Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se chi è assunto all'episcopato debba essere migliore degli altri

Quodl., 4, q. 12, a. 1, ad 12; 8, q. 4, a. 1; In Ioan., c. 21, lect. 3

Pare che chi è assunto all'episcopato debba essere migliore degli altri.

Infatti:

1. A S. Pietro, a cui stava per affidare l'ufficio di pastore, il Signore [ Gv 21,15 ] chiese se lo amava più degli altri.

Ora, uno è migliore proprio per il fatto che ama di più Dio.

Quindi non si deve assumere all'episcopato se non chi è migliore degli altri.

2. Il Papa Simmaco [ Decr. di Graz., 2,1,1,45 ] afferma: « Deve ritenersi come il più vile chi eccelle in dignità senza distinguersi per scienza e santità ».

Ma chi si distingue per scienza e santità è migliore.

Quindi uno non deve essere assunto all'episcopato se non è migliore di tutti gli altri.

3. In ogni genere di cose le inferiori sono governate dalle superiori: nel modo in cui gli esseri corporei sono retti da quelli spirituali e i corpi inferiori da quelli superiori, come nota S. Agostino [ De Trin. 3,4 ].

Ora, il vescovo è deputato al governo degli altri.

Quindi deve essere migliore degli altri.

In contrario:

Le Decretali [ 1,6,32 ] affermano che basta eleggere uno che sia idoneo, e non è necessario eleggere il migliore.

Dimostrazione:

Nell'assunzione di una persona all'episcopato, altro è il dovere di chi viene assunto e altro è quello di chi assume.

Da parte di chi assume, o eleggendo o istituendo, si richiede che dispensi fedelmente i ministeri sacri.

I quali devono essere conferiti a vantaggio della Chiesa, secondo l'espressione dell'Apostolo [ 1 Cor 14,12 ]: « Cercate di avere in abbondanza i doni dello spirito per l'edificazione della Chiesa »; e non vanno conferiti come un premio, poiché questo va atteso nella vita futura.

Perciò chi deve eleggere o istituire un vescovo non è tenuto a scegliere il migliore in senso assoluto, cioè in base alla carità, ma il migliore per il governo di una chiesa: uno cioè che sia capace di istruirla, di difenderla e di governarla pacificamente.

Da cui il rimprovero di S. Girolamo [ In Tt 1,5 ] nei riguardi di quanti « non cercano di erigere nella Chiesa quelle colonne che più potrebbero giovarle, ma quelli che essi amano, o che sono ad essi devoti; oppure che sono più raccomandati da persone influenti, o ancora, per tacere motivi più ignobili, quelli che ottennero di diventare chierici con dei regali ».

Ora, ciò rientra nell'accettazione di persone, che in questo caso è un peccato mortale.

Infatti S. Agostino [ Glossa ord. ], spiegando quel passo di S. Giacomo [ Gc 2,1 ]: « Fratelli miei, non abbiate riguardi personali », scrive: « Se queste differenze fra lo stare in piedi e lo stare seduti vengono riferite alle dignità ecclesiastiche, non si creda che l'accettazione di persone in ciò che riguarda la fede del Signore della gloria sia un peccato veniale.

Chi infatti può tollerare che sia dato al ricco un posto onorifico nella Chiesa disprezzando il povero più istruito e più santo? ».

Dalla parte poi di chi viene assunto all'episcopato non si richiede che egli consideri se stesso migliore degli altri, poiché questo sarebbe un atto di superbia e di presunzione, ma basta che egli non riscontri in se stesso nulla che possa rendergli illecita l'accettazione dell'ufficio.

Pietro infatti, pur essendo interrogato dal Signore se lo amava più degli altri, nella sua risposta non si mise al di sopra degli altri, ma rispose semplicemente che lo amava [ Gv 21,15 ].

Analisi delle obiezioni:

1. Il Signore sapeva che Pietro, per sua concessione, era idoneo a quel compito anche quanto alle altre doti richieste per il governo della Chiesa.

Perciò egli lo interrogò sull'intensità del suo amore per insegnare che quando per il resto uno è idoneo al governo della Chiesa, si deve considerare in lui specialmente la grandezza dell'amore di Dio.

2. Le parole riferite riguardano l'impegno di chi è costituito in dignità: egli infatti deve fare in modo di essere superiore agli altri nella scienza e nella santità.

Per cui S. Gregorio [ Past. 2,1 ] scrive: « La condotta del vescovo deve essere tanto superiore a quella del popolo quanto la vita del pastore è superiore a quella del gregge ».

Ma non gli si può rimproverare di non essere stato migliore prima dell'episcopato, e quindi non lo si può per questo considerare il più vile.

3. Come dice S. Paolo [ 1 Cor 12,4ss ], « vi sono diversità di carismi, di ministeri e di operazioni ».

Perciò nulla impedisce che sia più idoneo all'ufficio di governare uno che non emerge nella santità.

Diverso invece è il caso della subordinazione nell'ordine naturale, in cui l'essere che è superiore per natura ha per ciò stesso una maggiore capacità di influire sugli esseri inferiori.

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