XIII stazione |
Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi.
Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, buono e giusto.
Egli non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri.
Era di Arimatea, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio.
Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù.
Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto ( Lc 23,50-53 ).
Le persone detenute sono, da sempre, i miei maestri.
Da sessant'anni entro nelle carceri come frate volontario e ho sempre benedetto il giorno in cui, per la prima volta, ho incontrato questo mondo nascosto.
In quegli sguardi ho compreso con chiarezza che avrei potuto esserci io al posto loro, qualora la mia vita avesse preso una direzione diversa.
Noi cristiani cadiamo spesso nella lusinga di sentirci migliori degli altri, come se essere nella condizione di poterci occupare dei poveri ci permettesse una superiorità tale da ergerci a giudici degli altri, condannandoli tutte le volte che vogliamo, senza nessun appello.
Cristo, nella sua vita, ha scelto e voluto stare con gli ultimi: ha percorso le periferie dimenticate del mondo in mezzo a ladri, lebbrosi, prostitute, imbroglioni.
Ha voluto condividere miseria, solitudine, turbamento.
Ho sempre pensato fosse questo il vero senso di quelle sue parole: « Ero in carcere e siete venuti a trovarmi » ( Mt 25,36 ).
Passando da una cella all'altra vedo la morte che vi abita dentro.
Il carcere continua a seppellire uomini vivi: sono storie che non vuole più nessuno.
A me Cristo ogni volta ripete: "Continua, non fermarti. Prendili in braccio ancora".
Non posso non ascoltarlo: anche dentro al peggiore degli uomini c'è sempre Lui, per quanto infangato sia il suo ricordo.
Devo solo porre un argine alla mia frenesia, fermarmi in silenzio davanti a quei volti devastati dal male e ascoltarli con misericordia.
È l'unica maniera che conosco per accogliere l'uomo, spostando dal mio sguardo l'errore che ha commesso.
Solamente così potrà fidarsi e ritrovare la forza di arrendersi al Bene, immaginandosi diverso da come ora si vede.
Signore Gesù, il tuo corpo deformato da tanto male, adesso, è avvolto in un lenzuolo e consegnato alla nuda terra: ecco la nuova creazione.
Affidiamo al Padre tuo la Chiesa, che nasce dal tuo fianco squarciato, perché non si arrenda mai davanti all'insuccesso e all'apparenza, ma continui a uscire per portare a tutti il lieto annuncio della salvezza.
O Dio, principio e fine di tutte le cose, che nella Pasqua di Cristo hai redento l'umanità intera, donaci la sapienza della Croce per poterci abbandonare alla tua volontà, accettandola con animo lieto e riconoscente.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
Fac me tecum pie flere,
Crucifixo condolere,
donec ego vixero.