Summa Teologica - I-II

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III - Difesa tomistica della libertà

8 - Da una questione sistematica passiamo ora a trattare brevemente un argomento di fondo.

Alla base della moralità e dell'imputabilità degli atti umani c' è l'affermazione della libertà del nostro agire cosciente.

L'esperienza in questo caso è decisamente a favore della libertà; ma la filosofia ha trovato sempre meno difficoltà a disfarsene che a giustificarla in maniera convincente.

Tra tutti i filosofi e i teologi nessuno più o meglio di S. Tommaso d'Aquino ha saputo difendere la libertà fisica dell'uomo.

Il problema, che è vivissimo tra i nostri contemporanei, non era meno vivo nel secolo XIII.

S. Tommaso trovò la teologia cattolica impegnata a definire con esattezza la natura del libero arbitrio ( cfr O. LOTTIN, op. cit., pp. 207ss. ).

Si trattava di risolvere i seguenti quesiti: Il libero arbitrio è una potenza, o un abito?

E una potenza unica, o un insieme di potenze?

E distinto dalla ragione, o dalla volontà, oppure s'identifica con una di esse?

S. Tommaso risponde brillantemente a codeste domande, dimostrando che il libero arbitrio è soltanto un atto, il quale denomina una potenza da cui promana, e precisamente la volontà ( cfr. I, q. 83, aa. 2, 3 ).

Ora si trattava di sapere se la volontà libera, ovvero il libero arbitrio, fosse una facoltà che opera, senza subire la causalità o l'influsso dell' intelletto.

Vale a dire, bisognava rispondere al quesito: La volontà è facoltà attiva o passiva?

Infatti per stabilire una dipendenza pareva necessaria codesta passività.

Ma qual è il genere di causalità che la volontà può subire da parte dell'intelletto?

Non è certamente una causalità efficiente, che potrebbe compromettere l'immunità da costrizione, o da necessità: non può trattarsi che di causalità formale e finale.

Analizzando i rapporti tra volontà e ragione, il Santo è riuscito a impostare il problema su questi principi basilari:

1°) Esiste tra le due facoltà spirituali dell'uomo una distinzione reale;

2°) Codesta distinzione non impedisce però una perfetta complementarietà delle due potenze: l'universalità dei rispettivi oggetti, cioè del vero e del bene, assicura a entrambi il condominio di tutto l'essere;

3°) La ragione presta alla volontà la coscienza dei suoi stessi atti; mentre la volontà offre all'intelletto la dinamica della appetizione. Lo stesso desiderio del sapere è mosso dalla volontà;

4°) La concreta complementarietà dinamica delle due potenze è assicurata dalla riflessione perfetta, che appartiene a ogni facoltà spirituale.

9 - Torniamo adesso col pensiero al paragrafo precedente della nostra introduzione; e ricordiamo i vari atti dell'intelletto e della volontà in ordine all'operazione.

E facile riscontrare che l'intelletto è sempre un passo più avanti della volontà, nel quadro che abbiamo presentato, e che materialmente deriva dai testi dell'Aquinate.

Alla volizione precede la semplice apprensione, all'intenzione il giudizio di assequibilità, al consenso precede il consiglio, all'elezione la sentenza …

Non c' è il pericolo di compromettere così la libertà con una specie di determinismo razionalista o intellettualista?

Infatti il libero arbitrio è un'illusione, se la volontà non fa che seguire la ragione più o meno illuminata, senza possibilità di decisioni originali.

S. Tommaso conosce perfettamente il pericolo, e riesce a trionfarne con assoluta chiarezza.

La volontà dipende dall' intelletto nella prima presentazione del fine, e nell'intenzione di esso; ma già in questi casi la sua dipendenza non è assoluta; poichè è in potere della volontà sospendere il proprio atto, agire o non agire: libertà di esercizio.

Codesta sospensione, o rifiuto, è impossibile solo dinanzi all'oggetto adeguato della volontà stessa, cioè al bene visto nella sua assoluta perfezione.

In codesto caso la volontà è costretta, se possiamo esprimerci così, dalla sua natura di facoltà appetitiva fatta per il bene, e non precisamente dall'intelletto.

Ma l'indipendenza del volere dall' intelletto risalta assai di più negli atti susseguenti.

Infatti il consiglio, che precede il consenso e l'elezione, è già esso stesso sotto la guida della volontà, come ha voluto notare espressamente il Gaetano nel suo schema sopra ricordato.

La volontà usa del consiglio.

Vale a dire: l'uomo che si consiglia sui mezzi, cioè sul proprio comportamento per raggiungere un fine, non è come lo studioso che risolve a tavolino un problema di algebra.

Il suo consilium è sotto l'influsso diretto della propria volontà.

Certamente il giudizio discretivo pratico verrà formulato dall'intelletto; ma, avendo esso per oggetto un bene parziale, non potrà derivare dall' indagine razionale come una conclusione necessaria.

Avrà piuttosto il valore di opinione; come si verifica per tutti i sillogismi dialettici.

Ma non è tutto.

10 - Ed ecco che la volontà fa sua codesta « opinione » mediante la scelta, o elezione.

E così che codesto giudizio diviene di fatto ultimo, e si procede all'azione mediante l' imperium, o comando, commesso alla ragione dalla volontà.

L'atto del libero arbitrio è proprio codesta libera scelta.

In essa la volontà è libera di porre o di sospendere l'atto - libertas exercitii; ed è libera di fronte all'oggetto, cui potrebbe preferire altre cose - libertas specificationis.

Si noti bene che S. Tommaso non fa mai dipendere direttamente la scelta da altre funzioni psicologiche di carattere appetitivo; ma solo dal raziocinio.

Su codesto raziocinio di ordine pratico possono influire le disposizioni patologiche e passionali, le tare dell'atavismo e il peso dell'abitudine; ma in definitiva la ragione dell'uomo responsabile e cosciente è sempre in grado di giudicare e di formulare quei giudizi discretivi, su cui si esercita la scelta.

Il libero arbitrio è preceduto dalla precisazione e dalla presentazione più o meno efficace dell'oggetto, e non dalla predisposizione soggettiva alla scelta, che distruggerebbe alla radice la libertà.

Perciò il razionalismo tomistico giova alla libertà del volere assai più di certo volontarismo tradizionalista.

Del resto S. Tommaso non esita affatto a riconoscere una certa priorità del volere sull'intelletto.

Infatti, se è vero che nell'ordine della specificazione l' intelletto è al primo posto, è anche vero che nell'ordine dell'esercizio degli atti, senza escludere la stessa attività intellettiva susseguente alla prima apprensione, la volontà domina senza contrasti.

E il primo motore dell'agire umano.

11 - S' ingannerebbe però chi pensasse di sottrarre per questo la volontà umana alla mozione divina nelle sue deliberazioni.

Ricordiamo a questo proposito quanto è stato già detto nei volumi precedenti, a commento di testi inequivocabili dell'Aquinate ( cfr. vol. VII, pp. 8-12 ).

Il richiamo è necessario. Infatti è bastato che il Dottore Angelico, nel descrivere il proI : cedimento psicologico dei vari atti della volontà, abbia posto in risalto l' influsso esclusivo della prima causa sulla semplice volizione, a differenza della iniziativa e dell'autonomia lasciata alla volontà creata nelle altre operazioni, per far nascere in qualcuno la speranza di trascinano verso il molinismo.

Vedremo quanto sia arbitraria codesta interpretazione, che confonde in maniera grossolana una descrizione psicologica con la soluzione di un problema metafisico.

Per S. Tommaso la più valida difesa della libertà umana non sta nel fatto che la volontà cessa di essere una causa seconda, per il dono assurdo di una certa « aseità », ma nella sua immediata dipendenza dall' influsso di Dio: « Ciò che è mosso da altri subisce una costrizione, se è mosso contro la propria inclinazione: ma se è mosso da chi gli conferisce la sua stessa inclinazione, non si può dire che viene costretto; così i corpi gravi non subiscono costrizione quando dalla causa che li produce sono mossi verso il basso.

In modo analogo, quando Dio muove la volontà, non la costringe: perchè è lui stesso che le conferisce la sua inclinazione naturale » ( I, q. 105, a. 4, ad 1 ).

Tutto questo non ha niente di strano, per chi comprende una volta per sempre il valore e la portata della causalità analogica, caratteristica della causa prima.

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