La dignità del lavoro
Tra gli elementi che danno dignità al lavoro vi è indubbiamente quello di essere un servizio, una utilità per gli altri.
Occorre coltivare tale caratteristica, che il lavoro non è solo strumento per la propria sopravvivenza e realizzazione, ma altresì attività ed opera a vantaggio del prossimo e della società.
Questo concetto è talmente ovvio, che rischia di passare inosservato:
infatti se si riceve una retribuzione, è perché un altro trae un'utilità dal risultato lavorativo.
Si tratta di evidenziare che il compenso non è tutto:
ciò che è intrinseco al lavoro è l'opera di cui fruisce il destinatario, e tale fruizione va appunto evidenziata per il suo valore di servizio per gli altri.
Si prospetta a questo riguardo un vero itinerario spirituale, di cui la solidarietà cristiana e la stessa carità sono l'anima.
Anche il nostro tempo pullula di esempi mirabili di lavoratori che nella loro scala di valori pongono queste finalità, animati dallo zelo e dalla solerzia di soddisfare le aspettative del destinatario del loro servizio, sia questo il cliente, o l'acquirente, o il datore di lavoro, o l'allievo o più in generale la società.
Ma la solidarietà specifica del lavoro ha pure un altro versante delicatissimo verso cui esercitarsi, ed è quello della vicinanza e della comprensione per chi non ha lavoro e per i più deboli.
La formazione professionale, proprio perché facilita lo sbocco lavorativo, deve fare maturare questa sensibilità per i disoccupati e per gli indigenti, il che è il primo passo per contribuire tutti insieme alla soluzione degli spinosi problemi della disoccupazione e della povertà, problemi che oggi si presentano con requisiti nuovi e diversi dal passato, ma non per questo meno gravi e drammatici.
Dobbiamo ispirarci sempre ad uno dei comandamenti fondamentali che ci dice di amare il prossimo come noi stessi ( Mt 22, 39 ).
E poiché molti giovani possono diventare imprenditori, l'animazione dell'attività lavorativa e imprenditoriale con il Vangelo della carità sarà garanzia perché i rapporti con i dipendenti siano impostati in una solidale collaborazione.
A questo riguardo torna opportuno richiamare il versetto delle prime pagine della Genesi: "Ti procurerai il pane con il sudore del tuo volto" ( Gen 3,19 ), ad attestare la situazione in cui si trova l'uomo dopo la ribellione a Dio con il peccato originale.
Alla luce della redenzione operata da Gesù, che ci ha rivelato che Dio è Padre, e ci ama più di quanto possiamo immaginare, certamente più di quanto ognuno di noi ami se stesso, queste parole, che suonano come castigo, contengono un anelito e una prospettiva di emendazione e di elevazione: siamo noi che dobbiamo realizzarci il nostro spazio nella vita, che dobbiamo perfezionarci, crescendo non solo fisicamente, ma moralmente nello spirito, e per ottenere ciò occorre sforzo e fatica.
È quanto viene dichiarato, in altri termini, da S. Paolo:
"Chi non vuol lavorare, non deve neanche mangiare" ( 2 Ts 3,10 ).
La formazione professionale è un'ottima scuola per considerare l'importanza, direi la sacralità del dovere di lavorare, disponendo l'allievo a riconoscerlo, ad accettarlo e a compierlo con buona inclinazione d'animo, con umiltà, all'occorrenza con sacrificio, ma nella certezza che adempiendolo si assolve ad uno dei principali doveri della vita.
In tal modo si educa il giovane a considerare la vita come un impegno morale.
Ma vi è l'altro aspetto del lavoro nella Sacra Scrittura, non meno importante del precedente, anzi costituente come il suo completamento, quello della realizzazione di se stesso, in adempimento della volontà di Dio:
"Governate la terra e dominate sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo e su tutti gli animali che si muovono sulla terra" ( Gen 1,28 ).
Con il lavoro pertanto l'uomo adempie le sue aspirazioni sul piano esistenziale, o per lo meno ha la possibilità di adempirle.
Lo sa bene chi non ha lavoro perché purtroppo lo sperimenta sopra la propria pelle, non solo in ordine al proprio mantenimento, ma altresì per quanto concerne lo sviluppo della propria personalità; ma Iddio, ricco di misericordia dona anche in questi casi occasioni di sviluppo e di crescita:
la nostra solidarietà deve però affiancare questi fratelli disagiati, e affiancarli con tanto amore.
Alcuni affermano che il lavoro, per il fatto stesso che comporta gravosi carichi di pesantezza e di fatica, è di per se stesso preghiera:
" Chi lavora prega ", si dice.
Non necessariamente è così, perché il lavoro è lavoro e la preghiera è preghiera.
Ciò non significa, tuttavia, che il lavoro non possa diventare preghiera:
questo dipende dallo spirito con cui il lavoro viene fatto.
La Bibbia afferma che la realizzazione dell'uomo attraverso il lavoro è adempimento del comando di Dio che gli chiede di continuare, in certo senso, la sua opera creatrice.
Solo se fatto con questo spirito e se offerto gioiosamente a Dio con le gioie e le sofferenze che comporta, il lavoro diventa preghiera.
Ne consegue che ogni cristiano che viva con coerenza il proprio battesimo è chiamato a vivere così il proprio lavoro e a trasformarlo in preghiera.
Giovanni XXIII ha concesso particolari indulgenze ad ogni battezzato che offra a Dio il proprio lavoro con questo spirito.