Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se esistano dei corpi attivi

C. G., III, c. 69; De Verit., q. 5, a. 9, ad 4; De Pot., q. 3, a. 7

Pare che non esistano dei corpi attivi.

Infatti:

1. S. Agostino [ De civ. Dei 5,9 ] dice che « nella realtà esiste qualcosa di passivo e non attivo, come sono i corpi, qualcosa di attivo e non passivo, come è Dio, e qualcosa di attivo e di passivo, come sono le sostanze spirituali ».

2. Se si eccettua il primo agente, tutti gli altri agenti per agire hanno bisogno di un soggetto che riceva la loro azione.

Ma non esiste una sostanza che possa ricevere l'azione della sostanza corporea, dato che questa occupa l'ultimo gradino nella scala degli enti.

Quindi la sostanza corporea non è attiva.

3. Ogni sostanza corporea è circoscritta dalla quantità.

Ma la quantità ostacola il movimento e l'azione della sostanza, poiché la chiude e la sostanza è immersa in essa: come l'aria che diventa nuvolosa diventa incapace di ricevere la luce.

E segno di ciò è il fatto che quanto più aumenta la quantità di un corpo, tanto più questo si fa pesante e tardo nei movimenti.

Quindi nessuna sostanza corporea è attiva.

4. Ogni agente deriva la sua capacità di agire dalla vicinanza al primo principio attivo.

Ma i corpi, a causa della loro natura sommamente composta, sono i più lontani dal primo principio attivo, che è semplicissimo.

Quindi nessun corpo è attivo.

5. Supposto che un corpo sia attivo, esso agirà per produrre o la forma sostanziale o la forma accidentale.

Ma esso non può produrre la forma sostanziale, poiché nei corpi non vi è altro principio attivo che la qualità, che è un accidente, e l'accidente non può essere causa della forma sostanziale, dovendo la causa essere maggiore dell'effetto.

E neppure può agire per produrre una forma accidentale: poiché, come dice S. Agostino [ De Trin. 9,4 ], « l'accidente non si estende al di là del proprio soggetto ».

Quindi nessun corpo è attivo.

In contrario:

Dionigi [ De cael. hier. 15,2 ], fra le altre proprietà del fuoco, riconosce che esso, « attivo e potente, manifesta la sua grandezza nelle materie che investe ».

Dimostrazione:

I sensi ci attestano chiaramente che esistono dei corpi attivi.

Ma intorno all'attività dei corpi si sono avute tre specie di errori.

Vi furono infatti alcuni che negarono del tutto l'attività dei corpi.

E tale è l'opinione che Avicebron espose nel suo Fons Vitae [ 2,9 ], dove, con gli argomenti riportati [ nelle obiezioni ], si sforza di provare che nessun corpo agisce e che tutte le apparenti azioni dei corpi appartengono a una sostanza spirituale che pervade tutti i corpi: di modo che, secondo lui, non sarebbe il fuoco che riscalda, ma la potenza spirituale che lo pervade.

E questa opinione pare sia derivata dalla teoria di Platone.

Infatti Platone sosteneva che tutte le forme esistenti nella materia corporea sono partecipate, determinate e limitate a questa materia individuale, mentre le forme separate sarebbero assolute e universali: per cui diceva che le forme separate sono le cause delle forme esistenti nella materia [ cf. q. 79, a. 3; q. 84, a. 1 ].

Avicebron dunque, osservando che la forma corporea viene determinata e individuata dalla quantità, ritenne che tale forma venisse impedita e trattenuta dalla quantità, in quanto principio di individuazione, dall'estendersi con la sua attività a un'altra materia, e che solo la forma spirituale e immateriale, che non è coartata dalla quantità, si potesse estendere con la sua azione ad altri soggetti.

Ma questo ragionamento non può portare a concludere che la forma corporea non sia agente, bensì soltanto che non è un agente universale.

Nella misura infatti in cui si partecipa una data perfezione è necessario che se ne partecipino anche le proprietà: un oggetto, p. es., sarà in tanto visibile in quanto partecipa della luce.

Ora l'agire, il quale non è altro che il rendere attuale una cosa, è una proprietà essenziale dell'atto in quanto atto: ogni agente infatti produce un effetto a sé somigliante.

Se quindi un essere si presenta come una forma non determinata dalla materia soggetta alla quantità, sarà un agente non limitato e universale; se invece si presenta come una forma determinata, sarà un agente limitato e particolare.

Di modo che, se la forma del fuoco fosse separata, come sostenevano i Platonici, essa sarebbe in qualche modo la causa di ogni combustione.

Invece la forma del fuoco che esiste nella materia è causa della combustione che da questo corpo passa a quest'altro.

Infatti essa si compie per il contatto dei due corpi.

E tuttavia l'opinione di Avicebron va oltre la teoria di Platone.

Infatti Platone poneva come forme separate solo quelle sostanziali, e riportava invece gli accidenti ai princìpi materiali, il grande e il piccolo, ritenuti da lui quali primi contrari, così come altri ritenevano [ quali primi contrari ] la rarefazione e la densità.

Quindi tanto Platone quanto Avicenna, che lo segue in parte, dicevano che gli agenti materiali agiscono propriamente per produrre le forme accidentali disponendo la materia alla forma sostanziale, mentre l'ultima perfezione, che consiste nell'induzione della forma sostanziale, dipenderebbe dal principio immateriale.

E questa è la seconda opinione intorno all'attività dei corpi, già discussa nel trattato sulla Creazione [ q. 45, a. 8 ].

La terza opinione è invece quella di Democrito, che concepiva l'azione come un fluire di atomi dal corpo agente, e la passione come una ricezione dei medesimi nei pori del corpo paziente: opinione confutata da Aristotele nel De Generatione [ 1, cc. 8,9 ].

Da essa seguirebbe infatti che un corpo non sarebbe paziente nella sua totalità, e che la quantità del corpo agente diminuirebbe quando esso agisce: cose manifestamente false.

Quindi bisogna ritenere che il corpo agisce, in quanto è in atto, su di un altro corpo in quanto questo è in potenza.

Analisi delle obiezioni:

1. L'affermazione di S. Agostino va intesa di tutta la natura corporea presa nel suo insieme, la quale non ha sotto di sé un'altra natura inferiore su cui agire, mentre la natura spirituale agisce su quella corporea e la natura increata su quella creata.

E tuttavia un corpo è al disotto di un altro corpo, in quanto è in potenza a quelle forme che l'altro già possiede in atto.

2. E da ciò scaturisce la Analisi della seconda obiezioni.

- Bisogna però concedere l'argomento di Avicebron: « Esiste un essere che muove e non è mosso, cioè l'Autore primo delle cose: quindi deve anche esistere un essere che è mosso ed è passivo soltanto ».

Ma questo è la materia prima, che è pura potenza, come Dio è atto puro.

Il corpo invece si compone di potenza e di atto: perciò è attivo e passivo insieme.

3. La quantità, come si è spiegato [ nel corpo ], non impedisce totalmente l'azione della forma corporea, ma le impedisce [ solo ] di essere un agente universale, perché individuata da una materia soggetta alla quantità.

- L'esempio poi desunto dalla pesantezza dei corpi non è a proposito.

Primo, perché l'aumento della quantità non è causa della pesantezza, come prova Aristotele [ De caelo 4,2 ].

Secondo, perché è falso che la pesantezza ritardi il movimento: anzi, quanto più un corpo è pesante tanto più veloce è il suo movimento proprio.

Terzo, perché l'azione non si compie mediante il moto locale, come pensava Democrito, ma per il fatto che una cosa è portata dalla potenza all'atto.

4. Non è il corpo ciò che dista massimamente da Dio, dato che esso possiede una certa somiglianza con l'essere divino, in quanto ha la forma.

Ciò che invece dista massimamente da Dio è la materia prima, che non è in alcun modo attiva, essendo solo in potenza.

5. Il corpo agisce per produrre sia la forma accidentale, sia la forma sostanziale.

Benché infatti la qualità attiva sia un accidente, essa nondimeno agisce in virtù della forma sostanziale, come suo strumento: perciò è in grado di agire per produrre la forma sostanziale; il calore naturale, p. es., in quanto agisce come strumento dell'anima, serve alla generazione delle carni.

Invece nella produzione degli accidenti la qualità attiva agisce per virtù propria.

- E non è contro la natura dell'accidente trascendere il proprio soggetto nell'agire, ma [ solo ] trascenderlo nell'essere: a meno che uno non immagini che un accidente numericamente identico passi dall'agente al paziente, come pensava Democrito, il quale riteneva che l'azione avvenisse mediante il flusso degli atomi.

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