Spiritualità
4-12-2004
1) Fino a che punto è accanimento terapeutico oppure diventa eutanasia
2) L'eutanasia
3) Ci sono delle tecniche che si chiamano terapie antidolorifiche
4) L'accompagnamento delle persone ammalate
5) In che cosa consiste l'essere un discepolo?
6) Metanoia
7) Cosa vuol dire stare con lui?
8) Condividere la vita del maestro
9) Vedi Gesù e dici: voglio diventare come lui
10) Può darsi che nella storia di qualcuno degli adulti uno conosca il Signore tardi
11) Essere parte della Chiesa cattolica è un grande dono
12) L'insegnamento vincolante è quello del vangelo
Domanda: potresti chiarirci per favore la posizione della Chiesa riguardo all'eutanasia; fino a che punto è accanimento terapeutico oppure diventa eutanasia?
Allora il principio molto semplice, perché questo interrogativo meriterebbe una trattazione più estesa, potrebbe essere questo: si tratta di accanimento terapeutico, quando la persona autonomamente non è in grado di sopravvivere.
Per es. la respirazione artificiale, la circolazione artificiale ecc., qualora venisse interrotta l'erogazione di questi servizi meccanici per il paziente e se l'organismo non fosse in grado di sopravvivere da solo, si tratta di una vita artificiale, una vita che è stata sostenuta per altre ragioni, per es. espianto di organi o altro.
L'accanimento terapeutico consiste anche nel continuare delle terapie che non avranno un risultato sufficientemente apprezzabile nei confronti della difficoltà che è stata esigita.
Ossia si provoca un'operazione con tutto ciò che essa comporta preliminarmente e post operazione e con la previsione di un beneficio tutto sommato non giustificabile, quindi per es. produrre il prolungamento di una vita, ma con estreme difficoltà di altro genere.
L'eutanasia invece per i progetti di legge che sono stati approvati in alcuni paesi europei, vedi Inghilterrra, Olanda, consentono l'interruzione volontaria non solo di terapie, ma anche la somministrazione di alcuni elementi che in qualche caso abbrevino la vita umana.
Allora, già il Santo Padre Pio XII in una conferenza che tenne ai medici e anestesisti cattolici, eravamo intorno agli anni 50, aveva detto che il somministrare delle sostanze che allevino le sofferenze come prima istanza è lecito, anche se si sa già che queste sostanze in qualche modo potrebbero abbreviare la vita di questa persona, perché il fine primario da ricercare è alleviare la sofferenza.
Ma diventa eutanasia quando il fine primario che viene ricercato non è il sollevare la sofferenza, ma è abbreviare la vita.
In pratica sembra la stessa cosa, abbreviamo la vita così abbreviamo la sofferenza, invece sono cose estremamente diverse: una è eutanasia, l'altra invece è somministrazione di tutte quelle tecniche antidolorifiche, che sebbene abbiano probabilmente come effetto secondario un abbreviarsi della vita biologica, tuttavia il fine primario che è stato ricercato non è l'abbreviamento della vita, ma è il sollevamento dal dolore.
Allora in quel caso non è eutanasia: diventa eutanasia quando si somministrazione delle sostanze o si impediscono delle terapie proprio col fine di accorciare un'esistenza che viene ritenuta indegna, non dignitosa.
Agli uomini è data la possibilità ed è auspicato l'utilizzo di tutte quelle che sono le tecniche chimiche, meccaniche per sollevare la sofferenza delle persone, non per abbreviare la loro vita.
Se una persona con un tumore chiede di non essere curata, può essere considerata eutanasia?
No. perché decidere di non sottoporsi a una terapia non significa decidere di morire; non sottoporsi a una terapia significa non volere affrontare i disagi di una terapia che si sa già non avrà un risultato attendibile o sufficiente.
Diventa eutanasia quando uno interviene direttamente per abbreviare la vita.
Nel caso precedente, secondo le leggi della natura, quella persona morirebbe lo stesso.
Naturalmente può essere una forma di peccato, ma non così grave, perché ognuno di noi deve avere la salvaguardia della propria salute.
Quando sussiste però una patologia così grave, allora la salute è già minata nella sua essenza, allora si tratta di assicurare un'esistenza il più possibile serena alla persona che si trova nella malattia.
Quindi ci sono delle tecniche che si chiamano le terapie antidolorifiche, che purtroppo sono molto onerose per uno Stato che abbia in sé l'assistenza degli ammalati.
Quindi all'esercizio di terapie antidolorifiche con mezzi chimici che sono generalmente molto costose, non sono molto favorevoli gli Stati che devono affrontare le spese di questo genere.
È chiaro che se passa l'idea dell'eutanasia chi ci guadagna è lo Stato, perché non deve più spendere tutti questi milioni.
Se voi sapete che ogni flacone per la chemioterapia può costare 800 euro, voi capite che è molto importante riuscire ad avere la prevenzione piuttosto che la cura, perché la prevenzione costa meno della cura.
Se poi si tratta di una cura lunga, antidolorifica con medicine molto costose più l'assistenza con personale specializzato voi capite che diventa oneroso.
E allora diventa molto facile, in una mentalità materialistica, presentare l'eutanasia come un toccasana per sollevare la sofferenza dei sofferenti.
Ma non è precisamente questo, l'eutanasia è eliminare i sofferenti che soffrono.
L'accanimento terapeutico, invece, è esagerare con delle cure che non producono i risultati proporzionalmente accettabili rispetto al disagio che provocano questa cure.
Se tu per stare meglio un mese, devi superare un'operazione, e sai già che il mese dopo la situazione sarà peggiorata, dovrai affrontare un'altra operazione poi un'altra, poi un'altra questo sì che è accanimento terapeutico.
Tu sai già che secondo le leggi della natura le condizioni concrete di questo paziente sono tali per cui l'evoluzione produrrà uno stato di morte, perché gli organi di quell'individuo si sono fermati ecc. c'è un avvelenamento, allora il tuo compito non è quello di accanirti per far sì che tutto funzioni, sai già che non potrà funzionare.
Allora il tuo compito è non di accanirti, ma quello di fare di tutto perché il paziente possa essere sollevato della sua situazione di sofferenza.
Oltre tutto la morte fa parte dell'esperienza umana, il negare la morte significa negare la dignità di una persona.
Quindi fa parte anche della terapia l'accompagnamento delle persone ammalate l'incontro alla fine della propria esistenza sulla terra, questo è un discorso laico.
Un discorso da credente è: noi viviamo su questa terra protesi per l'altra vita, quindi l'accompagnamento del paziente ammalato che si sta avvicinando al momento fondamentale della propria esistenza, fa parte veramente di quel senso di buona morte da cui viene il termine eutanasia.
Però qui ha tutto un altro significato, ve ne rendete conto no? che aiuta il paziente, aiuta il fedele a incontrarsi con il suo Creatore, essendo giunto al termine il tempo della propria esistenza sulla terra.
Accanimento terapeutico significa fare di tutto per prolungare l'esistenza su questa terra, sapendo molto bene che ogni sforzo che sarà fatto non produrrà proporzionalmente, in maniera accettabile, dei risultati stabili e duraturi.
Questo in grandi linee il principio generale, naturalmente ci sono poi le situazioni che esigono una competenza concreta delle situazioni patologiche e delle possibilità di cure che adesso sussistono.
Se secondo le leggi della natura una persona che non riceva queste cure non è in grado di vivere da se stessa autonomamente, allora questo spaventa veramente e mantenere in vita una persona ad oltranza attaccata alle macchine, che non è una persona che sia in coma che è un'altra cosa, in linea di principio l'ostinarsi a produrre delle cure che sappiamo già che non avranno risultati, questo è accanimento terapeutico.
L'altra volta abbiamo detto: la parola viene da Dio, possiede una potenza efficace, abbiamo parlato del carisma di profezia, spero che ciascuno di voi abbia potuto riflettere su questo tema.
Ora andiamo avanti.
In qualche caso vi ho già accennato al tema del discepolato, voglio richiamare solo alcune linee fondamentali, per dire in che cosa consista l'essere discepolo.
Prima cosa, il discepolo non è più del maestro; il discepolo al limite cammina a fianco del maestro, non cammina davanti al maestro.
Il discepolo è dunque uno che segue non che precede; la strada è già stata tracciata; il discepolo è colui che seguirà la strada del maestro, non colui che segue la strada del maestro fino a un certo punto, poi prende la scorciatoia.
Se la strada del maestro passa per la via crucis, il discepolo passerà per la via crucis.
È molto meglio che noi queste cose ce le diciamo in faccia, piuttosto che arriviamo ad un certo momento delle nostra esistenza cristiana con le visioni romantiche, che ci fanno immaginare una vita cristiana scevra da quelle che sono le esperienze di sofferenza, di rinuncia di se stessi.
Il discepolo è uno, tutto sommato, che vuole imparare a vivere; l'esperienza del discepolato consiste proprio in questo, nella decisione di mettersi nella condizione di cambiare la propria impostazione di vita.
Ma se la tua impostazione di vita è già indirizzata, costruita, ecc. sul seguire l'insegnamento di Gesù, allora non si tratterà probabilmente di cambiare o di stravolgere quello che tu già fai, ma si tratterà di perfezionare e di approfondire, però la caratteristica del discepolo ha questo atteggiamento interiore che lo pone di fronte al maestro come una persona che dice: ecco io sono un pezzo di creta, modellami, sono disposto a farmi cambiare.
San Paolo parlando del discepolo usa questa parola difficile: metànoia che significa il cambiamento radicale del proprio modo di ragionare.
La cultura in cui noi siamo, l'educazione che abbiamo ricevuto, il tempo che viviamo ci danno una struttura mentale, giusto?
Se noi fossimo vissuti nel 1800 avremmo avuto tutta un'altra struttura mentale, pur essendo vissuti sempre qui.
Perché l'educazione, la cultura, le abitudini, il ritmo di vita ci dava un modo di ragionare completamente diverso.
Se voi fate l'esperienza del catechismo, vi rendete conto che ogni anno che passa, i bambini con cui voi avete a che fare sono diversi è vero?
Cambia la loro struttura mentale.
Allora il vostro adeguarvi al loro modo di capire le cose, intanto vi mantiene freschi e attivi, non vi permette di invecchiare.
Siete inseriti nel mondo, però avete un bagaglio di esperienza maggiore, perché tutto quello che fa parte del vostro vissuto cercate di tradurlo in strutture mentali che persone di un'altra cultura, perché sono di un'altra epoca, siano in grado di capire.
Ora diciamocelo veramente chiaro, ogni anno che passa abbiamo a che fare con delle persone che sono di un'alta epoca, non della nostra e questa distanza si accentua sempre di più, di anno in anno.
Delle persone che sono impegnate nel mondo della scuola lo dicono.
Ogni volta che devono iniziare un ciclo nuovo le strutture mentali di questi bambini di prima sono completamente diverse da quelli di cinque anni prima.
Allora il discepolo è quello che è disposto a lasciarsi cambiare le proprie strutture mentali, uno che non dirà mai: eh! ma abbiamo sempre fatto così.
Uno che dice così significa la negazione della metànoia, cioè la negazione del desiderio di lasciarsi cambiare dalla mentalità nuova che è in Cristo Gesù.
Ma come Gesù Cristo è di 2000 anni fa! Attenzione, io non sto parlando di come vestiva Gesù Cristo, sto dicendo il senso di tutto quello che ha insegnato, l'interpretazione di tutte le scritture, che appartiene al magistero della Chiesa è fuori del tempo, perché è eterno, perché è Gesù Cristo.
Allora questo parlare, questo condividere l'esperienza di Gesù Cristo è il discepolato.
Cosa faceva il discepolo al tempo di Gesù? stava con Lui.
Allora per essere disposti che si verifichi dentro di noi questo discepolato, il primo presupposto necessario e fondamentale è stare con Lui.
Cosa vuol dire stare con Lui? vuol dire stare alla sua presenza, nella preghiera, nella lettura della parola di Dio, nella meditazione di questa parola di Dio.
La famosa lectio divina, che significa proprio masticare, ruminare, ripensare, immaginare, rivivere ecc.; sembrerà un esempio banale, se volete, però se questo vi può servire per capire come meditare, allora fate così.
Fate finta di essere Franco Zeffirelli, se ti dicessero: adesso tu mi devi fare un film su questo brano del Vangelo, allora tu devi leggere quel brano tante tante volte, perché ogni parola, ogni frase può avere un significato diverso, una sfumatura diversa.
Ma questa frase che cosa voleva veramente dire Gesù quando l'ha detta?
Dove si trovava in quel momento? Era giorno, era notte, faceva freddo, era in riva al lago, stava camminando a Gerico, era nel deserto?
Tu devi vedere questa scena, perché devi capire che tutto quello che Gesù ha vissuto in quel momento e che ci è raccontato nel Vangelo è ciò che fa parte della trasmissione del messaggio.
Allora quando ti dico che devi ruminare la parola di Dio ed il primo passo è lo stare con Gesù, ti dico in parole povere a mo' di esempio fai finta di essere un artista cinematografico che deve creare un film, esprimendo in un modo comprensibile agli altri quello che stai leggendo.
Se prima non hai capito, cosa vai a trasmettere agli altri? è chiaro?
Ecco, allora il discepolo, il primo passo è stare con il Maestro.
Stare significa la preghiera, preghiera personale, vai davanti al santissimo, prega in camera tua; ma stare significa anche ascoltare la sua voce.
Ti prendi la scrittura, te la mediti, te la immagini e poi dopo la traduci.
Il discepolo al tempo di Gesù che cosa faceva? Stava con il Maestro.
Il discepolato degli altri maestri in Israele consisteva in questo.
Il nuovo discepolo implorava il maestro e diceva: mi permetti di venire dietro di te, per imparare a vivere?
Gesù fa il contrario, li chiama e dice: seguimi; invece gli altri maestri dicevano: va bene, ti permetto di seguirmi.
L'ultimo arrivato dei discepoli si occupava delle cose più umili del maestro, anche lavare i panni, perché condivideva la vita del maestro, anzi non era discepolo se non condivideva la vita del maestro.
Ascoltava quello che il maestro diceva, vedeva cosa faceva, addirittura come si vestiva, come camminava, come parlava, che atteggiamenti aveva nei confronti del prossimo, della cultura del suo tempo ecc..
Quindi un maestro era investito di una grande responsabilità, perché tutto ciò che faceva il maestro sapeva già che l'avrebbero fatto anche i discepoli.
Dopo gli anni necessari a questi tipo di formazione il discepolo aveva talmente tanto cambiato il suo modo di essere e aveva assorbito il modo di essere del maestro, che chi vedeva il discepolo vedeva il maestro.
Allora quando si parla del cristiano come del discepolo di Cristo, si dice esattamente questo.
A volte vi sembra di parlare in un deserto, ossia che quello che dite non sia recepito.
È normale che sia così, perché se uno ha il timbro del cristiano, ma poi non lo è per niente, vuol dire che non è per niente discepolo di Gesù Cristo, vuol dire che la sua mentalità non è quella di Gesù Cristo è quella del mondo.
A voi Gesù Cristo ha chiesto: volete essere miei discepoli?
Se voi siete qui al sabato mattina è per questa semplice risposta che state dando a Lui, non a me e cioè voglio diventare discepolo; cosa vuol dire?
Voglio imparare tutto del Maestro, voglio diventare come Lui.
In realtà la Chiesa si aspetta dai cristiani che chiunque vede un cristiano veda Gesù Cristo, quindi voi capite che esige un cambiamento di mentalità radicale.
C'è sempre l'egoismo che tiranneggia la vita di ciascuno di noi, siete d'accordo?
Che a causa dell'egoismo facciamo delle scelte miopi, limitate, a volte cattive.
Allora il cammino del discepolo è un cammino di santità.
E sì, diciamocelo proprio fuori dai denti; il cammino del discepolo è un cammino di santità, perché tu vedi Gesù e dici: voglio diventare come Lui; se tu non dici voglio diventare come Lui, non hai ancora chiaro cosa significhi essere cristiano.
Non è che tu ti debba spaventare, ti debba sentire in colpa, soltanto ricordati che il tuo cammino normale è questo; tu a un certo momento ti scontrerai con questa domanda, con questa proposta di Gesù: Voi chi dite che io sia?
Allora significa che a un certo momento che tu dici: adesso siamo al dunque, questa domanda mi è venuta di fronte agli occhi, ma io voglio diventare come Gesù o no? ne ho paura e per quale motivo?
Ho paura di abbandonare le mie sicurezze, il mio nido che mi sono creato, le mie abitudini, la mia struttura mentale?
Ho paura di perdere la mia identità, ho paura di faticare per cambiare, per diventare una persona diversa?
Eppure questa è la domanda che ci raggiungerà tutti, presto o tardi, meglio presto che tardi, perché voi sapete che la pianticella si raddrizza finché è giovane.
Quando non è più giovane la si puntella, ma non la si raddrizza; allora è molto meglio che cresca dritta che cresca storta e poi sia puntellata.
Può darsi che nella storia di qualcuno degli adulti, uno conosca il Signore tardi, non significa nulla, riceverai i puntelli necessari e crescerai secondo gli insegnamenti ricevuti in età tardi, nulla è impossibile a Dio.
Se voi leggete le "Confessioni" di Sant'Agostino, troverete anche questa affermazione: "tardi ti conobbi".
E però cosa vuol dire? Quando si sentì amato dal Maestro, sebbene la pianticella fosse già divenuto un albero robusto, questo non impedì al Signore di creare qualche cosa di straordinario con una vita santa.
Quindi nessuno si spaventi nel dire: oh! devo veramente cambiare tutto il mio modo di pensare, ma nessuno fa come me.
Guarda a te non importa niente se nessuno fa come te; tu sei chiamato a rispondere della tua coscienza di fronte a Dio.
Per fortuna il magistero della Chiesa è più grande della tua piccola comunità.
L'essere parte della Chiesa cattolica è un grande dono, perché per la Chiesa cattolica c'è un unico insegnamento che vale per tutti.
Non l'insegnamento di ogni comunità che diventa fondamentale, ma l'insegnamento di ogni comunità diventa fondamentale nella misura in cui è collegato all'insegnamento generale della Chiesa che si chiama il Magistero.
Quindi mettiamo il caso di un predicatore eretico che ti dica delle cose diverse da quelle che ti dice il catechismo, che fai tu?
Ti adegui alla sua piccola comunità o a un certo momento dici: un attimo, io non sono protestante, io sono cattolico, la mia Chiesa è quella cattolica, cioè quella universale.
Per me l'insegnamento vincolante è quello del Vangelo, interpretato dal magistero della Chiesa.
Per questo è importante conoscere il Vangelo, conoscere il catechismo, perché se noi siamo superficiali ci sentiamo dire che è lecita la convivenza, mentre nel Vangelo non c'è scritto da nessuna parte; ci può essere qualcuno che ti dice: non serve confessarsi, tanto il Signore ci manda tutti in Paradiso lo stesso!
Eresia! l'insegnamento generale del Magistero della Chiesa non è quello; tu sei tenuto a seguire il Magistero della Chiesa non il singolo individuo.
Il tuo Maestro si chiama Gesù Cristo.
Questo lo dico per rassicurare, perché ogni tanto sento il rammarico, l'amarezza di qualche fratello che a volte viene in contatto con certe storture.
Nessuno si deve impressionare che esistono delle storture, ognuno si deve impressionare se invece di ascoltare il Maestro ascolta le storture.
Quando Gesù ti insegna una cosa e tu ne fai un'altra, allora lì ti devi impressionare, non che Tizio, Caio o Sempronio dicano una cosa sbagliata.
Tu pregherai per quella persona affinché conosca la verità, ma tu ti adegui alla verità non alla persona, perché il tuo unico Maestro è Gesù.
Infatti Gesù dice: io sono il vostro Maestro.
Bene, questo è fondamentale su quanto si riferisce al discepolato.