La dottrina cristiana

Indice

Libro III

6.10 - La lettera uccide, lo Spirito dà vita. Espressioni figurate

Nel popolo giudaico questa schiavitù era ben differente da quella che costumava presso le altre nazioni.

Sebbene fossero asserviti alle cose temporali, da queste tuttavia essi sapevano trarre la nozione dell'unico Dio.

E sebbene osservassero quel che era solamente simbolo delle realtà spirituali al posto delle realtà in se stesse non sapendo a che cosa si riferissero tali simboli, tuttavia questo avevano ben fisso nella mente: con il loro servizio piacere all'unico Dio di tutti, anche se essi non lo vedevano.

Di queste cose scrive l'Apostolo ( Gal 3,24 ) che erano come una prigione per dei piccoli ancora sotto il pedagogo.

Ne conseguì che, aderendo con pertinacia a questi segni, quando venne il tempo della rivelazione non poterono tollerare il nostro Signore, ( Mt 12,1-14 ) che non calcolava le loro pratiche.

I loro principi inventarono calunnie, poiché egli non osservava il sabato, ( Lc 6,7 ) e il popolo, legato a quei segni quasi fossero il significato oggettivo delle cose, non credeva che egli fosse Dio o fosse venuto da Dio, dal momento che si rifiutava di prestare attenzione a quelle cose come venivano praticate dai giudei.

Ma quei giudei che abbracciarono la fede e che formarono la primitiva Chiesa di Gerusalemme mostrarono a sufficienza quanti vantaggi si potessero ricavare dall'essere incarcerati in tal modo sotto il pedagogo.

I segni imposti temporaneamente a chi era schiavo [ della legge ] valsero a sollevare il pensiero di quei che la osservavano al culto dell'unico Dio, creatore del cielo e della terra.

Difatti nelle stesse promesse e nei segni temporali e carnali, sebbene non sapessero che li si doveva intendere in senso spirituale, tuttavia avevano imparato da essi a venerare l'unico eterno Dio.

Orbene, quei credenti che erano molto vicini all'ordine spirituale si trovarono così ben disposti a ricevere lo Spirito Santo che vendevano tutto quello che avevano, ne ponevano il ricavato ai piedi degli Apostoli perché fosse distribuito ai poveri ( At 4,34 ) e consacravano totalmente se stessi a Dio a guisa di nuovo tempio, pur essendo ancora asserviti alla sua immagine terrestre, cioè al vecchio tempio.

6.11 Non è infatti scritto che ciò abbia fatto una qualsiasi altra chiesa del paganesimo, in quanto coloro che avevano per dèi i simulacri fatti da mano d'uomo non si erano trovati altrettanto vicini alla divinità.

7.11 - Le genti schiave di segni vani

E se talvolta alcuni di loro si sforzavano di intendere come segni quei simulacri, li riferivano al culto e alla venerazione di creature.

Per esempio, cosa mi giova il simulacro di Nettuno se non lo ritengo come dio ma penso che con esso si indica l'universalità dei mari o anche tutte le altre acque che scaturiscono dalle fonti?

In tal modo infatti è descritto da uno dei loro poeti, il quale, se ben ricordo, dice così: Tu, padre Nettuno, le cui tempie canute risuonano circondate dal mare fragoroso, a cui il grande oceano scorre costantemente sulla barba e i fiumi vagano lungo i capelli.1

Queste sono ghiande che racchiuse in dolce guscio sono capaci di far rumore urtando nei sassolini, ma non sono cibo per uomini bensì per maiali.

Ciò che voglio dire lo comprende chi conosce il Vangelo. ( Lc 15,16 )

Cosa mi giova infatti che il simulacro di Nettuno abbia un tal significato non in quanto mi dissuade dal venerare ambedue le cose?

Per me infatti non è Dio né una qualsiasi statua né l'universalità dei mari.

Ammetto tuttavia che sono sprofondati più giù coloro che reputano dèi le opere degli uomini che non coloro che reputano tali le opere di Dio.

Ma a noi si comanda di amare e venerare l'unico Dio, ( Dn 6,5 ) che ha creato tutte le cose delle quali essi venerano i simulacri ritenendoli o dèi o segni e immagini di divinità.

Se dunque prendere un segno istituito inutilmente invece della cosa stessa per significare la quale era stato istituito è un asservimento carnale, quanto non lo è più prendere per le cose in se stesse i segni istituiti per significare cose inutili?

Che se li riferisci alle cose stesse che con tali segni vengono rappresentate e inclinerai lo spirito ad onorarli, non per questo ti esenterai da ogni peso e velo di servitù carnale.

8.12 - Libertà cristiana e schiavitù dei Giudei e dei pagani

La libertà cristiana trovò alcuni assoggettati a segni utili e, per così dire, a sé vicini.

A costoro interpretò loro quei segni a cui stavano assoggettati ed elevandoli alle realtà di cui le cose precedenti erano segni, li portò alla libertà.

Da loro furono formate le Chiese dei santi Israeliti.

Quanto invece a quelli che trovò assoggettati a segni inutili, ridusse al nulla non solo la condizione servile con cui erano stati sotto tali segni ma anche gli stessi segni e tutto spazzò via: sicché le genti si convertirono dalla depravazione consistente nella moltitudine di falsi dèi - cosa che spesso e appropriatamente la Scrittura chiama fornicazione - al culto di un solo Dio.

D'ora in poi esse non sarebbero state asservite nemmeno ai segni utili ma avrebbero piuttosto esercitato il loro animo a comprenderli spiritualmente.

9.13 - Prerogativa ed efficacia dei segni del Cristianesimo

È asservito al segno chi compie, o venera, una qualche cosa che ha valore di segno senza sapere cosa significhi.

Chi al contrario compie, o venera, un segno utile istituito da Dio e ne comprende la forza significativa, non venera ciò che si vede e passa ma piuttosto ciò a cui tutti i segni di questo genere debbono essere riferiti.

Orbene, un tal uomo è spirituale e libero, anche all'epoca della schiavitù, quando quei segni non dovevano essere ancora rivelati ad animi carnali, che bisognava fossero domati dal loro giogo.

Uomini spirituali di questa sorta erano i Patriarchi e i Profeti e tutti quegli Israeliti ad opera dei quali lo Spirito Santo ci ha fornito il sussidio e la consolazione della Scrittura.

Quanto poi al tempo presente, dopo che la risurrezione del nostro Signore ci ha fatto risplendere in modo quanto mai palese il suggello della nostra libertà, non siamo più appesantiti dal compito gravoso di portare quegli [ antichi ] segni che ora comprendiamo.

In luogo dei molti, lo stesso Signore e la dottrina degli Apostoli ce ne ha dati alcuni pochi, che sono facilissimi a farsi, venerabilissimi a comprendersi, santissimi a osservarsi.

Tali sono il sacramento del Battesimo e la celebrazione del Corpo e del Sangue del Signore.

Quando uno li riceve, essendo stato istruito, sa a che cosa si riferiscano e li venera non con asservimento carnale ma con libertà spirituale.

Ma come seguire la lettera e prendere i segni invece delle cose da loro significate indica debolezza servile, così interpretare i segni in maniera inutile indica l'errore di una mente che vaga nelle vie del male.

Chi poi non comprende il significato di un segno ma si rende conto che si tratta di un segno, nemmeno costui è soggetto a schiavitù.

È meglio tuttavia essere sotto il giogo di segni sconosciuti ma utili anziché interpretarli in maniera insulsa cacciando nel laccio dell'errore la testa ormai liberata dal giogo della schiavitù.

10.14 - Accertarsi se una locuzione è propria o figurata

A questa norma per la quale badiamo a non prendere come propria una locuzione figurata, cioè traslata, occorre aggiungere anche l'altra, cioè a non prendere come figurata una locuzione propria.

Occorre dunque presentare prima il modo di trovare se una locuzione è propria o figurata.

E il modo è precisamente questo: nella parola di Dio tutto ciò che, se preso propriamente non si può riferire all'onestà della condotta e alla verità della fede, lo devi ritenere come figurato.

Nell'onestà della condotta rientra l'amore di Dio e del prossimo, nella verità della fede la conoscenza di Dio e del prossimo.

Quanto alla speranza, ciascuno ha nella propria coscienza il sentimento di come e quanto abbia progredito nell'amore e nella cognizione di Dio e del prossimo.

Ma di tutto questo si è parlato nel libro primo.

10.15 - Autorità dell'insegnamento scritturale e valutazioni umane

Siccome però l'uomo inclina a valutare i peccati non dai momenti della passione ma piuttosto dall'abitudine, accade spesso che ogni uomo giudica degno di condanna soltanto ciò che gli uomini della sua patria e del suo tempo sono soliti disapprovare e condannare e degno di approvazione e di lode ciò che tollera la consuetudine di coloro in mezzo ai quali vive.

Ne segue che, se la Scrittura o comanda ciò che è in contrasto con la consuetudine di queste persone o disapprova ciò che non lo è, qualora l'animo degli uditori è stato preso e avvinto dall'autorità della parola, essi riterranno trattarsi di una locuzione figurata.

Ebbene, la Scrittura non comanda altro che la carità né dichiara colpevole altro che la cupidigia, e in tal modo forma i costumi degli uomini.

Parimenti, se una opinione erronea si è stabilita nell'animo di qualcuno, egli riterrà figurato tutto ciò che la Scrittura asserisce essere di significato diverso.

Ma la Scrittura non afferma se non ciò che risponde alla fede cattolica e quanto al passato e quanto al futuro e quanto al presente.

Essa infatti è un racconto del passato, un preannunzio del futuro e una descrizione del presente; ma tutto questo è ordinato a nutrire e corroborare la stessa carità e a superare ed estinguere la cupidigia.

10.16 - Carità e cupidigia

Chiamo carità il moto dell'animo che porta a godere di Dio per se stesso e di sé e del prossimo per amore di Dio.

Chiamo invece cupidigia il moto dell'animo che porta a godere di sé, del prossimo e di qualsiasi oggetto non per amore di Dio.

Ciò che la cupidigia non soggiogata fa compiere per corrompere l'anima e il corpo si chiama licenziosità; ciò che fa compiere per danneggiare gli altri si chiama delitto.

Queste sono le specie di tutti i peccati, ma le licenziosità precedono l'altra specie.

Quando la licenziosità ha svuotato l'animo e l'ha ridotto alla miseria - chiamiamola così - si passa al delitto, mediante il quale si eliminano gli ostacoli della licenziosità o le si cercano i supporti.

Così è della carità. Quanto uno fa per giovare a se stesso si chiama utilità; quanto fa per giovare al prossimo si chiama benevolenza.

Anche qui precede l'utilità, perché nessuno può giovare all'altro mediante ciò che non ha.

Comunque, quanto più si abbatte del regno della cupidigia, tanto più si estende il regno della carità.

11.17 - Interpretazione di passi o frasi dure poste in bocca a Dio

Ebbene, quando nelle Sacre Scritture si legge qualcosa di duro e, per così dire, di crudele e lo si attribuisce a Dio o ai suoi servi, ciò è diretto a distruggere il regno della cupidigia.

E se la cosa appare palesemente, non ci si deve riferire ad altro quasi che la cosa sia detta a scopo figurativo.

Tale è il testo dell'Apostolo: Tu accumuli su di te l'ira [ di Dio ] per il giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere: a coloro che mediante la perseveranza nelle opere buone cercano la gloria, l'onore e l'incorruttibilità [ renderà ] la vita eterna; viceversa per coloro che sono litigiosi e non credono alla verità ma all'iniquità ci saranno ira e sdegno.

Tribolazione ed angoscia per ogni uomo che opera il male, prima per il Giudeo e poi per il Greco. ( Rm 2,5-9 )

Questo vale per coloro che, non avendo voluto vincere la cupidigia, questa viene distrutta insieme con loro.

Al contrario, per l'uomo su cui la cupidigia un tempo dominava ma il suo regno è stato poi demolito, vale quella chiara espressione: Coloro poi che sono di Gesù Cristo han crocifisso la propria carne con le sue passioni e concupiscenze. ( Gal 5,24 )

Certo, anche in questi testi alcune parole sono usate in senso traslato, per esempio: " ira di Dio " e " hanno crocifisso ", ma non sono molte né sono poste in modo da rendere oscuro il senso, costituendo o un'allegoria o un enigma, che a mio parere sono da chiamarsi espressioni strettamente figurate.

Osserviamo ora le parole di Geremia: Ecco, oggi ti costituisco al di sopra dei popoli e dei regni, perché tu sradichi e distrugga, e disperda e annienti. ( Ger 1,10 )

Non c'è dubbio che tutta la frase sia figurata e quindi da riferirsi al fine di cui abbiamo parlato.

12.18 - Interpretazione di comportamenti meno onesti del V. T.

Ci sono nella Scrittura delle cose, detti o fatti che siano, che agli impreparati sembrano quasi delle scostumatezze, eppure le si attribuiscono a Dio o a degli uomini di cui ci si elogia la santità.

Sono tutte cose figurate, e il loro senso occulto deve essere sviscerato in modo che possa nutrire la carità.

In effetti, chi usa delle cose transeunti con più ristrettezza di quanto non le usino coloro in mezzo ai quali vive o è un asceta o è un superstizioso; chi invece le usa in modo da oltrepassare i limiti soliti a rispettarsi dalla gente perbene in mezzo a cui si trova o sottintende un qualche significato occulto o si tratta di una persona svergognata.

In tutti questi casi è in colpa non l'uso delle cose ma la passione di colui che le usa.

Così nessun uomo assennato potrà credere che i piedi del Signore furono bagnati da quella donna con unguento prezioso ( Gv 12,3 ) come lo sogliono i piedi dei lussuriosi e dei depravati, di cui detestiamo i banchetti.

Difatti il buon odore rappresenta la buona fama, che ciascuno consegue con le opere della vita buona mentre è incamminato sulle orme di Cristo e ne cosparge i piedi con odore preziosissimo.

In questo modo ciò che negli altri uomini spesso è licenziosità, nella persona divina o profetica è segno di una realtà sublime.

Così una cosa sono i rapporti con una prostituta nelle persone scostumate, un'altra nel vaticinio del profeta Osea. ( Os 1,2 )

E se nei banchetti degli ubriaconi e dei depravati ci si mette scostumatamente a corpo nudo, non per questo è scostumatezza denudarsi nel fare il bagno.

12.19 - Nel giudizio badare ai luoghi, ai tempi e alle persone

Occorre pertanto badare diligentemente a ciò che convenga ai diversi luoghi, tempi e persone, per non accusare nessuno di scostumatezza a cuor leggero.

Può infatti accadere che un sapiente si nutra di cibo assai prelibato senza alcun vizio di golosità o di voracità, mentre uno stolto desideri un cibo spregevole con una bruttissima fiamma di ingordigia.

Così ogni persona sana di mente preferirebbe nutrirsi di pesce, come fece il Signore, ( Lc 24,43 ) piuttosto che di lenticchie, come fece Esaù, nipote di Abramo, ( Gen 25,34 ) o di orzo come fanno gli animali.

Non sono infatti più continenti di noi le bestie per il fatto che si nutrono di cibi più ordinari.

In tutte queste cose infatti ciò che facciamo non è da approvarsi o disapprovarsi a seconda della natura delle cose che usiamo ma del motivo per cui le usiamo e del modo come le desideriamo.

12.20 - Legge morale e comportamenti licenziosi dei Patriarchi

Mediante il regno terreno gli antichi giusti immaginavano il regno celeste e lo preannunziavano.

Per provvedere un numero sufficiente di figli2 non era riprovevole per un uomo la licenza di avere contemporaneamente più mogli, ( Gen 16,3; Gen 25,1; 2 Sam 5,13 ) ma non per questo era onesto per una donna avere parecchi mariti.

In tal modo infatti una donna non diventa più feconda, ma voler procurarsi o denaro o figli dal primo arrivato è piuttosto una turpitudine da prostituta.

Ciò che in simili costumanze facevano senza cedere alla libidine i santi di quei tempi la Scrittura non lo dichiara colpevole, sebbene facessero quelle cose che al nostro tempo non possono farsi se non per libidine.

E ciò che nella Scrittura si narra di questo genere è da interpretarsi non solo storicamente e in senso proprio ma anche figuratamente e profeticamente elevandolo fino a quel limite che è la carità o verso Dio o verso il prossimo o verso tutti e due insieme.

Osserviamo i Romani. Per gli antichi era scostumatezza indossare tuniche lunghe fino ai calcagni e fornite di maniche, adesso invece presso i benestanti non indossarle quando si è raggiunta l'età di portarle è scostumatezza.

La stessa cosa si deve notare nell'uso delle altre cose: deve cioè tenersi lontana la ricerca del piacere, che non solo fa cattivo uso delle consuetudini di coloro in mezzo ai quali la persona vive ma anche, oltrepassandone i limiti, manifesta con turpissima esplosione tutta la sconcezza che si celava dentro le barriere di costumi pubblicamente recepiti.

Indice

1 Fragm. poet. rom., ed Baehrens 1886, p. 388
2 Vergil., Georg. 3, 65