Caritas: storia di una parola

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Per la maggior parte, le notizie che riferirò sono tratte da un recente articolo di T. Bolelli, Caritas, Storia di una parola, comparso in « Rivista di filologia ». ( Torino 1950, Nuova serie, vol. XXVIII )

Ho creduto opportuno riassumere questo interessante articolo e svilupparne alcune parti, poiché la carità è alla base dell'opera dei Catechisti, che hanno denominato « Casa di Carità Arti e Mestieri » la loro fiorente scuola professionale.

Debbo precisare che qui verrà illustrato piuttosto l'aspetto umano e letterario della parola latina caritas, in relazione con la parola greca agape, ma vi è di più l'aspetto teologico e soprannaturale dalla carità come virtù infusa da Dio, secondo la sentenza dell'Apostolo ( Rm 5,5 ): « Caritas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum, qui datus est nobis ».

Mi preme soprattutto rilevare come, al tempo in cui fu dapprima diffuso il messaggio cristiano con il comandamento di amare Dio per Sé sopra ogni cosa e, il nostro prossimo per amor Suo, non esisteva una voce adeguata ad esprimere tale concetto né in ebraico, né in greco, né in latino.

Ma la parola latina caritas poteva facilmente essere piegata allo scopo.

La parola caritas appare per la prima volta in Catone con il significato di « carestia ». ( De agric. 3,2 ).

« Patrem familiae villam rusticam bene aedificatam habere expedit, cellam oleariam.vinariam, dolia multa, ubi lubeat caritatem exspectare: et rei et virtuti et gloriae erit ».

Secondo il Forcellini ( Dizion. s. v. caritas ), la parola caritas sta anche ad indicare, in opposizione a vilitas, il « prezzo caro » di una mercé.

Il significato di « amore, affetto » della parola caritas compare per la prima volta in Cicerone ( « caritas generi humani » ).

In confronto con amor, la voce semasiologicamente più affine, caritas, esprime un sentimento esclusivamente nobile ed elevato, lontano da ogni impurità e frutto non solo dell'inclinazione naturale, ma di nobili pensieri, e il suo soggetto non può essere che buono.

Quintiliano ( Inst. Orat. 6, 2,12 ) suggerisce di tradurre la parola greca « pàthos » con affectus concitati ( amor ) e la parola « éthos » con affectus mites atque compositi ( caritas ).

Tale caratterizzazione di caritas si farà ancor più viva nel latino cristiano.

S. Agostino, pur dicendo che questa parola si usa anche per il male, altrove definisce la caritas così ( De doctr. christ. c. X,16 ); « Caritatem voco motum animi ad fraendum Deo propter ipsum et se atque proximo propter Deum ».

In Seneca ( De benef. V,9,1 ) « caritas ha l'insolito significato di « istinto di conservazione ».

Egli scrive anche ( Epist. 14,1 ) : « Fateor esse nobis corporis nostri caritatem fateor nos huius gerere tutelam.

Non nego indulgendum illi, serviendum nego ».

La parola fu poi scelta per tradurre la voce greca « agape » ( agapào == accolgo con cordialità, tratto con affetto ), almeno fin dalla Volgata.

Nel greco del Nuovo Testamento, agape si afferma con il preciso significato di amore della creatura per Dio e per i propri simili, perdendo quell'elasticità che le aveva consentito, sia pure raramente, nel Vecchio Testamento di assumere anche il significato di amore - passione.

In ebraico non c'è una parola che definisca bene l'attuale concetto di caritas.

Le parole agape e caritas convergono poi nel significato di banchetto, convito.

Caritas, nel senso di « convito » appare, a quanto sembra, relativamente tardi nel latino cristiano.

Ve n'è un esempio in Gregorio Magno ( 12, Epist. 6 ).

Di qui ( per le istituzioni benefiche connesse con il convito dei cristiani ) il convito stesso ( caritas ) viene ad assumere il significato di elemosina.

Tracce di questo significato sono rintracciabili fin nell'alto medio evo.

Naturalmente questo significato è parallelo all'altro di « amore per Dio e per il prossimo », che pure si conserva in tutte le lingue romanze.

Si ricordi la « carità del natìo loco » di Dante ( Div. Comm. I, XIV,1 ) nel pietoso gesto verso il suicida fiorentino.

In Lorenzo Valla ( Eleg. lat., libro III, cap. LXII ) si ritrovano entrambi i significati caratteristici della parola: quello di « penuria » e quello di « amore »: e l'amore sta alla carità ( nel senso affettivo ) come il genere alla specie: « Amor genus est, Charitas speoies ».

Si nota, nell'ediz. Venezia, 1550, che ho sott'oochio, la grafia « charitas » ( anziché « caritas » ) che non appartiene al latino classico, ma trovasi in quello medioevale.

In conclusione, le due parole di affine significato nella cultura greco-romana • agape e caritas - si uniscono, nell'età cristiana, per esprimere una virtù teologale, acquistando un significato assai più alto e insieme più intimo nella partecipazione dello stato soprannaturale.

M. S.