Per un umanesimo del terzo millennio

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Dottrina sociale e missione

La dottrina sociale costituisce indubbiamente un punto di riferimento fondamentale per una presenza reale ed evangelizzatrice della Chiesa.

Il Magistero sociale si è configurato da sempre come strumento di autentica e rinnovata evangelizzazione di fronte a un mondo che si è modificato e che è tuttora in continuo mutamento.

L'insegnamento sociale della Chiesa, come ha ricordato Paolo VI, infatti, « si sviluppa attraverso una riflessione condotta a contatto delle situazioni mutevoli di questo mondo, sotto l'impulso dell'evangelo come fonte di rinnovamento, allorché si accetta il suo messaggio nella sua totalità e nelle sue esigenze.

Si sviluppa altresì mediante la sensibilità propria della Chiesa [ … ]

Attinge infine a una ricca esperienza secolare che gli permette di assumere, nella continuità delle sue preoccupazioni permanenti, l'innovazione ardita e creatrice, richiesta dalla presente situazione del mondo ».1

La dottrina sociale: un problema di evangelizzazione e di missione

Affrontare e cercare di capire a fondo il significato e il valore della dottrina sociale non è qualcosa che possa essere lasciato agli specialisti, interessa piuttosto il cristiano in quanto tale.

Non si tratta, dunque, di un aggiornamento di tipo settoriale, ma innanzitutto di un problema relativo all'evangelizzazione e alla missione, come ha ribadito Giovanni Paolo II: « L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa ».2

Ciò risulta ancora più chiaro se si tiene presente quanto affermato nella Redemptor hominis a riguardo della responsabilità che la Chiesa deve avere nel conoscere e incontrare l'uomo nella sua integralità, con tutti i suoi problemi, compresi ovviamente anche quelli di natura sociale: « Essendo quindi quest'uomo la via della Chiesa, via della quotidiana sua vita ed esperienza, della sua missione e fatica, la Chiesa del nostro tempo deve essere, in modo sempre nuovo, consapevole della di lui "situazione".

Deve cioè essere consapevole delle sue possibilità, che prendono sempre nuovo orientamento e così si manifestano: la Chiesa deve, nello stesso tempo, essere consapevole delle minacce che si presentano all'uomo.

Deve essere consapevole, altresì, di tutto ciò che sembra essere contrario allo sforzo perché la vita umana divenga sempre più umana, perché tutto ciò che compone questa vita risponda alla vera dignità dell'uomo.

In una parola, deve essere consapevole di tutto ciò che è contrario a quel processo ».3

La dottrina sociale porta la fede a misurarsi con l'uomo storico, concreto, con i suoi problemi vitali.

Essa illumina tali problemi a partire dalla fede, individuandone le soluzioni dentro quell'orizzonte nuovo di coscienza e di azione che la fede stessa fa accadere nel mondo.

Si può pertanto dire che la dottrina sociale nasce dall'incontro della fede con l'uomo, con le sue problematiche reali, personali e sociali.

Infatti, « la fede non è un'evasione ma al contrario, se vissuta, è esigenza di azione sul piano della regolazione della società temporale e comporta, per il laico cristiano, un'esigenza di efficacia temporale affinché regni la giustizia e siano garantite alle persone umane le condizioni di esistenza cui hanno diritto ».4

Non può essere considerata autentica presenza cristiana e quindi adeguata missione della Chiesa, quella presenza cristiana che non faccia riferimento alla dottrina sociale.

La storia della Chiesa insegna che quando la fede non ha più nulla da dire sui problemi della vita umana, perde la sua caratteristica fondamentale di essere la risposta che Dio ha dato all'uomo e, quindi, la possibilità per l'uomo stesso di sperimentare e di incontrare tutta la verità su di sé e di potervi, in qualche modo, corrispondere.

In altri termini non si deve dimenticare il nesso profondo esistente tra evangelizzazione e promozione umana: « Tra evangelizzazione e promozione umana - sviluppo, liberazione - ci sono infatti dei legami profondi.

Legami di ordine antropologico, perché l'uomo da evangelizzare non è un essere astratto, ma è condizionato dalle questioni sociali ed economiche.

Legami di ordine teologico, poiché non si può dissociare il piano della creazione da quello della Redenzione che arriva fino alle situazioni molto concrete dell'ingiustizia da combattere e della giustizia da restaurare.

Legami dell'ordine eminentemente evangelico, quale è quello della carità: come infatti proclamare il comandamento nuovo senza promuovere nella giustizia e nella pace la vera, l'autentica crescita dell'uomo? ».5

Grazie al Magistero sociale si può comprendere come la fede, nella prospettiva cattolica, non sia da intendere come un'appendice preziosa e inutile della vita, ma come criterio di lettura dell'intera esistenza: « per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a Cristo Salvatore ».6

La dottrina sociale non nasce da una prospettiva ideologica

Non si può comprendere adeguatamente il Magistero sociale della Chiesa senza tenere presente che il problema della Chiesa è innanzitutto di presenza e di missione.

La sua radicale ed essenziale preoccupazione è, infatti, quella di mantenere viva la presenza di Cristo e di comunicare questa presenza.

Come hanno detto i Padri sinodali, riflettendo insieme a Giovanni Paolo II sul Concilio Vaticano II nel Sinodo celebrato in occasione dei vent'anni dalla fine dello stesso Concilio, la Chiesa è "una comunione per la missione".

La Chiesa, dai primi decenni fino ad ora, è una realtà di comunione, una realtà di popolo che non si chiude in sé per contrastare i nemici, ma che tende ad uscire da sé per comunicare agli uomini la verità sull'uomo; verità che non ha creato con la propria intelligenza, ma che ha ricevuto in dono.

Dal momento che vive nel tempo, la Chiesa non può non interessarsi di quegli aspetti sociali, politici e culturali che segnano l'epoca in cui è chiamata a vivere.

La Chiesa non può prescindere da questi aspetti sia per evitare di essere assoggettata o cancellata dal potere politico, difendendo in questo modo la propria libertà, sia per annunciare in modo efficace la verità di Cristo all'uomo del suo tempo.

È a partire da questa "comunione per la missione" che sorge nel cristiano un modo nuovo di vivere le dimensioni sociali.

Lo testimonia in modo mirabile la Lettera a Diogneto, uno dei documenti, risalenti al II secolo, tra i più belli che si possono leggere sulla vita della prima comunità cristiana: « I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per costumi.

Non abitano in città proprie, né usano un gergo particolare, né conducono uno speciale genere di vita.

La loro dottrina non è la scoperta del pensiero di qualche genio umano né aderiscono a correnti fìlosofiche.

Vivendo in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato, e uniformandosi alle abitudini del luogo nel vestito, nel vitto e in tutto il resto, danno l'esempio di una vita sociale mirabile, o meglio paradossale ».

Paradossale perché irriducibile alla dimensione sociale, ma capace di giudicare e trasformare la dimensione sociale rendendola più umana, più corrispondente alle attese dell'uomo.

Uno dei primi grandi Padri della Chiesa, Ireneo di Lione, riflettendo sulla novità cristiana, per sottolineare che il Cristianesimo è entrato nel mondo con la consapevolezza di essere un fatto irriducibile, completamente nuovo rispetto ai valori e alle normali dinamiche di carattere culturale, sociale e politico, affermava che "Gesù Cristo non si è definito consuetudine, ma novità".

Allo stesso tempo però il cristianesimo lungo i secoli ha dimostrato di favorire lo sviluppo di una dimensione sociale più autentica come ci testimonia appunto la Lettera a Diogneto, e oltre ad essa l'intero Magistero sociale.

La dottrina sociale appartiene, pertanto, all'ambito della teologia morale, ricevendo la sua originale identità dalla Rivelazione stessa e assumendo da questa peculiare disciplina teologica fonti e metodo.

I principi di riflessione, le direttive d'azione, i criteri di giudizi contenuti nella dottrina sociale non appartengono dunque al campo ideologico delle elaborazioni teoriche o dei sistemi socio-politici.

Essa non fornisce innanzitutto soluzioni tecniche ai problemi sociali di ogni tempo e luogo.

Consiste, piuttosto, nella « accurata formulazione dei risultati di una attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo e della società e del contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale.

Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il suo comportamento cristiano ».7

Il Magistero sociale ha attinto, perciò, innanzitutto dalla Sacra Scrittura i contenuti fondamentali della propria riflessione.

La tradizione vivente della Chiesa ha trovato e trova nella Parola scritta insegnamenti fondamentali che riguardano la persona umana e la sua irrinunciabile dimensione sociale.

Pur tenendo conto dei diversi contesti socio-culturali nei quali si sono venuti a trovare il popolo dell'Antica Alleanza, Gesù e la Comunità primitiva, il teologo morale può trovare nella Legge, nella Profezia e nella Sapienza, contenute nella Parola rivelata e nella Tradizione ecclesiale, molti punti acquisiti e qualificanti il Magistero sociale della Chiesa.

Gli esempi non mancano: la sacralità di ogni persona creata ad immagine e somiglianza di Dio, la sua natura sociale, la carità come legge nuova del discepolo che perfeziona la giustizia; l'esigenza di spazi adeguati per vivere liberamente la propria sequela di Cristo con tutti i fratelli della comunità ecclesiale; la dignità e i significati del lavoro, la destinazione universale dei beni e il diritto di proprietà; il primato del Regno di Dio nei confronti di ogni realtà o istituzione terrena, la reale possibilità della Chiesa di svolgere la sua missione dando a Dio quel che è di Dio.

Si può capire facilmente, allora, come la dottrina sociale, già contenuta nell'insegnamento apostolico e senz'altro in quello dei Padri della Chiesa e dei teologi medioevali, si è sviluppata con il susseguirsi degli avvenimenti storici.

Per sua natura, essa realizza la sua efficacia storica nella misura in cui tutta la comunità ecclesiale diviene responsabile testimone della rilevanza sociale del Vangelo: « Tale insegnamento diventa tanto più accettabile per gli uomini di buona volontà quanto più profondamente ispira la condotta dei fedeli ».8

Anche in questo campo, infatti, è convinzione certa della Chiesa che la "natura" e la "grazia", la "ragione" e la "fede" non si contrappongano, ma si esigano, si illuminino e si rafforzino a vicenda.

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1 Paolo VI, Octogesima adveniens 42
2 Giovanni Paolo II, Sollicitudo Rei Socialis 41
3 Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis 14
4 J. Daniélou, Il cristiano e il mondo moderno, ed. Cantagalli, Sie na 2004, p.25
5 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 31
6 Giovanni Paolo II, Centesimus Annus 5
7 Giovanni Paolo II, Sollicitudo Rei Socialis 41
8 Cat. Chiesa Cat. 2422