pure nel caso dell'uomo che non indossava la veste nuziale, non furono coloro che avevano portato gli inviti, ma il signore del convito in persona che lo fece legare e gettar fuori.
Non vorrete mica sostenere che anche quell'uomo era come i pesci fra le onde, quindi non poteva essere notato da coloro che lo avevano invitato, come il pesce non può essere riconosciuto dai pescatori quando è in mare!
D'altra parte, perché non si pensasse, come pensano costoro, che si trattava di un individuo isolato, intrufolatosi di soppiatto tra la folla [ dei convitati ] senza che qualcuno se ne accorgesse, il padrone non tarda un istante a spiegare che proprio in quello stesso unico individuo, che egli fa gettare fuori dal convito, legato mani e piedi, nelle tenebre esteriori, è simbolizzata la grande moltitudine dei peccatori, tra i quali una minoranza di buoni vive nel convivio del Signore.
Infatti, dopo aver detto: Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori; là sarà pianto e stridore di denti, soggiunse subito: Molti infatti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. ( Mt 22,13-14 )
Come potrebbe esser vera questa parola, dal momento che un solo uomo, fra questa folla, fu gettato fuori nelle tenebre esteriori, se in quell'uno non fosse raffigurato il grande corpo di tutti i peccatori, mescolati nel convivio del Signore prima del giudizio divino?
Nel frattempo, i buoni si separano dai cattivi con il cuore e la condotta, anche se mangiano e bevono insieme il corpo e il sangue del Signore; ma con una differenza di fondo: gli uni portano in onore dello sposo l'abito nuziale, perché non cercano i propri interessi, ma quelli di Gesù Cristo; ( Fil 2,21 ) gli altri invece non hanno la veste nuziale, cioè quella fedelissima carità dello sposo, in quanto cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo.
Per questo, benché siano riuniti nell'unico e identico convito, gli uni mangiano la misericordia, gli altri la condanna, ( 1 Cor 11,29 ) poiché il cantico del convivio è quello che ho già ricordato prima: Misericordia e giudizio canterò a te, Signore. ( Sal 101,1 )
Non per questo tuttavia deve sonnecchiare la disciplina della Chiesa, rinunciataria nel correggere i turbolenti.
Ma neppure separiamo dal popolo di Dio coloro che abbiamo relegato, in seguito a degradazione o a scomunica, al posto più umile della penitenza.
E quando, per tutelare la pace e la tranquillità della Chiesa, non ci è consentito adottare tali misure, non trascuriamo certo la disciplina della Chiesa, ma piuttosto tolleriamo ciò che non vogliamo, per giungere là ove vogliamo, cautelandoci con il precetto del Signore, per evitare di sradicare il grano buono volendo raccogliere anzitempo la zizzania. ( Mt 13,29 )
Seguiamo anche l'esempio e il precetto del beato Cipriano, il quale, in considerazione del bene supremo della pace, sopportava così com'erano i suoi colleghi: usurai, imbroglioni e rapinatori, senza che il reciproco contatto lo rendesse simile ad essi.29
Anche noi, pertanto, se siamo il grano buono, ripetiamo con la massima confidenza le parole dello stesso beato martire: " Anche se nella Chiesa è presente la zizzania, ciò non deve costituire un impedimento alla nostra fede e alla nostra carità, fino al punto di abbandonare la Chiesa, solo perché abbiamo scoperto che nella Chiesa c'è la zizzania ".30
Ecco le parole che i nostri antenati avrebbero potuto pronunziare con profonda giustizia e pietà, anche se avessero scoperto che Ceciliano e alcuni suoi colleghi nell'episcopato erano peccatori, che essi tuttavia non potevano separare dalla Chiesa a causa di coloro ai quali non potevano dimostrare la colpa dei loro colleghi, e che consideravano buoni e innocenti.
Ecco le parole che essi, né più né meno, avrebbero dovuto dire e pensare, per non sradicare anche il grano buono, volendo separare sconsideratamente la zizzania.
Un certo profeta ricevette l'ordine di non mangiare pane e non bere acqua in Samaria, ove era stato inviato per correggere coloro che avevano designato alcune giovenche per essere adorate alla maniera degli idoli degli Egizi. ( 1 Re 13 )
Egli dovette eseguire alla lettera l'ordine del Signore, che voleva in tal modo riprendere gli idolatri: il profeta, in quanto suo inviato, non doveva toccare alcun cibo in quella regione.
È quanto non manca di fare la Chiesa ogni giorno, quando ci rifiutiamo di prender cibo alla loro mensa per correggerli più severamente, anche se ci troviamo nella loro dimora, affinché comprendano bene quanto deploriamo i loro peccati.
Ma, con tutto ciò, dobbiamo forse creare scissioni anche tra i fedeli, col rischio di sradicare indiscriminatamente quell'erba tenera che sono i deboli [ nella fede ], i quali non sono in grado di giudicare le intenzioni dei cuori umani e la natura di fatti sconosciuti, anche se a noi noti?
Ora, nella stessa Samaria si trovavano sia Elia che Eliseo, anche se vivevano in luoghi solitari, non tanto per evitare di partecipare ai sacri misteri, ma perché erano perseguitati da re empi. ( 1 Re 19 )
Tant'è vero che in quella regione c'erano anche settemila uomini, di cui Elia ignorava l'esistenza, i quali non vivevano certamente separati dal popolo, e non avevano voluto piegare le ginocchia davanti a Baal. ( 1 Re 19,18 )
E, per finire, Samuele, considerato uno dei più grandi santi, rimproverò aspramente Saul; nonostante ciò, senza giustificarsi partì per andare ad offrire un sacrificio al Signore ( 1 Sam 15 ) insieme a lui: il contagio dei peccati di Saul non lo toccò e rimase assolutamente puro nell'integrità dei suoi meriti.
Ma tale questione, benché sia stata risolta con chiarezza nel corso della conferenza ed anche adesso, lasciamo che ce la risolva in modo ancor più chiaro Aggeo, la cui testimonianza fu scelta da loro come la più probante, tanto che la propongono tuttora come la sintesi di tutte.
Il Signore, attraverso il profeta Aggeo, rimprovera il resto del suo popolo, reduce da Babilonia, perché trascurava la Casa del Signore e abbelliva le sue dimore: per questo annuncia che tutta la regione sarà colpita dalla piaga della sterilità.
Allora Zorobabele, figlio di Salatiel, e il sommo sacerdote Gesù, figlio di Iosedec, e tutto quel popolo divinamente ispirato, si misero a lavorare nella Casa del Signore, loro Dio.
Così dice testualmente la Scrittura: E il Signore destò lo spirito di Zorobabele, figlio di Salatiel, della tribù di Giuda, e lo spirito del gran sacerdote Gesù, figlio di Iosedec, e lo spirito di tutto il resto del popolo; ed essi entrarono e lavorarono nella casa del Signore onnipotente, loro Dio, il ventiquattro del sesto mese, nel secondo anno del regno di Dario. ( Ag 1,14; Ag 2,1 )
Ecco come viene precisato persino il giorno, in cui si misero a lavorare nella casa di Dio.
Sono convinto che quegli uomini e quel popolo, lavorando nella Casa di Dio, non fossero impuri, tanto più che il Signore aveva detto loro: Io sono con voi, ( Ag 1,13 ) e aveva eccitato il loro spirito a lavorare bene nella sua Casa.
Ma osservate ciò che segue subito dopo, quando la stessa Scrittura aggiunge: Nel settimo mese, il ventuno del mese, il Signore parlò per mezzo del profeta Aggeo, dicendo a Zorobabele, figlio di Salatiel della tribù di Giuda, e a Gesù, gran sacerdote, figlio di Iosedec, e a tutto il resto del popolo: Chi di voi ha visto questa Casa nel suo primitivo splendore?
Ma ora, in quali condizioni voi la vedete, come se fosse ridotta a un nulla ai vostri occhi?
Allora, coraggio, Zorobabele! dice il Signore.
Coraggio, gran sacerdote Gesù, figlio di Iosedec!
Coraggio, popolo tutto del paese! dice il Signore onnipotente. Il mio spirito è in mezzo a voi.
Abbiate fiducia, perché così dice il Signore onnipotente: Una volta ancora scuoterò il cielo e la terra, il mare e la terraferma, e scuoterò tutte le nazioni, e verranno tutti i tesori dei popoli, e io riempirò questa casa, dice il Signore onnipotente, ( Ag 2,1-7 ) e il resto del vaticinio che egli aggiunge, profetizzando alcuni eventi futuri.
Tutto ciò di solito viene riferito più esattamente al tempo di nostro Signore Gesù Cristo, di cui il popolo è il tempio di Dio più autentico e santo, che non è formato da coloro di cui è tollerata la mescolanza, ma solo da coloro che al presente sono separati spiritualmente dai malvagi per la loro vita santa, in attesa della separazione fisica, che anch'essa un giorno verrà.
In verità quel popolo, che aveva accolto l'annunzio di questa profezia e stava lavorando nella Casa di Dio, annoverando anche quei due: Zorobabele, figlio di Salatiel, e Gesù, figlio di Iosedec, quali esortazioni e raccomandazioni avesse ricevuto dal Signore, appare chiaramente dalle parole del profeta che abbiamo citato alla lettera.
Potremo dunque chiamare costoro popolo impuro, il cui contatto inquina, questo popolo cui è detto: Allora, coraggio, Zorobabele! dice il Signore.
Coraggio, gran sacerdote Gesù, figlio di Iosedec!
Coraggio, popolo tutto del paese! dice il Signore onnipotente.
Il mio spirito è in mezzo a voi? ( Ag 2,4-5 )
Chi sarà mai così stolto da pensare che, chi si avvicina a questo popolo, sarà inquinato?
Or dunque, fate bene attenzione a ciò che la Scrittura aggiunge subito dopo la profezia che ha annunciato a quel popolo i tempi di Cristo: Il ventiquattro del nono mese, secondo anno di Dario, la parola del Signore fu rivelata al profeta Aggeo in questi termini: Dice l'Onnipotente: Interroga i sacerdoti intorno alla legge dicendo: Se uno in un lembo del suo vestito porta carne consacrata e con il lembo tocca il pane, il companatico, il vino o qualunque altro cibo, questi ultimi saranno consacrati?
I sacerdoti risposero: No!
E Aggeo soggiunse: Se uno che è contaminato per il contatto di un cadavere tocca una di quelle cose, sarà essa immonda?
I sacerdoti risposero: Sì!
E Aggeo rispose: Tale è questo popolo, tale è questa nazione davanti a me - oracolo del Signore - e tale è ogni lavoro delle loro mani.
E chiunque si avvicinerà a lui, sarà immondo a motivo dei loro profitti precoci ricavati dal loro lavoro.
E voi avevate preso in odio costoro [ alle porte ], dicendo parole di riprovazione. ( Ag 2,10-14 )
Qual è questo popolo così impuro, il cui approccio costituisce per tutti un inquinamento?
Sarà forse quello, cui è stato detto: Coraggio! Il mio spirito è in mezzo a voi? ( Ag 2,4-5 )
Non sia mai quello! Supponiamo dunque che fossero due: uno, che era immondo, e l'altro, che aveva ricevuto la proibizione di avvicinare l'immondo, e veniva esortato ad avere coraggio, perché lo Spirito di Dio era in mezzo a loro.
Se davvero erano due, facciano vedere che c'erano anche due templi: uno ove entrava il primo, l'altro ove entrava il secondo; si mostrino anche i due altari, in cui uno e l'altro offrivano le loro vittime; si mostrino anche i sacerdoti, quelli per il primo e quelli per il secondo, che sacrificavano separatamente ciascuno per il suo popolo.
Tentare di sostenere una cosa simile è autentica follia: questi due popoli formavano un solo popolo, sotto la guida dell'unico sommo sacerdote, frequentando l'unico tempio, proprio come erano sotto la guida del solo Mosè, quando alcuni offesero il Signore e altri gli restarono fedeli.
Di essi l'Apostolo dice: Ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque. ( 1 Cor 10,5 )
Non dice infatti: Nella loro totalità non furono graditi a Dio, come se tutti avessero recato dispiacere a Dio, ma afferma: Della maggior parte di loro Dio non si compiacque; dunque: di alcuni, non di tutti.
Eppure, tutti erano sotto la guida degli stessi sacerdoti nell'unico e medesimo tabernacolo, tutti offrivano i loro sacrifici sopra un solo e identico altare, e tuttavia formavano due gruppi distinti, per le loro azioni non per i luoghi, per i loro sentimenti non per il tempio, per i loro costumi non per gli altari.
Così gli uni evitavano gli altri per non essere inquinati da loro, cioè, non approvavano la loro cattiva condotta per non subire l'identica condanna.
Neppure un profeta della statura di Mosè ignorava quei peccatori, dovendo sopportare ogni giorno le loro malvage mormorazioni e orrende cattiverie.
Supponiamo invece che Mosè li ignorasse.
E, allora, Samuele ignorava forse anch'egli Saul, che Dio stesso con la sua bocca aveva condannato ad un castigo eterno?
In verità, egli vedeva entrare sia Saul che il santo Davide nell'unico tabernacolo di Dio e assistere agli stessi sacrifici; ma li vedeva senza dubbio in maniera differente, perché li vedeva nella loro diversità: uno lo amava per l'eternità, l'altro lo tollerava per un certo tempo.
Anche Aggeo sapeva che due popoli, facenti parte di un unico popolo, entravano nel medesimo tempio e vivevano sotto la guida di un unico gran sacerdote: uno lo denunciava come immondo e all'altro impediva di avvicinarsi all'immondo; tuttavia, né costoro né lui si separavano dallo stesso tempio e dagli stessi altari.
Proibiva dunque la consonanza spirituale e il consenso alle loro azioni.
Le sue stesse parole lo proclamano, purché ci siano orecchie che lo ascoltino, non otturate da una passione incontrollata, non assordate dal clamore di dispute vane.
Dice infatti il profeta: Chiunque si avvicinerà a lui sarà inquinato. ( Ag 2,14 )
Egli ha segnalato il vizio e ne ha interdetto l'accesso, ma non ha separato gli uni dagli altri con una barriera materiale.
Ora, si accede al vizio della corruzione attraverso il vizio del consenso.
Qualcuno potrebbe dire: " Questo popolo che prima si è sentito dire: Coraggio! perché il mio spirito dimora in mezzo a voi, ( Ag 2,4-5 ) come ha potuto nel giro di pochi giorni corrompersi talmente, da meritarsi questa apostrofe: Così è questo popolo, così questa nazione; chiunque gli si avvicinerà sarà macchiato? ". ( Ag 2,14 )
In effetti si contano circa novanta giorni fra quel discorso, ricco di benevolenza verso il popolo, e quest'ordine di evitare la sua impurità.
E perché nessuno potesse pensare che tale buon popolo, in un così breve volgere di tempo fosse diventato talmente malvagio, osservate ciò che segue e notate il contenuto del messaggio pronunziato il ventiquattresimo giorno del nono mese, lo stesso giorno in cui è stato detto: Tale è questo popolo e questa nazione; chiunque si avvicinerà ad esso sarà inquinato.
Dopo queste parole e la rievocazione dei loro misfatti, che dimostravano perché erano immondi, il profeta incalza dicendo: E voi avevate preso in odio costoro [ alle porte ], dicendo parole di riprovazione, e subito dopo soggiunge: Ed ora, riflettete bene nel vostro cuore, da oggi e per l'avvenire: Prima che si cominciasse a porre pietra sopra pietra nel tempio del Signore, come andavano le vostre cose?
Andavate a un mucchio da cui si attendevano venti misure di orzo e ce n'erano dieci; quando voi andavate al torchio della cantina per ritirare cinquanta anfore, ce n'erano venti.
Io vi ho colpiti con la sterilità e con venti malsani e con la grandine in tutti i lavori delle vostre mani, ma voi non siete ritornati a me - parola del Signore.
Considerate bene nel cuore da oggi in poi, dal ventiquattro del nono mese, cioè dal giorno in cui si posero le fondamenta del tempio del Signore, riflettete nel vostro cuore se il grano mancherà ancora sull'aia, o se la vigna, o il frutteto, o il fico, o il melograno e gli olivi non produrranno più i loro frutti.
Da oggi in poi io vi benedirò. ( Ag 2,15-19 )
Ecco, nello stesso giorno essi hanno meritato di essere anche benedetti.
Ora, credo che questa benedizione non si riferisca a quegli individui, alla cui impurità [il profeta] proibisce di acconsentire, ma piuttosto riguarda i buoni che ricevono questo tipo di interdizione.
Dunque, essi coesistevano nell'unico popolo sia mescolati che separati: mescolati per il contatto fisico, separati per l'orientamento opposto della volontà.
Ma la Scrittura usa il suo linguaggio abituale: rimprovera i malvagi come se tutti i membri di questo popolo fossero malvagi, consola i buoni come se in esso tutti fossero buoni.
Dunque, i vostri vescovi hanno lavorato a nostro favore con questo scritto, che si dice abbiano composto dopo la conferenza che li vide sconfitti, citandovi la profezia di Aggeo; con questo testo ci hanno ricordato che quanto andiamo dicendo era comprovato con maggior rilievo, poiché se esistono uomini che vivono insieme in uno stesso popolo, in un unico tempio, sotto gli stessi sacerdoti, partecipando agli stessi sacramenti, ma si oppongono per la volontà e si distinguono per la diversa condotta di vita, una causa non può pregiudicare un'altra causa né una persona un'altra persona.
Nei loro scritti essi citano anche un testo di una lettera dell'Apostolo che dice: Non lasciatevi legare al giogo degli infedeli; quale rapporto infatti ci può essere tra luce e tenebre? ( 2 Cor 6,14 ) e ciò che segue, che abbiamo citato prima,31 mostrando come dovesse essere correttamente inteso.
Essi che altro fanno se non ricordarci a chi l'Apostolo ha scritto queste cose?
Sì, anche presso lo stesso popolo dei Corinzi noi troviamo la prova concreta di quanto andiamo dicendo, perché non pensino che fosse solo un'abitudine dei profeti, e non del Nuovo Testamento ma solo un'usanza del Vecchio, riprendere quel popolo, come se tutti fossero meritevoli di riprensione, e lodare coloro che lo meritavano, come se tutti fossero da lodare.
Ecco infatti come l'Apostolo si rivolge anche ai Corinzi: Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene, alla chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.
Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza, poiché la testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente, che nessun dono di grazia più vi manca. ( 1 Cor 1,1-7 )
Chi, all'udire queste parole, potrà credere che nella Chiesa di Corinto vi fosse un solo reprobo, dal momento che queste parole risuonano come un elogio diretto a tutti?
Tuttavia, poco dopo, egli dice: Vi esorto, fratelli, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi. ( 1 Cor 1,10 )
E di nuovo, come se volesse biasimare e rimproverare tutti per questo orrendo vizio, dice: Cristo è stato forse diviso?
Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? ( 1 Cor 1,13 )
Penso allora che i membri di quella comunità, i quali affermavano: Io sono di Cristo, non facessero coppia con coloro che dicevano: Io sono di Paolo, io di Apollo, io di Cefa; ( 1 Cor 1,12 ) eppure tutti si accostavano all'unico altare e comunicavano con gli stessi sacramenti, pur senza condividere gli stessi vizi.
Infatti ai medesimi Corinzi è stato detto anche questo: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna. ( 1 Cor 11,29 )
E a chi si riferiva l'Apostolo se non a questi ciarlatani, poiché non si accontentò di dire: mangia e beve la propria condanna, ma aggiunse: per sé, per indicare chiaramente che questo richiamo non si applicava a coloro che, pur mangiando lo stesso pane insieme a loro, non mangiavano la loro condanna?
Fra quegli stessi Corinzi, c'erano alcuni che non credevano alla risurrezione dei morti, articolo di fede peculiare dei cristiani.
L'Apostolo così si rivolge a loro: Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dai morti? ( 1 Cor 15,12 )
Egli non dice: In questa terra, oppure: In questo mondo, ma: tra voi.
Non avrebbe neppure potuto alludere alla risurrezione di Cristo se non si fosse rivolto a individui già cristiani; ed egli, sempre a proposito di questa risurrezione di Cristo, dice loro: Tale è la nostra predicazione e tale è la vostra fede. ( 1 Cor 15,11 )
Consideriamo bene i termini, con i quali loda la Chiesa dei Corinzi nell'esordio della sua lettera, arrivando a dire: Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza.
La testimonianza di Cristo si è infatti stabilita tra voi così saldamente, che non vi manca più alcun dono di grazia. ( 1 Cor 1,4-7 )
Ecco come essi erano talmente ricchi in Cristo in ogni parola e in ogni scienza, che non mancava loro nulla in ogni genere di grazia, eppure fra loro c'era chi non credeva ancora alla risurrezione dei morti.
Sono convinto che coloro ai quali non mancava nulla in alcun genere di grazia, non prendevano il giogo con quelli che non credevano alla risurrezione futura dei morti.
Ecco in che senso i credenti non prendono il giogo con gli infedeli, benché siano tutti mescolati nello stesso popolo e siano iniziati dagli stessi sacerdoti agli stessi misteri.
In definitiva, lo stesso Apostolo, per salvaguardare da questa incredulità la fede di coloro che ammettevano già la risurrezione dei morti, non ordinò loro una separazione fisica: in questo caso si trattava di molti, non di un solo individuo, come quel tale che si era preso la moglie di suo padre e l'Apostolo giudica degno di aperta condanna e quindi di scomunica. ( 1 Cor 5,1-5 )
Vi è una notevole differenza fra la maniera di curare e guarire questo individuo e una moltitudine corrotta: separando i due gruppi di fedeli, si rischia di provocare uno scisma nefasto e di sradicare anche il buon grano.
Per questo l'Apostolo non separa fisicamente coloro che già credevano nella risurrezione dei morti da coloro che, nella stessa comunità, non vi credevano; tuttavia non trascura occasione per separarli spiritualmente dicendo: Non lasciatevi ingannare: le cattive compagnie corrompono i buoni costumi. ( 1 Cor 15,33 )
Non teme il loro stare insieme, ma il loro decidere insieme, affinché non accada che le cattive compagnie modifichino la fede e i buoni costumi.
Li esorta dunque ad essere separati non all'altare, ma nei costumi.
E, per finire, prima che l'Apostolo scrivesse loro questo, dovevano esserci nella stessa Chiesa alcuni che non credevano nella risurrezione dei morti e altri che abbondavano in ogni genere di grazia: i primi non inquinavano affatto con la loro incredulità gli altri, perché questi non consentivano con la loro incredulità.
Ecco, allora, la maniera giusta per non avere contatti inquinanti con ciò che potrebbe inquinare; ecco perché la luce non ha nulla in comune con le tenebre; ecco perché le due categorie di pesci nuotano nelle stesse reti, appunto perché una causa non pregiudica l'altra causa né un persona l'altra persona.
Stando così le cose, può esserci stoltezza più pervicace e sonno più greve del cuore, che non possa scuotersi, affinché finalmente si renda conto che la causa di Ceciliano non può recar pregiudizio a tutto il mondo cattolico, col quale il partito di Donato non è in comunione, se la causa di Massimiano o, meglio, la causa di Feliciano e di Primiano, ora così uniti mentre poco fa si condannavano reciprocamente, non pregiudica il partito di Donato?
Certo è sufficiente, per usare il loro linguaggio, che i pesci cattivi, nascosti fra le onde, non inquinino i pescatori, dal momento che questi ne ignorano la presenza; ed è altrettanto vero che qui non si fa questione di pescatori, come anche è possibile che il Signore in questa parabola ( Mt 13,47-51 ) abbia voluto significare gli angeli.
Infatti è bene prestare maggiore attenzione al fatto che, nell'interno stesso delle reti, i pesci cattivi non possono contaminare quelli buoni, in quanto è impossibile che fra loro si vedano mentre nuotano insieme.
Ma, come ho appena detto, è sufficiente per la nostra questione che i cattivi non inquinino quando le loro malefatte sono ignote.
Indice |
27 | Brevic. 3, 16, 28 |
28 | Brevic. 3, 9, 17 |
29 | Cypr., De lapsis 6 |
30 | Cypr., Ep. 54, 3 |
31 | Sopra 6,8 |