Contro Giuliano

Indice

Libro II

7.19 - Contro i platonici Ambrogio insegna che l'anima e il corpo sono opere di Dio

A questo punto ho deciso di controbatterti con le tesi dei vescovi che ci hanno preceduto e che hanno esaminato le parole divine con fedeltà ed in maniera mirabile.

Torniamo quindi al vescovo Ambrogio.

Egli non dubita affatto che tutto l'uomo, anima e corpo, è opera di Dio; onora il matrimonio; insegna che nel battesimo di Cristo sono rimessi tutti i peccati; riconosce che Dio è giusto e non nega che la natura umana con l'aiuto della grazia di Dio è capace di virtù e di perfezione.

Le cinque argomentazioni consistono nel sostenere che nessuna di esse può essere vera, a meno che non sia falso che quelli che nascono contraggono il peccato originale.

Ambrogio, nei suoi discorsi, tuttavia, al momento più opportuno pone proprio questo peccato, che voi mediante le vostre cinque argomentazioni cercate di sradicare, cosicché sia chiaro a tutti quello che la verità cattolica e quello che predica la profana innovazione cerca di distruggere.

O forse dubitate che Ambrogio ha creduto ed insegnato che Dio è il creatore di tutto l'uomo, dell'anima cioè e del corpo?

Ebbene, ascolta ciò che, nel libro Sulla Filosofia, contro il filosofo Platone, il quale asseriva che le anime degli uomini si mutavano in bestie e riteneva Dio creatore soltanto delle anime, mentre i corpi li riteneva creati da dèi minori, scrive Ambrogio: "Mi meraviglio che un così grande filosofo ponga l'anima, a cui attribuiva il potere di portare l'immortalità, nelle civette o nelle rane e ne rivesta anche le bestie feroci.

Nel Timeo infatti, dopo aver detto che essa è opera di Dio, fatta da Dio tra le cose immortali, dichiara che il corpo non è opera del sommo Dio, poiché la natura della carne umana non differisce minimamente da quella del corpo delle bestie.

Ma se una cosa è degna di essere ritenuta opera di Dio, perché mai dovrebbe essere ritenuta indegna di essere rivestita di un'opera di Dio?".23

Come vedi, Ambrogio sostiene non solo che l'anima è opera di Dio, come pure i platonici dicevano, ma altresì contro i platonici che è sua opera anche il corpo, cosa che essi negavano.

7.20 - Lo stesso dottore insegnò la bontà del matrimonio

O forse dirai che condanna il matrimonio perché insegna che il bambino che nasce da esso, concepito nel piacere della concupiscenza, subisce il contagio del peccato?

Ascolta dunque il pensiero di Ambrogio sul matrimonio espresso nell'Apologia del santo Davide: "Il matrimonio è buono e l'unione è santa.

Coloro che hanno la moglie si comportino come se non l'avessero.

Lo stesso letto nuziale è incontaminato e nessuno deve privarne l'altro se non per un certo tempo per dedicarsi alla preghiera. ( 1 Cor 7,29-35 )

Secondo l'Apostolo non ci si può dedicare alla preghiera durante il tempo in cui si fa uso di quell'incontro corporeo".24

Un altro pensiero è esposto nel libro Sulla Filosofia: "E cosa buona la continenza; essa è quasi il sostegno della pietà.

Essa infatti insegna la strada fissandone il cammino a coloro che cadono nel precipizio di questa vita ed è assidua vigilatrice affinché non s'insinui alcunché di illecito.

L'incontinenza invece è la madre di tutti i vizi e trasforma in vizio anche le cose lecite.

Per questo l'Apostolo non solo ci proibisce la fornicazione, ma ci insegna altresì ad avere una certa moderazione nell'uso del matrimonio e prescrive un tempo per la preghiera.25

Un intemperante nel matrimonio, infatti, che cosa è se non un adultero della moglie?".

Vedi come egli vuole che i rapporti coniugali siano veramente onesti tra di loro?

Non ti accorgi come afferma che l'incontinenza può trasformare in vizio anche le cose lecite?

Questo non dimostra che l'unione è lecita e che l'incontinenza può sporcarvi ciò che è lecito?

Comprendi come devi intendere con noi in quale malattia del desiderio l'Apostolo non ha voluto che ciascuno di noi possedesse il suo vaso come i pagani che ignorano Dio? ( 1 Ts 4,4-5 )

A te invece la libidine appare colpevole solo al di fuori del matrimonio.

Cosa penserai dunque di Ambrogio che dichiara l'intemperante nel matrimonio in un certo senso adultero della moglie?

Credi forse di onorare di più il matrimonio, dando un larghissimo spazio alla libidine, affinché questa, forse offesa, non si provveda di un altro difensore?

Tu non hai voluto accennare neppure con una parola alla questione da me menzionata, che l'Apostolo cioè lo permette a modo di concessione - senza dubbio infatti, anche se perdonata, la colpa è stimmatizzata -.

Non hai voluto neppure replicare al fatto che egli esorta i coniugi ad astenersi dall'uso del matrimonio per dedicarsi alla preghiera, ( 1 Cor 7,5-6 ) mentre io l'ho ricordato per intero.

Probabilmente l'hai fatto perché temevi che la tua difesa potesse apparire falsa, qualora fossi stato costretto ad ammettere che la preghiera dei coniugi è impedita dalla libidine che tu non hai vergogna a patrocinare.

Desiderando rispondermi, pertanto, ma non osando opporti all'Apostolo e non potendo, secondo il vostro solito modo di fare, sviare in un'altra direzione il senso delle sue parole, hai preferito tacere.

E tu credi di onorare il matrimonio, del quale svaluti la dignità ponendolo nel pantano, quasi fosse irreprensibile, della concupiscenza carnale, più di Ambrogio che, pur dichiarandolo non solo lecito, ma addirittura santo, e pur dichiarando santa l'unione, richiama alla mente il tempo prescritto dall'Apostolo per la preghiera, quando cessa il piacere della libidine?

Credi di onorare il matrimonio più di Ambrogio, che non vuole che i coniugi siano dediti a quella malattia donde ha origine il peccato originale, cosicché quelli che hanno moglie si comportino, a dire dell'Apostolo, come se non l'avessero?

Egli non esita neppure un istante a dichiarare adultero della moglie un marito intemperante, poiché ritiene che tutto il bene del matrimonio sta non nella cupidigia della carne ma nella fedeltà della castità, non nella malattia della passione ma nel patto dell'unione, non nel piacere della libidine ma nella volontà della procreazione.

Egli insegna che la moglie è stata data all'uomo solo per la generazione, cosa che hai creduto dover discutere a lungo, quasi che qualcuno di noi l'avesse negata.

Ecco sull'argomento le parole stesse di Ambrogio tratte dal libro Sul Paradiso: "Se la moglie è causa di colpa per il marito, come si può dire che gli sia stata data per il suo bene?

Se però consideri che Dio ha cura dell'universo, scoprirai che al Signore doveva piacere maggiormente ciò in cui c'era un motivo d'universalità anziché dover condannare quello in cui c'era una causa del peccato.

Siccome la propagazione del genere umano non poteva aversi soltanto con l'uomo, Dio affermò che non stava bene solo. ( Gen 2,18 )

Dio ha preferito che fossero molti ad avere bisogno di salvezza, ed ai quali avrebbe dovuto essere perdonato il peccato, piuttosto che vi fosse solo Adamo immune da ogni colpa.

Poiché, inoltre, egli è l'autore dell'una e dell'altra opera, è venuto in questo mondo per salvare i peccatori.

Non ha permesso infine che neppure Caino, reo di fratricidio, fosse ucciso prima che avesse generato dei figli.

È stato necessario, quindi, dare una moglie all'uomo per la propagazione del genere umano".26

7.21 - Ma anche la remissione del peccato originale nel battesimo

Come vedi, Ambrogio, mio maestro, tanto mirabilmente lodato dal tuo, non solo professa ma addirittura difende che tutto l'uomo, anche la sua carne, è opera di Dio e che il matrimonio in quanto tale è un bene.

Che, poi, nulla tolga al battesimo a causa del peccato originale, te l'ho dimostrato prima citando le sue parole: "È liberato dal peccato colui al quale nel battesimo sono rimessi tutti i peccati".

In qual punto dei suoi libri insegna che Dio non è giusto?

Quale cristiano cattolico può dubitare di una verità che addirittura gli empi professano?

8.22 - Secondo Ambrogio la natura umana è capace della giustificazione

Riguardo alla quinta argomentazione, resta da vedere se Ambrogio ritiene la natura umana capace di giustizia e di perfezione.

Non si può certo dire che si allontani da questa tesi per il fatto che ripete spesso ed in molti modi che l'uomo nasce sotto il peccato e che la sua stessa origine è nella colpa.

Per la verità anche questo l'ho già dimostrato sopra ricordando che ha detto: "la carne di Cristo ha condannato il peccato che egli non sentì quando nacque e che crocifisse quando morì, affinché nella nostra carne ci fosse la giustificazione per la grazia laddove c'era stata la confusione a causa della colpa".

Con queste parole egli dimostra che la natura umana, anche quella che nasce sotto il peccato e la cui origine stessa è nella colpa, è capace di giustificazione, ma solo per mezzo della grazia, la qual cosa dispiace moltissimo a voi, che della stessa grazia siete crudelissimi avversari.

Se questo è poco, fa' attenzione a quanto egli dice nel Commento al profeta Isaia: "Vediamo un po' se, dopo il pellegrinaggio di questa vita, c'è la rigenerazione della quale è stato scritto: Nella rigenerazione, quando il Figlio dell'uomo siederà sul suo trono glorioso. ( Mt 19,28 )

Come si chiama rigenerazione quella del lavacro per il quale, detersa la massa dei peccati, noi siamo rinnovati, così sembra debba essere chiamata rigenerazione quella per cui, purificati da ogni macchia di materialità e resi di animo limpido, siamo rigenerati alla vita eterna".27

Il santo e verace uomo ha giustamente distinto la giustificazione che si ha in questa vita per mezzo del lavacro di rigenerazione, da quella perfetta dell'altra vita, quando i nostri corpi saranno rinnovati dalla immortalità.

Ambrogio quindi, anche ammettendo la colpa di origine in chi nasce, non ritiene impossibile la perfetta giustificazione.

La natura umana, come ha potuto essere plasmata da Dio Creatore, può essere sanata da Dio redentore.

8.23 - Ambrogio ammonisce sulle difficoltà di sfuggire al male nella vita terrena

Ma voi avete fretta e con la fretta fate precipitare la vostra presunzione.

Voi vorreste che l'uomo diventi perfetto quaggiù, ma volesse il cielo che lo fosse per dono di Dio e non per il libero arbitrio, o, piuttosto, per schiavo l'arbitrio della propria volontà!

Da questa perfezione vi sentite lontani.

C'è inganno però nella vostra bocca, sia che vi dichiarate peccatori e volete essere creduti giusti, sia che professate la perfezione della giustizia, che sentite di non avere in voi.

Per tre vie in questa vita ci viene conferita la giustificazione: col lavacro di rigenerazione in virtù del quale sono rimessi tutti i peccati; combattendo i vizi del cui reato siamo stati assolti e con l'esaudimento della preghiera in cui diciamo: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

Pur combattendo contro i vizi con tutta la forza possibile, restiamo sempre uomini.

Mentre combattiamo in questo corpo corruttibile, la grazia di Dio ci aiuta in modo che non ci manchi il motivo per cui egli ci possa esaudire quando chiediamo perdono.

Voi non ritenete necessaria questa misericordia di Dio su di noi, perché appartenete al numero di quelli di cui il salmista dice: Che confidano nella loro virtù. ( Sal 49,7 )

Quanto è meglio ascoltare Ambrogio: "Spesso noi parliamo della fuga da questo mondo, scrive nel libro La fuga dal mondo, ma volesse il cielo che l'anima sia tanto attenta e sollecita quanto è facile il parlare.

Quel che è peggio, però, è che molto spesso si insinua l'attrattiva delle passioni terrene e l'accecamento delle vanità ottenebra la mente sicché finisci per pensare proprio a quelle cose che cerchi di evitare e le rimugini nel tuo animo.

Guardarsene per l'uomo è difficile, spogliarsene del tutto è impossibile.

Che di fatto esso stia più nel desiderio che nella realtà lo testimonia il Profeta quando dice: Rivolgi il mio cuore ai tuoi insegnamenti e non all'avarizia. ( Sal 119,36 )

Il nostro cuore infatti non è in nostro potere e i nostri pensieri con il loro improvviso offuscarsi confondono la nostra mente ed il nostro animo e ci portano fuori da quello che ti eri proposto.

Richiamano ai desideri secolari, insinuano preoccupazioni mondane, suscitano sentimenti voluttuosi, intessono fantasie seducenti e, proprio mentre ci prepariamo ad innalzare la nostra mente, per l'intromissione di vani pensieri, siamo respinti verso le cose terrene".28

Se dite di non soffrire tutto questo, perdonateci, ma non vi crediamo.

In queste parole di sant'Ambrogio, anche se facciamo qualche progresso, vediamo uno specchio dell'infermità comune a tutti gli uomini.

Nell'ipotesi che vi credessimo e vi dicessimo: pregate per noi affinché non patiamo tali cose, vi troveremmo talmente gonfi e saccenti che ci rispondereste non solo che voi non soffrite queste cose, ma che è in potere degli uomini il non soffrirle e che non c'è alcun motivo per chiederne aiuto a Dio.

8.24 - La fiducia dell'uomo nella grazia di Dio

Quanto è meglio dunque ascoltare Ambrogio che professa la grazia di Dio e non si fida della sua forza! "Chi è tanto beato, scrive dopo quanto detto sopra, che nel suo cuore è in costante ascesa?

Ma chi può farlo senza l'aiuto di Dio? Nessuno, nella maniera più assoluta.

La Scrittura di lui dice: Beato l'uomo che ha l'aiuto da te, o Signore, e la spinta in alto nel suo cuore". ( Sal 84,6 )

Lo stesso Ambrogio nel libro Sul Sacramento della rigenerazione29 scrive: "Chi, se non l'anima, si serve della carne per agire?

L'anima per sua natura è capo e padrona della carne, che deve domare e reggere.

Sostenuta dall'aiuto dello Spirito Santo, essa esclama nel Salmo: Non temerò quello che mi farà la carne ( Sal 56,5 ) ed aggiunge in san Paolo: Castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù. ( 1 Cor 9,27 )

Paolo castiga ciò che è suo, non ciò che egli è. Altro è ciò che è suo, altro ciò che egli è.

Castiga ciò che è suo, perché, essendo giusto, uccide in sé la sensualità del corpo".30

Quando Ambrogio scriveva queste cose non era forse in lotta con i vizi?

Non li vinceva forse? Non debellava forse dentro di sé l'esercito delle più svariate passioni come un glorioso soldato di Cristo?

Non castigava forse il suo corpo? E, dopo avere superato e sconfitto le opere del diavolo, non ricercava forse la pace della giustizia tra le due opere di Dio, tra l'anima cioè ed il corpo, cosicché, non riponendo la fiducia nelle sue forze, potesse ripetere: "… sostenuta dall'aiuto dello Spirito Santo, essa esclama: Non temerò ciò che mi farà la carne"? ( Sal 56,5 )

Ecco come la natura umana è dimostrata capace di giustificazione, ed ecco come la virtù si perfeziona nella debolezza. ( 2 Cor 12,9 )

8.25 - Cipriano insegna che nessuno può vivere senza peccato

Su questo argomento è bene ascoltare anche il parere del vittorioso martire Cipriano.

Nella lettera Sulla Mortalità così egli si esprime: "Noi dobbiamo scontrarci con l'avarizia, con l'impudicizia, con l'ira, con l'ambizione e dobbiamo perseverare in una assidua e fastidiosa lotta con i vizi della carne e le seduzioni del mondo.

La mente dell'uomo e assediata e da ogni parte è circondata dagli assalti del diavolo, a mala pena riesce a combatterli singolarmente ed a mala pena resiste.

Se riesce a prostrare l'avarizia, si solleva la libidine; se sconfigge la libidine, viene l'ambizione; se l'ambizione è spezzata, l'ira s'accende, la superbia gonfia, l'ebrezza ti tenta; l'invidia distrugge la concordia, la gelosia spezza l'amicizia.

Sei costretto a maledire, cosa che la legge divina proibisce e sei spinto a giurare, cosa che non è lecito.

L'animo soffre ogni giorno tante persecuzioni, il cuore è oppresso da tanti pericoli e tuttavia c'è gusto a restare a lungo quaggiù tra le spade del diavolo, mentre bisognerebbe aspirare e desiderare con ardore di andare più rapidamente nella morte, incontro a Cristo che viene".31

Lontano da noi però pensare che Cipriano sia stato avaro perché ha lottato con l'avarizia o impudico, irascibile, ambizioso, carnale, amante di questo mondo, libidinoso, superbo, ubriaco o invidioso perché ha combattuto contro l'impudicizia, l'ira, l'ambizione, i vizi carnali, le attrattive del mondo, la libidine, la superbia, il vino, l'invidia.

A maggior ragione anzi non ha avuto alcuno di questi vizi appunto perché resisteva tenacemente a queste cattive inclinazioni, provenienti in parte dalla nascita ed in parte dalla vita, non consentendo di diventare ciò che volevano farlo diventare.

Ciò nonostante, in una lotta tanto pericolosa e faticosa, non ha potuto evitare di essere ferito da qualche dardo nemico, come egli stesso confessa nella sua lettera Sulle Elemosine: "Nessuno si illuda della sua purezza immacolata, tanto da ritenersi immune dalla necessità di medicare le sue ferite fidando totalmente nella sua innocenza.

È stato scritto infatti: Chi potrà gloriarsi di avere il cuore puro o di essere immune da peccati?, ( Pr 20,9 ) e così San Giovanni nella sua lettera ha scritto: Se diciamo di non avere peccati, noi inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,9 )

Se nessuno può essere senza peccato, chi si vanta di essere senza colpa o è superbo o è stolto.

Quanto è necessaria, quanto è benigna la divina clemenza, la quale, sapendo che ai risanati non sarebbero mancate ferite postume, ha donato rimedi salutari per sanare di nuovo le ferite".32

O maestro famosissimo, o testimone gloriosissimo, così ci hai insegnato, così ci hai esortato, così ti sei offerto a noi per essere ascoltato ed imitato.

Dopo aver terminato gli altri combattimenti contro tutte le passioni e dopo aver sanato tutte le ferite, per la verità di Cristo hai combattuto contro il più grande dei desideri, quello della vita, e, per la larghezza della grazia di Dio, meritatamente hai vinto.

La tua corona è sicura e vittoriosa è la tua dottrina con cui sconfiggi anche costoro che confidano nelle proprie forze.

Essi gridano: la perfezione della virtù dipende da noi.

Tu rispondi: "Nessuno è forte per le sue forze, ma lo è per la magnanimità e la misericordia di Dio".

8.26 - S. Ilario pone la perfezione dell'uomo nella risurrezione finale

Ascolta anche il beatissimo Ilario e vedi dove ripone la speranza della perfezione.

Parlando della pace evangelica con riferimento alle parole del Signore: Vi do la mia pace, ( Gv 14,27 ) scrive: "Poiché la legge è l'ombra dei beni futuri, per mezzo di questa prefigurazione significativa ci ha insegnato che, in questo corpo terreno e destinato alla morte, non ci è possibile essere immacolati finché non otteniamo la purificazione con il lavacro della misericordia divina, quando, dopo la trasformazione del nostro corpo terreno per la risurrezione, la nostra natura sarà diventata più gloriosa".33

Nello stesso discorso, scrive più avanti: "Pur rinnovati e santificati dalla parola della fede, gli stessi Apostoli non erano esenti da malizia, data la comunanza di origine con noi, come ci viene dimostrato dalle parole di Cristo: Voi, pur essendo cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli".34

Vedi bene che neppure questo venerabile polemista cattolico nega la nostra purificazione in questa vita, anche se egli spera in una natura più perfetta, più ampiamente purificata, cioè, che si avrà nell'ultima risurrezione.

8.27 - Dio si serve del diavolo per la purificazione dell'uomo

In una omelia sul libro del santo Giobbe - fa' bene attenzione -, egli afferma che il diavolo ci scatena contro una lotta senza fine, eccitando contro di noi quei mali che dimorano in noi.

Ci vuole insegnare che tutto torna a nostro vantaggio, poiché la misericordia di Dio trasforma la malizia del diavolo nella nostra purificazione: "È tanto grande e tanto mirabile, egli scrive, la bontà della misericordia di Dio verso di noi che, mediante lo stesso mezzo per cui, nell'offesa di Adamo avevamo perduto la ricchezza della prima e beata creazione, meritiamo di ottenere di nuovo quanto abbiamo perduto.

Per invidia allora il diavolo ci ha portato il male, ora invece, mentre cerca di farci del male, viene sconfitto.

Attraverso la debolezza della nostra carne egli ci scaglia addosso tutti i dardi del suo potere, quando ci accende alla lussuria, ci invita all'ubriachezza, ci eccita all'odio o ci spinge all'avidità, ci dispone all'omicidio, o ci stimola alla maledizione.

Quando però, con la forza di volontà, reprimiamo queste tentazioni di ogni genere, veniamo purificati dal peccato per la gloria di questa vittoria. Sta scritto infatti: Come si purificherà il nato di donna? ( Gb 25,4 )

Se manca il nemico non c'è combattimento, e se non c'è combattimento non ci sarà neppure vittoria.

Non ci sarà purificazione dai vizi, senza una vittoria sui vizi che si scontrano con noi.

Dopo avere sconfitto in mezzo a queste insidie il pirata del nostro corpo, invece siamo liberati dalla contesa delle passioni che lottano contro di noi.

Memori pertanto e consapevoli che il nostro stesso corpo è materia per tutti i nostri vizi, e che, per colpa sua macchiati e sporchi, non troviamo in noi nulla di puro, nulla di innocente, rallegriamoci di avere un nemico nella cui lotta combattiamo la guerra della nostra lotta interiore".35

8.28 - Un testo di Ilario sui vizi della natura

Nel Commento al primo Salmo, lo stesso dottore non esita ad affermare che la nostra natura, proprio questa natura che trae infermità da infermità, è portata a peccare, e che, per non peccare, dobbiamo in certo qual modo combattere contro di essa con l'arma della fede.

Egli scrive: "Ci sono molti che, pur lontani dall'empietà in virtù della fede, non per questo sono liberi dal peccato, se non osservano la legge della Chiesa.

Tali sono gli avari, gli ubriaconi, i tumultuosi, gl'insolenti, i superbi, i simulatori, i falsi, i rapaci.

A questi vizi ci spinge l'istinto stesso della nostra natura.

È utile però per noi allontanarci dalla strada verso cui siamo inclinati, e non fermarci lì, cedendo ad un moroso tentennamento.

Beato è l'uomo infatti che non si ferma sulla via del peccato. ( Sal 1,1 )

Se la natura ci spinge verso questa via, l'adesione alla fede ci ritrae da essa".36

Possiamo ritenerlo, forse, costui accusatore della natura, creata da Dio? No davvero.

Da buon cattolico, non dubitava affatto che la natura umana è opera di Dio, ma non esitava a condannare i vizi con i quali noi nasciamo, tenendo presente le parole dell'Apostolo: Per natura siamo stati figli dell'ira, come tutti gli altri. ( Ef 2,3 )

Se queste parole citate da Sant'Ilario le avessi scritte io, quante me ne avresti dette!

Con quanto fracasso mi avresti sventolato il nome ed il crimine dei manichei!

Ora, affinché il sacco del tuo stomaco non si rompa per una eccessiva indigestione di maledizioni, vomita contro costui, se hai coraggio, le tue calunniose e pazze falsità.

"A questi vizi, egli diceva, ci spinge l'istinto stesso della natura".

Qual è questa natura? Forse la stirpe delle tenebre, come crede la favola dei manichei? No di certo.

È un cattolico che parla, è un insigne Dottore della Chiesa, è Ilario che parla.

La nostra natura è stata viziata dalla caduta del primo uomo.

Non ha bisogno di essere separata da alcun'altra natura, ma soltanto di essere sanata.

È la natura che, secondo la tua calunnia, noi faremmo derivare dal diavolo, ed alla quale, invece, tu ti ostini a rifiutare Cristo quale Salvatore, e che credi capace di vivere perfettamente quaggiù, così da essere senza alcun peccato.

8.29 - La speranza dell'uomo è la misericordia di Dio

Su questo punto ascolta ancora l'ammonimento del beato Ilario nel suo commento al Salmo cinquantuno: "La speranza è nella misericordia di Dio per i secoli dei secoli. ( Sal 52,10 )

Le nostre opere di giustificazione non sono sufficienti a meritare la perfetta beatitudine, a meno che la misericordia di Dio, pur in questa volontà di giustizia, non imputi le colpe della mutevolezza e delle passioni dell'uomo.

Da qui il detto del Profeta: La tua misericordia è più buona della vita".37

Ti accorgi che quest'uomo di Dio è del numero di quei beati di cui è stato detto: Felice l'uomo cui non imputa il Signore il peccato: né c'è frode nel suo spirito? ( Sal 32,2 )

Riconosce infatti anche i peccati dei giusti, asserendo che la loro fiducia è riposta più nella misericordia di Dio, che nella propria giustizia.

Non c'è frode perciò nella sua bocca e nella bocca di tutti coloro dei quali riporta questa testimonianza di sincera umiltà e di umile verità.

La frode invece abbonda nella vostra bocca, dove non c'è virtù, ma tanta superbia, e tanta ipocrisia.

Dove c'è ipocrisia, senz'altro c'è frode.

Voi confidate nella vostra forza che è nulla, nella stessa misura con cui i Santi confidavano nella misericordia di Dio che è immensa.

La forza che essi impiegano per combattere con l'aiuto della grazia di Dio i vizi congeniti, voi la impiegate per combattere la grazia stessa di Dio.

Ma, volesse il cielo che come essa vince voi nei suoi Santi, così, facendovi suoi, vinca voi stessi in voi.

8.30 - La perfezione degli Apostoli

Avreste pure il coraggio di dire in cuor vostro che, ascoltando voi, gli uomini s'infiammano per la virtù, mentre ascoltando tali e tanti uomini, quali Cipriano, Ilario, Gregorio, Ambrogio e tutti gli altri sacerdoti di Dio, si distruggono per la disperazione e rinunciano ad ogni impegno per la perfezione.

Questi mostruosi pensieri passano per la vostra mente e non vi vergognate?

Lodando la natura, voi credete di onorare i Santi di Dio, i Patriarchi, i profeti, gli Apostoli, mentre questi luminari della Chiesa, disprezzando la natura, li disonorano, solo perché hanno dichiarato che, per mantenere il bene della castità in questo corpo di morte, hanno combattuto contro il congenito male della concupiscenza, che prima dev'esser vinta nella lotta con l'aiuto della grazia di Dio, e poi sanata dall'ultima rigenerazione?

Tu pensi che sia un giudeo a pronunciare le parole: Non faccio il bene che voglio, ( Rm 7,19 ) e lo pensi col chiaro proposito di "non riversare il sudiciume della condotta in odio alla natura, di consolarti con le brutture, ingiuriando gli Apostoli e i Santi".

Secondo te questi mali che tu non fai li faceva Ambrogio con tutti quelli che come lui ritenevano che l'Apostolo diceva di se stesso: Non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio, oppure: Vedo un'altra legge nelle mie membra che ripugna alla legge della mia mente ( Rm 7,19-23 ) ecc.

Questi santi, dunque, secondo voi, affermando tali cose "minavano il muro del pudore", mentre voi siete odiati perché predicate la perfezione?

Ma tu ti consoli perché ritieni una specie di gloria l'aver arrecato dispiacere ad uno che non ha risparmiato neppure gli Apostoli.

Se io, però, dicendo tali cose, non ho risparmiato gli Apostoli, non li ha risparmiati neppure Ambrogio e tutti gli altri che la pensavano come lui.

Se poi quelli appresero queste cose dagli Apostoli e secondo gli Apostoli le insegnarono, perché allora ti opponi solo a me?

Guarda costoro e, deponendo un tantino l'alterigia, guardali più e più volte.

E così, sfacciatissimo giovane, dovrai consolarti per avere recato loro dispiacere, o non piuttosto piangere?

9.31 - Riassunto degli argomenti trattati nel libro

Vediamo ora di riassumere per quanto possibile sinteticamente tutto quello che abbiamo trattato in questo libro.

Con la vasta mole dell'autorità dei santi che sono stati vescovi prima di noi ed hanno difeso strenuamente, mentre erano in vita, la fede cattolica non solo con le parole ma anche con gli scritti lasciati ai posteri, ci siamo proposti di infrangere le vostre seguenti proposizioni:

"Se l'uomo è una creatura di Dio, non può nascere con un difetto;

se il matrimonio è un bene, da esso non può nascere alcunché di male;

se nel battesimo sono rimessi tutti i peccati, i nati da genitori battezzati non possono contrarre il peccato originale;

se Dio è giusto, non può condannare nei figli la colpa dei genitori, dal momento che ad essi perdona anche i peccati personali;

se la natura umana è capace di perfetta giustificazione, non può avere difetti naturali".

Contro queste proposizioni diciamo:

Dio è creatore di tutto l'uomo, dell'anima cioè e del corpo;

il matrimonio è un bene;

per mezzo del battesimo di Cristo sono rimessi tutti i peccati;

Dio è giusto;

la natura umana è capace di perfetta giustizia.

Pur essendo vere tutte queste cose, affermiamo nel contempo che gli uomini nascono soggetti ad un'origine viziata, derivante dal primo uomo.

Per questo motivo vanno verso la condanna se non rinascono in Cristo.

Questo lo abbiamo dimostrato con l'autorità dei santi cattolici, che riguardo al peccato originale, sostengono le medesime cose che sosteniamo noi e ritengono vere tutte e cinque le nostre tesi.

Non è affatto logico che quello sia falso perché queste sono vere.

Sono tali e tanti gli uomini che, secondo la dottrina cattolica diffusa nell'antichità per tutta la terra, confermano la verità dell'uno e delle altre che la vostra fragile e, direi, quasi faceta novità, viene schiacciata solo dalla loro autorità.

In aggiunta a ciò che essi dicono, la verità stessa attesta di parlare per mezzo di loro.

Voi stessi non siete convinti che tali uomini abbiano potuto errare nella fede cattolica al punto da affermare qualcosa da cui derivasse come conseguenza che: Dio non è il creatore dell'uomo; il matrimonio è da condannarsi; nel battesimo non si ha la remissione totale dei peccati; Dio è ingiusto, a noi non rimane alcuna speranza di perfezionare la virtù, cose che in tutto o in parte è nefando pensare.

È necessario pertanto, a questo punto, reprimere con la loro autorità la vostra ostinazione, affinché, quasi rimbalzati dalla forza della presunzione ed in certo modo quasi respinti, possiate frenare i vostri precipitosi ardimenti e, come riavendovi da una pazzia, possiate cominciare a ricordare, a riconsiderare, a rifare vostra quella verità nella quale siete stati nutriti.

9.32 - Raccolta dei testi di S. Ambrogio

Il beato Ambrogio afferma che un solo uomo, il Mediatore tra Dio e gli uomini, è stato sciolto dai vincoli di una generazione macchiata perché, nato da una Vergine, nella nascita non ha sentito il peccato.

Tutti gli altri uomini nascono nel peccato e la loro stessa origine è nella colpa, poiché, formati nel piacere della concupiscienza, prima ancora di respirare lo spirito vitale di quest'aria, hanno subìto il contagio della colpa.

In questo corpo di morte, la legge stessa della concupiscenza, come una legge di peccato, ripugna alla legge della mente a tal punto che contro di essa hanno dovuto combattere non solo i buoni fedeli, ma gli stessi Apostoli con la loro grande virtù, al fine di sottomettere, con l'aiuto della grazia di Cristo, la carne all'anima ed in tal modo richiamarla alla concordia.

Tra di esse, infatti, create senza peccati, proprio per la trasgressione del primo uomo, è nata la discordia.

Chi lo dice? Un uomo di Dio, un cattolico, un acerrimo difensore della verità cattolica contro gli eretici pronto a versare il proprio sangue, esaltato tanto dal tuo maestro che di lui arriva a dire: "Neppure un nemico avrebbe osato riprendere la sua fede e la sua purissima interpretazione della Scrittura".

Contro l'errore dei filosofi platonici ha affermato che Dio è creatore non solo delle anime, ma anche dei corpi.

Ha insegnato che il matrimonio è un bene istituito da Dio per la propagazione del genere umano e che la castità coniugale santifica l'unione.

Ha detto che nessuno è giustificato dal peccato se prima, nel battesimo, non gli sono stati rimessi tutti i peccati.

Da uomo giusto ha adorato sempre Dio giusto, ed è stato sempre ben lontano dal credere che l'uomo non potesse progredire nella perfezione della virtù e della giustizia.

Egli tuttavia ritiene che la perfezione, cui nulla più debba essere aggiunto, la si troverà solo nell'altra vita e sarà piena solo nella risurrezione dei morti.

In questa vita la giustizia umana sta nel lottare non solo contro le avverse potestà spirituali, ma anche contro le nostre stesse passioni attraverso cui i nemici esterni cercano di penetrare in noi e di abbatterci.

In questa lotta abbiamo come terribile avversaria la nostra stessa carne, la cui natura, quale era stata creata al principio, sarebbe andata molto d'accordo con noi, se non fosse stata viziata dalla caduta del primo uomo, e quindi contagiata dallo stesso male.

Quel santo uomo, in questa lotta, ci ammonisce di fuggire il mondo e ci dimostra quanto grande, nella fuga, sia la difficoltà o addirittura l'impossibilità, se non viene in aiuto la grazia di Dio.

Nel battesimo, con la remissione di tutti i peccati, i vizi muoiono, ma in certo qual modo dobbiamo curarne la sepoltura.

Anche se sono morti noi abbiamo con essi un conflitto così aspro che finiamo per non fare quello che vogliamo, ma quello che abbiamo in odio.

Il peccato ci costringe a fare molte cose contro la nostra volontà e spesso risorgono vive le passioni.

Dobbiamo lottare contro la carne, contro cui ha lottato Paolo quando diceva: Vedo un'altra legge nelle mie membra, in conflitto con la legge della mia ragione. ( Rm 7,23 )

Ci comanda di non confidare nella carne e di non crederle perché l'Apostolo esclamava: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, perché volere il bene è alla mia portata, ma praticarlo no. ( Rm 7,18 )

Ecco quale grande battaglia ci esorta a combattere contro i peccati morti, quel valoroso soldato di Cristo fedele dottore della Chiesa.

Come è possibile che il peccato sia morto, se ci costringe a fare molte cose contro la nostra volontà?

E cosa sono queste cose se non i desideri stolti e nocivi che immergono nella morte e nella perdizione quelli che vi consentono? ( 1 Tm 6,9 )

Sopportarli senza consentirvi è la lotta, il conflitto, la guerra.

Che guerra se non tra bene e male, non tra natura e natura, ma tra natura e vizio, già morto ma non ancora sepolto, vale a dire non ancora sanato perfettamente?

Come è possibile, insieme a quest'uomo, ritenere morto nel battesimo questo peccato ed affermare che abita in noi e che suscita molti desideri contro la nostra volontà, ai quali, com'egli confessa, resistiamo non acconsentendo, se non per il fatto che è morto nel reato con cui ci teneva legati e che si ribella anche da morto, fin quando non sia completamente sanata dalla perfezione della sepoltura?

Esso tuttavia non è detto peccato nel senso che rende colpevole l'uomo, ma nel senso che, essendo frutto del peccato del primo uomo, ribellandosi, cerca di spingerci al peccato se non ci viene in aiuto la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, cosicché, pur morto, non abbia più a ribellarsi e, con la vittoria, non torni a rivivere e regnare.

10.33 - Il pensiero degli esegeti cattolici sul peccato originale

Mentre ci affanniamo in questa guerra per tutto il tempo che la vita umana costituisce una tentazione sulla terra, ( Gb 7,1 ) non siamo immuni da peccato, perché ciò che in quel modo chiamiamo peccato agisce dentro di noi in contrasto con la legge della mente anche se non ci trova consenzienti alle cose illecite.

Per quanto ci riguarda, noi potremmo essere sempre senza peccato fino alla totale guarigione da questo male, se riuscissimo a non acconsentire mai ad esso.

Purtroppo, però, nelle cose in cui siamo sconfitti dallo spirito ribelle, sia pure venialmente e non mortalmente, in esse traiamo donde ogni giorno dover dire: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

Così per esempio peccano i coniugi quando, per sola voluttà, oltrepassano la misura necessaria alla generazione; così i non sposati quando si fermano in tali pensieri con qualche diletto, non al punto da volere l'azione cattiva, ma non allontanando, come è necessario, la mente dal fissarsi nel cattivo pensiero, oppure non ritraendola prontamente quando vi si era fissata.

Di questa legge del peccato, che può essere chiamata peccato, che ripugna alla legge della mente e di cui il beato Ambrogio ha detto molte cose, fanno fede altri Santi quali Cipriano, Ilario, Gregorio e moltissimi altri.

Chi è generato in Adamo, dunque, deve essere rigenerato in Cristo; chi è morto in Adamo, deve essere vivificato in Cristo.

Egli è legato al peccato di origine perché nasce dal male per cui la carne ha voglie contro lo spirito, e non dal bene per cui lo spirito ha desideri contro la carne. ( Gal 5,17 )

Qual meraviglia dunque se ha necessità di rinascere l'uomo nato dal male contro il quale il battezzato deve combattere ed a causa del quale egli stesso sarebbe colpevole se non ne fosse liberato dalla nuova nascita?

Questo male non è una materia che viene da Dio creatore, bensì una ferita del diavolo che l'ha viziata.

Non è il male del matrimonio, ma solo il peccato dei primi uomini trasmesso per generazione.

Il reato di questo male è rimesso nella santificazione del battesimo.

Dio sarebbe molto più ingiusto se, lui giusto, infliggesse ai fanciulli, pur non avendo contratto essi alcun peccato, tutti quei mali che non si riescono a contare.

Non è però negata all'uomo la capacità di perfetta giustizia, perché, con l'aiuto del Medico onnipotente, neppure la perfetta guarigione di tutti i vizi è detta impossibile.

Tanti sacerdoti santi ed illustri nell'esposizione delle divine Scritture, quali Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Ambrogio, Gregorio, Innocenzo, Giovanni, Basilio, ai quali, tu voglia o no, aggiungo il prete Girolamo, per omettere gli altri che sono ancora vivi, hanno difeso contro di voi la verità cattolica, che tutti gli uomini sono soggetti al peccato originale.

Nessuno è escluso, all'infuori di colui che la Vergine ha concepito immune dalla legge del peccato che ripugna alla legge della mente.

10.34 - I giudici della controversia

Perché tanta esultanza e perché, con l'aria del vincitore, m'insulti "come se io non sapessi più cosa fare, dove rifugiarmi, qualora dovessi comparire dinanzi a dei giudici, e dovessi sedere insieme a te in un'assise di eruditi, mentre tu" gran trombettiere, "suoni la tromba della vera ragione tra gli applausi degli ascoltatori che risuonano" per approvarti?

Raffiguri così ai tuoi occhi la nostra disputa ed immagini, secondo il tuo gusto, che io non sappia rispondere ai tuoi ragionamenti!

La tua fervida fantasia ti crea uno scenario vano e, direi, pazzo: insieme a te mi trovo davanti a dei giudici pelagiani e, mentre essi applaudono, tu puoi alzare come una tromba la tua voce e proclamare contro la fede cattolica, contro la grazia di Cristo, in virtù della quale, piccoli e grandi sono liberati dal peccato, l'errore di questa nuova empietà comune a te e a loro.

Ma neppure il vostro maestro Pelagio, pur senza aver alcun avversario di fronte, ha potuto trovare giudici del genere nella Chiesa di Dio.

Al cospetto degli uomini egli è uscito assolto da quel tribunale, dopo aver condannato apertamente la vostra tesi.

Dovunque tu sia o possa leggere queste pagine, ti porrò dinanzi a questi giudici nell'intimo del tuo cuore.

In questa nostra disputa non li ho scelti perché amici miei e nemici tuoi, oppure perché propensi a me in virtù di qualche merito ed avversi a te per qualche offesa.

Non ho inventato con fervida fantasia persone che non sono mai esistite o non esistono, oppure che hanno idee incerte sul problema che si agita tra noi.

Ho indicato singolarmente e apertamente, come si conveniva, santi ed illustri vescovi della Chiesa di Dio, greci e latini, eruditi tanto nel sapere platonico, aristotelico, zenonico o di altri del genere - alcuni di essi in verità anche in questo erano dottissimi - quanto nelle Sacre Scritture.

Ho esposto le loro tesi, per quanto mi è sembrato sufficiente, senza alcuna ambiguità, perché tu avessi a temere non essi, ma Colui che di essi ha fatto dei vasi utili e con essi ha costruito dei santi templi.

Essi hanno dato il loro giudizio su questa causa in un momento in cui nessuno avrebbe potuto accusarli di favorire l'uno o avversare l'altro.

Non esistevate ancora voi, contro cui entrate in conflitto su questo argomento; non c'eravate ancora per affermare quello che esponi nei tuoi libri: "che su di voi abbiamo mentito alla moltitudine, o che col nome dei celestiani e dei pelagiani abbiamo spaventato gli uomini, o con il terrore abbiamo estorto loro il consenso".

Certo tu stesso hai affermato che "i giudici debbono essere liberi da odio, amicizia, inimicizia, ira".

Ebbene, anche se di questo genere se ne possono trovare pochi, Ambrogio e tutti gli altri, che ho ricordato insieme a lui, sono da ritenersi tali.

Può anche darsi che non sempre sono stati ritenuti tali nelle cause portate davanti ad essi mentre erano in vita e che essi, con il loro giudizio, hanno chiuso.

Certamente però erano tali quando hanno dato il loro giudizio sulla nostra causa.

Essi non cercavano né la nostra né la vostra amicizia; non avevano inimicizie; non erano adirati né con noi né con voi, e non avevano compassione né di noi né di voi. Hanno conservato ciò che hanno trovato nella Chiesa; hanno insegnato ciò che hanno imparato, ed hanno trasmesso ai figli ciò che hanno appreso dai padri.

La nostra causa è stata trattata presso di loro prima ancora che noi la trattassimo con voi dinanzi ad essi.

Né voi né noi eravamo a loro noti, eppure nei loro scritti leggiamo la sentenza emessa contro di voi a nostro favore.

Non ancora combattevamo contro di voi e ci ritroviamo vincito in virtù della loro sentenza.

10.35 - Giuliano esortato a valutare le testimonianze patristiche

Tu dici che "qualora dovessi comparire dinanzi a dei giudici - scelti naturalmente da te -, non saprei cosa fare, dove rifugiarmi e non potrei trovare nulla per oppormi alle tue argomentazioni".

Ti sbagli. Saprei molto bene cosa fare e saprei molto bene dove rifugiarmi.

Passerei dalle oscurità pelagiane a questi luminosissimi fari cattolici. Cosa che faccio subito.

Rispondimi piuttosto: cosa faresti tu e dove ti rifugeresti? Io passerei dai pelagiani a costoro, e tu da costoro a chi ricorreresti?

Siccome pensi che "non è il numero delle sentenze che conta, ma il loro peso", e che - su questo anch'io sono d'accordo! - "a nulla giova una moltitudine di ciechi per trovare qualche cosa", oserai forse dire che costoro sono ciechi?

Il lungo giorno38 ha forse mescolato talmente la sommità con il fondo, e fino a tal punto la luce è confusa con le tenebre e le tenebre con la luce che Pelagio, Celestio, Giuliano ci vedono, mentre Ilario, Gregorio, Ambrogio sono ciechi?

Chiunque tu sia però, se sei veramente uomo, mi sembra di vedere la tua vergogna - purché in te non sia morta ogni speranza di salvezza! - ed in certo senso di ascoltare la tua voce.

"Lungi da me, rispondi, dire o solo pensare che costoro sono ciechi".

Pondera dunque le loro sentenze. Non voglio che siano molte perché non ti sia di fastidio il contarle.

Non sono però di poco conto sicché tu debba disdegnare di soppesarle.

Sono anzi tanto pesanti che ti vedo già affaticato sotto il loro peso.

O forse anche di questi dirai che "io, imbelle, ti sto opponendo l'opinione di un mio pari, e che in preda al terrore vado nominando i complici"?

10.36 - La fede della moltitudine cristiana

Tu scrivi: "In un tribunale, dopo avere allontanato lo strepito della folla, non basta scegliere i nomi da qualsiasi genere di uomini, siano essi sacerdoti o amministratori o prefetti per discutere tali cose, ma è necessario scegliere la prudenza e rispettare il piccolo numero, che la ragione, l'erudizione, la libertà elevano".

Questo è vero. Io però non vengo a turbarti con la moltitudine, anche se, con l'aiuto di Dio, su questa fede che voi contrastate, anche la moltitudine cattolica pensa rettamente, ed anche se, in ogni dove molti, per quanto è possibile e come meglio è possibile, secondo l'aiuto di Dio, confutano anch'essi le vostre vane argomentazioni.

Lontana da me, quindi, la presunzione che mi rinfacci: "che io, cioè, ho promesso di trattare da solo, a nome di tutti, questa causa contro di voi".

Sei tu piuttosto che ti comporti così tra i pelagiani e non arrossisci di scrivere e di dire che "c'è maggior gloria per te di fronte a Dio nel difendere una verità abbandonata".

Certamente sono diventati molto abietti ed abbandonati e dipendono molto da te se non ritengono che sia intollerabile presunzione quella con cui ti anteponi anche agli stessi Pelagio e Celestio, maestri di tutti voi, quasi che essi abbiano cessato di combattere e sia rimasto tu solo a difendere la verità che ritenete abbandonata.

Dal momento che a te piace non contare la moltitudine, ma tener conto della qualità del piccolo numero, eccettuando i giudici della Palestina, che, nell'assoluzione di Pelagio, costretto dal timore a rinnegare gli stessi dommi pelagiani, hanno condannato la vostra eresia, ti ho contrapposto quali giudici in questa causa dieci vescovi già morti ed un prete, che trattarono della questione quand'erano in vita.

Se si considera la vostra scarsità essi sono molti; se si considera invece la moltitudine dei vescovi cattolici, sono pochissimi.

Probabilmente cercherai di sottrarre dal loro numero papa Innocenzo ed il prete Girolamo, il primo perché condannò Pelagio e Celestio ed il secondo perché con retta intenzione ha difeso in Oriente la fede cattolica contro Pelagio.

Cerca, però, di leggere quello che Pelagio dice in lode del beatissimo papa Innocenzo39 e dimmi se ti riesce facile trovare simili giudici.

Riguardo poi a quel santo sacerdote che, a misura della grazia che gli è stata data, ha lavorato tanto nella Chiesa ed ha aiutato tanto l'erudizione cattolica nella cultura latina con molte e necessarie opere, Pelagio era solito blaterare non altro "che l'aveva invidiato come rivale".

Ma non è questa una ragione per cui egli debba essere ritirato dal numero di questi giudici.

Non ho citato infatti la tesi che, al tempo della controversia, egli tenne e difese contro il vostro errore.

Ho citato soltanto ciò che, libero da ogni preoccupazione di parte, ha scritto nei suoi libri, prima che si diffondessero i vostri dannabili dogmi.

10.37 - La richiesta pelagiana di un concilio episcopale

Sugli altri non hai assolutamente niente da dire.

Che forse Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Gregorio, Basilio, Ambrogio, Giovanni "sono stati suscitati contro di voi dalla feccia plebea dei seggiolari", come tu scherzi con linguaggio tulliano?

Che forse erano "soldati, scolari, marinai, bottegai, pescatori, cuochi, macellai"?

Erano forse "giovani dissoluti, scacciati dai monaci"? o appartenevano alla "massa indistinta dei chierici" che tu, con raffinata mordacità, o, più ancora, con la tua vanità disprezzi come esagitati, "perché non riescono a giudicare i dommi secondo le categorie di Aristotele"?

Quasi che tu, che tanto ti lamenti perché "vi è negato un esame ed un giudizio dei vescovi", possa trovare un concilio di peripatetici, dove si possa pronunciare una sentenza contro il peccato originale, partendo dal soggetto e da ciò che sta nel soggetto.

Questi sono vescovi, seri, dotti, santi, solidi difensori della verità contro garrule vanità, nei quali non potrai trovare nulla da disprezzare quanto a ragione, erudizione e libertà, le tre qualità che hai attribuito ai giudici.

Se si potesse riunire un sinodo episcopale da tutto il mondo, sarebbe meraviglioso se potessero sedere facilmente tutti insieme.

Essi però non sono vissuti neppure nella stessa epoca.

Dio infatti dispensa in tempi diversi ed in luoghi distanti, come a lui piace, i suoi pochi fedeli amministratori che si innalzano al di sopra di molti.

Provenienti pertanto da tempi e regioni diverse, dall'Oriente e dall'Occidente, tu li vedi adunati non in un luogo verso cui gli uomini sono costretti a navigare, bensì in un libro che possa navigare verso gli uomini.

Quanto più essi sarebbero per te giudici desiderabili se avessi la fede cattolica, tanto essi sono per te terribili perché ti opponi alla fede cattolica, che essi hanno succhiato con il latte, e preso con il cibo, ed il cui latte ed il cui cibo a loro volta essi hanno somministrato a grandi e piccoli, mentre la difendevano apertamente e con forza contro nemici che allora non erano ancora nati e che ora si sono manifestati in voi.

Per opera di questi piantatori, innaffiatori, edificatori, pastori, nutritori, la S. Chiesa è cresciuta dopo gli Apostoli.

Per questo essa ha temuto le insane voci della vostra innovazione.

Attenta e sobria, secondo l'esortazione dell'Apostolo, affinché non accadesse che al pari di Eva sedotta dall'astuzia del serpente la sua mente si staccasse dalla castità di Cristo, ( 2 Cor 11,3 ) è inorridita nel vedere le insidie del vostro domma infiltrarsi nella verginità della fede cattolica e le ha calpestate, le ha schiacciate e le ha scagliate lontano, come era avvenuto per la testa del serpente.

Dinanzi a tante parole ed a così grande autorità dei Santi, o dovrai essere sanato con l'aiuto della misericordia di Dio - egli sa quanto io lo desidero - oppure, cosa che detesto, qualora resterai fermo in ciò che ti pare sapienza, ma che è invece grande stoltezza, non potrai andare a cercare i giudici per purgare la tua causa dinanzi ad essi, ma solo per accusare tanti maestri della Chiesa Cattolica, illustri e memorabili: Ireneo, Cipriano, Reticio, Olimpio, Ilario, Gregorio, Basilio, Ambrogio, Giovanni, Innocenzo, Girolamo e tutti gli altri compagni e colleghi, nonché la Chiesa tutta in Cristo, che, somministrando fedelmente alla divina famiglia il cibo del Signore, hanno acquistato grande stima e gloria davanti a Dio.

Contro la tua miserabile pazzia - che Dio voglia allontanare da te! - mi rendo conto che ai tuoi libri debbo rispondere in modo da difendere la loro fede contro di te, così come il Vangelo è difeso contro gli empi e i nemici manifesti di Cristo.

Indice

23 Ambrogio, De philosophia (op. perduta)
24 Ambrogio, De apol. David 11, 56; PL 14, 915
25 Ambrogio, De philosophia;
1 Cor 7
26 Ambrogio, De paradiso 10, 47: PL 14, 314 s
27 Ambrogio, In expos. Is proph. (op. perduta)
28 Ambrogio, De fuga saeculi 1, 1: PL 14, 597s
29 Ambrogio, De sacram. regener. (op. perduta)
30 Ambrogio, De sacram. regener. (op. perduta)
31 Cipriano, De mortalitate 4-5: PL 4, 606 s
32 Cipriano, De opere et eleemosyna 3: PL 4, 627
33 Ilario, Tract. in Sal 118, 27: PL 9, 529
34 Mt 7,11;
Ilario, Tract. in Sal 118, 115: PL 9, 601
35 Ilario, Tract. in Gb
36 Ilario, In Sal 1, 1: PL 9, 252
37 Ilario, In Sal 51, 23: PL 9, 322;
Sal 63,4
38 Lucano, Pharsal. 5, 138-139
39 Pelagio, Libellus fidei ad Innoc.: PL 45, 1716-1718