Ritiro19/3/1970

Domenico Conti

Tema: La paternità

1 - Ritiro come dono del Padre
2 - La missione di Gesù
3 - La croce manifestazione della paternità di Dio
4 - Valore della nostra consacrazione
5 - L'unità della distinzione
6 - La figura di S. Giuseppe

1 - Ritiro come dono del Padre

Non posso far a meno di notare anche con voi 1'importanza di questa giornata di ritiro che si presenta come un dono prezioso del Padre, il che è tanto più significativo se riflettiamo che siamo nel giorno della festa di S. Giuseppe, patrono di tutta la Chiesa e anche dell'Unione con un titolo tutto particolare.

Sviluppo della nostra comprensione per il Signore

Questa giornata dovrebbe offrirci la possibilità di uno sviluppo sensibile e notevole, di un passo innanzi nella comprensione di quanto il Signore ha fatto per noi e a noi richiede.

Riferimento a S. Giovanni

Riprendo alcuni temi trattati dal Predicatore stamattina, basandomi non tanto su S. Paolo, a cui farò però necessariamente riferimento, ma soprattutto su S. Giovanni, che non è inferiore a S. Paolo nel manifestarci la paternità di Dio e nel metterci innanzi la nostra condizione di figli di Dio.

Discorso dell'ultima cena

Consideriamo le ultime parole del discorso di Gesù durante l'ultima cena ( Gv 17 ), relativo alla missione di Gesù, poiché esse rappresentano il Suo messaggio e la sintesi di tutta la Sua opera: "Padre giusto il mondo non ti ha conosciuto, io però ti ho conosciuto e questi hanno riconosciuto che tu mi hai mandato e ho fatto loro riconoscere il tuo nome e lo farò conoscere affinché l'amore col quale mi hai amato sia in loro e io in essi".

Valore della paternità

Egli vuole far conoscere il nome del Padre e comunicare, manifestare la paternità in forza della quale si nasce e per mezzo del Verbo si diventa figli di Dio.

Si dice infatti nel prologo: "Il Verbo si è fatto carne e a quanti però l'hanno ricevuto ha dato il potere di diventare figli di Dio.

A quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere della carne, né da volere dell'uomo, ma da Dio sono nati". ( Gv 1,12-13

Poco prima, sempre nel discorso dell'ultima cena, di nuovo invocando il Padre Suo, Gesù dice: "Padre Santo, conservali nel nome tuo che mi hai dato, affinché siano una cosa sola come noi". ( Gv 17,11 )

"Nel nome di Padre", perché vivano in questo nome, appunto come figli; "conservali nel nome", conservali, cioè, nella paternità Tua.

2 - La missione di Gesù

Quindi la missione di Gesù è tutta rivolta nella comunicazione del nome del Padre per cui noi diventiamo figli: tutto ciò avviene e si continua in mezzo a noi nello Spirito Santo.

Insegnamento di S. Paolo

Per aprirci a una migliore intelligenza, ricordiamo l'insegnamento di S. Paolo ai Galati Gal 4,4-7, citato anche stamattina, dove si dice: "Così noi pure da minorenni eravamo asserviti agli elementi del mondo, ma allorché il tempo ha raggiunto la sua pienezza, Iddio mandò suo Figlio nato da una donna, nato sotto la legge, affinché riscattasse quelli che erano soggetti alla legge affinché, ricevessero la dignità di figli adottivi e prova che siete figli è che Iddio mandò lo spirito del Figlio suo , lo spirito di Gesù, nei nostri cuori, il quale grida Abba".

Abba, cioè papà, il che significa che non siamo più schiavi, ma figli, e se figli eredi.

Testimonianza di Dio

Questa è la testimonianza semplicissima, e nel medesimo tempo sconvolgente che Dio rende a noi circa il fatto che siamo Suoi figli, offrendoci la possibilità di dirgli non solo con la parola, ma col cuore, con tutto il nostro essere, con una commozione, e una profondità, e una efficacia particolari: Papà.

S. Paolo ai Romani

Concetto che ritroviamo nella lettera ai Romani  dove si dice: "Giacché non riceveste lo spirito da schiavi per ricadere nel timore, riceveste lo spirito da figli adottivi che vi fa esclamare: Abba, Padre". ( Rm 8,14-17 )

Lo Spirito ci attesta che siamo figli di Dio

E ancora: "Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio".

Lo Spirito ci attesta che siamo figli di Dio e perciò siamo eredi e coeredi di Cristo, dacché soffriamo insieme con Lui e con Lui glorificati.

S. Giovanni

S. Giovanni nella prima epistola si esprime così: " Ed ecco questa testimonianza: Iddio ci donò la vita eterna, cioè ci rese partecipi di Lui come Padre e questa vita è nel figlio suo; chi ha il Figlio ha la vita, chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita;". ( 1 Gv 5,11-12 )

Questa vita che è nel Figlio ci viene comunicata nello Spirito mandato dal Figlio.

Leggiamo ancora in Giovanni l'episodio della samaritana: "Chi beve l'acqua che io vi darò non avrà, sete in eterno.

L'acqua che gli darò diverrà in Lui fonte di acqua viva zampillante per la vita eterna". ( Gv 4,14 )

Sempre in Giovanni da cui ci siamo ispirati per la denominazione della Sorgente, si legge che Gesù nell'ultimo giorno, il più solenne della festa, disse in piedi ed ad alta voce: "Se qualcuno ha sete venga a me e beva, chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi di acqua viva scorreranno dal suo seno". ( Gv 7,37-38 )

Questo Gesù disse dello Spirito che dovevano ricevere i credenti in Lui; lo Spirito infatti non era stato ancora dato, perché Gesù non era ancora stato glorificato.

L'acqua viva che dà Gesù, l'acqua viva che dobbiamo cercare da Gesù e in Gesù è il Suo Spirito, che ci rende figli di Dio, che ci dà la fecondità, che ci fa esclamare: Abba, cioè Padre.

Noi dobbiamo essere i propagatori di questa paternità, i diffusori dello spirito.

La nostra fecondità è in Cristo, in quanto riceviamo dalla Sua intimità, dal suo cuore e dalla profondità del suo essere la comunicazione dello spirito che, oltre a renderci figli, ci rende dal punto di vista soprannaturale fecondi e addirittura sorgenti di fiumi di acqua viva.

Gesù ha effuso per la prima volta il suo spirito sulla croce, dove un colpo di lancia ne ha aperto la sorgente.

È per questo che la Chiesa nasce dal costato trafitto di Cristo, come dice la costituzione dogmatica sulla liturgia. ( Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum conclium 5 )

Nella primalettera di S. Giovanni si legge: "Questi è colui che venne con acqua e sangue: Gesù Cristo, non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e col sangue, è lo Spirito che ne rende testimonianza, poiché lo Spirito è la verità, sono dunque tre i testimoni; lo Spirito e l'acqua e il sangue e i tre sono in unità". ( 1 Gv 5,6-7 )

Lo Spirito e l'acqua e il sangue sono i tre testimoni in unità.

3 - La croce manifestazione della paternità di Dio

È dunque sulla croce che avviene la massima manifestazione - comunicazione della paternità di Dio e che il nome del Padre è dato agli uomini.

Sulla croce Gesù realizza su un piano visibile per noi il dono di se stesso al Padre, e per il Padre agli uomini, in modo da diventare la massima trasparenza e comunicazione del Padre, nello Spirito che ci cresce come figli.

La croce va vista non solo come espiazione, come un pagamento estremamente doloroso, come una umiliazione, ma secondo l'interpretazione giovannea Dio ha talmente amato il mondo da dare il figlio suo unigenito affinché chiunque crede in Lui non perisca; ( Gv 3,15 ) lo dà perché riveli la sua paternità e la comunichi agli uomini.

Gli uomini possono capire la paternità di Dio, tutta la sua sollecitudine, la sua tenerezza, la sua trepidazione per salvarli proprio guardando la croce.

Perciò la croce segna l'inizio dell'effusione di quello spirito che è lo spirito di adozione, spirito che ci costituisce e ci cresce giorno per giorno nella nostra condizione di figli, che è in noi e con noi prega, invoca Dio come Abba, cioè Papà.

La nostra risposta la Padre

Dopo aver parlato della missione di Gesù trattiamo della nostra risposta all'appello del Padre che sopratutto ci raggiunge in Cristo con le parole: "allorché sarò innalzato da terra trarrò tutti a me" ( Gv 12,32 )

La consacrazione nella verità

La nostra risposta è la consacrazione nella verità e nello spirito, poiché la verità è lo spirito.

Risposta al Padre

L'atto della nostra consacrazione catechistica è una risposta appunto all'appello del Padre che si manifesta e si comunica a noi per mezzo di Cristo Crocifisso nello Spirito Santo.

E in questo imitiamo Gesù, causa efficiente e causa esemplare.

Discorso dell'ultima cena

Gesù, nel discorso dell'ultima cena, discorso che è proprio la quintessenza di tutto, portato alle sue estreme conseguenze e al suo estremo sviluppo, dice: "Consacrali nella verità, la tua parola è verità, come tu hai mandato me nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo e per essi io consacro me stesso affinché siano anch'essi consacrati nella verità". ( Gv 17,17 )

Consacrazione nella verità che, mentre per Gesù era soltanto dono e sacrificio, per noi assume anche il senso di purificazione, espiazione, santificazione!

Le parole: "e per essi io consacro me stesso" significano che Gesù si dà tutto perché il nome e le parole del Padre siano comunicati agli uomini, perché essi nascano, crescano, siano conservati nel Suo nome e "affinché essi pure siano consacrati in verità", si diano cioè, a loro volta, si santifichino, si sacrifichino, si offrano, si decidano ad essere sempre più perfetti come il Padre e in vista del Padre.

4 - Valore della nostra consacrazione

La nostra risposta dunque è la consacrazione di essere tutto per Dio, promettendo particolari cose attraverso cui concretare questa nostra consacrazione e giurando di riservarci tutto per il Padre perché gli altri siano per e con il Padre!

"Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno, essi non sono del mondo, come io non sono del mondo", e poi "come tu hai mandato me nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo". ( Gv 17,15 )

Dunque anche noi, come Gesù, pur essendo stati mandati nel mondo non siamo del mondo perché siamo nati non dalla carne e dal sangue, ma dal Padre, da Dio: è questo che ci sottrae al mondo, che ci impedisce di avere il principio della nostra vita e del nostro essere nel mondo sul quale si esercita la soggezione del maligno.

Imparando da Gesù la nostra secolarità, potremo veramente essere nel mondo principio di una vita nuova e ci adopereremo affinché esso possa essere di Dio.

Bisogna andare incontro al mondo soltanto ed esclusivamente nella nostra condizione di figli del Padre, che ci manda per la salvezza del mondo.

Questo è il titolo per cui noi come consacrati dobbiamo rimanere nel mondo e quasi immergerci in esso, ma sempre muovendo da questa condizione di figli e sapendo che il nostro camminare verso il mondo è per noi un crescere a Dio o da Dio perché gli altri possano ugualmente nascere e crescere da Dio come Padre.

Consacrazione secolare e catechistica

La nostra consacrazione è secolare, è catechistica, cioè accetta sino in fondo la condizione di figli mandati da Dio, per essere manifestazione e comunicazione del Padre.

Questo è infatti il significato delle parole di Gesù: "Non prego per questi soltanto, ma anche per coloro che crederanno in me per mezzo della loro parola" ( Gv 17,20 )

Consacrazione sociale

La nostra consacrazione è sociale, come si può ricavare sempre dal Vangelo di S. Giovanni: "non prego per essi e per questi soltanto ma anche per coloro che crederanno in me affinché tutti siano una cosa sola come tu Padre", e non una cosa sola qualunque, "come tu Padre sei in me ed io in te, affinché anch'essi siano una cosa sola in noi così il mondo creda che tu mi hai mandato". ( Gv 17,20 )

Unione come unità verso cui convergono gli uomini.

Ecco la grande famiglia, la grande comunione, la grande società dei figli di Dio che indica nell'Unione una unità verso la quale devono convergere tutte le espressioni comunitarie dell'uomo.

Realizzazione della comunione tra gli uomini

Come molto bene ha detto il Padre stamattina, è proprio questo essere nati da Dio come Padre che ci costituisce nella perfezione e nell'autenticità e che realizza la comunione tra gli uomini.

5 - L'unità della distinzione

Comunione che si attua in tutte le comunità umane, in tutti i raggruppamenti, a cominciare dalla famiglia, dove lo sposo e la sposa possono formare senza equivoci, senza contraddizioni, senza ambivalenze una unità distinta, in cui uno è nell'altro, e non confuso nell'altro.

Soltanto nel matrimonio sacramento i figli, nella misura in cui cresceranno come figli di Dio, sentiranno di essere uni coi genitori e con gli uomini.

Così per la Scuola e per l'Umanità intera, che nella misura in cui prenderà coscienza della paternità di Dio, non sarà più una sommatoria di individui, un blocco massificato e massificante di gente senza volto e senza individualità, ma realizzerà il massimo di unione e di distinzione personale.

Consacrazione impone le scelte

La nostra consacrazione, rivolta in questa direzione attraverso delle opere specifiche, ci impone delle scelte molto precise.

Di fronte alle diverse proposte riguardanti forme di convivenza e di attività in comune tra gli uomini sia nel mondo del lavoro che in quello politico e nella scuola, dovremo schierarci per realizzare una partecipazione autentica che miri ad unire gli uomini, affratellandoli.

Il senso della socialità e della comunione che da duemila anni travaglia il mondo nasce dalla manifestazione e comunicazione del Padre fatta da Gesù e il tentativo di codificare, di realizzare delle forme di vita associate più profonde e più stabili è sempre stato mosso dal mistero della paternità di Dio e della comunione di tutti gli uomini in quanto fratelli, figli di Dio.

È una grande stoltezza affermare che esiste un'epoca post-cristiana: siamo ormai legati sino alla fine dei secoli in un dialogo con Cristo, da cui dovremo accettare o respingere la comunicazione del Padre senza alternativa.

Conformazione a Gesù

Il nostro apostolato, la nostra vocazione richiede una conformazione sempre maggiore a Gesù, a Cristo Crocifisso.

Non si diventa figli del Padre, prescindendo da Gesù, poiché la manifestazione del Padre è intimamente legata alla Crocifissione che, a sua volta, è indissociabile dall'Incarnazione, come risulta dall'epistola agli Efesini ( Ef 2,13-18 )

Quindi, noi non manifestiamo veramente il Padre se non nella conformità a Cristo e a Cristo Crocifisso.

La croce, la passione e morte non sono un momento, sia pure importante della vita di Cristo, ma la forma della vita terrena di Cristo e perciò della nostra vita terrena.

Stamattina ci è stato letto, con una efficacia notevole, il passo dell'epistola ai Tessalonicesi, da cui si ricavano le caratteristiche dell'atteggiamento paterno: "… pur potendo far sentire le caratteristiche dell'autorità di apostoli di Cristo si siamo portati in mezzo a voi con dolcezza, come una madre che circonda d'amore e di cure i nuovi nati, per la nostra tenerezza per voi avremmo amato donarvi, non solo il vangelo di Dio, ma anche la nostra vita, tanto ci eravate cari". ( 1 Ts 2,6-8 )

Ed anche noi manifesteremo il Padre, donando la nostra vita, poiché la croce è soprattutto dono, non solo sofferenza; sacrificheremo la nostra vita non distruggendola, ma comunicandola, donandola perché altri abbiano vita, secondo l'intenzione, l'orientamento e l'atteggiamento profondo dell'Apostolo.

La nostra consacrazione secolare - catechistica - sociale deve divenire feconda attraverso il dono di noi stessi, la tenerezza e la sollecitudine, conformandoci così a Gesù Crocifisso che ha dato il massimo esempio di abnegazione.

6 - La figura di S. Giuseppe

Permettetemi ora di parlare di S. Giuseppe, nostro patrono ed avvocato, fonte di aiuto e di insegnamento.

Paternità spirituale di S. Giuseppe

S. Giuseppe è padre spirituale, padre ad un titolo tutto particolare, secondo l'ordine ipostatico, poiché ha una paternità sua tutta specifica per rapporto a Gesù.

San Paolo, parlando si sé come padre, distinguendosi dal pedagogo, dice: "vi ho generato a Cristo", ( 1 Cor 4,15 ) espressione ripresa da San Giovanni Battista de La Salle, che vede nell'educatore colui che genera Cristo agli altri.

Generare a Cristo significa anche concorrere a generare a Cristo.

Necessità di Giuseppe per l'incarnazione

S. Giuseppe è padre in un modo tutto particolare, perché agisce come elemento necessario secondo i piani che Dio ha stabilito per l'Incarnazione di cui momento fondamentale è il sì della Madonna, ma anche l'adesione di Giuseppe.

Maria sposa di Giuseppe

Giuseppe non è dato a Maria come per legalizzare davanti al mondo la condizione di Gesù; Maria era realmente di Giuseppe, secondo un fidanzamento che la rendeva sua sposa.

È perciò impensabile che Maria rispondendo il suo sì non abbia in qualche modo coinvolto anche Giuseppe a cui Lei apparteneva.

L'Angelo che rassicura Giuseppe circa la maternità incipiente della Madonna usa tutta una serie di affermazioni che ne sottolineano la paternità.

Giuseppe apparteneva alla discendenza di Davide, dalla cui stirpe doveva nascere il Salvatore e tale discendenza lo accreditava particolarmente.

L'Angelo, rivolgendosi a Giuseppe, dice: "Giuseppe figlio di Davide non temere di prendere con tè Maria tua sposa" ( Mt 1,18-20 ) e poi "essa partorirà un figlio, al quale tu porrai il nome Gesù".

Giuseppe, prendendo Maria, prende anche ciò che viveva in Lei, per opera dello Spirito Santo.

Ma lo Spirito Santo non ha sostituito Giuseppe né la sua paternità, anche se, secondo la generazione, non è l'elemento umano di Giuseppe che dà carne a Gesù.

Gesù si è manifestato al mondo perché Giuseppe lo ha indicato, nominato, manifestato, e ponendone il nome ne ha posto in certo modo l'essenza, comunque manifestato la natura.

La paternità di Giuseppe rispetto a Gesù è perciò molto più profonda di quello che possiamo immaginare e appartiene all'ordine ipostatico.

E Gesù precisa questo concetto di paternità, stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli, perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, quello mi è fratello e sorella e madre" ( Mt 12,48-50 )

In Giuseppe possiamo capire come la nostra paternità, suscitando, estendendo e coadiuvando la crescita della paternità divina negli uomini, generi gli uomini a Cristo e Cristo agli uomini.

Giuseppe modello di figlio e di padre

Giuseppe, il più docile dei figli, dopo Maria, è un consacrato al Padre, per manifestarlo fino in fondo, ed in lui troviamo il più bello e clamoroso esempio di Figlio e di Padre.

La fuga in Egitto, il ritorno dall'Egitto, il ritrovamento di Gesù e il discorso che Gesù fa ad entrambi, a Maria e Giuseppe, sono significativi della obbedienza di Giuseppe.

Ricordiamo le parole dell'Evangelista quando parla di Giuseppe come padre di Gesù: c'è il saluto di Simeone: " … poiché hanno visto i miei occhi … e il padre a la madre del bambino erano meravigliati per ciò che si diceva … " ( Lc 2,30-33 )

Gesù smarrito nel tempio: "Ogni anno i suoi genitori si recavano a Gerusalemme ", e così via ( Lc 2,41 s. )

Poi ancora lo trovano nel tempio, nel vederlo ne furono stupiti: "Figlio, perché ci hai fatto una cosa come questa, ecco tuo padre ed io ti cercavamo angosciati" e rispose loro: "Perché mi cercavate? non sapevate che io debbo attendere alle cose del Padre mio?" ( Lc 2,48-49 )

Gesù e Maria sono coloro che più hanno saputo attendere alle cose del Padre, ed esemplari sono l'obbedienza, la povertà, la castità, la carità e la prudenza di Giuseppe e la sua conformità a Cristo Crocifisso.

Maria e Giuseppe preparano Gesù per la croce, ben sapendo, istruiti dalle parole del profeta Isaia, che il nome Gesù, posto a momento della circoncisione, indicava "Colui che salva", "l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo"; quindi, dopo Maria, nessuno fu più conforme a Cristo Crocifisso di Giuseppe.

Chi fu più tenero, più sollecito, più generoso di Giuseppe, dopo Maria, nel custodire Gesù, per darlo al mondo e per il mondo?

S. Giovanni fu il più grande fra i nati di donna; possiamo dire che Giuseppe, dopo Maria, fu il più grande dei nati dal Padre e anche il più grande suscitatore della paternità divina in noi.

Chi più di Giuseppe, dopo la Vergine, fu crocifisso con Cristo al punto che in lui viveva il Cristo?

E chi fu più di Giuseppe penetrato dal dono che il Figlio di Dio avrebbe fato di se stesso?

Egli visse fino l'infanzia di Gesù sapendo di prepararlo alla croce, anche se non ne fu testimone.

Perciò in questo nostro approfondimento relativo alla paternità spirituale, che ci deriva sopratutto dalla nostra consacrazione, per la quale un certo numero di noi ha rinunciato alla paternità naturale, teniamo molto presente la figura, il modello, la funzione di Giuseppe e la sua intercessione.