Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se la vita attiva perduri dopo la vita presente

I-II, q. 67, a. 1, ad 2; q. 68, a. 6, ad 3; In 3 Sent., d. 35, q. 1, a. 4, sol. 3; C. G., III, c. 63; De Verit., q. 11, a. 4, ad 1

Pare che la vita attiva debba durare dopo la vita presente.

Infatti:

1. Alla vita attiva, come sopra [ a. 1 ] si è visto, appartengono gli atti delle virtù morali.

Ma le virtù morali, secondo S. Agostino [ De Trin. 14,9.12 ], rimangono dopo questa vita.

Quindi rimane anche la vita attiva.

2. Insegnare agli altri appartiene alla vita attiva, come si è detto [ a. 3 ].

Ma nella vita futura, nella quale « saremo simili agli angeli » [ Mt 22,30 ], ci potrà essere l'insegnamento, come appunto c'è negli angeli: poiché, come insegna Dionigi [ De cael. hier. 7,3 ], tra gli angeli si ha « comunicazione di scienza », in quanto l'uno « illumina, purifica e perfeziona » l'altro.

Perciò la vita attiva rimane anche dopo la vita presente.

3. Ciò che di per sé è più duraturo è più facile che rimanga dopo la vita presente.

Ora, la vita attiva è di per sé più duratura: dice infatti S. Gregorio [ In Ez hom. 5 ] che « nella vita attiva possiamo rimanere stabilmente, mentre in quella contemplativa non siamo in grado di prolungare molto l'attenzione della mente ».

Quindi la vita attiva può durare dopo la morte assai meglio di quella contemplativa.

In contrario:

S. Gregorio [ In Ez hom. 14 ] insegna: « La vita attiva cesserà con il tempo presente; invece la contemplativa germoglia qui per fiorire nella patria celeste ».

Dimostrazione:

Come si è visto [ a. 1 ], la vita attiva ha per fine gli atti esterni: i quali, se vengono riferiti alla quiete della contemplazione, appartengono già alla vita contemplativa.

Ma nella vita futura dei beati cesserà ogni occupazione di opere esterne, e anche gli eventuali atti esterni verranno riferiti al fine della contemplazione.

Come infatti scrive S. Agostino [ De civ. Dei 22,30 ], « là ci riposeremo e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo ».

E poco prima aveva scritto che là Dio « sarà visto senza fine, amato senza noia, lodato senza stanchezza.

E tutti avranno questo dono, questo sentimento, questa occupazione ».

Analisi delle obiezioni:

1. Le virtù morali, come si è detto sopra [ q. 136, a. 1, ad 1 ], non rimarranno quanto ai loro atti relativi ai mezzi, ma solo quanto a quelli relativi al fine.

E questi atti costituiscono appunto la quiete della contemplazione, che S. Agostino [ cf. corpo ] chiama « riposo », e che non va concepita solo in rapporto ai tumulti esterni, ma anche in rapporto ai turbamenti interni delle passioni.

2. La vita contemplativa, secondo le spiegazioni date [ q. 180, a. 4 ], consiste principalmente nella contemplazione di Dio.

E in questo senso un angelo non può insegnare all'altro: poiché a proposito degli « angeli dei bambini », i quali sono dell'ordine più basso, il Vangelo [ Mt 18,10 ] afferma che « vedono sempre il volto del Padre ».

E così anche gli uomini nella vita futura non potranno istruirsi l'un l'altro su Dio, ma tutti « lo vedremo così come egli è », secondo le parole di S. Giovanni [ 1 Gv 3,2 ].

Si avvererà così la predizione di Geremia [ Ger 31,34 ]: « Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi riconosceranno, dal più piccolo al più grande ».

Invece nelle cose riguardanti « il compimento del ministero divino » [ cf. 1 Cor 4,1 ] un angelo insegna all'altro purificando, illuminando e perfezionando.

E da questo lato gli angeli partecipano qualcosa della vita attiva finché dura il mondo, per il fatto che attendono al governo delle creature inferiori.

E ciò viene indicato dal fatto che Giacobbe vide nella scala degli angeli « che salivano », il che appartiene alla contemplazione, e altri « che scendevano », il che appartiene all'azione [ Gen 28,12 ].

Ma come dice S. Gregorio [ Mor. 2,3 ], « essi non escono fuori della visione di Dio in modo da perdere la gioia dell'interna contemplazione ».

Perciò in essi la vita attiva non è distinta dalla contemplativa, come invece accade in noi, che veniamo distolti dalla contemplazione a motivo delle opere della vita attiva.

Del resto a noi fu promessa la somiglianza con gli angeli non quanto al governo delle creature inferiori, che a noi non spetta per natura come agli angeli, ma solo quanto alla visione di Dio.

3. La durata della vita attiva, che qui in terra è superiore a quella della vita contemplativa, non deriva dalla natura di entrambe le vite considerate in se stesse, ma dalla miseria di noi uomini, che il gravame del corpo ritrae dalle altezze della contemplazione.

Per cui S. Gregorio [ l. cit. nell'ob. ] aggiunge che, « respinto per la sua stessa debolezza dalla sublimità di un'altezza così grande, l'animo ricade su se stesso ».

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