Questioni sull'Ettateuco

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Questioni sui Giudici

49.1. ( Gdc 11,29-35 ) La figlia di Iefte offerta in olocausto a Dio dal padre

A proposito della figlia di Iefte offerta in olocausto a Dio dal padre, alcuni sono soliti porsi un problema importante e assai difficile.

Nella guerra il padre aveva fatto il voto che, se avesse vinto, avrebbe offerto in olocausto la persona che uscendo dalla propria casa gli si fosse presentata.

Fatto il voto riportò la vittoria e presentataglisi la propria figlia mantenne la promessa fatta nel voto.

Questo problema se lo pongono alcuni desiderosi di sapere che significato ha questo fatto e cercano di risolverlo con spirito di fede, mentre se lo pongono alcuni altri che però sono contrari alle Sacre Scritture per blasfema empietà e le accusano soprattutto perché il Dio della Legge e dei Profeti si sarebbe compiaciuto anche dei sacrifici umani.

Alle loro copiose obiezioni rispondiamo in primo luogo che il Dio della Legge e dei Profeti e, per dirlo più chiaramente, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe ( Es 3,16 ) non si compiacque nemmeno dei sacrifici in cui venivano offerti in olocausto animali ma, poiché erano riti di significato simbolico e come ombre delle realtà future, Dio volle indicarci le realtà simboleggiate da quei sacrifici; Dio volle inoltre indicarci che anche questo fu un buon motivo perché quei sacrifici fossero cambiati e adesso non fosse comandato, anzi fosse proibito di offrirli, affinché non credessimo che Dio si compiacesse davvero di quei sacrifici secondo un sentimento carnale.

49.2. Ma a ragione si pone il quesito se era conveniente indicare simbolicamente i beni futuri anche mediante i sacrifici umani.

Non è che l'immolazione, per questo motivo, di vittime umane, presto o tardi destinate a morire, dovrebbe ispirarci orrore e terrore, se queste vittime votatesi volontariamente con gioia a subire un simile sacrificio acquistassero con ciò presso Dio il premio eterno.

Ma se questo fosse vero, non dispiacerebbe a Dio questo genere di sacrifici; ora invece la medesima Scrittura ci attesta che siffatti sacrifici non gli sono affatto graditi.

Infatti, sebbene avesse voluto e comandato che tutti i primogeniti fossero consacrati a lui e che fossero suoi, volle tuttavia che i primogeniti degli uomini fossero riscattati, ( Es 13, 2.12-13 ) perché non credessero di dover immolare a Dio i propri figli che avessero avuti per primi.

Dio inoltre espone ciò più chiaramente per il fatto che riprova i sacrifici umani in modo da detestarli e proibirli negli altri popoli e da comandare al suo popolo di non osare imitarli.

Quando però - è detto - il Signore tuo Dio avrà sterminato dalla tua presenza le nazioni verso le quali tu entri per ereditare la loro terra lontano dalla tua faccia e li avrai ricevuti in eredità ed abiterai sulla loro terra, guàrdati di cercare di seguirli dopo che saranno stati sterminati lontano dalla tua faccia; non cercherai i loro dèi dicendo: Come queste nazioni agiscono riguardo ai loro dèi, così agirò anch'io.

Tu non agirai così riguardo al Signore tuo Dio; poiché le pratiche abominevoli che il Signore detesta esse le hanno compiute per i loro dèi, poiché bruciano con il fuoco i loro figli e le loro figlie per i loro dèi. ( Dt 12,29-31 )

49.3. Con i suddetti testi della Sacra Scrittura, per non citarne altri di tal genere, che cosa può dimostrarsi con maggiore evidenza che Dio, dal quale questa Scrittura è stata data al genere umano, non solo non si compiace di siffatti sacrifici, per cui vengono immolati degli uomini, ma li odia?

Si compiace invece senza dubbio e premia quei sacrifici quando un giusto, soffrendo con pazienza l'ingiustizia fino alla morte, combatte recisamente per la verità o viene ucciso dai nemici offesi da lui nel difendere la giustizia, rendendo loro bene per male, cioè amore per odio.

È questo il sangue che il Signore chiama " giusto " a cominciare da quello di Abele fino a quello di Zaccaria, ( Mt 23,35 ) ma soprattutto perché versò lui stesso il suo sangue per noi e offrì se stesso come sacrificio a Dio e certamente lo offrì in modo che dai suoi nemici fu ucciso perché difendeva la verità.

Seguendo il suo esempio migliaia di martiri lottarono in difesa della verità fino alla morte e furono immolati dai nemici inferociti.

Di essi la Scrittura dice: Li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come olocausto, ( Sap 3,6 ) e perciò l'Apostolo dice: poiché io sto ormai per essere immolato. ( 2 Tm 4,6 )

49.4. Iefte però di sua figlia non fece un olocausto al Signore in questo modo, ma nel modo in cui era stato comandato di offrire gli animali ed era stato proibito di offrire in sacrificio gli uomini.

Questa azione [ di Iefte ] sembra piuttosto simile a quella compiuta da Abramo, come gli era stato ordinato da Dio con un comando particolare ( Gen 22,2-13 ) non in forza di una legge generale con cui aveva ordinato che gli si offrissero talora sacrifici simili, anzi aveva anche proibito assolutamente che gli fossero offerti.

C'è quindi una differenza tra l'azione compiuta da Iefte e quella compiuta da Abramo, poiché questi offrì il figlio in sacrificio in forza d'un comando, mentre Iefte fece ciò che non solo era proibito dalla legge ma non era stato imposto con alcun ordine particolare.

Dio inoltre non solo in seguito con la sua legge ma anche allora con lo stesso figlio di Abramo dimostrò come non si compiacesse di siffatti sacrifici, quando trattenne il padre - del quale aveva messo alla prova la fede dandogli quell'ordine - dall'uccidere il figlio e gli presentò un ariete con cui compiere lecitamente il sacrificio secondo la consuetudine degli antichi rispondente a quei tempi.

49.5. Se però ciò crea a qualcuno il problema di sapere come mai Abramo poté credere con spirito religioso che Dio si compiacesse di siffatti sacrifici se vengono offerti a Dio in modo illecito e perciò pensa che anche Iefte credette che un simile sacrificio potesse essere gradito a Dio, consideri anzitutto che una cosa è fare un voto spontaneamente, un'altra è ubbidire a uno che comanda.

Poiché se a un servo si comanda qualcosa di contrario al costume stabilito in una casa dal padrone e lo fa con lodevole ubbidienza, non per questo non dev'essere castigato se oserà farlo spontaneamente.

D'altra parte Abramo aveva motivo di credere che non doveva risparmiare il figlio a cagione del supremo comando di Dio, pur non credendo che Dio accettasse con piacere siffatte vittime, ma credendo che gli aveva dato quel comando per risuscitare il figlio ucciso e con ciò dimostrare qualcosa d'importante in quanto Dio sapiente.

A proposito di lui si legge ciò anche nella Lettera intitolata agli Ebrei e se ne loda la fede poiché aveva creduto che Dio avrebbe potuto risuscitare suo figlio. ( Eb 11,17-19 )

Iefte invece, senza che Dio né lo comandasse né lo chiedesse, anzi contro il precetto della legge di Dio promise in voto un sacrificio umano.

Poiché così sta scritto: Iefte fece voto al Signore e disse: " Se metterai nelle mie mani i figli di Ammon e chiunque uscirà dalle porte di casa mia [ per venire ] incontro a me quando tornerò in pace dai figli di Ammon, sarà per il Signore e glielo offrirò in olocausto ".

49.6. Con queste parole non fece di certo il voto di offrire in olocausto un animale che potesse offrire in olocausto secondo la legge; poiché non è né era abituale che ai capitani tornanti vittoriosi dalla guerra andassero incontro degli animali.

Quanto agli animali muti i cani sono soliti correre incontro ai loro padroni ruzzando con lusinghevoli gesti di ossequiosità, ma Iefte non avrebbe potuto pensare ai cani nel fare il suo voto, per non dare l'impressione di aver promesso in voto qualcosa non solo di illecito ma anche di spregevole e di impuro secondo la legge, offendendo così Dio.

E non disse: " qualunque cosa uscirà dalle porte della mia casa incontro a me lo offrirò in olocausto ", ma disse: chiunque uscirà lo offrirò.

Dicendo così non pensò di certo ad altro che a un essere umano, forse tuttavia non alla sua unica figlia.

Sennonché in un momento di tanta gloria per suo padre chi l'avrebbe potuta precedere nel corrergli incontro se non forse la moglie?

Poiché quanto al fatto che non disse: quaecumque [ chiunque, al femminile ], bensì quicumque [ chiunque, al maschile ] uscirà dalle porte della mia casa, la Scrittura suole usare il genere maschile per qualsiasi genere, come a proposito di Abramo che dice: si allontanò dal suo morto, ( Gen 23,3 ) sebbene la morta fosse sua moglie.

49.7. Ora, sembra che la Scrittura non abbia pronunciato alcun giudizio su questo voto e su questo fatto, come invece lo pronunciò assai chiaramente a proposito di Abramo quando offrì in sacrificio il figlio per ordine di Dio, ma l'azione di Iefte l'ha solo lasciata scritta perché fosse giudicata dai lettori; così pure a proposito dell'azione di Giuda, figlio di Giacobbe, quando si unì carnalmente alla sua nuora, senza saperlo - è vero - ma per quanto dipendeva da lui fornicò con lei che egli aveva creduto fosse una meretrice, ( Gen 38,15 ) la Scrittura né l'approvò né la riprovò, ma lasciò che venisse giudicata ed esaminata in base alla giustizia e alla legge di Dio.

Poiché dunque di quell'azione di Iefte la Scrittura di Dio non pronunciò un giudizio né in senso favorevole né in senso contrario, affinché la nostra intelligenza si sottoponesse continuamente a uno sforzo di riflessione nel giudicare, potremmo dire adesso che quel voto dispiacque a Dio e che perciò fu indotto a castigare Iefte facendogli andare incontro proprio l'unica sua figlia, poiché se quello lo avesse sperato e voluto, non si sarebbe stracciato le vesti appena lo vide e avrebbe detto: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei.

Inoltre, pur avendo il padre dato alla figlia una proroga tanto lunga di sessanta giorni, il Signore non gli impedì di uccidere l'unica figlia carissima, come aveva impedito Abramo, fino a quando compiendo il sacrificio promesso in voto diede da se stesso un colpo al suo cuore con la perdita assai grave della figlia, ( Gdc 11,37-39 ) senza tuttavia riuscire a placare affatto Dio con l'immolazione d'una persona umana.

Potremmo perciò dire che il padre fu punito [ per il suo peccato ] in questo modo, perché non fosse lasciato senza castigo l'esempio di un voto di tal crudeltà con la conseguenza che gli uomini avrebbero potuto pensare che promettevano in voto a Dio qualcosa d'importante quando gli facessero voto di offrirgli vittime umane e - cosa più orribile - i propri figli, o che i medesimi voti non fossero veri ma piuttosto delle finzioni, come se coloro che avevano fatto il voto, rifacendosi all'esempio di Abramo, sperassero che Dio avrebbe impedito il compimento di siffatti voti.

49.8. Potremmo - dico - affermare ciò, se non fossimo impediti di pensare così da due testi soprattutto della Sacra Scrittura che ci spingono ad esaminare con maggiore attenzione e a considerare con maggior cautela, per quanto ci aiuterà il Signore, questo avvenimento tramandato alla posterità nei libri di sì grande autorità, per non pronunciare un giudizio temerario né favorevole né contrario.

Uno dei testi [ della Scrittura ] è quello della Lettera agli Ebrei, in cui Iefte è menzionato tra personaggi talmente qualificati che non oso biasimarlo come colpevole; in quel testo sta scritto: E che cosa potrei dire ancora?

Poiché mi manca il tempo per parlare di Gedeone, di Barac, di Sansone, di Iefte, di Davide, di Samuele e dei Profeti, i quali con la fede conquistarono regni, praticando la giustizia, ottennero quanto Dio aveva loro promesso. ( Eb 11,32-33 )

L'altro testo è quello in cui si narrano queste azioni a proposito di lui, che cioè fece un siffatto voto e lo adempì; la Scrittura prima di narrare questo fatto dice: Lo Spirito del Signore scese su Iefte, [ il quale ] percorse Galaad e Manasse, attraverso la vedetta di Galaad [ giunse ] alle spalle degli Ammoniti e Iefte fece un voto al Signore, ( Gdc 11,29-30 ) e tutto il resto relativo al voto, in modo che tutto ciò che avvenne in seguito pare debba interpretarsi come azioni dello Spirito del Signore che era sceso su di lui.

Questi testi ci costringono a ricercare per qual motivo avvenne ciò che avvenne anziché a riprovare il fatto.

49.9. Anzitutto il testo della Lettera agli Ebrei ricordato da me, tra i personaggi degni di lode lì menzionati, ricorda non solo Iefte ma anche Gedeone, del quale la Scrittura dice ugualmente: Allora lo Spirito del Signore rafforzò Gedeone. ( Gdc 6,34 )

Con tutto ciò non solo non possiamo lodare, ma anche, poiché la Scrittura pronuncia un giudizio contrario su di essa, non esitiamo a riprovare la sua azione di aver confezionato con l'oro del bottino l'efud e tutto Israele si prostituì nel seguirlo e divenne motivo di rovina per la casa di Gedeone ( Gdc 8,27 ) ma ciononostante da ciò non deriva alcuna offesa allo Spirito del Signore che lo aveva reso tanto forte che vinse con sì gran facilità i nemici del suo popolo.

Perché allora Gedeone è menzionato tra coloro che in virtù della fede conquistarono regni praticando la giustizia, se non perché la Sacra Scrittura, che ne loda per davvero la fede e la giustizia, non per questo si trattiene dal biasimare davvero anche i peccati se ne conosce alcuni o giudica doveroso riprovarli?

Infatti, anche per il fatto che lo stesso Gedeone tentò Dio con il vello chiedendogli un segno, come disse lui stesso, ( Gdc 6,39 ) non so se non trasgredì il precetto, enunciato dalla Scrittura con la seguente espressione: Non tenterai il Signore Dio tuo. ( Dt 6,16 )

Tuttavia, pur essendo stato tentato, Dio mostrò ciò che voleva predire, cioè con il vello bagnato di rugiada e con l'aia asciutta, tutto all'intorno voleva prefigurare prima il popolo d'Israele, dove si trovavano i santi con la grazia celeste come se fosse una pioggia spirituale, e poi con l'aia bagnata e il vello asciutto prefigurare la Chiesa diffusa in tutto il mondo, la quale possiede la grazia celeste non già nel vello come in un velo, ma in modo manifesto, una volta che il precedente popolo si era allontanato, per così dire, dalla rugiada della medesima grazia e si era essiccato.

Tuttavia non senza ragione egli meritò una testimonianza così esimia nella Lettera agli Ebrei fra i fedeli cooperatori di giustizia a causa della sua vita onesta e fedele, in cui si deve credere che morisse.

49.10. Siccome però, dopo che la Scrittura dice: E su Iefte scese lo Spirito del Signore, racconta immediatamente che fece quel voto, vinse i nemici e mantenne la promessa fatta in voto, non saprei se tutto ciò debba attribuirsi allo Spirito del Signore in modo che anche questo sacrificio debba considerarsi come se il Signore avesse comandato di offrirlo allo stesso modo che era stato ordinato da Abramo.

Poiché a proposito di Gedeone potrebbe essere addotta questa differenza che, dopo il peccato commesso da lui, allorché costruì l'efud al quale si prostituì tutto quanto il popolo, la Scrittura non menziona alcun suo successo, mentre dopo che Iefte fece il voto ne seguì come effetto quella straordinaria vittoria per conseguire la quale aveva fatto il voto e per averla conseguita adempì quanto aveva promesso.

Bisogna dunque osservare di nuovo che Gedeone ottenne la salvezza per il popolo vincendo e sbaragliando i nemici con una grande strage, quantunque non dopo aver fatto l'efod, tuttavia dopo aver tentato il Signore, che di certo è un peccato; la Scrittura infatti dice così: E Gedeone disse al Signore: " Non si adiri contro di me il tuo sdegno e parlerò ancora una sola volta e ancora una sola volta ti tenterò con la prova del vello ". ( Gdc 6,39 )

Aveva infatti paura della collera di Dio poiché sapeva di commettere un peccato con il tentare Dio, come è proibito da Dio in modo assolutamente chiaro nella sua legge. ( Dt 6,16; Mt 4,7; Lc 4,12 )

Tuttavia a questo suo peccato fece seguito un miracolo assai chiaramente manifesto e la felicità d'una vittoria senza uguale che assicurò la salvezza del popolo.

Poiché Dio aveva stabilito già di venire in aiuto al popolo oppresso duramente e si serviva dell'animo non solo fedele e devoto ma anche alquanto difettoso e peccatore di questo capo che aveva scelto per questa impresa e per predire ciò che voleva e per compiere quel che aveva detto.

49.11. Dio infatti concesse al suo popolo molti benefici, non solo per mezzo di questi personaggi i quali, anche se peccarono, sono menzionati tra i giusti, ma perfino per mezzo dello stesso Saul che, pur riprovato in ogni modo, era stato investito dallo Spirito del Signore e aveva profetizzato, e non quando agiva rettamente, ma quando sfogava il suo furore contro Davide. ( 1 Sam 19,20-23 )

Poiché lo Spirito del Signore ciò che decide di fare lo effettua non solo per mezzo dei buoni ma anche per mezzo dei cattivi, per mezzo sia di coloro che lo sanno, sia di coloro che non lo sanno.

Perfino mediante Caifa, il più accanito persecutore del Signore, il quale, senza sapere che cosa stesse dicendo, proferì la famosa profezia che Cristo dovesse morire per la nazione. ( Gv 11,49-51 )

Chi infatti se non lo Spirito del Signore, pensando di predire realtà future, al Giudice Gedeone che voleva tentare il Signore e non credeva a ciò che per suo mezzo gli era stato già detto riguardo alla salvezza del popolo, fece venire in mente [ di chiedere ] proprio la prova del vello prima bagnato e poi asciutto, la prova dell'aia prima asciutta e poi bagnata?

La scarsezza di fede deve essere attribuita alla sua debolezza e dev'essere considerata un suo peccato; al contrario il fatto che Dio si servisse di una siffatta disposizione del suo animo per la realtà che si doveva prefigurare simbolicamente per il genere umano si deve intendere che si riferisce alla misericordia e alla mirabile provvidenza di Dio.

49.12. Se però uno dirà che Gedeone fece e disse tutto consapevolmente per una rivelazione profetica, perché per mezzo di lui fossero mostrati quei tali segni e non mancò di fede e credette ciò che Dio gli aveva già promesso, ma volle tentare Dio mediante un'azione profetica e pertanto il suo atto di tentare Dio non fu colpevole come l'inganno di Giacobbe ( Gen 27,15-16 ) e la frase con cui si rivolge al Signore: Non divampi la tua ira contro di me ( Gdc 6,39 ) non è l'espressione della paura che egli aveva della collera del Signore ma della fiducia che Dio non si sarebbe adirato dal momento che compiva un'azione che, come profeta, pensava doversi compiere avendogliela ispirata lo Spirito Santo; se uno la pensa così, dica pure ciò che gli pare, purché non osi giustificare - quale che sia il suo significato - il fatto dell'efud dicendo che non è un peccato, mentre è biasimato dalla stessa Scrittura.

Poiché si ha l'impressione che fosse stata - per così dire - un'iniziativa presa di proprio arbitrio da Gedeone il fatto che trecento guerrieri, aventi, a causa dello stesso numero, relazione con il segno della croce, presero delle brocche di terracotta e vi nascosero dentro delle fiaccole accese e dopo essere state infrante le brocche le numerose torce accese atterrirono una sì grande moltitudine di nemici: la Scrittura infatti non dice che fosse Dio a spingerlo a fare quell'azione.

Ciononostante chi, se non il Signore, ispirò la sua mente e gli fece prendere quella decisione per compiere un sì gran prodigio?

Il Signore fece comprendere in anticipo con quel simbolo che i suoi santi avrebbero portato il tesoro della luce del Vangelo in vasi di creta, come dice l'Apostolo: Noi però portiamo in noi questo tesoro in vasi di terracotta; ( 2 Cor 4,7 ) nell'atto in cui i santi subivano il martirio, come i vasi spezzati, risplendette più sfolgorante la loro gloria, che vinse gli empi nemici della predicazione del Vangelo con lo splendore di Cristo da essi inaspettato.

49.13. Lo Spirito di Dio quindi effettuò, attraverso fatti simbolici, la predizione e la divulgazione delle realtà future mediante persone sia consapevoli che inconsapevoli al tempo dei Profeti, ( 1 Cor 12,6 ) ma non perciò si deve dire che i loro peccati non erano peccati, perché anche Dio, il quale sa servirsi anche dei nostri mali, si servì altresì degli stessi loro peccati per indicare attraverso simboli ciò che ha voluto.

Di conseguenza se non era peccato fare o compiere il voto di sacrificare sia una persona qualsiasi sia addirittura un membro della propria famiglia, poiché era simbolo di qualcosa d'importante e spirituale, senza ragione Dio proibì e dichiarò di odiare siffatti sacrifici in quanto anche quelli che ordinò di fare sono registrati naturalmente per indicare simbolicamente una particolare realtà spirituale e importante.

E allora perché avrebbe dovuto proibirli, dal momento che a causa del medesimo significato prefigurativo per il quale anch'essi si compivano lecitamente nondimeno potevano essere fatti lecitamente?

L'unica ragione è che i sacrifici umani, che prefigurano qualcosa d'importante, conviene credere che il Signore non li gradisce quando uno non viene ucciso dai nemici a causa della giustizia, poiché ha voluto vivere con rettitudine e non ha voluto commettere il peccato, ma quando una persona viene immolata alla maniera di un animale da un'altra persona come una vittima eccellente.

49.14. Qualcuno potrebbe avanzare un'ipotesi come la seguente: Poiché le vittime di animali, per il fatto stesso che erano diventate abituali, sebbene dalle persone che ne comprendevano bene lo scopo fossero considerate anche esse dirette alla prefigurazioni di realtà spirituali, tuttavia rendevano gli uomini meno attenti a indagare il mistero di Cristo e della Chiesa, e per questo motivo Dio volle destare lo spirito, per così dire addormentato, delle persone, tanto più per il fatto che aveva proibito che gli venissero offerti sacrifici di quella specie; a questo scopo si fece offrire qualcosa di così importante che lo stupore generasse un gran problema, il quale gran problema destasse il desiderio dello spirito timorato di Dio a scrutare in modo approfondito il grande mistero, mentre lo spirito dell'uomo, scrutando alla luce della fede la profondità della prefigurazione profetica, prende, come servendosi dell'amo, il pesce, Cristo Signore dalla profondità della Scrittura.

Noi non ci opponiamo a questa opinione o considerazione.

Ma uno è il problema dell'intenzione di chi fa un voto e un altro problema è quello della provvidenza di Dio che nel modo migliore si serve dell'intenzione, qualunque essa sia, di chi fa un voto.

Ecco perché lo Spirito del Signore che scese su Iefte gli ordinò senz'altro di promettere in voto ciò che la Scrittura in verità non ci manifesta.

Tuttavia se lo ordinò Colui, del quale non è lecito disprezzare i comandi, non solo non si deve accusare l'insipienza, ma si deve lodare anche l'obbedienza.

Poiché ciò che certamente è illecito fare per volontà e decisione umana, anche se una persona si uccide dobbiamo pensare senza dubbio che si fa per obbedienza anziché con scellerataggine qualora sia comandata da Dio.

Questo problema lo abbiamo discusso sufficientemente nel primo libro de La città di Dio.2

Se invece Iefte, seguendo un errore umano, pensò di dovere offrire un sacrificio umano, il suo peccato relativo a sua figlia fu, sì, punito giustamente - come sembra bene mostrare anche lui con le sue parole, quando dice: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei!, e stracciandosi anche le vesti - tuttavia anche questo suo errore merita una certa lode per la fede con la quale ebbe il timore di Dio mantenendo la promessa fatta con il voto, e non cercò di allontanare da sé la sentenza del giudizio di Dio contro di lui, sia sperando che Dio lo avrebbe trattenuto, come aveva fatto con Abramo, sia decidendo di compiere la volontà di Dio pensando anche che non lo avrebbe trattenuto, anziché disprezzarla.

49.15. Sennonché anche qui ci si può domandare con ragione se è più conforme alla verità pensare che Dio non vuole si faccia un tale sacrificio e così l'obbedienza a Dio consisterebbe piuttosto nel non offrirlo, poiché Dio aveva mostrato di non volere quella sorta di sacrifici sia riguardo al figlio di Abramo, ( Gen 22,12 ) sia con la proibizione promulgata nella legge.

Tuttavia, se Iefte si fosse astenuto dall'offrire il sacrificio per questo motivo, avrebbe dato l'impressione di aver avuto riguardo per la propria persona risparmiando la propria figlia anziché di aver osservato la volontà di Dio.

Per il fatto che gli andò incontro la figlia comprese sempre meglio che Dio lo puniva e, con spirito di fede, si sottomise al giusto castigo temendo una punizione ancora più rigorosa a causa della sua - diciamo così - esitazione.

Iefte infatti credeva anche che l'immolazione della figlia, virtuosa e vergine, sarebbe stata gradita a Dio, poiché non era stata lei stessa a far voto di essere sacrificata, ma non si era opposta al voto e alla volontà del padre e si era sottomessa al decreto di Dio.

Come infatti nessuno deve darsi di propria volontà la morte, né dev'essere procurata a nessuno per volontà altrui, così non si deve rifiutare, se lo comanda Dio, per decreto del quale può capitarci in qualunque momento; nessuno che rifiuta di sopportarla fatica per evitarla assolutamente ma cerca solo di ritardarla.

49.16. Cerchiamo ora di esaminare ed esporre brevemente, con l'aiuto di Dio, che cosa lo Spirito del Signore, con questa azione, volle prefigurare per mezzo di Iefte ( che fosse o non fosse consapevole ), per mezzo della sua imprudenza o della sua ubbidienza, per mezzo della sua offesa o della sua fede.

Poiché questo passo delle Sacre Scritture ci richiama alla mente e ci spinge in certo qual modo a ben considerare un personaggio forte e valoroso.

Tale infatti è detto dalla Scrittura Iefte, il cui nome significa " colui che apre "; orbene Cristo,nostro Signore, come ci mostra il Vangelo, ( Lc 24,27 ) ai suoi discepoli aprì la mente perché capissero le Scritture. ( Lc 24,45 )

I suoi fratelli rifiutarono questo Iefte e lo cacciarono dalla casa paterna, rinfacciandogli di essere figlio di una prostituta, ( Gdc 11,2-3 ) come se essi fossero nati da una moglie legittima.

Così fecero contro il Signore anche i capi dei sacerdoti, gli scribi e i farisei che davano l'impressione di vantarsi di osservare la legge come se egli, invece, distruggesse la legge ( Gv 8,41 ) e perciò come se non fosse un figlio legittimo.

Inoltre, sebbene egli avesse preso il corpo dalla Vergine certamente santa, come sanno bene i fedeli, tuttavia sua madre, per quanto riguarda il popolo, può chiamarsi anche la sinagoga giudaica.

Chi lo vorrà legga i Libri profetici e veda quante volte e con quali espressioni severe e con quanto sdegno del Signore quel popolo sia accusato delle sue fornicazioni.

A questo riguardo in questo libro c'è anche quanto abbiamo letto poco prima, non solo, cioè, che tutta Israele si prostituì al seguito dell'efud confezionato da Gedeone, ( Gdc 8,27 ) ma anche che seguirono gli dèi dei popoli dei quali erano circondati. ( Gdc 8,33 )

Da questi peccati fu eccitata la collera di Dio di modo che per diciotto anni furono oppressi dai figli di Ammon. ( Gdc 10,6-8 )

Ma non erano forse nati dal medesimo popolo d'Israele anche i sacerdoti, scribi e farisei, nei quali erano prefigurati coloro che perseguitarono e scacciarono Iefte come se fosse un bastardo, allo stesso modo che trattarono Cristo Signore?

Ma il significato simbolico relativo a Iefte è adombrato nel fatto che a questi tali - come ho detto - credendosi i veri osservanti della legge, sembrò di aver fatto un'azione giusta a scacciare come bastardo Colui che a loro, che si ritenevano legittimi, sembrava che agisse contro i precetti della legge.

In realtà quella nazione è accusata di fornicare poiché, non osservando i precetti della legge non dimostravano - per così dire - la fedeltà [ a Dio ] suo sposo.

49.17. Di Iefte la Scrittura dice anche: I figli nati dalla moglie legittima crebbero e cacciarono via Iefte. ( Gdc 11,2 )

Il verbo qui usato crebbero preso in senso simbolico significa " ebbero il sopravvento ", cosa che si avverò per quanto riguarda i Giudei, i quali prevalsero sulla debolezza di Cristo, poiché questi volle sopportare ciò che doveva soffrire da parte loro nella passione; il medesimo significato simbolico ebbe il fatto che Giacobbe riuscì a superare l'angelo con il quale lottava allo scopo di preannunciare lo stesso mistero. ( Gen 32,24-28 )

I fratelli dissero dunque a Iefte: Tu non avrai parte nell'eredità di nostro padre, poiché sei figlio di una prostituta, ( Gdc 11,2 ) come se dicessero ciò che dice il Vangelo: Quest'uomo non viene da Dio, poiché non osserva il Sabato; ( Gv 9,16 ) essi invece, vantandosi come se fossero figli legittimi, dissero al Signore: Noi non siamo nati da una prostituta; abbiamo un solo padre, Dio. ( Gv 8,41 )

Iefte allora fuggì lontano dai suoi fratelli e si stabilì nel paese di Tab. ( Gdc 11,3 )

Fuggì in quanto nascose la propria grandezza, fuggì in quanto si nascose a coloro che vedevano la debolezza di lui che moriva, ma non videro la potenza di lui che resuscitava; poiché, se lo avessero conosciuto, giammai avrebbero crocifisso il Signore della gloria. ( 1 Cor 2,8 )

Si stabilì però in una terra buona, anzi, per dirlo con maggior precisione, " ricca e ferace ", poiché ciò, che in greco si dice άγαθόν [ buono ], in latino significa " ricca e felice ", e questo è il significato di Tob [" buono " ].

Mi sembra che queste parole si debbano intendere della risurrezione di Cristo.

Perché quale terra è più felice del corpo terreno rivestito della eminente condizione d'immortalità e d'incorruzione? ( 1 Cor 15,53-54 )

49.18. Quanto poi a ciò che la Scrittura dice di Iefte, che cioè dopo essere fuggito lontano dai suoi fratelli ed essersi stabilito nella terra di Tob, si raccolsero presso di lui dei predoni e andavano con lui ( Gdc 11,3 ) [ si ricordi che ] sebbene anche prima della passione fosse stato rinfacciato al Signore il fatto di mangiare con i publicani e i peccatori, quando rispose che non hanno bisogno del medico i sani ma gli ammalati, ( Mt 9,11-12 ) e fu annoverato tra gli iniqui, ( Is 53,12 ) quando fu crocifisso tra i briganti e uno di loro lo trasferì dalla croce al paradiso, ( Lc 23, 33.43 ) tuttavia dopo che risuscitò e cominciò a stare nella terra di Tob secondo la spiegazione da noi data sopra, si unirono presso di lui gli scellerati che cercavano la remissione dei peccati e andarono con lui poiché vivevano in conformità con i suoi precetti.

Ma ciò non smette di accadere finora e continuerà ad accadere fino a quando si rifugiano da lui i malvagi affinché egli giustifichi gli empi che tornano a lui, e i malvagi imparino le sue vie. ( Sal 51,15 )

49.19. Orbene il fatto che coloro i quali avevano scacciato Iefte - era anche un Gaaladita - si rivolsero a lui e cercarono di essere liberati dai loro nemici per suo mezzo, con quanta evidente prefigurazione simboleggia che coloro i quali rigettarono il Cristo, tornando a lui trovano la salvezza.

Si può pensare che questi siano coloro che l'apostolo Pietro avendoli accusati del medesimo peccato, come si legge negli Atti degli Apostoli, ( At 2,22-37 ) ed esortati di convertirsi a Colui che avevano perseguitato, si sentirono come trafitti nel cuore e desiderarono di aver la salvezza da Colui che essi avevano respinto - che cosa infatti vuol dire essere liberati dai nemici se non essere liberati dai peccati?

Poiché Pietro così disse loro: Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome del Signore Gesù Cristo; e vi saranno perdonati i vostri peccati ( At 2,38 ) -, o piuttosto si può pensare sia simboleggiata la chiamata del popolo d'Israele che si spera alla fine del mondo. ( Rm 11,25-26 )

Sembra infatti che si tratti piuttosto di quella " chiamata " per il fatto che l'agiografo dice: e avvenne dopo i giorni, ( Gdc 11,4 ) che per certo significa dopo un certo tempo, e perciò ci fa vedere che non si deve intendere il tempo successivo immediatamente dopo la passione del Signore, ma quello che verrà in seguito.

A ciò sembra riferirsi anche il fatto che gli anziani di Galaad andarono da Iefte ( Gdc 11,5-10 ) perché per età senile si debbano intendere i tempi successivi e ultimi.

Galaad infatti significa " colui che rigetta " o " rivelazione ".

Tutt'e due questi fatti si confanno a pennello all'oggetto figurato, poiché prima rigettarono il Cristo, il quale però in seguito sarà loro rivelato.

49.20. Quanto invece al fatto che Iefte era richiesto come comandante contro i figli di Ammon, ( Gdc 11,6 ) una volta sconfitti i quali sarebbero stati liberati coloro che desideravano combattere contro di loro sotto il comando di Iefte, poiché Ammon significa " figlio del popolo mio " o " il popolo del dolore ", senza dubbio sono simboleggiati o quei nemici dei quali era stato predetto che si sarebbero ostinati nell'infedeltà, o tutti quanti senza eccezione i predestinati alla geenna dove per loro sarà il pianto e lo stridore dei denti, ( Mt 25,30 ) come se appartenessero al popolo della tristezza.

Sennonché può intendersi come " popolo del dolore " anche il diavolo e i suoi angeli sia perché procurano l'eterna infelicità per le persone ingannate da loro sia perché essi stessi sono destinati all'eterna infelicità.

49.21. In modo sicuramente appropriato per indicare assai più chiaramente la profezia così Iefte rispose agli anziani di Galaad: Non siete forse voi che mi avete odiato e m'avete cacciato dalla casa di mio padre e mi avete mandato via lontano da voi?

E perché siete venuti ora che siete angosciati? ( Gdc 11,7 )

Qualcosa di simile fu simboleggiato a proposito di Giuseppe, che i fratelli vendettero allontanandolo da loro ( Gen 37,28 ) e quando erano afflitti dalla fame si rivolsero al suo aiuto e alla sua misericordia. ( Gen 42,6 )

Nel caso di Iefte però si manifesta molto più chiaramente il significato allegorico delle realtà future poiché si recarono da Iefte non proprio gli stessi fratelli che lo avevano scacciato ma gli anziani di Galaad, supplicandolo a nome di tutto il popolo.

Allo stesso modo si chiama Israele l'insieme della medesima stirpe, sia che si tratti di coloro che vivevano al tempo di Cristo e lo rigettarono, sia che si tratti di coloro che in seguito si rivolsero a lui per implorare il suo aiuto.

Poiché a un popolo nemico che conserva e si trascina dietro il lungo odio [ contro Cristo ] ereditato sia dagli antenati sia dalla generazioni posteriori, a questo popolo, che alla fine si sarà convertito nella persona di quelli che allora dovranno convertirsi, è detto: Non siete stati forse voi a odiarmi e a cacciarmi dalla casa di mio padre?

In effetti a coloro che lo perseguitarono sembrò giusto scacciare Cristo dalla casa di Davide, in cui il suo regno non avrà fine. ( Lc 1,33 )

49.22. Gli anziani di Galaad risposero a Iefte: Non è così, ora siamo venuti da te. ( Gdc 11,8 )

E come se i Giudei convertiti a Cristo gli dicessero: Allora venimmo per perseguitarti, ora invece per seguirti.

Dichiararono apertamente anche che sarà lui il loro capitano contro i nemici.

Egli risponde che sarà il loro capo se vincerà i loro nemici, ( Gdc 11,8-9 ) cosa che Gedeone non volle, quando lo avevano voluto gli Israeliti, poiché rispose loro: Vostro capo sarà il Signore, ( Gdc 8,23 ) poiché sotto il termine capo s'intende il re, dignità che quel popolo ancora non aveva al tempo dei Giudici, ma cominciarono ad averla con Saul ( 1 Sam 10,1 ) e in seguito con i suoi successori che si leggono nel Libro dei Re.

Infatti nel Deuteronomio, quando si ordina al popolo quale specie di re debba avere, qualora ad essi piacerà averlo, non viene chiamato re ma capo.3

Ma siccome questo Iefte era una figura di Colui che è il vero re - come stava scritto nell'iscrizione affissa sulla croce, che Pilato non osò cancellare o correggere ( Gv 19,19-22 ) -, perciò si deve pensare che fu detto: Io sarò vostro re. ( Gdc 11,9 )

Quelli invece avevano detto: Sarai nostro capo ( Gdc 11,8 ) poiché capo dell'uomo è Cristo, ( 1 Cor 11, 3 ) ed egli è il Capo del corpo della Chiesa. ( Ef 5, 23 )

Finalmente, dopo averli liberati da tutti i nemici Iefte non fu fatto re perché comprendessimo che l'espressione usata dalla Scrittura riguardo a Iefte era una predizione riguardante piuttosto Cristo che propriamente Iefte in persona, l'esposizione delle cui gesta la Scrittura la conclude così: Iefte fu giudice in Israele per sei anni.

Iefte il Galaadito morì poi e fu sepolto nella sua città di Galaad. ( Gdc 12,7 )

Egli dunque giudicò Israele come tutti gli altri Giudici; lì non regnò come un sovrano, come quelli contenuti nei Libri dei Re.

49.23. Ora poi nel fatto che il medesimo Iefte, dopo essere stato costituito capo, inviò prima ai nemici messaggeri recanti dichiarazioni di pace ( Gdc 11,11 ) si mostra quanto dice l'Apostolo, per mezzo del quale parlava Cristo: Per quanto è possibile e dipende da voi vivete in pace con tutti gli uomini. ( Rm 12,18 )

Ma siccome ho fretta sarebbe troppo lungo esporre a fondo tutte le parole stesse che Iefte ordinò ai messaggeri di riferire: tuttavia, per quanto riguarda il loro senso profetico delle realtà future mi sembra siano da intendere in modo da riconoscere in esse l'insegnamento di Cristo che ci ammonisce come dobbiamo comportarci, vale a dire vivere tra coloro i quali non sono stati chiamati [ alla salvezza ] secondo il progetto di Dio, ( Rm 8,28 ) poiché il Signore conosce quelli che sono suoi. ( 2 Tm 2,19 )

49.24. Oltre a ciò il fatto che su Iefte venne lo Spirito del Signore quando si accingeva a sbaragliare i nemici ( Gdc 11,29 ) è simbolo dello Spirito Santo partecipato ai membri di Cristo.

49.25. Il fatto poi che Iefte percorse Galaad e Manasse e passò per la vedetta di Galaad e dalla vedetta di Galaad raggiunse alle spalle gli Ammoniti, ( Gdc 11,29 ) è simbolo del progresso che fanno le membra [ del corpo ] di Cristo per conseguire la vittoria sui nemici.

Galaad infatti significa " dispregiatore " e Manasse " necessità ".

Da coloro che progrediscono devono quindi essere superati i dispregiatori cioè coloro che disprezzano e dev'essere superata anche la necessità perché non avvenga che passando chi sopravanza gli spregiatori si arrenda a coloro che incutono paura; si deve superare anche la vedetta di Galaad, poiché Galaad significa anche " rivelazione ".

Una vedetta è un luogo eminente da cui si possa vedere in lontananza o guardare dall'alto verso il basso, cioè guardare dal di sopra.

Per questo mi sembra che la vedetta di Galaad simboleggi la superbia della rivelazione e perciò l'Apostolo dice: E io non monti in superbia per le grandi rivelazioni che ho ricevuto. ( 2 Cor 12,7 )

Anche essa dunque si deve sorpassare, cioè non si deve perdurare in essa per il pericolo di cadere.

Superati questi ostacoli facilmente si superano i nemici come indica la frase che segue: e dalla vedetta di Galaad arrivò alle spalle dei figli di Ammon, i nemici di cui abbiamo parlato sopra.

49.26. Iefte fece allora un voto [ a Dio ] dicendo: Se consegnerai nelle mie mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalle porte della mia casa incontro a me quando tornerò in pace dai figli di Ammon, apparterrà al Signore e glielo offrirò in olocausto. ( Gdc 11,30-31 )

Qualunque fosse la persona a cui Iefte pensava in questo passo secondo il pensiero umano non sembra che pensasse all'unica sua figlia, altrimenti nel vedersela venire incontro non avrebbe detto: Ahimé, figlia mia, mi hai messo in un impaccio, un inciampo sei divenuta agli occhi miei. ( Gdc 11,35 )

Poiché Iefte dice: mi hai messo in un impaccio come ad indicare di essere impedito dal mantenere ciò che aveva pensato di offrire.

Iefte però, che non aveva altri figli, chi avrebbe potuto pensare che gli sarebbe uscito incontro per primo?

Aveva forse pensato a sua moglie? Ma Dio non volle forse che non solo non avvenisse ciò, ma anche che non restasse senza castigo affinché in seguito non osasse farlo nessuno e mediante la sua grande provvidenza anche con ciò stesso che accadde prefigurasse il mistero della Chiesa?

Il significato profetico risulta quindi formato da due fatti: sia da ciò che Iefte pensò nel fare il voto sia da ciò che gli capitò contro la sua volontà.

Se infatti pensò alla sposa, la sposa di Cristo è la Chiesa; perciò l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua donna e saranno due in una carne sola.

Questo è un grande mistero - dice l'Apostolo - e lo dico riguardo a Cristo e alla Chiesa. ( Ef 5,31-32 )

Ma siccome la moglie di questo Iefte non poteva essere vergine, nel fatto che invece della moglie gli andò incontro la figlia e non restò invendicata, è prefigurata l'audacia di chi fa voto d'un sacrificio proibito e la verginità della Chiesa.

Inoltre non è in contrasto con la verità che anche nel nome di "figlia" è simboleggiata la medesima Chiesa; poiché di chi altri era figura quella donna che era stata guarita dopo aver toccato l'orlo del vestito del Signore che le disse: Figlia, la tua fede ti ha salvata; va' in pace? ( Mt 9,20-22 )

Di certo poi, in una espressione di cui nessuno può dubitare, il Signore in persona chiamò figli dello sposo i suoi discepoli indicando assai chiaramente di essere lui lo sposo: I figli dello sposo - disse - non possono digiunare finché è con loro lo sposo.

Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà tolto loro e allora digiuneranno. ( Mt 9,15 )

Sarà dunque un olocausto la Chiesa che il beato Apostolo chiama vergine casta ( 2 Cor 11,2 ) quando nella risurrezione universale dei morti avverrà quanto sta scritto: La morte è stata ingoiata per la vittoria; ( 1 Cor 15,54 ) allora consegnerà il regno a Dio e al Padre; ( 1 Cor 15,24 ) questo regno è la stessa Chiesa, il re era raffigurato da colui che aveva fatto il voto.

Ora, poiché ciò succederà quando sarà compiuta la sesta età del mondo, per ciò fu chiesta una dilazione di sessanta giorni per piangere la sua verginità. ( Gdc 11,37 )

In effetti la Chiesa è formata da persone di tutte queste sei età del mondo.

La prima va da Adamo al diluvio, la seconda dal diluvio, cioè da Noè, fino ad Abramo, la terza da Abramo fino a Davide, la quarta da Davide alla deportazione di Babilonia, la quinta da questa deportazione fino al parto della Vergine, la sesta dalla nascita di Cristo alla fine di questo mondo.

Durante queste età, come se si trattasse di sessanta giorni, la Chiesa, questa vergine santa, pianse la sua verginità; poiché, nonostante la sua verginità, aveva dei peccati da piangere, a causa dei quali questa vergine dice [ al Signore ]: e rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

Secondo me l'agiografo preferì chiamare due mesi quei sessanta giorni a causa di due uomini: l'uno per mezzo del quale è venuta la morte, l'altro per mezzo del quale è venuta la risurrezione dei morti; ( 1 Cor 15,21 ) a causa dei quali due uomini si parla anche dei due Testamenti.

49.27. Quanto invece al fatto che nacque in Israele l'usanza che [ le ragazze ] si radunavano di tempo in tempo quattro giorni all'anno per celebrare il lamento della figlia di Iefte, ( Gdc 11,39-40 ) io non penso che quanto avvenne dopo l'offerta dell'olocausto sia simbolo di qualcosa relativo alla vita eterna, ma lo sia ai tempi passati della Chiesa, nei quali erano felici coloro che piangono. ( Mt 5,4 )

Con l'espressione spazio di quattro giorni è raffigurata invece la universalità della Chiesa a causa delle quattro parti del mondo, nelle quali si è diffusa per lungo e per largo.

Per quanto però attiene al significato proprio della storia, non credo che furono gli Israeliti a stabilire una tale usanza salvo che comprendessero che in quel caso si era manifestato il giudizio di Dio reso manifesto a tutti piuttosto per punire il padre affinché in seguito nessuno osasse fare il voto di offrire un siffatto sacrificio.

Poiché per qual motivo si sarebbe istituito un lutto e un lamento, se questo voto fosse stato un voto di allegrezza?

49.28. Se però deve riferirsi al giudizio finale di Dio anche il fatto che il popolo di Efraim fu in seguito vinto da Iefte, ( Gdc 12,4-6 ) come dice lo stesso Signore: [ quanto poi ai miei nemici ] quelli che non volevano che io regnassi su di loro conduceteli qua e uccideteli alla mia presenza, ( Lc 19,27 ) quei quarantaduemila che caddero [ in quella battaglia ] non sono menzionati senza un motivo. ( Gdc 12,6 )

Poiché allo stesso modo che i due mesi a causa dei sessanta giorni sono simbolo del numero sei delle sei età del mondo, così anche qui il numero sette moltiplicato per sei è simbolo della medesima realtà per quanto riguarda le sei età del mondo, poiché sei per sette fa quarantadue.

Inoltre lo stesso Iefte non senza una ragione fu giudice del popolo per sei anni. ( Gdc 12,7 )

50. ( Gdc 13,4 ) Perché vietato il vino alla madre di Sansone incinta

Possiamo domandarci come mai alla madre di Sansone, che era sterile, nell'annunciarle che avrebbe avuto un figlio, l'angelo disse: Ma ora sta' attenta e non bere vino e siero, non mangiare sostanze impure.

Che cosa infatti si deve intendere per ciò che è impuro?

Non si deve forse intendere il rilassamento della disciplina che era cominciata ad introdursi in Israele e li aveva indotti a mangiare anche quelli che Dio aveva proibito tra le diverse specie di animali? ( Dt 14, 3ss )

Perché infatti non si potrebbe pensare che gli Israeliti potessero essere molto più propensi a fare anche ciò, dato che trasgredivano la legge di Dio fino ad adorare anche gli idoli?

51. ( Gdc 13,6 ) La madre di Sansone non rivela al marito tutto l'annuncio dell'angelo

Quanto al fatto che la madre di Sansone, indicando a suo marito come l'angelo le annunciò la nascita del figlio, gli disse: Gli ho chiesto d'onde venisse e non mi ha detto il suo nome, si può domandare se disse la verità, poiché ciò non si legge nel passo in cui si dice che l'angelo le parlò.

Si deve però pensare che la Scrittura lì passò sotto silenzio questo particolare ma qui ricorda ciò di cui lì non aveva parlato.

Anche il fatto che la madre di Sansone non dice: "gli ho chiesto come si chiamava, ma non mi ha detto il suo nome", ma dice: gli ho chiesto d'onde venisse, non sembra accordarsi con quel che segue: ma non mi disse il suo nome.

Essa infatti, domandandogli di dove era, non gli aveva chiesto quale fosse il suo nome, ma qual era la sua patria o città, pensando che fosse un uomo.

In realtà essa lo aveva chiamato anche uomo di Dio, tuttavia simile a un angelo per il suo aspetto e per il suo contegno.

Cioè, poiché aveva visto in lui una persona splendida, come poi essa raccontò.

Se però la frase si separasse così: e gli chiesi di che paese fosse e come si chiamasse, sottintendendo "gli chiesi" facendo poi seguire non me lo disse, non c'è problema, poiché l'espressione non me lo disse si può riferire a tutte e due le cose, cioè [ "non mi disse" ] né di che paese fosse né come si chiamasse.

52. ( Gdc 13, 7.5 ) Sansone e il nazireato

Parimenti non si legge [ nella Scrittura ] quanto la medesima donna dice esserle stato detto dall'angelo, e cioè: Poiché il bambino sarà nazareno da quando sarà nel [ mio ] ventre fino alla sua morte, mentre non è ricordata dalla donna la frase che vi leggiamo detta dall'angelo: Egli prenderà a salvare Israele dall'oppressione dei Filistei.

Essa pertanto da una parte non omise di dire qualcosa che aveva udito e dall'altra parte tuttavia si deve pensare che non riferì nulla che non aveva udito, ma che piuttosto la Scrittura non riferisce tutte le parole dell'angelo quando nel racconto lo fa intervenire a parlare con la donna.

L'angelo perciò poi dice: Da quando sarà nel ventre fino alla morte, poiché nella Legge venivano chiamati nazirei coloro che avevano fatto un voto per uno spazio di tempo conforme le prescrizioni che la Scrittura riferisce date per mezzo di Mosè. ( Nm 6,2-21 )

Di qui deriva l'ordine ingiunto a Sansone che il rasoio non si accostasse ai suoi capelli e non bevesse né vino né liquori.

Sansone osservò per tutta la sua vita le prescrizioni che osservavano in determinati giorni coloro che erano chiamati nazirei che avevano fatto il voto [ di nazireato ] e lo adempivano.

53. ( Gdc 13,15-16 ) Sacrificio ed olocausto

Per il fatto che la Scrittura dice: Poiché Manoe non aveva compreso che era un angelo di Dio, è evidente che anche sua moglie aveva creduto che fosse un uomo.

Dicendogli dunque: Adesso permettici di trattenerti e di prepararti un capretto alla tua presenza, lo invitò come se fosse un uomo, però per mangiare con lui il sacrificio che avrebbe fatto.

Poiché " preparare un capretto " non si usa dire se non quando si fa un sacrificio.

L'angelo infine gli rispose: [ Anche ] se mi tratterrai presso di te con la forza, non mangerò i tuoi cibi.

Con ciò mostra che era stato invitato a mangiare. Di poi aggiunge: E se farai un olocausto offrilo al Signore.

Disse: se farai un olocausto precisamente perché Manoe aveva detto: permetti che prepariamo in tua presenza un capretto.

Ma non ogni sacrificio era un olocausto; dell'olocausto infatti non si mangiava nulla, perché si bruciava interamente, e perciò si chiamava olocausto.

Ma l'angelo, anche se avrebbe rifiutato di mangiare, esortò piuttosto a fare un olocausto, non per lui tuttavia, ma al Signore, soprattutto perché in quel tempo il popolo d'Israele s'era abituato a offrire sacrifici a qualunque falsa divinità e per questo avevano offeso Dio anche allora e di conseguenza fu consegnato nelle mani dei nemici per quarant'anni. ( Gdc 13,1 )

54. ( Gdc 13,16-23 ) Il quesito se gli uomini pensavano che nell'angelo fosse Dio o chiamavano Dio lo stesso angelo

Che significa ciò che dice Manoe a sua moglie: Morremo di sicuro poiché abbiamo visto Dio dopo che l'angelo, che parlava con loro, s'era manifestato ad essi?

Naturalmente a causa della massima scritta nella Legge, che dice: Nessuno può vedere il mio volto e vivere. ( Es 32,20 )

Come uomini credevano dunque di avere visto Dio per effetto di un miracolo davvero tanto grande poiché colui, che prima parlava con loro somigliante ad un uomo, ascese [ al cielo ] con la fiamma del sacrificio.

Ma era forse Dio colui che essi riconoscevano nell'angelo oppure chiamavano "angelo" Dio stesso?

Poiché sta scritto così: Allora Manoe prese il capretto e l'offerta [ di farina ] e li offrì sopra una pietra al Signore che compie prodigi; Manoe e sua moglie stavano a guardare.

Ora avvenne che, mentre la fiamma saliva al di sopra dell'altare verso il cielo, l'angelo del Signore salì con la fiamma.

Manoe e la moglie stavano guardando e caddero con la faccia a terra.

E l'angelo del Signore scomparve alla vista di Manoe e di sua moglie.

Manoe comprese allora che quello era l'angelo del Signore, e Manoe disse a sua moglie: " morremo senz'altro, poiché abbiamo visto Dio ".

Siccome in queste ultime parole Manoe non disse: " moriremo senz'altro poiché abbiamo visto l'angelo del Signore ", ma: abbiamo visto Dio, sorge il quesito se pensavano che nell'angelo fosse Dio o chiamavano Dio lo stesso angelo.

Non si può infatti supporre come terza probabilità che avessero creduto essere Dio colui che era un angelo in quanto la Scrittura dice molto chiaramente: Manoe comprese allora che era un angelo del Signore.

Per qual motivo dunque avevano paura di morire?

La Scrittura infatti nell'Esodo non aveva detto: " nessuno vede il volto di un angelo e vivrà ", ma il mio volto riferendo le parole di Dio.

Oppure, per il fatto stesso che Manoe nella presenza dell'angelo aveva riconosciuto Dio, era rimasto talmente turbato da aver paura di morire?

Poiché però la moglie gli rispose: Se il Signore avesse voluto farci morire, non avrebbe accettato dalle nostre mani né l'olocausto e il sacrificio, né ci avrebbe fatto assistere a questo spettacolo, e con ci avrebbe fatto udire tutte queste cose, pensarono forse che era stato l'angelo a ricevere il sacrificio per il fatto che lo avevano visto ascendere con la fiamma dell'altare oppure pensarono che accettò il sacrificio il Signore per il fatto che l'angelo fece in quel modo allo scopo di mostrarsi angelo?

Ma qualunque di queste ipotesi sia quella giusta, l'angelo aveva tuttavia già detto: se però farai un olocausto, lo offrirai al Signore, cioè: non a me, ma al Signore.

Quanto dunque al fatto che l'angelo salì al cielo con la fiamma dell'altare sembra che sia piuttosto da intendere nel senso che fosse simbolo dell'angelo del gran consiglio ( Is 9,6 ) nella natura di servo, ( Fil 2,7 ) cioè nell'uomo che egli avrebbe assunto e che non avrebbe accettato il sacrificio, ma sarebbe stato lui stesso il sacrificio.

55. ( Gdc 15, 8.15 ) Sulla frase: Sansone percosse gli stranieri la tibia sul femore

Che significa l'espressione della Scrittura secondo la quale Sansone percosse gli stranieri la tibia sul femore?

Chi infatti ha la tibia sopra il femore dal momento che la tibia va dal ginocchio in giù fino al calcagno?

Inoltre se indicasse la parte del corpo in cui Sansone li colpì, forse che coloro, che egli percosse, erano stati colpiti tutti in una sola parte del corpo?

Se ciò fosse probabile, potremmo forse immaginare che egli combattesse servendosi dello stinco di qualche animale a guisa di clava e con esso li colpisse sul femore, allo stesso modo che la Scrittura narra di lui che uccise mille uomini con una mascella d'asino.

Ma, come ho detto, non è neppure probabile che nel combattimento stesse a badare a una sola parte del corpo per colpire quegli uomini; d'altra parte la Scrittura non dice: " li colpì con la tibia sul femore ", ma: colpì la tibia sopra il femore.

Naturalmente questo modo di esprimersi rende oscuro il senso della frase.

In questo modo è come se dicesse: Li percosse in modo assai straordinario, cioè in modo che, colpiti da stupore per la meraviglia, misero la tibia d'un piede sul femore dell'altro, come sono soliti stare seduti coloro che sono sbalorditi per la meraviglia.

È come se dicesse: " Li colpì la mano alla guancia ", cioè li colpì con una strage sì grande che si misero la mano alla guancia per il doloroso stupore.

Anche la traduzione fatta dall'ebraico mostra assai chiaramente che si tratta di questo senso, poiché dice così: E li percosse con una così grande strage che per lo stupore misero la gamba sopra il femore.

È come se dicesse: " misero la tibia sul femore ", poiché il polpaccio è senz'altro la parte posteriore della gamba con la tibia.

56. ( Gdc 15,12 ) Che significa ciò che Sansone dice agli uomini di Giuda

Che significa ciò che Sansone dice agli uomini di Giuda: Giuratemi che non mi ucciderete voi stessi, consegnatemi loro, perché non siate voi stessi a venirmi incontro?

Alcuni hanno tradotto questa frase così: perché non veniate contro di me voi stessi.

Ma che egli disse così per non essere ucciso da loro lo indica ciò che sta scritto nel Libro dei Re, quando Salomone ordinò che fosse ucciso un uomo dicendo: Va', va' incontro a lui. ( 1 Re 2,29 )

Questa frase non si comprende per il fatto che tra noi non si usa esprimerci così.

Poiché quando le autorità militari dicono: " Va', toglilo di mezzo ", espressione che significa " uccidilo ", chi potrebbe capirne il significato, se non chi conosce l'uso di tale modo di dire?

Anche tra noi il volgo suole dire: " gli abbreviò la vita " che significa " lo uccise "; ma non comprende l'espressione nessuno, se non chi è abituato a sentirla.

Poiché la caratteristica generale di tutte le espressioni idiomatiche, come quella di tutte le lingue, è che non sono comprese se non s'imparano a forza di sentirle dire o di leggerle.

Indice

2 De civ. Dei 1,21
3 Dt 17, 14;
Quest. 5,26