Supplemento alla III parte

Indice

I novissimi

b) Giudizio finale e destino eterno ( Suppl., qq. 87-99 )

1 - In un primo tempo avevamo pensato di pubblicare questo ultimo volume dell'Opera senza introduzione, perché la vera introduzione al trattato dei Novissimi è quella del volume precedente.

Ma l'impegno col quale i teologi contemporanei stanno affrontando i temi dell'escatologia ci ha costretti a ritornare sulla nostra decisione.

Questi illustri colleghi infatti non risparmiano neppure quei problemi che nel Supplemento erano stati addirittura trascurati, quali il Purgatorio e il Limbo dei bambini.

Come abbiamo accennato nel volume precedente ( p. 8 ), per includere nell'opera quei due regni dell'oltretomba era stato necessario ricorrere a un'appendice.

Ebbene in questo caso noi non faremo altro che prendere in esame le discussioni attuali intorno all'ultima questione d'appendice, che in qualche modo integra il Supplemento.

Il Limbo dei bambini nelle discussioni teologiche attuali553

2 - Da qualche decennio i teologi sono all'opera per una sistemazione definitiva delle anime dei bimbi morti senza battesimo.

Tra i regni d'oltre tomba, verso i quali guardiamo con trepidazione e smarrimento, data l'enormità della nostra ignoranza, quello che meno ci tocca personalmente, ma che ci lascia insoddisfatta la nostra sete di sapere, è appunto quel luogo di penombra in cui secondo la teologia tradizionale sono collocate quelle anime, che, senza aver ricevuto il battesimo, non hanno mai avuto modo di esprimere un atto cosciente di adesione o di ripulsa verso Dio.

Come ricorda il P. Jean Galot su La Civiltà Cattolica ( 1971, II, p. 229 ), pur essendo prevalsa a lungo in teologia e nell'insegnamento catechistico la tesi che codesti bambini erano da ritenere privi della visione beatifica, cioè del paradiso, senza soffrire però le pene dell'inferno, nel corso dei secoli c'è stata a intermittenza qualche voce discorde, che proponeva una salvezza anche per questi innocenti.

Ma in questi ultimi decenni queste voci discordi si sono fatte più numerose e insistenti, cosicché in Occasione del Concilio Vaticano II fu proposto di discutere la questione e di definirla.

Nello schema preparato dalla Commissione Teologica del Concilio si diceva: « Il Concilio dichiara vane e prive di fondamento tutte le sentenze secondo cui si ammette per i bambini un mezzo [ per conseguire la vita eterna ] diverso dal battesimo ricevuto di fatto.

Tuttavia non mancano motivi per ritenere che essi riceveranno eternamente una certa felicità consona al loro stato ».

Il Concilio insomma si proponeva, secondo la Commissione Teologica, di rifiutare le novità proposte in materia.

Invece, approfittando della mancata definizione conciliare, non pochi teologi hanno cercato di definire loro stessi la questione, e precisamente in senso inverso.

Alcuni hanno pensato di ricorrere per questo a una singolare opinione del Card. Gaetano, secondo la quale in punto di morte verrebbe offerta a tutte le anime la possibilità di decidersi, in piena lucidità, per Dio o contro Dio.

Tale momento di lucidità in extremis sarebbe offerto anche agli infanti, privi tuttora dell'uso di ragione.

- La gratuità di tale affermazione è però molto più evidente e lampante di questo preteso momento di lucidità, che si vorrebbe accordare alle anime prima o immediatamente dopo il decesso.

Perciò noi ci dispensiamo dal confutare questa celebre teoria, tante volte confutata dai teologi di tutte le scuole.

Per il momento ci fermeremo ad esaminare la tesi più avanzata, proposta dal P. Galot nel 1971 su La Civiltà Cattolica ( II, pp. 228 ss., 336 ss., 528 ss. ).

3 - Per l'illustre professore dell'università Gregoriana la teoria tradizionale peccherebbe contro la logica, nel sostenere che i bambini morti senza il battesimo sono privati della visione beatifica; non avrebbe formalmente a suo sostegno nessuna definizione del magistero ecclesiastico; sarebbe contro l'orientamento del Vangelo »; e incompatibile con la divina volontà salvifica universale.

Perciò egli pensa di risolvere radicalmente il problema, non già appellandosi alla teoria della illuminazione concessa in extremis a tutte le anime, comprese quelle degli infanti, e neppure a quella del desiderio espresso o tacito dei genitori; ma ricorrendo al desiderio universale che ha la Chiesa di porgere il battesimo a tutti gli uomini.

Codesto desiderio sarebbe a suo parere sufficiente perché tutti i bambini che si trovano in punto di morte senza aver potuto ricevere l'acqua battesimale, ottengono in sostanza gli effetti del battesimo.

A questo sorprendente risultato egli giunge senza addurre nessun vero luogo teologico; ma per semplice induzione in base ai tre principi seguenti:

a) « Il cristianesimo non è unicamente una religione di adulti …

Non si deve quindi esigere dai bambini un atto di volontà personale per ottenere la salvezza ».

b) « Il battesimo è principalmente un atto della Comunità, e il voto del battesimo è sempre comunitario prima d'essere individuale: la Chiesa è sempre la prima a desiderare il battesimo e questo desiderio concerne tutti gli esseri umani ».

c) « Il terzo principio è quello della efficacia concreta ed attuale, in ogni esistenza umana, della redenzione universale operata da Cristo » ( n. 2092, p. 345 a. ).

Sebbene la ricerca sia condotta con diligenza e competenza, ci sembra che la conclusione non sia accettabile; perché alla radice di essa ci sono delle impostazioni e dei principi che non possiamo condividere, senza sovvertire assiomi fondamentali della teologia tomista.

È verissimo che « il problema della sorte dei bambini morti senza battesimo potrebbe sembrare marginale, ma vi sono implicati principi essenziali dell'opera redentrice… », e « impegna un certo modo di raffigurarsi il volto di Dio » ( n. 2091, p. 240 ); ma proprio perché il P. Galot si mostra favorevole a un certo cliché antropomorfico nel rappresentarsi la bontà di Dio, ci sentiamo in dovere di reagire.

« Un Dio », scrive il P. Galot, « che priverebbe della felicità celeste dei bambini che personalmente non hanno fatto alcun male, come potrebbe essere ancora un Dio dell'amore? » ( ibid. ).

Una domanda di questo genere ci sembra poco seria sotto la penna di un teologo, sia perché poco riguardosa verso tanti degnissimi colleghi, sia perché non tiene conto di troppe cose.

La divina bontà, che non è a misura d'uomo, non può essere minimamente offuscata dalla diversità e varietà dei doni che Dio liberamente distribuisce alle sue creature.

I bambini, come non esigono da Dio l'esistenza, così non possono esigere da lui una qualsiasi perfezione; e meno che mai possono esigere la grazia e la gloria, che sono di ordine soprannaturale.

La suddetta domanda del P. Galot ci sembra incompatibile con tutta una serie di domande che ricorrono sotto la penna di un teologo, la cui autorità sarà sempre decisiva nel nostro campo: « O uomo, e chi sei tu che vieni a disputa con Dio?

Non mica dirà il vaso all'artigiano: Perché mi hai fatto così?

O che il vasaio non ha facoltà di fare della stessa pasta il vaso di uso onorevole, e quello di uso spregevole? … » ( Rm 9,20-23; cfr. Rm 11,34-35 ).

In sostanza ci sembra che il P. Galot parta da un ugualitarismo di moda, che può andar bene come programma di un partito politico, ma non come adeguazione al piano divino che comporta evidentissime diversità di programmi nell'ambito della medesima specie umana.

Altrimenti alla sua domanda noi dovremmo affiancarne tante altre analoghe di questo tipo: Perché Dio ha fatto nascere tanti uomini prima della venuta di Cristo, senza offrire loro la possibilità di usufruire come noi della luce evangelica?

Perché tanti in paradiso ( sopratutto i morti prematuramente ) dovranno contentarsi di una gloria minima, quando il Signore avrebbe potuto arricchirli delle grazie straordinarie dei più grandi Santi? …

4 - Accettando quindi la condizione dei bambini del Limbo i teologi non peccavano affatto di « crudeltà mentale »; ma si adattavano a un disegno di differenziazione, che emerge da troppi indizi, anche se non fosse esplicitamente conclamato dalla rivelazione divina.

Che la posizione di Innocenzo III, di S. Tommaso, di S. Bonaventura e dei loro discepoli non sia assurda, lo dimostra anche il P. Galot, quando per colpirla sente il bisogno di deformarla, considerevolmente, traducendo l'espressione « poena damni », che questi teologi usano per descrivere la condizione di chi muore col solo peccato originale, ricorrendo al termine « dannazione » ( ibid., p. 232 ).

Infatti dannazione evoca il concetto di condanna e di riprovazione personale, il che è formalmente escluso dai teologi suddetti.

E neppure si può attribuire a questi ultimi la rottura di ogni rapporto di conoscenza e di amore con Dio per il solo peccato originale.

Quando mai i sostenitori del limbo dei bambini hanno immaginato per loro « una felicità laica, senza Dio » ( p. 231 )?

Nella felicità naturale loro attribuita dai buoni tomisti, nonostante la moda rigorista imposta dal Giansenismo nei secoli XVII e XVIII, la conoscenza e l'amore di Dio sono pur sempre al primo posto.

D'altra parte non si può concedere che la visione beatifica, sia un'esigenza primaria della natura spirituale, come pensa il P. Galot, perché questo comprometterebbe la soprannaturalità della beatitudine eterna.

Infatti, nonostante la ristampa dei libri del P. De Lubac, la sua tesi sul soprannaturale è ben lungi dal persuadere la massa dei teologi.

5 - Ma quello che più conta nel caso nostro sono gli indizi riscontrabili nella Scrittura, nella tradizione, e nei documenti del Magistero ecclesiastico, che sono le fonti autentiche della teologia.

Ebbene, la maniera con la quale il P. Galot accantona questi indizi come non risolutivi nel senso tradizionale, ci sembra davvero troppo sbrigativa, specialmente per quel che riguarda i documenti del magistero ecclesiastico.

Troppo lungo sarebbe seguirlo in questa analisi; siamo perciò costretti a rimandare i nostri lettori al Dictionnaire de Theol. Cath., t. IX, coll. 760-771.

Tra i pochi testi biblici da analizzare in proposito forse sarebbe stato opportuno rivolgere l'attenzione a un passo della prima lettera di S. Paolo ai Corinzi ( 1 Cor 7,14 ), in cui a prima vista il P. Galot avrebbe potuto scorgere una conferma della sua tesi.

In codesto versetto l'Apostolo parlando dei matrimoni misti, ossia di quei coniugi cristiani che si trovano a convivere con un coniuge pagano, esorta i coniugi credenti a non rompere il vincolo quando la comparte non ostacola la fede.

E porta a giustificazione del consiglio questa ragione: « Poiché il marito non credente si trova santificato dalla moglie, e la moglie non credente si trova santificata dal marito credente; altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, mentre ora sono santi ».

Quest'ultima espressione parla appunto, come sembra, di bambini non ancora battezzati.

Interpretarne però il vero significato è un'impresa piuttosto ardua.

Ma in ogni caso è legittimo concludere, che se fosse vera la tesi del P. Galot, S. Paolo non avrebbe nessun motivo di considerare « impuri » e « non santi » i figli di genitori infedeli, ossia non credenti, come invece il testo porta logicamente a concludere, per la ragione dei contrari.

Invece il P. Galot ha preferito rifarsi all'affettuoso incontro di Gesù con i fanciulli ( Mc 10,14 ); per dimostrare che « la via della salvezza è ampiamente aperta ad essi e non farebbe supporre che, in mancanza del battesimo, questi piccoli possano essere separati da Dio per l'eternità » ( ibid., p. 235 ).

Ma è evidente che l'episodio evangelico non ha nessun legame col problema particolare di cui stiamo trattando.

Per vedere in esso e nelle frasi che si riferiscono all'umiltà e semplicità dei bambini un « orientamento del Vangelo » nel senso di una salvezza indiscriminata per tutti gli infanti morti senza battesimo, come fa il P. Galot, ci vuole molta buona volontà e fantasia.

6 - Il modo col quale il P. Galot utilizza i documenti del Magistero ecclesiastico sull'argomento ci sembra davvero singolare.

Egli, cioè, sembra voler esasperare codeste affermazioni nel senso di una condanna all'inferno dei bambini che muoiono col solo peccato originale, per cogliere il pretesto di negare qualsiasi valore a tali affermazioni.

Ora, ci sembra che questo non sia un buon metodo per l'ermeneutica.

E dopo tutto non si vede perché le definizioni del Magistero, nella loro laconicità, non debbano avvantaggiarsi delle chiarificazioni teologiche comuni nell'epoca in cui furono emanate.

S. Tommaso d'Aquino, il quale almeno come metodologia teologica ha sempre tanto da insegnarci, procedeva ben diversamente.

Anche nel caso nostro, pur avvertendo nelle parole che S. Agostino aveva fatto approvare nel Concilio di Cartagine del 418 un tono polemico piuttosto imbarazzante ( cfr. DENZ-S., 224 ), si guarda bene dal rilevarvi un errore, ma si affretta a ricordare le altre parole del Santo: « Mitissima est poena puerorum qui cum solo originali decedunt » ( Enchirid, c. 93 ; cfr. Supl., p. 69, a. 6 ).

Rinunziando per brevità all'analisi dei testi accennati, concludiamo rilevando un'altra pregiudiziale che guida la soluzione del teologo gesuita, e che è implicita nel secondo e nel terzo principio ai quali egli dice di ispirarsi.

Mentre la teologia tradizionale ha sempre considerato valido il principio che « Cristo non è venuto a curare la natura, ma le persone » ( S. BONAVENTURA, In 2 Seni., d. 22, a. 1, q. 2 ), il P. Galot si appella a una « solidarietà nella redenzione » ( p. 239 ), la quale è ricalcata esattamente sul principio contrario, che cioè Cristo è venuto a curare prima la natura che le persone.

Si direbbe che nella sua concezione della salvezza operata da Cristo facciano sentire il loro peso le strane teorie soteriologiche del P. Teilhard De Chardin.

L'universale volontà salvifica cui egli ama appellarsi ha troppo l'aspetto del moto dialettico, e poco quello dell'offerta gratuita che attende la libera corrispondenza della creatura, sia sul piano individuale, che su quello sociale.

Ora, è evidente che senza accettare il principio che Cristo ha salvato non la natura, ma le persone, non è più possibile comprendere come mai dopo la passione di Cristo, e specialmente dopo il battesimo, si possa perpetuare la trasmissione del peccato originale.

E d'altra parte non si capisce che cosa significa contrarre il peccato originale, se esso non comporta l'esclusione dalla beatitudine eterna.

La somma condiscendenza della misericordia di Dio verso gli uomini non sembra affatto indiscriminata, ma si rivolge efficacemente ed effettivamente ai soli « preordinati », agli « eletti » ( cfr. Rm 8,30; Ef 1,4.14 ).

E nel raccogliere i suoi eletti Dio agisce tra gli uomini alla maniera umana, cioè servendosi della collaborazione degli uomini.

È appunto per questo che il Signore esorta a pregare « il padrone della messe, perché mandi operai nel suo campo » ( Mt 9,37; Lc 10,2 ).

Anche per la salvezza dei bambini come minimo di collaborazione umana è stata sempre richiesta tale collaborazione con il conferimento del battesimo, oppure ( nell'antico Testamento ) con l'impegno effettivo a generare altri figli al popolo d'Israele, ossia al popolo di Dio.

Invece secondo la tesi del P. Galot non ci sarebbe bisogno di nessuna collaborazione del genere: basterebbe la sola volontà salvifica universale da parte di Dio, e il desiderio vago, universale e implicito da parte della Chiesa, perché tutti i bambini vengano mondati dal peccato originale.

In sostanza egli ritiene sufficiente l'intenzione che la Chiesa ha avuto finora, pur essendo condizionata dal fatto che la massa dei suoi teologi e dei suoi pastori era persuasa dell'esistenza del Limbo per le anime dei bambini morti senza battesimo.

7 - La nuova teoria ci mette dinnanzi a nuovi problemi che un teologo deve pur affrontare.

In quale momento, p. es., si dovrà pensare operante il desiderio della Chiesa?

Non si capisce perché esso debba funzionare solo nel momento della morte.

Se è vero che la Chiesa tende ad estendere per quanto è possibile il regno della grazia, dovremo pensare che tale desiderio raggiunge i bambini anche nel seno materno.

E il P. Galot non esita a scrivere: « Là dove l'esistenza umana rimane un voto dei genitori e della società che non può trovare la sua realizzazione, come dubitare che l'esistenza cristiana possa essere assicurata anch'essa, secondo il disegno di Dio, a titolo di semplice voto della Chiesa? » ( n. 2092, pp. 342 s. ).

È vero che egli parla dei casi di aborto, ma non si capisce proprio perché il « votum Ecclesiae » debba attendere proprio l'istante della morte per divenire operante.

Tanto più che nella sua prospettiva tutti i bambini sono da considerarsi in stato di grazia.

E allora bisognerà pensare - al limite di codesta ipotesi di lavoro - che la santificazione nel seno materno non sia un privilegio di S. Giovanni Battista, ma una condizione normale dei figli di Adamo.

Perciò, tirando le somme, ci sembra che la nuova teoria sia molto meno solida e sensata della dottrina tradizionale circa il Limbo dei bambini.

Del resto, per quanto il P. Galot si sforzi di provare il contrario, una volta ammessa la sua tesi ( che per i molti sembra di cui è costellata, è proposta, se non c'inganniamo, quale tema per una discussione più approfondita ), non si capisce come si possa ancora parlare della necessità del battesimo.

Pensiamo che per S. Agostino sarebbe molto difficile distinguere questa nuova teoria dalla tesi pelagiana.

Certamente contro di essa egli rivolgerebbe a buon diritto le parole evangeliche: « Se uno non sarà rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli ( Gv 3,5; cfr. DENZ-S., n. 224 ).

Conclusione

8 - La critica cui abbiamo sottoposto la suddetta ipotesi di lavoro coinvolge in gran parte anche le tesi difese da altri studiosi, e che sono così ricapitolate da un moderno Dizionano di Teologia: « La dottrina sul limbo si sviluppò senza dubbio alcuno anzitutto dalle immagini dello šeôl tardo-giudaico e fu assai ampiamente trattata specialmente nella scolastica.

La teologia odierna rimette in discussione l'esistenza del limbus puerorum, richiamandosi specialmente alla mancanza di affermazioni dottrinali ecclesiastiche, poiché i passi dai quali il problema prende l'avvio, non intendono fare alcuna dichiarazione diretta in proposito.

La ricerca scientifica, ancora aperta, esclude che si possa ammettere un consenso dei teologi del passato.

Il problema soggiacente alle discussioni va affrontato partendo dai concetti di volontà salvifica universale di Dio, di battesimo di desiderio e da una adeguata teologia della morte ».

9 - Il brano citato ci permette di presentare brevemente, per contrapposizione, le nostre osservazioni in difesa della tesi tradizionale:

a) Le « immagini dello šeôl tardo-giudaico » non furono conosciute dai teologi scolastici, se non in base ai testi della Scrittura Canonica.

Ora, disfarsi di quei testi non è agevole per nessun vero teologo, cioè per un credente.

D'altra parte, non ci risulta che nella prima e neppure nella seconda scolastica si siano imbastiti ampi trattati sul Limbo.

La laconicità di S. Tommaso è documentata in questo volume; quella dei manuali « ad mentem D. Thomae arriva spesso al silenzio assoluto sull'argomento.

A conti fatti, se ne parlava in passato con maggiore sobrietà di quanto facciamo noi oggi.

b) La ripresa delle discussioni sul Limbo dei bambini non può iniziare dal semplice argomento a silentio da parte del Magistero Ecclesiastico, e meno ancora dalla negazione di un consenso dei teologi del passato ».

Ecco infatti come si esprimeva nel secolo scorso, senza incontrare contestazione, uno dei manuali più divulgati: « Senza nota di eresia non si può negare che i bambini privi di battesimo, in cui questo non può essere supplito in nessun modo, e che quindi passano col peccato originale all'altra vita, siano nell'impossibilità di raggiungere la salvezza eterna.

Questa dottrina viene ritenuta dura e crudele dai Sociniani e dai razionalisti … » ( A. KNOLL, Institutiones Theol. Theoreticae, Comp. , § 511 ).

c) Ritenere poi che « il problema soggiacente » debba essere affrontato solo partendo dalla volontà salvifica universale, dal battesimo di desiderio, e da una « adeguata teologia della morte » ( in cui evidentemente dovrebbe figurare la fantastica teoria dell'opzione lucida nell'istante del trapasso ), significa dare per scontata una soluzione che non persuade, proprio per la sua unilateralità e per la fragilità dei suoi presupposti.

P. TITO S. CENTI, O. P.

Indice

553 Il S. Padre Benedetto XVI il 20 apr 2007 ha approvato un documento della Commissione teologica internazionale con il quale si dichiara superata la dottrina sul limbo.