Ai Donatisti dopo la conferenza

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9.12 - La Chiesa non è adesso quella che sarà dopo la risurrezione

Così è stato chiarito perfettamente ciò che noi sostenevamo: si devono distinguere bene i tempi della Chiesa;11 essa non è adesso quella che sarà dopo la risurrezione: ora è mescolata ai cattivi, allora non ne avrà assolutamente più.

È alla purezza della Chiesa futura, non alla commistione di questo tempo, che fanno riferimento i testi scritturistici, attraverso i quali Dio predisse che sarebbe stata liberata del tutto dalla mescolanza con i cattivi.

Ecco ciò che la verità del Vangelo li ha costretti ad ammettere senza scampo, nel momento in cui hanno affermato che in essa attualmente sono mescolati in incognito i cattivi.

Non è dunque questo il tempo, di cui ha predetto il profeta: Mai più passerà in te l'incirconciso e l'impuro. ( Is 52,1 )

Dunque, adesso essi passano, anche se occultamente.

Del resto, anche l'espressione: non passerà più ormai sta a dimostrare che essi prima passavano abitualmente, dopo invece non vi passeranno più.

E intanto ci domandavano, non senza malizia, come mai il diavolo potesse seminare la zizzania nella Chiesa di Cristo,12 dal momento che proprio loro affermavano che nella Chiesa erano mescolati i cattivi, almeno in modo occulto, e non volevano ammettere che fosse stato sicuramente il demonio a seminarli.

10.13 - Nella Chiesa anche i cattivi notori sono mescolati ai buoni

Ad essi sembrava di aver fatto una trovata davvero geniale, ma essa si ritorceva piuttosto contro di loro.

Se infatti il Signore ha paragonato la Chiesa alle reti che raccolgono tanto i pesci buoni quanto i cattivi, è perché volle farci capire che i cattivi nella Chiesa non sono manifesti ma occulti, e neppure i sacerdoti li conoscono, proprio come avviene sott'acqua, per cui i pescatori ignorano che cosa sia andato a finire nelle reti.

Così pure l'ha paragonata all'aia per preannunziare che in essa anche i cattivi notori sarebbero stati mescolati ai buoni.

Infatti neppure la paglia, che nell'aia è mescolata al frumento, è nascosta sotto i flutti; al contrario, è talmente visibile agli occhi di tutti, che è piuttosto il frumento ad essere nascosto, mentre essa si vede bene.

Su questa parabola dell'aia, che abbiamo estratta dal Vangelo insieme ad altre, essi non hanno potuto scrivere nulla contro di noi nella loro lettera, salvo citare il testo del profeta Geremia: Che rapporto c'è tra la paglia e il grano? 13

Se lui si è espresso così, è per indicare che [ il grano e la paglia ] non si somigliano punto, ma non perché non possono stare mescolati; e non saranno insieme nel granaio, ma non perché non sono ugualmente trebbiati sull'aia.

D'altra parte Geremia, quando pronunciava queste parole, non si riferiva tanto al popolo di Dio, ma ai sogni degli uomini e alle visioni dei profeti: due realtà che non possono essere assolutamente paragonate fra loro, proprio come non si può paragonare la levità della paglia con il turgore del frumento.

10.14 - Sarebbe meglio se i Donatisti si correggessero anziché falsificare i testi evangelici

Naturalmente i vostri vescovi tentarono di sostenere che non esiste alcun testo del Vangelo,14 in cui la Chiesa venga paragonata a un'aia; ma subito dopo, convinti dalla citazione delle parole evangeliche, cambiarono parere fino al punto di dire che lì si parlava di cattivi occulti, non notori, dei quali è scritto: Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile. ( Mt 3,12 )

Ebbene, giudicate voi stessi, aprite gli occhi, tendete le orecchie alla verità!

Se dunque il Signore, stando alle loro asserzioni, paragonò davvero la Chiesa alle reti perché voleva intendere che in essa i cattivi non sono manifesti, ma occulti, e quindi ignoti ai sacerdoti, così come sono occulti e quindi ignoti ai pescatori i pesci nelle reti sommerse tra i flutti, forse che il grano sull'aia si trebbia anche sott'acqua o sottoterra, di notte anziché nel solleone, oppure il contadino che vi lavora è cieco?

Quanto sarebbe meglio, dunque, se costoro si correggessero anziché falsificare i testi evangelici, forzando le parole del Signore per renderle conformi ai menzogneri errori della loro mente!

Una delle due: o il Signore ha esposto anche la parabola dei pesci per raffigurare, non tanto i peccatori occulti nella Chiesa, quanto la mescolanza in essa di tutti i peccatori, o certamente ha scelto per ciascuna categoria una parabola distinta: quella dei pesci per i peccatori occulti e quella dell'aia per i peccatori notori, in quanto essi sono mescolati ai buoni nella Chiesa, gli uni prima di giungere a riva, gli altri prima di essere vagliati col ventilabro.

[ I vostri vescovi ] in effetti ci avvertono che l'immagine della paglia sull'aia sta a significare i peccatori notori nella Chiesa, e vogliono altresì farci capire che i pesci cattivi, nuotando dentro le reti, rappresentano i peccatori occulti, poiché, come i sacerdoti ignorano questi, così i pescatori ignorano quelli.

Perché allora non potremmo dire: " Dunque, anche la paglia raffigura i peccatori notori, poiché i trebbiatori la vedono bene allo scoperto "?

Ma, come non è possibile selezionare i pesci prima di averli tratti a riva, così neppure la paglia può essere vagliata prima del termine fissato.

Dio però salvaguarda l'innocenza dei suoi santi e dei suoi fedeli, che sono i suoi buoni pesci, il suo pingue frumento, affinché nelle reti non nuoccia loro la mescolanza con i tipi di pesce da buttar via, e sull'aia non rechi danno la mescolanza con la paglia da ventilare, poiché, come essi stessi dichiararono, ribadirono e sottoscrissero, una causa non potrà mai pregiudicare un'altra causa né una persona potrà mai pregiudicare un'altra persona.

11.15 - I Donatisti, anche se costretti e nolenti, hanno dovuto sottoscrivere i loro interventi

Essi probabilmente negheranno di aver mai pronunziato queste parole, a meno che la loro stessa firma non li inchiodi.

Notate dunque con quanta sollecitudine ci siamo adoperati per la vostra salvezza, tanto da firmare i nostri interventi!15

Essi non volevano firmare assolutamente, ma alla fine si sono sentiti obbligati per un senso di dignità.

Ne fanno fede le loro dichiarazioni, conservate agli atti, dalle quali risulta sia il loro rifiuto iniziale, sia il loro successivo assenso a fare ciò che in un primo tempo avevano ricusato.

Tutto è stato scritto e da tutti sottoscritto.

Dunque, se ne deduce che non volevano firmare per poter negare di aver detto quanto avevano dichiarato e per accusare il giudice di aver manipolato gli atti.

Dato che ora non possono farlo più, sostengono che il giudice stesso sia stato corrotto.

Ora, se lui si è pronunziato contro di loro, essi lo devono unicamente a se stessi, perché hanno fornito davvero molti argomenti a noi favorevoli e a loro contrari.

Non possono negarlo: anche se costretti e nolenti, hanno dovuto sottoscrivere i loro interventi.

È chiaro dunque che non volevano firmare per poter smentire quanto avevano detto, ricorrendo pretestuosamente alla calunnia che gli atti erano stati falsificati.

Se, in seguito, su istanza del giudice, hanno acconsentito a firmare, è perché si sono resi perfettamente conto che, persistere nel loro rifiuto, non avrebbe avuto altro significato se non di mostrare a tutti che avevano una gran paura di sentirsi leggere le proprie dichiarazioni.

Di fatto preferirono difendere in un secondo tempo le loro dichiarazioni con tutti i loro arzigogoli, piuttosto che condannarle prontamente.

12.16 - I Donatisti più si difendono e più si condannano

Ma osservate, vi prego, come proprio la loro linea difensiva abbia peggiorato notevolmente la loro posizione, dando un sostegno alla nostra causa e un colpo di grazia alla loro.

Infatti, dopo la conferenza, essi interposero appello avverso la condanna, e gli fu risposto con queste stesse parole, ed essi aggravano ancora la loro posizione volendo difenderle se voi domandate loro ciò che hanno fatto.

Pensano che abbiate così poco buon senso, da non capire che essi sono stati definitivamente sconfitti, perché continuano a ripetervi delle storie che non racconterebbero mai e poi mai, se trovassero qualcosa di utile da dire.

Chi può sopportare di stare a sentire gente sconfitta, che recrimina perché la sentenza è stata consegnata loro di notte?

Come se i giudici non fossero spesso costretti, per esigenze del processo, a sedere in tribunale fino a notte inoltrata!

Quasi che una cosa non sia vera solo perché è stata detta di notte!

Non sentono il grido della Scrittura: Di giorno il Signore mi dona la sua misericordia e di notte si manifesta; ( Sal 42,9 ) e ancora: Per annunziare al mattino la tua misericordia e la tua verità lungo la notte. ( Sal 92,3 )

Proprio loro hanno affermato che i persecutori vennero di notte ad arrestare il Signore, senza tener conto che anche il Signore durante le ore notturne predicò la verità ai suoi discepoli; ( Gv 3,1-21; Gv 13,30-31 ) né hanno voluto tener conto di ciò che è scritto: che l'apostolo Paolo prolungò un sua conversazione fino a mezzanotte. ( At 20,7 )

Se essi avessero avuto una verità da comunicare, la notte certamente non avrebbe potuto impedirglielo.

Invece non c'è dubbio che un'altra notte, fonda di tenebre, gravava sulle loro menti, quando producevano contro se stessi argomentazioni così insensate, né hanno voluto modificare il loro animo perverso con la luce della verità.

In realtà, era ancora pieno giorno quando eccepivano, secondo l'uso forense, che la nostra richiesta era andata in prescrizione,16 dichiarando perciò decaduta la causa e assolutamente non più trattabile, senza rendersi conto che davano a vedere pubblicamente di avere soltanto una gran paura di affrontare un processo, che avrebbe svelato luminosamente a tutti la loro perversità e la verità cattolica.

13.17 - Il caso di Milziade, di Stratone e di Cassiano

Era ancora giorno, quando tentarono di invalidare la sentenza del vescovo di Roma, Milziade, che discolpò e assolse Ceciliano, denunciando anche lo stesso Milziade come traditore.17

E poiché si esigeva da essi di provare tale accusa, lessero un documento interminabile, nel quale non compariva affatto il nome di Milziade per aver consegnato alcunché.

Produssero ancora altri atti, in cui si leggeva che Milziade aveva inviato al prefetto della città alcuni diaconi, muniti di lettere dell'imperatore Massenzio e del prefetto del pretorio al prefetto della città, per recuperare i luoghi confiscati ai cristiani durante la persecuzione.

E poiché non emerse il minimo indizio sulla colpevolezza di Milziade, sostennero che negli atti relativi al crimine di tradizione, letti anteriormente, era stato menzionato un certo Stratone come traditore, nome che portava anche uno dei diaconi inviati da Milziade per recuperare i beni della Chiesa.

Sostenevano che si trattasse proprio di lui, senza riuscire però a fornirne le prove.

E neppure riuscirono a dimostrare che il presunto traditore Stratone fosse almeno un diacono.

Ammesso che realmente fosse così, noi rispondemmo loro che, per un breve periodo di tempo, ci furono nel clero della Chiesa di Roma due diaconi di nome Pietro.

Ma essi erano talmente accecati nella loro mente che continuavano a lanciare oscure calunnie, con l'aggiunta di una menzogna più che evidente: la coincidenza non soltanto del nome, ma anche delle località, delle regioni e delle persone, che concorrevano nel dimostrare che non si trattava d'altri se non di questo Stratone, benché negli atti non vi fosse la minima concordanza con tutto ciò, all'infuori dell'identità del nome.

Ora, fa parte del costume più consolidato del genere umano che, non solo due, ma più persone siano chiamate con lo stesso nome.

E lo dimostrarono molto bene con il loro Donato di Cartagine: temendo di vederlo condannato dal tribunale di Milziade, poiché lo tengono in grande considerazione, protestarono vibratamente che non lo si doveva confondere con Donato di Case Nere, perché questo Donato di Cartagine non era stato inviato contro Ceciliano al tribunale episcopale di Milziade.

Era talmente fonda la notte che gravava sul loro cuore, da non volere che Donato fosse disonorato per la rassomiglianza con il nome di un altro, mentre pretendevano di infangare Milziade perché aveva un nome simile a quello di un altro.18

Ora, invece, si dice che aggiungano al nome di Stratone anche quello di Cassiano, di cui non avevano fatto parola durante la conferenza.

Come se soltanto Stratone potesse avere un omonimo, e non anche Cassiano!

Così pure, sempre ottenebrati dalla loro notte interiore, non si sono accorti che, oltre ai due Giovanni, il Battista e l'Evangelista, vi sono due Simone, uno Pietro e l'altro Mago; e per finire, persino nel ristretto gruppo degli Apostoli si contano, non soltanto due Giacomo, uno figlio di Alfeo e l'altro di Zebedeo, ma anche due Giuda, uno santo e l'altro demonio. ( Mt 10,2-4; Lc 6,14-16 )

E chi mai avrà lo spirito così ottenebrato da incriminare l'Apostolo Giuda del tradimento di Giuda, a meno che non voglia imitare costoro!

Non c'è affatto da stupirsi se la reputazione di Milziade subisse dopo tanto tempo, a proposito dei due Cassiano o dei due Stratone, calunnie da parte loro, parallelamente a quelle che subì la verità del Vangelo a proposito dei due Erode.

Infatti, poiché non è specificato quale sia l'Erode che massacrò gli innocenti al posto di Cristo e subito dopo morì, né quale Erode si unì a Pilato per perseguitare Cristo, qualcuno potrebbe pensare che si tratti dello stesso individuo, e quindi accusa il Vangelo di falsità, proprio come costoro, i quali pensano che vi sia stato un solo Stratone o un solo Cassiano e rimproverano a Milziade il crimine di tradizione.

Ora, equivocare sul nome di Erode è un errore più tollerabile, poiché in tal caso vi è una certa concordanza, non solo sul nome ma anche sulla dignità - si legge infatti di entrambi: il re Erode -, costoro invece hanno inventato una concordanza inesistente di dignità, in quanto non hanno potuto in alcun modo leggere che quei due fossero diaconi.

14.18 - Autenticità del Concilio di Cirta

Era ancora giorno, quando essi tentarono di dimostrare l'inautenticità del concilio di Cirta,19 seppur si possa chiamare concilio una riunione di appena undici o dodici vescovi, da cui abbiamo citato alcuni testi, in base ai quali risulta che certuni, che si erano pronunciati con Secondo di Tigisi per condannare Ceciliano, erano traditori.

Costoro, volendo dimostrare il falso, dichiararono che durante la persecuzione era assolutamente impossibile per quegli undici o dodici vescovi tenere una riunione in qualche casa.

E per provare che era tempo di persecuzione, presentarono gli atti dei martiri, affinché, compulsando le date e i nomi dei consoli, si potesse determinare con certezza di quale epoca si trattasse.

In effetti, questi atti dei martiri li produssero contro se stessi, a loro confusione, poiché sono proprio quegli atti che rivelano chiaramente come le comunità cristiane usassero riunirsi in quel periodo di persecuzione.

Da ciò risultò con certezza che non era inverosimile sentir leggere che anche quei vescovi si fossero riuniti in una abitazione privata, per ordinare clandestinamente un vescovo per quei fedeli che, potendolo fare, si riunivano anche durante la persecuzione, come appunto raccontano gli atti dei martiri.

A sua volta, questo vescovo avrebbe potuto ordinare clandestinamente altri chierici, che lo coadiuvassero in una emergenza così grave, per il fatto che il vescovo suo predecessore con il proprio clero aveva defezionato, come risulta dalla stessa lettera di Secondo, che essi avevano allegato.

Gli atti dei martiri che costoro esibivano, ci suggerirono l'idea di consultarne altri, e così vi scoprimmo, facendolo notare opportunamente, che in piena persecuzione era stata messa a disposizione una casa privata per le riunioni dei cristiani, cosa che essi avevano dichiarato impossibile, e persino in carcere erano stati battezzati alcuni confessori della fede in Cristo.

Da questi elementi, essi poterono rendersi conto che non era poi così incredibile il fatto che un gruppetto di vescovi si riunisse in una casa privata durante la persecuzione, quando addirittura in un carcere si celebravano i sacramenti di Cristo, nel quale erano detenuti i confessori della fede in Cristo.

Quale enorme aiuto, dunque, ci sia venuto dagli atti dei martiri, chiunque lo può constatare, a meno che non abbia nel suo cuore la stessa notte, che avevano questi ciechi!

15.19 - Futili obiezioni dei Donatisti

Altro punto d'accusa da parte loro contro questi atti di Cirta: vi si leggeva la data e i consoli; pretendevano quindi che citassimo eventuali concili ecclesiastici con la registrazione della data e dei consoli.20

A tal proposito menzionavano il testo del concilio di Cartagine, privo di data e di consoli.

Inoltre sostenevano che il concilio di Cipriano non faceva menzione dei consoli, benché recasse la data; ma il loro concilio di Cartagine non registrava neppure la data.

Da parte nostra, dimostrammo loro che gli atti del concilio romano di Milziade, di cui avevamo il testo a portata di mano, analogamente a quello del concilio di Cirta, registravano la data e i consoli.

Evidentemente, in quel momento, non ci interessava andare a sfogliare la data negli antichi archivi ecclesiastici per far vedere che questa consuetudine era già in uso da lungo tempo.

Nonostante ciò, non abbiamo voluto opporre anche noi futili obiezioni sul fatto che nel concilio di Cipriano si trovi la data, mentre nei loro non si trova, appunto perché cercavano di provocare una serie di inutili ritardi, che noi invece cercavamo di evitare.

Tant'è vero che esigevano da noi anche questo: mostrare dalle sacre Scritture una indicazione di data e di consoli, come se i concili dei vescovi fossero mai stati i loro libri, da equipararsi alle Scritture canoniche, o come se potessero citare nelle sante Scritture un concilio, in cui gli Apostoli abbiano presieduto come giudici ed abbiano condannato o assolto qualche imputato!

E tuttavia noi contestammo loro che anche i profeti avevano autenticato i loro libri, annotando con cura e precisione il tempo del loro messaggio e segnando l'anno di regno del re, il mese dell'anno e il giorno del mese, in cui la parola del Signore era discesa su di loro.

In tal modo abbiamo voluto porre in risalto la loro somma leggerezza e malizia nel sollevare questioni inutili sulla data e i consolati dei concili episcopali.

In effetti, può darsi che i codici offrano letture diverse, per cui alcuni annotano con maggiore diligenza anche le date e i consoli, altri le tralasciano perché superflue.

Era il caso dell'esemplare, letto all'inizio, che registrava la sentenza di Costantino,21 il quale dichiarava, in presenza delle parti, l'innocenza di Ceciliano e condannava i Donatisti come vili calunniatori: essa non recava né data né consolato; invece una seconda copia, presentata in seguito per rispondere alle loro accuse, portava tali indicazioni.

Anche allora avevano sostenuto con odioso accanimento che noi avevamo letto una lettera dell'imperatore senza data e consolato; tuttavia anch'essi avevano letto un'altra lettera dell'imperatore senza menzione di data e console, scritta a proposito del processo di Felice, il consacrante di Ceciliano,22 che con incredibile cecità avevano prodotto contro se stessi.

Noi comunque non abbiamo obiettato nulla al riguardo per non perdere altro tempo prezioso in schermaglie inutili.

Se ve ne parliamo adesso, è perché, almeno voi, apriate gli occhi per evitare di sprofondare in quella notte tenebrosa che portavano nel cuore i vostri vescovi, essi che rimproveravano al giudice di aver pronunciato di notte la sentenza su questa causa; ma intanto, in pieno giorno, essi erano riusciti a dire con sorprendente cecità tali e tante cose contro se stessi, avvolti com'erano nelle tenebre interiori.

16.20 - Il famoso Donato, l'illustre Donato ha definito e dichiarato la colpevolezza di Ceciliano

Negli atti del magistrato di Cartagine si legge la dichiarazione di Primiano, in cui dice espressamente che i loro antenati hanno vessato i loro padri con ogni tipo di esilio.

Durante la conferenza [ i vostri vescovi ] hanno tentato di provare che, sulla base delle accuse dei loro antenati, l'imperatore condannò Ceciliano all'esilio.

Nella loro lettera,23 essi sostengono che la loro comunione è la Chiesa della verità, quella che subisce la persecuzione anziché infliggerla; si affannano perciò a dimostrare che Ceciliano è stato condannato dalla sentenza dell'imperatore in seguito alle denunce dei loro antenati.

Ora, essi attribuiscono questo fatto, non a Donato di Case Nere, ma a colui che esaltano al di sopra di tutti: Donato di Cartagine.

Ecco ciò che tentano di accreditare, a quanto si dice, con i loro libelli, in cui gli sconfitti accusano il giudice, poiché la verità durante la notte ha confutato la notte del loro cuore.

Il famoso Donato, sì, l'illustre Donato, che hanno chiamato l'ornamento della Chiesa di Cartagine ed eroe con l'aureola del martirio, per esaltarne il valore, sono giunti al punto di affermare che era stato proprio lui a dichiarare colpevole e a far condannare Ceciliano davanti al tribunale dell'imperatore Costantino.

Dunque, questo eroe con l'aureola del martire ha definito e dichiarato la colpevolezza di Ceciliano davanti al tribunale dell'imperatore; in conseguenza di questa deposizione, fu irrogata a Ceciliano la condanna dell'imperatore!

Ma noi abbiamo dimostrato irrefutabilmente che questo è falso, quando abbiamo letto una lettera dello stesso imperatore,24 tirata fuori dagli archivi pubblici, nella quale egli attesta di aver ascoltato le parti e pronunziato una sentenza che dichiara Ceciliano prosciolto e innocente, e respinge con forza le loro accuse.

A questa lettera essi non trovarono assolutamente nulla da controbattere, anzi, senza volerlo la confermarono, producendo altri documenti a loro sfavore.

Pertanto, è vero che Ceciliano fu accusato dai loro antenati presso l'imperatore, ma non consta affatto che sia stato condannato: risulta al contrario che è stato assolto.

Perciò, almeno voi, rendetevi conto dell'aiuto che proprio i vostri vescovi hanno dato alla nostra causa, essi che volevano gloriarsi anche di questa menzogna!

Se Donato, questo eroe dall'aureola del martire, ha veramente sostenuto davanti al tribunale dell'imperatore la colpevolezza di Ceciliano, se le accuse e gli intrighi di questo eroe dall'aureola del martire hanno fatto condannare realmente Ceciliano dall'imperatore, allora essi devono dire davanti a voi chi era veramente il martire in tutta questa faccenda: Donato, che tentava di far condannare questa persona dall'imperatore, o Ceciliano, che per la denuncia di costui sarebbe stato condannato dall'imperatore?

Dov'è andato a finire il loro famoso e inderogabile principio: la comunione di Donato è la vera Chiesa, quella che subisce la persecuzione anziché farla?

Ecco: Ceciliano la subisce, Donato la fa. Chi di loro è l'eroe con l'aureola del martire?

17.21 - I Donatisti si danno le arie di essere la Chiesa della verità, che subisce la persecuzione ma non la fa

Fate attenzione! Riflettete bene, e non lasciatevi sedurre ancora da un errore esiziale.

La verità che vi veniva occultata, Dio si è degnato di manifestarla; la falsità che vi accecava, Dio si è degnato di confutarla.

Perché essere ancora ingrati di fronte a un tale beneficio?

Questo, in realtà, è ciò che spesso vi dicevano: da qui stendevano con astuta menzogna un velo tenebroso sugli occhi del vostro cuore.

Ora, benché sconfitti, continuano a vantarsene, a diffamarci pretestuosamente perché noi siamo i persecutori ed essi i perseguitati.

Battuti ormai su tutti i fronti, ecco ciò che è restato loro per ingannare con i loro sofismi gente ignara: dandosi cioè le arie di essere la Chiesa della verità, che subisce la persecuzione ma non la fa.

Non fatevi dunque più ingannare da costoro!

Ciò che noi facciamo a loro è esattamente ciò che i loro antenati, con in testa colui che presentano come un eroe con l'aureola del martire, hanno inflitto a Ceciliano: cosa di cui vanno fieri!

Sì, egli è responsabile di questo davanti all'imperatore, perché ha tentato di far condannare dal suo tribunale l'imputato Ceciliano; sì, anche noi abbiamo fatto ciò, perché essi fossero condannati e subissero la stessa sorte.

Se questo è male, perché Donato lo faceva a Ceciliano?

Se è bene, perché la Chiesa cattolica non potrebbe farlo al partito di Donato?

Anzi, essi sono più che mai convinti di comportarsi bene, essi vanno fieri di questo gesto dei loro antenati e lo lodano senza riserve; allora, neppure noi abbiamo alcun dubbio, noi che non possiamo negare di avere il preciso dovere di fare tutto il possibile perché questi perturbatori, che non accettano di emendarsi con i semplici avvertimenti, siano puniti senza spargimento di sangue, con la pena più mite possibile, a tenore delle leggi; e se, per caso, l'imperatore, irritato per la sacrilega ostinazione della loro volontà, decidesse di punirli con una condanna più pesante, i giudici si adoperino con maggior mitezza, avendo sempre facoltà di ridurre e attenuare i rigori della sentenza.25

Comunque, anche se non potrà essere dimostrato che Ceciliano è stato condannato dall'imperatore Costantino, intanto siamo riusciti a liberarvi dall'errore di credere che la vera Chiesa è quella che soffre la persecuzione, non quella che l'infligge.

Donato l'ha inflitta, Ceciliano l'ha subita.

E se il partito di Donato subisce la persecuzione, anche il partito di Massimiano la soffre con lui: partito che - parola dei vostri vescovi - non è la Chiesa di Cristo.

Ne consegue anche che, infliggere la persecuzione, non è indizio di malvagità, poiché anche i buoni l'infliggono ai cattivi e i cattivi ai buoni; subire quindi la persecuzione non è di per sé indizio di rettitudine, poiché la subiscono non solo i buoni per la loro pietà, ma anche i malvagi per la loro empietà.

17.22 - Atrocità dei circoncellioni contro i Cattolici

Rimosso questo errore, non vi resta dunque che vedere nella Chiesa cattolica la Chiesa di Cristo e restarvi fedeli.

Non dovete affatto sceglierla perché essa subisce la persecuzione.

Se è vero che il Signore ha detto: Beati coloro che soffrono persecuzione, per evitare che gli eretici se ne vantino, ha aggiunto: per causa della giustizia. ( Mt 5,10 )

In verità, anche voi conoscete molto bene gli orrendi crimini, perpetrati contro i nostri da quella razza furibonda di chierici e di circoncellioni
del partito di Donato: chiese incendiate, libri santi gettati alle fiamme, bruciate anche case private, persone strappate dalle loro abitazioni, rapine e distruzioni di tutto ciò che vi si trovava, ed esse fatte a pezzi, straziate, accecate.

Non si arrestarono neppure di fronte all'omicidio, benché sia meno crudele togliere a un morente la luce della vita che privare un vivente della luce dei propri occhi.

Si dava la caccia alle persone, non per arrestarle e condurle in qualche luogo, ma semplicemente per torturarle.

Comunque noi non dichiariamo giusti i nostri per il solo fatto di aver subito queste violenze, ma perché ciò è stato inflitto loro a causa della verità cristiana, per la pace di Cristo, per l'unità della Chiesa.

Quanto ad essi, pur soggetti all'autorità di leggi così numerose e severe, e alla somma potestà che il Signore ha accordato alla Chiesa cattolica, che cosa hanno sofferto a causa di tutto ciò?

Se subiscono talora la pena della morte, è perché o si suicidano o altri li uccidono per legittima difesa quando sono assaliti in modo cruento, non certo per la causa della comunione con il partito di Donato né per l'errore del loro sacrilego scisma, ma esclusivamente per i loro delitti e infamie, commessi alla luce del sole, secondo lo stile dei briganti, con furore e crudeltà inauditi.

Invece, per il partito di Donato, essi a malapena soffrono una minima parte di quanto dovette soffrire, secondo loro, Ceciliano in seguito alle accuse di Donato.

17.23 - O non è ingiusta qualsiasi persecuzione, o non si deve chiamare persecuzione se è giusta

Conclusione: o non è ingiusta qualsiasi persecuzione, o non si deve chiamare persecuzione se è giusta.

Ne consegue che il partito di Donato o ha subìto una persecuzione giusta, oppure non ha subìto alcuna persecuzione, poiché l'ha subìta per giusti motivi.

Ceciliano, invece, l'ha subìta senza un giusto motivo, perché è stata comprovata la sua innocenza ed è stato rimesso in libertà.

Cosa che [ i vostri vescovi ] hanno negato, sostenendo piuttosto che sia stato l'imperatore a condannarlo; ecco perché hanno confessato che i loro antenati, ma soprattutto quel Donato che lodano tanto, hanno perseguitato Ceciliano.

Naturalmente, non hanno potuto in alcun modo provare che egli sia stato dichiarato colpevole e condannato; anzi, come noi sostenevamo, sono stati proprio loro, con tutta una serie di documenti che li smentivano, a confermare la sua innocenza e il suo proscioglimento.26

Nonostante ciò, vanno sbandierando in giro che l'imperatore ha accordato loro la libertà!

Sconfitti e smascherati, essi reclamavano tuttora, come una concessione loro dovuta, quella libertà che i loro antenati non vollero concedere a Ceciliano, accusandolo di fatto presso l'imperatore, e volendo far credere che, in base alle loro menzogne, Ceciliano fosse stato realmente condannato dall'imperatore.

Ora, se è doveroso accordare a ciascuno la libertà, allora si doveva accordare prima di tutto a Ceciliano.

Se poi il giudizio su tali questioni non si deve affidare a un giudice umano, ma piuttosto si deve rimettere a Dio, allora Ceciliano non doveva essere denunciato in prima istanza all'imperatore.

18.24 - D'ora in poi vivete nell'armonia della pace, aderite all'unità, acquietatevi nella carità, arrendetevi alla verità!

Svegliatevi una buona volta! Non lasciatevi intorpidire da un sonno mortale!

L'empia consuetudine non vi sommerga più nell'abisso di un errore sacrilego!

D'ora in poi vivete nell'armonia della pace, aderite all'unità, acquietatevi nella carità, arrendetevi alla verità!

Riconoscete che la Chiesa cattolica, che ha avuto il suo inizio da Gerusalemme, si estende dappertutto: con essa, il partito di Donato non è in comunione, la causa di Ceciliano non può più esserle di pregiudizio.

Tante volte è già stato giustificato e tante volte è stato assolto; comunque, anche se non fosse stato innocente, una causa non pregiudica un'altra causa né una persona un'altra persona.

Ecco l'appello che la Chiesa universale fa risuonare per tutto il mondo, che poi è anche il grido di un suo membro in Africa: "Io conosco la testimonianza di Dio, ignoro la questione di Ceciliano; credo innocente l'uomo, che i vostri antenati hanno perseguitato e che vedo ripetutamente assolto.

Ma, qualunque sia la causa, essanon pregiudica per nulla la mia causa; qualunque sia la sua persona, essa non pregiudica affatto la mia persona.

Voi lo avete proclamato, voi lo avete sottoscritto: Una causa non pregiudica un'altra causa, né una persona pregiudica un'altra persona.

Ecco ciò che dice il Signore: A tutte le nazioni, cominciando da Gerusalemme. ( Lc 24,47 )

Aderiamo saldamente alla verità divina nell'unica Chiesa e poniamo fine, una buona volta, alle liti umane!".

Indice

11 Brevic. 3, 10, 20
12 Brevic. 3, 10, 19
13 Ger 23,28;
Brevic. 3, 8, 10
14 Brevic. 3, 9, 15
15 Brevic. 2, 3
16 Brevic. 1, 8; 3, 5, 6
17 Brevic. 3, 18, 34-19, 37
18 Brevic. 3, 18, 36
19 Brevic. 3, 15, 27. 17, 32-33
20 Brevic. 3, 14, 26-17, 32
21 Brevic. 3, 19, 37-22, 40
22 Brevic. 3, 23, 41
23 Brevic. 3, 8, 10
24 Brevic. 3, 19, 37
25 Ep.139, 2: NBA 22, 197-199
26 Brevic. 3, 22, 40