Contro la Lettera di Parmeniano

Indice

Libro III

1.1 - La medicina del castigo deve custodire l'unità

Ogni norma religiosa e ogni misura disciplinare della Chiesa, deve soprattutto mirare a conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace; ( Ef 4,2-3 ) vincolo che l'Apostolo ci ha ordinato di custodire sopportandoci a vicenda; e quando la medicina della punizione non riesce a custodirlo, non solo è inutile, ma dannosa, e quindi, dimostra di non essere neppure una medicina.

Con tutto ciò, questi figli malvagi, che non per odio verso le iniquità degli altri, ma per amore delle loro contese, dopo avere irretite le popolazioni semplici con la tronfiezza del loro nome, cercano o di attirarle a sé o di dividerle; questi individui gonfi di superbia, furiosi nella ostinazione, insidiosi nelle calunnie, turbolenti nelle sommosse, per non apparire senza luce di verità, stendono un'ombra di rigida severità; e i precetti che le sacre Scritture ci danno per correggere i vizi dei fratelli con una terapia più aggressiva, fatta salva la sincerità della carità e custodita l'unità della pace, essi li utilizzano per compiere il sacrilegio dello scisma e per trovare un pretesto di divisione, dicendo: " Ecco che dice l'Apostolo: Togliete il male da voi stessi. ( 1 Cor 5,13 )

Ora, se questo male non fosse nocivo ai buoni - aggiungono - certamente egli non ordinerebbe di toglierlo ".

1.2 - Se i malvagi non si possono allontanare, si allontani il male da se stessi

Ora vediamo se per caso non è stato senza motivo che l'Apostolo non ha detto: " Togliete i malvagi dalla vostra assemblea ", ma: Togliete il male da voi stessi.

In effetti, quando uno non riesce ad allontanare i malvagi dall'assemblea della Chiesa, se toglie da sé il male, non si mescola ad essi con il cuore, e così, non solo si unisce spiritualmente ai buoni, ma si separa, spiritualmente, anche dai cattivi.

In un passo di una lettera a Timoteo, Paolo, dopo avergli detto: Non farti complice dei peccati altrui, ( 1 Tm 5,22 ) come se volesse prospettargli la possibilità che alcuni malvagi non sarebbe riuscito ad allontanarli dall'assemblea ecclesiale, e che, quindi, sarebbe stato costretto a tollerarli, e come se gli volesse dare un consiglio sul modo di non farsi complice dei peccati altrui gli dice: Conservati puro. ( 1 Tm 5,22 )

Coi malvagi, infatti, non si può mescolare che un malvagio; un uomo buono, invece, non può assolutamente farlo, anche se vive con loro nella stessa assemblea.

Analogamente, in questo passo ai Corinti, dopo aver detto: Spetta forse a me giudicare quelli di fuori?

Non sono quelli di dentro che voi giudicate? ( 1 Cor 5,12 ) temendo che i Corinzi si potessero turbare a causa di una certa quantità di malvagi, così frammista al frumento, da non poter essere raccolta e separata senza danneggiarlo, ha aggiunto: Togliete il male di mezzo a voi.

Di modo che, nella eventualità che i buoni non potessero togliere i malvagi dalla loro assemblea, togliendo il male da se stessi, cioè, non peccando insieme a loro, non approvandoli e non aiutandoli a peccare, potrebbero vivere in mezzo a loro pienamente integri e incorrotti, visto che è con il suo male che l'uomo si rende complice dei malvagi; se però toglie il male da se stesso, non ha motivo per approvare il male degli altri.

Perciò, chiunque disprezza la disciplina della Chiesa, al punto che rinuncia ad ammonire, correggere e biasimare i malvagi, coi quali non pecca e che non approva, e, avendone l'autorità e permettendolo la pace della Chiesa, ad allontanarli dalla partecipazione ai sacramenti, non pecca per la malvagità di altri, ma per la sua.

In un affare così importante la stessa negligenza è un male grave.

Ecco perché, come ammonisce l'Apostolo, egli, togliendo da sé il male, non solo toglierà l'audacia di farlo e la peste di approvarlo, ma anche la pigrizia nel correggerlo e la negligenza nel punirlo, usando la prudenza e l'obbedienza al precetto del Signore, per non danneggiare il grano. ( Mt 13,29 )

Chi è mosso da questa intenzione nel tollerare la zizzania presente nel grano, se toglie il male da se stesso, non condivide questa presenza, ma, in attesa della mietitura, la discerne e la giudica, giorno per giorno. ( Rm 14,5 )

Egli infatti non sa che cosa accadrà domani.

E quindi, fatta salva la carità, va punito, non senza la speranza del ravvedimento, tutto ciò che la necessaria severità ci obbliga a punire.

Ma perché questo sia chiaro, esaminiamo con più accuratezza, l'intero brano della lettera dell'Apostolo.

1.3 - L'esempio di Paolo nel punire i peccatori

Egli dice: Che volete? Che venga a voi con la verga o con la carità di uno spirito di dolcezza? ( 1 Cor 4,21 )

Già da qui risulta chiaro che egli parla di punizione; e per significarla usa il vocabolo verga.

Ma può esistere la verga senza la carità, dato che continua: Debbo venire a voi con la verga o con la carità?

Ora, la frase che segue: lo spirito di dolcezza, ci spinge a capire che la verga si accompagna con la carità.

Ma un conto è la carità della severità e un conto la carità della dolcezza.

Certo, la carità è una sola, ma opera in modo diverso in persone diverse.

Egli dice: Dappertutto si sente parlare di immoralità tra voi; e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno tiene con sé la moglie di suo padre. ( 1 Cor 5,1 )

Vediamo come ordina di punirli per un fatto così disumano.

E voi - continua - vi siete gonfiati di orgoglio, anziché provarne dolore, perché fosse tolto di mezzo a voi chi ha commesso questa azione! ( 1 Cor 5,2 )

Perché ordina il dolore e non lo sdegno, se non perché, se un membro soffre, soffrono con lui tutte le membra? ( 1 Cor 12,26 )

E non ordina il dolore, perché il peccatore era tolto di mezzo, ma ordina il dolore perché fosse tolto; cioè, perché il dolore degli afflitti salisse fino a Dio, e Dio togliesse di mezzo a loro l'autore del fatto, come lui solo sa fare, e perché essi non avessero a sradicare, per umana inesperienza, anche il grano.

Quando dunque la necessità spinge a usare tale punizione, l'umiltà di quanti sono nel dolore deve impetrare la misericordia, che la superbia di quanti amano il rigore respinge.

E non si deve trascurare la salvezza neppure di colui che è tolto di mezzo dai fratelli, ma fare sì che tale castigo gli sia utile, e farlo con suppliche e preghiere, se non bastano, a correggerlo, i rimproveri.

Perciò l'Apostolo aggiunge: Ebbene, io assente con il corpo, ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, chi ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere di nostro Signore Gesù, questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della carne, perché lo spirito sia salvato nel giorno del Signore Gesù. ( 1 Cor 5,3-5 )

Ora, che cosa si proponeva, l'Apostolo, se non di procurare la salvezza dello spirito con la rovina della carne, così che, il peccatore, con una pena o con la morte corporale, come nel caso di Anania e di sua moglie, che stramazzarono ai piedi dell'apostolo Pietro, ( At 5, 5.10 ) o con la penitenza, visto che era stato dato in balia di Satana, facesse morire in sé la peccaminosa concupiscenza della carne?

L'Apostolo infatti dice: Mortificate le membra che sono sulla terra, ( Col 3,5 ) tra le quali annovera anche la fornicazione, e ancora: Poiché se vivrete secondo la carne, morirete, se invece con l'aiuto dello spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. ( Rm 8,13 )

Ciò non ostante egli non esclude dalla carità fraterna colui che ha ordinato di escludere dall'assemblea dei fratelli.

Lo stesso concetto lo esprime con più chiarezza ai Tessalonicesi: Se qualcuno non obbedisce al nostro comando dato per lettera, tenetelo d'occhio, per non mescolarvi con lui, affinché si vergogni; però non trattatelo da nemico, ma ammonitelo come un fratello. ( 2 Ts 3,14-15 )

Ascoltino, finalmente, i Donatisti, e comprendano come la carità dell'Apostolo si dia da fare perché noi, sopportandoci a vicenda, conserviamo l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace. ( Ef 4,2-3 )

In effetti anche qui, dopo aver detto: Però non trattatelo da nemico, ma ammonitelo come un fratello, come per spiegare il motivo di questa esortazione, aggiunge subito: Il Dio della pace vi dia egli stesso la pace, sempre e in ogni modo. ( 1 Cor 12,21 )

Così, anche per colui che prese la moglie del padre, egli preferisce prescrivere il dolore e raccomandare ovunque la carità, operatrice di pace; come anche di sé dice: Temo che al mio secondo ritorno, Dio mi umili davanti a voi e io debba piangere su molti che hanno peccato in passato e non hanno fatto penitenza delle impurità, della fornicazione e della dissolutezza che hanno commesso. ( 2 Cor 12,21 )

E poi: L'ho detto prima e lo ripeto ora, io che la seconda volta ero presente e ora assente, a tutti quelli che hanno peccato e a tutti gli altri, che se verrò di nuovo non perdonerò più. ( 2 Cor 13,2 )

Egli dunque giudicava tra le lacrime, perché fosse la misericordia di Dio, senza distruggere il vincolo della pace, nel quale consiste tutta la salvezza, a castigare i peccatori e a correggerli, come si intuisce che egli abbia fatto nel caso di colui che aveva fornicato con la moglie del padre.

In effetti, non vediamo a chi altro egli si possa riferire quando, nella seconda Lettera ai Corinti, dice: Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato, tra molte lacrime, non per rattristarvi, ma per farvi conoscere l'affetto sovrabbondante che ho per voi.

Se poi qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato solo me ma, almeno in parte, senza esagerare, tutti voi.

A quel tale però basta il castigo che gli è venuto dai più, per cui voi doveste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché non sprofondi in una tristezza troppo grande.

Vi esorto quindi a rafforzare la vostra carità verso di lui.

È per questo, infatti, che vi ho scritto: per verificare se siete obbedienti in tutto.

Se voi perdonate a qualcuno, lo faccio anch'io; se anche io, infatti, ho perdonato, l'ho fatto per voi, davanti a Cristo, per non cadere in balia di Satana; noi infatti non ignoriamo le sue trame. ( 2 Cor 2,4-11 )

Che cosa di più misurato, di più premuroso, di più ricco di santa premura e di tenerezza paterna e materna, si può fare e dire?

Come per il peccatore usa la correzione, così al convertito, al pentito e a chi umilia il proprio cuore nella penitenza, vuole che si restituisca il conforto, perché non sprofondi in una tristezza troppo grande.

E che senso dare, poi, alla frase conclusiva: Per non cadere in balia di Satana; noi infatti non ignoriamo le sue trame? ( 2 Cor 7,11 )

In realtà il diavolo, sotto l'apparenza di una giusta severità, propone una crudele ferocia, poiché non desidera altro, nella sua velenosissima astuzia, che di indebolire e infrangere il vincolo della pace e della carità; ma se i cristiani conservano tra di loro questo vincolo, tutte le sua energie perdono la forza di nuocere, diminuiscono le sue trame insidiose e svaniscono i suoi piani eversivi.

2.4 - La Chiesa deve punire con carità

 Ma fosse pure un'altra la persona di cui l'Apostolo ha parlato nella seconda Lettera ai Corinzi, anche in questa ipotesi egli ha fatto capire che la punizione della Chiesa deve procedere con grande carità.

È proprio ciò che i Donatisti non comprendono per cui sono soliti citare, tra le loro calunnie, soprattutto questo testo: Il giusto mi correggerà con misericordia e mi biasimerà, ma l'olio dell'empio non ungerà il mio capo. ( Sal 141,5 )

Ma poiché essi non sanno correggere con misericordia, hanno perseguitato l'innocenza di Ceciliano con atroci sospetti, e unto con olio di ipocrita adulazione il potere di Ottato Gildoniano!

In effetti, se fosse stato per amore del vincolo della pace che hanno sopportato con pianti e lamenti l'iniquità di Ottato, certamente non avrebbero distrutto la pace vera e cattolica nella santa unità del mondo, o almeno proverebbero un dolore sì grande che essa sia stata distrutta dai loro antenati con empia cecità e, almeno dopo avere esperimentato che per la pace di Donato sono costretti a tollerare tanti cattivi, spegnerebbero le loro calunnie senza pace, con la pace della loro correzione.

2.5 - Cristo è il medico dei peccatori con la sua misericordia

Ma torniamo alla conclusione della prima Lettera ai Corinzi.

L'Apostolo, dopo aver detto di: Abbandonare l'individuo in balia di Satana per la rovina della carne, perché lo spirito sia salvato nel giorno del Signore Gesù, ( 1 Cor 5,5 ) e raccomandato a più riprese di farlo con l'umiltà di persone rattristate e non con l'orgoglio di persone spietate, aggiunge: Non è un bel vanto il vostro ( 1 Cor 5,6 ) o, in tono di rimprovero: Bel vanto è il vostro! secondo la lezione di molti codici, soprattutto latini, benché in entrambe il senso non cambi.

Non dobbiamo temere, infatti, che sia intesa come un elogio l'espressione: Bel vanto è il vostro!

Infatti, più su ha detto: Vi siete gonfiati di orgoglio, piuttosto che essere nel dolore, e qui aggiunge: Non sapete che un po' di lievito corrompe tutta la massa? ( 1 Cor 5, 2.6 )

Il che può riferirsi più propriamente alla corruzione della vanagloria.

In effetti la superbia derivata, diciamo così, dalla vecchiezza del primo uomo che cadde per superbia, quasi facendo fermentare e corrompere lo spirito, trasforma in un'unica pasta quelli che ne sono gonfi e che si ritrovano uniti in essa da una simile vuota ostentazione.

È vero che gloriarsi non dei peccati propri, ma di quelli altrui, quasi per fare un confronto con la propria innocenza, sembra poco lievito - il molto lievito, infatti, è gloriarsi delle proprie iniquità - ma basta questo poco per corrompere tutta la massa.

Il superbo cade per la sua superbia e incomincia anche a giustificare i suoi peccati e a gloriarsene.

È in vista di ciò che l'Apostolo dice: Chi crede di stare in piedi, badi a non cadere, ( 1 Cor 10,12 ) e ancora: Se un uomo è angosciato per qualche delitto, voi che siete spirituali correggetelo con spirito di dolcezza, badando a voi stessi, per non essere anche voi tentati.

Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo. ( Gal 6,1-2 )

Che cos'è la legge di Cristo se non: Vi do un comandamento nuovo: di amarvi gli uni gli altri? ( Gv 13,34 )

Che cos'è la legge di Cristo se non: Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace? ( Gv 14,27 )

E ciò che dice qui: Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo, ( Gv 14,27 ) egli lo ripete altrove, quando dice: Sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace. ( Ef 4,2-3 )

In verità, anche nel Fariseo sembrava che vi fosse un po' di lievito, poiché non solo non si doleva del peccatore, ma, confrontandosi coi peccati del Pubblicano, si esaltava per i suoi meriti.

Ma il Pubblicano, che aveva confessato i suoi peccati, se ne tornò giustificato, a preferenza del Fariseo che aveva vantato i suoi meriti, poiché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. ( Lc 18,14 )

L'Apostolo dunque prosegue, dicendo: Purificatevi dal lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi. ( 1 Cor 5,7 )

Che significa: per essere? E che significa: poiché siete, se non che in Corinto c'erano i giusti e i non giusti, che egli esortava ad essere giusti ad esempio dei giusti?

Egli però li ammonisce tutti insieme come fossero uguali, affinché quelli che erano giusti non disperassero di quelli che ancora non lo erano, e credessero che essi non fanno parte dell'organismo del loro corpo.

Perciò li ammonisce come se fossero tutti uguali, dicendo: per essere e: poiché siete.

I giusti infatti sapevano sopportare, e dopo l'ammonizione dell'Apostolo, dovevano saperlo fare ancora meglio, quanti non erano giusti; così che, sopportandosi a vicenda con amore, avrebbero conservato l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace ( Ef 4,2-3 ) e, portando vicendevolmente i propri pesi, avrebbero sicuramente osservato la legge di Cristo. ( Gal 6,2 )

Ma poiché il nostro Signore Gesù Cristo, per insegnarci la via dell'umiltà, si è degnato umiliarsi fino alla morte di croce e, come il medico sopporta gli infermi, così egli ha sopportato con grande amore i peccatori dei quali aveva detto: Non hanno bisogno del medico i sani, ma i malati, ( Mt 9,12 ) ecco che l'Apostolo ha proposto ai Corinti questo grande esempio, dicendo: Cristo, nostra Pasqua, si è immolato, ( 1 Cor 5,7 ) perché dall'esempio di questa grande umiltà i fedeli imparassero a purificarsi dal lievito vecchio, cioè, da ogni residuo di superbia rimasta in essi come eredità dell'antico uomo.

Celebriamo dunque il giorno di festa; certo, non un giorno solo, ma tutta la vita, e non con il lievito vecchio, né con il lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità. ( 1 Cor 5,8 )

È malizia e perversità gloriarsi, per così dire, di fronte ai peccati altrui, come se ci si debba compiacere della propria giustizia solo quando ci si accorge che, intorno a noi, non ci sono giusti.

Viceversa, è sincerità e verità ricordarsi, anche se si è progrediti, di ciò che si è stati, ed essere più misericordiosi verso quanti cadono, visto che anche noi siamo stati risollevati dalla caduta per la misericordia di Cristo che, pur essendo senza peccato, si è umiliato per i peccatori.

2.6 - Non dobbiamo trascurare i peccati degli altri

Ma nel timore che, per nostra rovina, si trascurino e quasi per negligenza si dimentichino i peccati altrui, che è un errore non meno crudele del peccato di superbia, l'Apostolo prosegue, dicendo: Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi con gli impudichi.

Certo, non con gli impudichi di questo mondo o con gli avari o con i ladri o con gli idolatri: altrimenti dovreste uscire da questo mondo. ( 1 Cor 5,9-10 )

In altre parole: se vi voleste immunizzare dai peccatori di questo mondo, che sono fuori della Chiesa, dovreste uscire da questo mondo.

In realtà il vostro compito in questo mondo è quello di guadagnare i peccatori a Cristo per la loro salvezza; ma questo non si può fare, se voi schivate la loro conversazione e la loro convivenza.

In realtà - dice Paolo - io vi ho scritto di non mescolarvi.

Se poi qualche fratello è considerato o impudico o idolatra o avaro o maldicente o ubriacone o ladro, con questo tale non dovete neanche mangiare insieme.

Spetta forse a me giudicare quelli che sono fuori? Non sono forse quelli di dentro che voi giudicate?

Quelli di fuori invece li giudicherà Dio. Togliete il male di mezzo a voi. ( 1 Cor 5,11-13 )

2.7 - Parmeniano non cita la conclusione del testo di Paolo

Ecco come l'Apostolo è giunto a questa considerazione, di cui Parmeniano ha ritenuto di dover citare il tratto finale, dicendo: " Sta scritto: Togliete il male di mezzo a voi. ( 1 Cor 5,13 )

Certo se questo male non danneggiasse i buoni e i puri, Paolo non ordinerebbe di toglierlo ".

Ora, tutto il brano precedente, quello dal quale Paolo è giunto a questa frase, egli lo ha omesso; e non v'è dubbio che, ai fini della tesi, che intendeva dimostrare, e cioè che la separazione corporale dai malvagi è necessaria, avrebbe potuto trovare un aiuto proprio in queste parole dell'Apostolo: Con questo tale non dovete neanche mangiare insieme. ( 1 Cor 5,11 )

Perché non ha citato ciò che sembrava poter dare il massimo sostegno alla sua tesi?

Vista tutta la forza con cui insiste nel persuadere che va fatta la separazione corporale dai cattivi, perché non cita la testimonianza dell'Apostolo: Se qualche fratello è ritenuto o impudico o idolatra o avaro o maldicente, o ubriacone, o ladro, con questo tale non dovete neanche mangiare insieme? ( 1 Cor 5,11 )

Non è forse perché ha visto che, se lo avesse fatto, gli si sarebbe potuto rispondere: "Possibile che voi, anche se non avete o non conoscete gli impudichi e gli avari, non vedete o non conoscete, in mezzo a voi, nessun avaro o maldicente o ubriaco o ladro?

Perché, allora, contro il comando dell'Apostolo, con questi tali non solo prendete il cibo alla vostra mensa, ma condividete anche la cena alla mensa del Signore? ".

Ora Parmeniano ha cercato di evitarlo, io credo, per sfuggire a questa risposta, tanto da non citare un testo che sembrava suonare molto bene a favore della sua causa.

In realtà, se questo capitolo della lettera dell'Apostolo gli fosse sfuggito e non lo avesse incontrato, non ne avrebbe citato l'ultima frase: Togliete il male di mezzo a voi. ( 1 Cor 5,13 )

2.8 - L'esempio di Cipriano, che restò tra alcuni vescovi cattivi

Ma dopo questo discorso, forse i Donatisti oseranno negare di avere tra loro o avari o maldicenti o ubriachi o ladri, e forse cercheranno di difendere perfino Ottato, che fu arcinoto in tutta l'Africa, e che hanno sopportato per tanto tempo.

E allora dicano, se possono, di avere ora una Chiesa più santa e più pura di quanto fosse l'unità all'epoca del beatissimo Cipriano, il quale, rivolto ai suoi colleghi vescovi, dai quali non si separò mai col corpo, senza nominare nessuno, ma somministrando con saggezza e sobrietà la medicina di una mordacità veramente salutare, li biasimò con queste pesanti parole: mentre nella Chiesa i fratelli avevano fame, essi volevano possedere molto argento; rapivano i poderi con astuti inganni; e aumentavano il capitale moltiplicando le usure.

E per mostrare molto chiaramente che parlava di quelli con cui viveva nella comunione dell'unica Chiesa, aggiunse: " Che cosa non meriteremmo di patire, noi che siamo così, per simili peccati? ".

Egli non disse: "meriterebbero ", bensì: " meriteremmo ".

E non lo avrebbe mai detto, non essendo sicuramente come loro, se non avesse voluto far vedere che piangeva i delitti di coloro che gli erano legati non solo nell'unità della Chiesa, ma anche nella comunione del collegio, quantunque nella vita, nella condotta, nel cuore e nelle intenzioni, se ne distinguesse.

Dicano, dunque, i Donatisti, che ora la loro Chiesa è più santa e che essi non hanno colleghi come quelli che ebbe, nell'unità, Cipriano.

Li credano quanti vogliono; e, di fronte ai mali, che colpiscono lo sguardo anche di quanti fanno finta di non vedere la loro condotta, chiudano gli occhi!

Quanto a me, li riporto alle origini dell'unità e chiedo loro: quando quest'uomo, Cipriano, insigne vescovo della Chiesa di Cartagine, si lamentò di un collegio così malvagio con la testimonianza di una voce libera, fino a scrivere libri, che sarebbero stati tramandati ai posteri, esisteva o no la Chiesa di Cristo?

Se esisteva, allora io chiedo come adempivano, Cipriano e gli altri suoi simili, il precetto dell'Apostolo: Se qualche fratello è ritenuto o impudico o idolatra o avaro o maldicente o ubriaco o ladro, con questo tale non mangiate neanche insieme, ( 1 Cor 5,11 ) dal momento che con questi avari e ladri che, mentre nella Chiesa i fratelli avevano fame, volevano possedere argento in abbondanza, rapivano i poderi con astuti inganni e accrescevano il loro capitale moltiplicando l'usura, essi mangiavano il pane del Signore e bevevano il calice del Signore?

2.9 - I Donatisti aprano gli occhi del cuore!

O forse questi sono crimini lievi e da sottovalutare?

I Donatisti, infatti, sono soliti dire anche questo, poiché pesano i peccati non sulla bilancia giusta delle divine Scritture, ma sulla bilancia ingannevole delle loro abitudini.

In effetti, tutti i delitti e le iniquità che eccitano la folla perdono l'esatta valutazione.

Ma proprio per questo sono stati proposti agli uomini, come specchio limpidissimo, gli oracoli dei Libri del cielo: perché ciascuno possa vedervi la gravità di ogni peccato; un peccato forse grande e che la cieca abitudine di quanti vivono male, disprezza.

Del resto, dalla parola di Dio, poteva forse ricevere un'accusa più grave, l'avarizia, che averla dimostrata uguale all'idolatria e chiamata con questo nome, visto quanto dice l'Apostolo: L'avarizia che è idolatria? ( Col 3,5 )

Avrebbe forse potuto considerarsi degna di una pena più severa, che essere citata tra quei crimini, a causa dei quali quelli che ne sono posseduti non possederanno il regno di Dio?

Aprano gli occhi del cuore, perché non si aprano, inutilmente, quelli del corpo, e leggano quanto dice questo libero predicatore della verità, che sempre nella prima Lettera ai Corinti, scrive: Non illudetevi.

Né impudichi né idolatri né adulteri né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci possederanno il regno di Dio. ( 1 Cor 6,9-10 )

Come dunque, Cipriano e l'altro grano del Signore, che viveva in quella che allora era la Chiesa dell'unità, potevano mangiare il pane del Signore e bere il suo calice con gli avari, i rapaci e con quelli che non possederanno il regno di Dio, e non dico laici o semplici chierici, ma persino vescovi, visto che l'Apostolo comanda di non mescolarsi a loro, e dichiara fortemente che con tali individui non si deve neppure mangiare? ( 1 Cor 5,11 )

O forse, visto che non potevano separarsi da loro col corpo per non sradicare, insieme, anche il grano, bastava separarsene col cuore e distinguersi con la vita e i costumi, onde ricevere, in compenso, la salvaguardia della pace e dell'unità, ottenere la salvezza del grano debole e ancora lattante, e non dilaniare le membra del corpo di Cristo con scismi sacrileghi?

2.10 - Come poté essere santa la Chiesa al tempo di Cipriano

Ma per parte mia non voglio spingere nessuno di loro a pensarla così.

Siano essi a spiegarmi come poté essere senza macchia e senza ruga, ( Ef 5,27 ) la gloriosa Chiesa di allora, quando, mentre nella Chiesa i fratelli avevano fame, essi volevano possedere molto argento; quando rapivano i poderi con astute frodi; quando accrescevano il capitale moltiplicando le usure; e quando erano coinvolti in iniquità tanto grandi, che non possedevano, per questo motivo, il regno di Dio.

Se poi la Chiesa gloriosa senza macchia e senza ruga, era calcolata solo in quelli che piangevano e deploravano le iniquità compiute in mezzo a loro, tanto da meritare, secondo la profezia del santo Ezechiele, di essere contraddistinti da un segno particolare, per uscire assolutamente incolumi dallo sterminio e dalla perdizione degli iniqui, ( Ez 9,4 ) cessino di calunniare i buoni che non fanno il male, per malsana avidità, ma lo tollerano con pacifica carità, e ai quali è stato detto: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. ( Mt 5,9 )

Per questo lo Spirito Santo, nel passo in cui descrive, per mezzo del Profeta Ezechiele, i cattivi, che i buoni tollerano nell'unità, dichiara che essi vivono tra i buoni.

Se infatti avesse detto che sono i buoni a vivere tra i cattivi, poteva sembrare che i cattivi stessero quasi all'esterno e al di fuori.

Egli ha detto: Essi lamentano e piangono le iniquità del mio popolo, commesse in mezzo a loro, ( Ez 9,4 ) perché pensassimo che questi iniqui, non solo non sono esclusi, ma sono addirittura inclusi.

2.11 - La Chiesa restò, resta e resterà nei buoni

Se poi già da allora la Chiesa non esisteva più, poiché Cipriano e quanti con lui conoscevano gli avari e i ladri - ciò che essi non erano - anche se li rimproveravano con profondissimi gemiti e autorevolissimi richiami, tuttavia, per il fatto di frequentare insieme la Chiesa e di celebrare gli stessi misteri in un'unica assemblea, subirono, per via di questa comunione, identica sorte, giacché non obbedirono all'Apostolo che ordina di non prendere, con simili individui, neppure il cibo, e: Togliete il male di mezzo a voi, ( 1 Cor 5, 11.13 ) perché preoccuparci ancora?

Perché essi si vantano di avere una Chiesa, se già da allora ha cessato di esistere?

Ci dicano da chi sono derivati Maggiorino e Donato, tramite i quali sarebbero poi derivati Parmeniano e Primiano.

A che serve loro mentire dicendo di non avere ora nella loro assemblea o di non conoscerli gli avari e i rapaci, coi quali l'Apostolo proibisce di mangiare, se nella Chiesa dell'unità vi furono dei peccatori; quella Chiesa dalla quale i Donatisti si vantano di essere derivati, tanto che cercano di convincere gli altri che essa è rimasta solo nella loro società, cioè nella comunione di Donato?

Se dicono che a causa della comunione coi peccatori la Chiesa perisce, perché non dicono che essa è perita già al tempo di Cipriano?

E così, non trovando più l'origine della loro esistenza, la smettano di dire che presso di loro è rimasta la Chiesa, che invece sarebbe totalmente perita, a sentir loro, già ai primi tempi.

Se poi nei buoni che odiano queste azioni, essa è sempre rimasta, rimane e rimarrà, imparino i Donatisti, finalmente, a non interpretare le parole dell'Apostolo: Togliete il male di mezzo a voi, come un invito a cercare di raccogliere, per mezzo di scismi, la zizzania, sradicando anche il grano.

Tutta questa discussione la facciamo, per ricordare, a quanti la leggono o l'ascoltano, che i Donatisti non sono mai riusciti a dimostrare, né all'epoca in cui i fatti erano molto freschi, e né ora, che il mondo è unito dalla pace cristiana nella Chiesa cattolica con una coscienza molto più forte della propria innocenza, che Ceciliano e quanti erano in pieno accordo con lui erano zizzania.

Ma affinché ognuno resti tranquillo nell'unità della santa Chiesa e non segua i disertori di questa unità, per non perire con loro, noi diciamo: se essi fossero stati zizzania, i Donatisti avrebbero dovuto tollerarli fino alla mietitura, piuttosto che separarsene con uno scisma rovinoso e sradicare il frumento.

2.12 - Agostino immagina una difficoltà

Ma si potrebbe dire: " Ma allora, come possiamo obbedire all'Apostolo che ci ordina: Con gente simile non mangiate neppure insieme? ( 1 Cor 5,11 )

Se egli ordinasse solo la separazione del cuore dai malvagi, non direbbe: Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi agli impudici; certo, non agli impudichi di questo mondo, ( 1 Cor 5,9-10 ) cioè a quelli che non sono cristiani e dei quali in seguito dice: Spetta forse a me giudicare quelli che sono fuori?

Non giudicate voi quelli che sono dentro? Quelli invece che sono fuori li giudicherà solo Dio. ( 1 Cor 5,12-13 )

Ma dal momento che ordina una separazione, che non si attua dai cattivi, che non sono cristiani, ma dai cattivi cristiani, mentre la separazione del cuore va fatta da tutti i cattivi, e quindi con il cuore ci dobbiamo separare anche dai cattivi non cristiani, che altro ci resta, se non comprendere che l'Apostolo ci ordina di non mescolarci con certi cattivi cristiani, come quelli che egli descrive, e di non intrattenere con loro, gli stessi rapporti che intratteniamo coi pagani, mescolati con essi nel consorzio dell'umana convivenza?

Perciò, mentre altrove dice: Se qualche infedele vi invita, e voi volete andare, mangiate tutto quello che vi viene messo davanti, senza fare questioni, ( 1 Cor 10,27 ) qui dice: Con simile gente non mangiate neppure insieme. ( 1 Cor 5,11 )

Egli quindi permette di mangiare con gli infedeli, cioè, con quelli che non hanno ancora creduto in Cristo; presso costoro, egli dice, bisogna mangiare quello che ci mettono davanti, poiché essi sono fuori e li giudicherà Dio. ( 1 Cor 5,13 )

Con quelli invece che sono dentro, cioè con quelli di cui dice: Se qualche fratello è ritenuto o impudico o idolatra o avaro o maldicente o ubriaco o rapace, ( 1 Cor 5,11 ) l'Apostolo proibisce perfino di mangiare insieme.

Paolo dunque ci persuade a separare la zizzania dal frumento prima della mietitura.

Se noi ci rifiutiamo di farlo, poiché il Signore ce lo proibisce, la sopporteremo e resteremo con essa praticando solo la separazione del cuore e della volontà e perciò mangeremo anche con questi individui; cosa che l'Apostolo ci proibisce ".

2.13 - Risponde adducendo la saggezza della Chiesa

Poiché la questione è entrata, per così dire, in una strettoia, io non dirò niente di nuovo o di inconsueto, ma solo ciò che la saggezza della Chiesa osserva.

Ecco: quando uno dei fratelli, cioè dei cristiani presenti nella società della Chiesa, viene sorpreso in un peccato che lo fa giudicare degno dell'anatema, si proceda solo quando non esiste pericolo di scisma, e con la carità che l'Apostolo ci ha ordinato altrove, dicendo: Non lo considerate come un nemico, ma rimproveratelo come un fratello. ( 2 Ts 3,15 )

Non si punisce per sradicarlo, infatti, ma per correggerlo.

Se poi egli non si riconosce peccatore e non si corregge con la penitenza, sarà lui stesso a uscire fuori e a separarsi di propria iniziativa dalla comunione della Chiesa.

Il Signore stesso, in effetti, quando disse ai servi che volevano raccogliere la zizzania: Lasciate che l'uno e l'altra crescano fino alla mietitura, premise questa motivazione: Affinché non avvenga che, per raccogliere la zizzania, sradichiate insieme anche il grano. ( Mt 13,29-30 )

In questa frase egli mostra chiaramente che quando questo timore non sussiste, ma la certezza della stabilità del frumento resta pienamente ferma; quando cioè, il delitto è talmente notorio e appare a tutti così esecrabile che, o non trova difensori o non ne trova di quelli in grado di provocare uno scisma, il rigore della disciplina non deve dormire.

Ma, in questo caso, la correzione della malvagità sarà tanto più efficace, quanto più premurosa sarà la salvaguardia della carità.

Ma questo si può fare senza la rottura della pace e dell'unità e senza danno per il grano, solo quando la moltitudine dell'assemblea della Chiesa è estranea al crimine punito con l'anatema.

Allora essa sostiene il superiore che biasima, anziché il criminale che resiste; allora si astiene saggiamente dall'avere rapporti con lui, fino al punto di non mangiare neppure insieme, mosso non da un sentimento di rabbia per un nemico, ma di repressione di un fratello.

Allora il peccatore viene colpito dal timore e guarito dal pudore, quando, vedendosi scomunicato da tutta la Chiesa, non riesce a trovare la folla alleata, con cui gioire del suo delitto e insultare i buoni.

2.14 - Esegesi del testo: Se un fratello ha fama

Per questo l'Apostolo dice: Se qualche fratello è ritenuto. ( 1 Cor 5,11 )

In effetti, dicendo: Se qualche fratello, pare che abbia voluto far capire che in questo modo la correzione può riuscire salutare, solo a chi pecca tra individui che sono diversi da lui, cioè che non sono corrotti dalla peste di simili peccati.

Viceversa, dicendo: È ritenuto, egli ha inteso certamente far capire che conta poco, che uno sia peccatore, se non è ritenuto tale, se cioè non è notorio, di modo che la sentenza di scomunica contro di lui appaia a tutti come la più meritata.

In questo caso, lo si corregge salvando la pace e lo si colpisce senza ucciderlo, ma lo si brucia con una medicina per guarirlo.

Perciò, di colui che aveva voluto guarire con tale medicina, l'Apostolo disse: Per costui è già sufficiente il castigo che gli è venuto da molti. ( 2 Cor 2,6 )

Ma il castigo che viene da molti non può essere salutare, se non quando ad essere corretto è un peccatore che non ha dalla sua parte la moltitudine.

Quando invece uno stesso male si è impadronito di molte persone, ai buoni non resta altro che il dolore e il gemito, per meritare di uscire illesi, grazie al segno rivelato al santo Ezechiele, dal loro sterminio. ( Ez 9,4 )

Essi gridano a Colui che non può sbagliare: Non perdere con gli empi la mia anima e con i sanguinari la mia vita; ( Sal 26,9 ) altrimenti, volendo raccogliere la zizzania, finiscono per sradicare anche il grano e non purificare, per troppo zelo, la messe del Signore, ma ritrovarsi essi stessi, a causa della loro temerità, tra la spazzatura.

È per questo motivo che l'Apostolo, avendo saputo che ormai molti erano i corrotti dalla sozza lussuria e dalle impudicizie, nella seconda Lettera ai Corinzi, non insiste più nel precetto di non mangiare con questi tali.

Erano molti, infatti, ed egli non poteva dire: Se qualche fratello è ritenuto un impudico o un avaro o alcunché di simile, con questo tale non mangiate neppure insieme, ( 1 Cor 5,11 ) ma dice: Temo che venendo di nuovo, Dio mi umili davanti a voi ed io abbia a piangere su molti che hanno peccato in passato e non si sono pentiti delle impurità, della fornicazione e delle dissolutezze commesse. ( 2 Cor 12,21 )

Così, col suo pianto, egli minaccia che a punirli sia piuttosto un flagello di Dio, che questa correzione. che gli altri si astengano dai rapporti con loro.

In seguito, infatti, dice: Ecco, questa è la terza volta che vengo da voi.

L'ultima parola si troverà sulla bocca di due o tre testimoni.

L'ho detto prima e lo ripeto, come uno che allora era presente per la seconda volta, e ora è assente, a quanti hanno peccato in passato e a tutti gli altri, che se verrò di nuovo non perdonerò più, visto che cercate una prova di colui che parla in me, Cristo. ( 2 Cor 13,1-3 )

Che intende dire, qui, con: Non perdonerò, se non quanto ha detto sopra, con: ed io abbia a piangere, affinché il suo pianto ottenesse dal Signore un flagello, con cui correggere quelli che, diventati ormai una moltitudine, non potevano essere corretti, ingiungendo agli altri di astenersi da ogni rapporto con loro e per farli vergognare, come bisogna fare se qualche fratello è ritenuto peccatore per un crimine diverso da quello degli altri?

In realtà, quando il contagio del peccato si impadronisce della folla, è necessaria la severa misericordia della disciplina divina.

Gli inviti a separarsi da loro sono inutili, dannosi e anche sacrileghi, perché vengono da un empio orgoglio e servono più a turbare i buoni ancora deboli che a correggere i cattivi ostinati.

Come fece quel fedelissimo testimone dell'avarizia dei suoi colleghi, che è Cipriano.

Poiché tutte le tribolazioni, che la Chiesa all'epoca soffriva, egli le attribuiva al giudizio e alla disciplina di Dio, dopo aver parlato dei pessimi costumi dei vescovi a lui noti, i quali, mentre i fratelli avevano fame, essi volevano possedere argento in abbondanza, rapivano i poderi con astuti inganni e accrescevano il capitale raddoppiando le usure, conclude: " Che cosa non meriteremo di soffrire, stando a quel che siamo, per simili peccati? ".

E cita inoltre questo testo dei Salmi: " Benché già da tempo il giudizio divino abbia preavvisato e detto: Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non cammineranno nei miei precetti; se profaneranno le mie prescrizioni e i miei comandamenti, punirò con la verga i loro misfatti e coi flagelli i loro delitti.

Ma non ritirerò da loro la mia misericordia ". ( Sal 89,31-34 )

2.15 - Il peccatore va corretto con misericordia e tollerato con pazienza

L'uomo, dunque, corregga con misericordia ciò che può; ciò che invece non può correggere, lo sopporti con pazienza, e pianga e gema con amore, finché il Signore o purifica e corregge dall'alto, o differisce il tempo di sradicare la zizzania e di vagliare la paglia, fino alla mietitura.

Tuttavia, perché i cristiani di buona speranza, possano vivere sicuri della loro salvezza nell'unità, tra i disperati, che non riescono a correggere, della loro salvezza, tolgano il male da se stessi, cioè, non accettino in se stessi, ciò che riprovano nella condotta degli altri.

L'Apostolo infatti, dopo aver detto: Spetta forse a me giudicare quelli che sono fuori? Non giudicate voi quelli che sono dentro?

Quelli che sono fuori li giudicherà Dio, ( 1 Cor 5,12-13 ) quasi prevedendo questa risposta: " Che fare quando la folla dei cattivi ci incalza a tal punto da non permetterci di esercitare il nostro giudizio con un castigo? ", replica: Togliete il male da voi stessi.

Cioè: " Se non potete togliere i malvagi di mezzo a voi, togliete il male da voi stessi ".

Ma se uno volesse intendere questa frase: Togliete il male da voi stessi, nel senso che è con la pena della separazione che deve essere eliminato dall'assemblea dei fratelli ogni malvagio, lo si deve fare, e di ciò nessuno dubita, col desiderio di guarirlo e non con l'odio di chi vuole ucciderlo.

Quanto alla misura da usare e ai tempi da rispettare, per non violare la pace della Chiesa, nella quale bisogna avere la massima attenzione per il grano, perché non venga sradicato con la zizzania, ne abbiamo già discusso per quel tanto che per ora ci è parso necessario.

Chiunque vi riflette con attenzione e serenità, né trascura il rigore della disciplina nella custodia dell'unità, e né, per difetto di misura nella repressione, infrange il vincolo della società.

2.16 - Esegesi della 1 Cor 5,11

In verità, il precetto dell'Apostolo: Con questo tale non mangiate neppure insieme, ( 1 Cor 5,11 ) quanti buoni cristiani lo praticano verso quelli di cui hanno una responsabilità più familiare, tanto che, se possono allontanare dalla loro compagnia quelli che ritengono di poter separare con questa correzione o quelli che non sperano affatto di correggere, proprio per evitare che essi corrompano gli altri col contatto dei loro cattivi rapporti, ( 1 Cor 15,33 ) non esitano a farlo.

In questo riesce bene, cioè lo fa con umile carità e benevola severità, colui che presiede ai suoi fratelli, in maniera da ricordarsi di essere loro servo, secondo il comando e l'esempio del Signore. ( Mt 20,26-28 )

In questo caso, infatti, lo si fa e senza l'orgoglio di prevalere sull'uomo e con il pianto che accompagna la preghiera a Dio.

Ora, mentre è facile, per un vescovo, rimuovere un chierico dall'ordine e, per un vescovo o un chierico o un prelato, investito di autorità, allontanare un povero dal gruppo degli assistiti dalla Chiesa o dalla stessa assemblea dei laici, e indurre quelli ai quali si può dare questo precetto, a non mangiare neppure con loro, non è altrettanto facile poter escludere e scacciare dalla mescolanza coi buoni, una moltitudine di cattivi presenti nei diversi ordini della Chiesa.

In verità, nelle loro case, alcuni buoni fedeli regolano e disciplinano così bene la condotta dei loro familiari, che anche in esse obbediscono al precetto dell'Apostolo: Con questo tale non mangiate neppure insieme, ( 1 Cor 5,11 ) perché lo praticano o ordinano di praticarlo verso i loro figli e i loro familiari, appena notano che questi vivono in maniera tale, che è proprio l'amore per essi a suggerire loro questo comportamento.

Viceversa la folla degli iniqui, quando si ha la possibilità di parlare in pubblico, bisogna colpirla con un rimprovero generale, soprattutto se ci offre l'occasione e l'opportunità qualche flagello dall'alto, da cui appare chiaro che il Signore li percuote per i loro meriti.

In questo caso, infatti, la disgrazia che colpisce gli ascoltatori predispone le orecchie dei semplici a un discorso di correzione; e gli animi afflitti sono più facilmente spinti al pianto della confessione che ai brontolii della opposizione.

Così fece, allora, san Cipriano: egli forse non avrebbe parlato in quel modo dei suoi colleghi, se dall'alto non lo avesse aiutato la divina severità.

In effetti, egli faceva quelle riprensioni in un periodo tanto difficile, funesto e luttuoso, per cui i suoi colleghi non solo non osarono sdegnarsi, ma capivano che a stento avrebbero potuto essere perdonati da quelli che erano indignati contro di loro.

E anche se oggi non siamo oppressi da nessuna calamità e tribolazione, avendone la possibilità, è utile rimproverare la gente nell'assemblea.

La gente rimproverata a parte suole incattivirsi, in pubblico suole piangere.

Per questo motivo non bisogna assolutamente trascurare né questo precetto dell'Apostolo, ( 1 Cor 5, 11.13 ) quando lo si può fare senza il pericolo di violare la pace - egli neppure, infatti, ha voluto che si agisse diversamente per allontanare il malvagio dall'assemblea dei buoni - e né, principalmente, l'altro suo precetto: di sopportarci a vicenda per conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace. ( Ef 4,2-3 )

Parimenti, quando il Signore parla nel Vangelo, bisogna obbedirgli, e dove dice: Se non ascolterà neppure la Chiesa, sia per te come un etnico e un pubblicano, ( Mt 18,17 ) e dove proibisce di raccogliere la zizzania, perché non accada che si sradichi anche il grano. ( Mt 13,29 )

Ma i due precetti possono osservarli quelli di cui sta scritto: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. ( Mt 5,9 )

Indice