Per un umanesimo del terzo millennio

Indice

Un umanesimo integrale e solidale

L'importanza e l'attualità della dottrina sociale ci è testimoniata anche dalla pubblicazione del Compendio della dottrina sociale della Chiesa,9 dove viene affermato: « La Chiesa [ … ] anche con questo documento sulla sua dottrina sociale intende proporre a tutti gli uomini un umanesimo all'altezza del disegno d'amore di Dio sulla storia, un umanesimo integrale e solidale, capace di animare un nuovo ordine sociale, economico e politico, fondato sulla dignità e sulla libertà di ogni persona umana, da attuare nella pace, nella giustizia e nella solidarietà ».10

Che cosa allora offre all'uomo di oggi la Chiesa attraverso il compendio, ma più in generale attraverso l'intero Magistero sociale di cui questo importante documento rappresenta appunto una sintesi?

La possibilità di guadagnare un « umanesimo integrale e solidale ».

La Chiesa ha, infatti, la certezza di proporre con la sua presenza viva, all'interno di un'esperienza di cammino, segnata da una precisa cultura e da un continuo slancio missionario, un umanesimo nel quale si possono ritrovare pienamente esaudite le esigenze fondamentali dell'uomo; quelle esigenze di verità, di bellezza, di giustizia e di fede che, secondo l'insegnamento di S. Agostino, costituiscono la struttura fondamentale dell'uomo e quindi il suo movimento di intelligenza e di amore.

Il carattere anticristiano dell'umanesimo moderno

Il termine umanesimo non è tuttavia esente da ambiguità e richiede pertanto ulteriori chiarimenti.

L'umanesimo di cui si parla è in contrasto, infatti, con il modo di intendere e di realizzare l'umanesimo proprio dell'epoca moderna e per certi versi anche della post-modemità.

Non bisogna scordare che la modernità ha cercato di realizzare un umanesimo senza Dio.

È possibile distinguere all'interno della modernità, che deve sicuramente essere considerata nella sua complessità un processo variegato, generoso e tragico insieme, una linea di pensiero prevalente, che ha voluto percorrere una nuova strada per la costruzione dell'umanesimo.

Nuova perché ha voluto staccarsi completamente da quella della tradizione, da quella cioè che si è sviluppata intorno alle domande di senso, alla ricerca di significato e alla risposta della fede.

Strada, quest'ultima, invece continuamente ribadita come irrinunciabile per l'uomo dal Magistero della Chiesa e riaffermata con grande chiarezza dall'intero pontificato di Giovanni Paolo II, in particolar modo attraverso la Fides et ratio.

La modernità ha voluto percorrere una strada che poggiava totalmente sull'uomo, sul suo potere, sulla sua capacità di conoscere la realtà, di organizzarla scientificamente e di manipolarla tecnologicamente.

Abbiamo assistito per più di due secoli al tentativo di creare un umanesimo senza riferimento religioso, non necessariamente contro Dio, ma certamente senza Dio.

Lo stesso Giovanni Paolo II ha descritto con estrema chiarezza il costituirsi di una tale dinamica: « Che cos'è la vita, che cos'è l'amore, che cos'è la morte?

Da quando vi sono uomini che pensano, queste questioni fondamentali non hanno cessato di impegnare il loro spirito; da millenni le grandi religioni si sono sforzate di fornire le risposte; ed è a quest'uomo che la Chiesa di Gesù Cristo propone la Buona Novella della salvezza [ … ] ma ecco in una gigantesca sfida l'uomo moderno dopo il Rinascimento si è eretto contro questo messaggio di salvezza e si è messo a rifiutare Dio nel nome della sua dignità di uomo; dapprima riservato ad un piccolo gruppo di spiriti, l''intellighenzia che si considerava come un'elite, l'ateismo è diventato oggi un fenomeno di massa [ … ]

Si tratta di un vero secolarismo, secondo l'espressione di Paolo VI nella sua esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, una concezione del mondo per la quale quest'ultimo si spiega da solo senza che ci sia bisogno di ricorrere a Dio.

Un tale secolarismo per riconoscere il potere dell'uomo finisce dunque per sorpassare Dio e per negare Dio ».11

Questo tipo di umanesimo si è pertanto sviluppato in aperto contrasto con quello generato dalla tradizione cattolica vissuta nella vita di fede delle famiglie, delle comunità parrocchiali, delle congregazioni, degli ordini, delle opere sociali.

Esperienza di fede che ha trovato un approfondimento culturale ed una formulazione dottrinale, da un certo momento in poi, proprio nella dottrina sociale.

Contro l'idea di umanesimo cristiano la modernità ha adottato due atteggiamenti.

Il primo è stato l'atteggiamento del rifiuto, quello della negazione violenta, il cui apice è sicuramente rappresentato dall'enorme numero di cristiani martirizzati nel corso dell'epoca moderna, con l'ultimo immenso tributo pagato nel XX secolo: « Secondo la Word Christian Enciclopedia, compilata dallo studioso protestante David Barret ( esperto di statistiche ), nel XX secolo vi sono stati oltre 45 milioni di martiri, cioè di cristiani che hanno perduto la vita prematuramente in una situazione di ostilità verso il cristianesimo.

La cifra è pari a più di 2/3 della somma totale dei martiri dagli inizi del cristianesimo [ … ]

Il '900 iniziato con la rivoluzione dei Boxers in Cina, è proseguito con il genocidio degli armeni a opera dei turchi, le persecuzioni anticlericali ( massoniche e social-comuniste ) in Brasile, Messico, Spagna, la persecuzione nazista in buona parte dell'Europa; il comunismo in URSS e nell'Europa dell'Est ».12

La distruzione delle chiese, dei conventi, la soppressione delle persone fisiche, dei vescovi, dei sacerdoti, dei laici e il rifiuto del cristianesimo sono conseguenza dell'opzione fondamentale che la modernità ha radicalmente posto: o si è moderni o si è cristiani; o si è per il progresso, per una piena e definitiva realizzazione dell'uomo che rifiuta totalmente il piano trascendente, o si è per una visione retrograda e reazionaria, superstiziosa e nociva che si fonda sulla religione, sulle chiese e su Dio.

Secondo una tale prospettiva, come ha bene evidenziato Augusto Del Noce, « la storia del XX secolo non potrebbe essere intesa che come un processo verso il culmine della modernità coincidente con la piena secolarizzazione, tale da escludere ogni richiamo alla trascendenza religiosa ».13

Le parole di Lenin, nonché la sua azione politica, ce lo confermano a pieno: « Tutte le religioni contemporanee, tutte le chiese e ogni organizzazione religiosa sono considerate dal marxismo come organi della reazione borghese che servono a difendere lo sfruttamento e l'istupidimento della classe operaia [ … ] è necessario conoscere il modo in cui combattere contro la religione [ … ]

Questa battaglia va concepita in connessione con la pratica concreta del movimento di classe diretto all'eliminazione delle radici sociali della religione ».14

Non molto diversa era la concezione di Hitler il quale, commentando il concordato con la Chiesa e l'apparente politica di non aggressione nei confronti delle chiese, così si esprimeva: « Ciò non mi impedirà di sradicare totalmente il cristianesimo dalla Germania, di eliminarlo in maniera completa, radicale e definitiva.

È una questione decisiva se il nostro popolo ha una fede ebraico cristiana con la sua morale molle e compassionevole, oppure una forte ed eroica fede in dio nella natura, in dio nel proprio popolo, in dio nel proprio destino in dio nel proprio sangue [ … ]

Non è possibile essere cristiani e tedeschi insieme: o si è l'uno o si è l'altro ».15

L'atro atteggiamento molto più subdolo e pervasivo ha cercato di subordinare la Chiesa al progetto secolaristico della modernità.

Ciò è avvenuto innanzitutto tentando, attraverso la rivendicazione della separazione tra Stato e Chiesa, di subordinare la Chiesa allo Stato.

Fin dalla Costituzione civile del Clero del 1790 il tema della separazione della Chiesa dallo Stato è stato l'occasione per ribadire la tendenza ad assimilare la vita e la struttura religiosa nell'ambito dello Stato, sviluppando quell'interpretazione rinascimentale e, successivamente, protestante, della politica come strumento del regno.

Il tema della separazione è stato affrontato dalla modernità con l'intenzione non tanto di affermare la totale separazione dei due ordini, bensì la priorità dell'ordine politico su quello religioso.

Secondo una tale prospettiva la vita e la dimensione religiosa, nel momento in cui si esprimono pubblicamente, devono essere ricondotte e inglobate nella vita dello Stato.

Ciò significa che l'agire dei cristiani all'interno della vita sociale, per evitare che mostri un umanesimo dal volto differente, deve essere ricondotto alle norme determinate dalle istituzioni.

La Chiesa può agire solo nella misura in cui lo faccia secondo i dettami del potere politico.

La pace di Augusta del 1555, con l'affermazione del cuius regio, eius religio, in un certo senso può essere vista come l'evento che sancisce questo rovesciamento dell'ethos europeo: non più un potere politico subordinato a quello religioso, ma al contrario un potere politico assoluto che si serve di quello religioso per rafforzarsi.

La religione è interpretata come struttura fondamentale dello Stato.

Alla religione nel suo esprimersi pubblico pensa lo Stato e chi non si conforma alla legge del principe ha soltanto un diritto: quello di andare in esilio alla ricerca di una situazione diversa.

La guerra dei Trent'anni che ne scaturisce è forse il primo tragico tentativo di realizzare una società "moderna" dove il potere religioso è strumento del potere politico: « quella guerra portò a compimento il rovesciamento dell'ethos originario europeo, segnò davvero la nascita dell'Europa moderna, [ … ] l'Europa dei principi e dei re, degli stati e delle frontiere, degli eserciti e delle guerre civili ».16

La Costituzione Civile del Clero rappresenta forse il tentativo più esplicito di un processo di secolarizzazione della società e di assimilazione della Chiesa allo stato, iniziato molto prima e certo non terminato con la Rivoluzione francese.

Il Concordato con la Chiesa Cattolica voluto da Napoleone, come traspare dalle sue stesse parole, è anch'esso inscrivibile in una logica puramente strumentale di subordinazione della religione alla politica: « Si dichiara che, siccome la religione cattolica è la religione della maggioranza dei francesi, bisogna organizzarne l'esercizio.

Il Primo Console nomina cinquanta vescovi, il papa li insedia.

I vescovi nominano i curati, lo Stato li stipendia.

Prestano giuramento.

I preti che non vi si sottomettono vengono deportati.

Quelli che predicano contro il governo vengono deferiti ai loro superiori perché siano puniti [ … ]

Si dirà che io sono papista; io non sono niente.

In Egitto ero maomettano; qui, per il bene del popolo, sarò cattolico ».17

La stessa formula "Libera Chiesa in libero Stato" è espressione di questo tentativo di distinguere e separare la Chiesa e lo Stato nel senso di un assorbimento della Chiesa nello Stato.

Prima ancora dello stato totalitario, lo stato liberale ha preteso di essere lui a concedere il diritto ad esistere e a normare ogni espressione ed opera sociale del popolo cristiano.

Si è cercato di ridurre la Chiesa ad una funzione pedagogica e morale, sempre all'interno dello Stato, come parte integrante di esso, come strumento del regno appunto.18

L'esito inumano dell'umanesimo moderno

Esito comune ad entrambi gli atteggiamenti, quello che ha generato un attacco frontale alla religione, quello che ha cercato di subordinarla alla sfera politica, è comunque una concezione totalitaria del potere che ha trovato la propria realizzazione storica nei regimi totalitari del XX secolo.

È quindi una concezione totalitaria ed ideologica ciò che ha sviluppato l'umanesimo moderno.

È, infatti, proprio con la modernità che nasce il pensiero ideologico, quello che cerca di dedurre la realtà dall'idea, di ricondurre la realtà all'interno dello sviluppo logico dell'idea.

Illuminante a questo riguardo sono le parole della Arendt sull'ideologia: « Un'ideologia è letteralmente quel che il suo nome sta a indicare: è la logica di un'idea [ … ]

L'ideologia tratta il corso degli avvenimenti come se seguisse la stessa "legge" dell'esposizione logica della sua idea.

Essa pretende di conoscere i misteri dell'intero processo storico - i segreti del passato, l'intrico del presente, le certezze del futuro - in virtù della logica inerente alla sua idea.

Si suppone che il movimento della storia e il processo logico del concetto corrispondano l'uno all'altro, di modo che quanto avviene, avviene secondo la logica di un'idea.

[ … ] Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa dallo svolgimento della premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica ».19

Il primo fattore determinante dell'ideologia è la scienza: il nucleo delle sue convinzioni fondamentali è scientifico ed è considerato di conseguenza indiscutibile.

La scienza è stata intesa, infatti, come ciò che per sua natura è indiscutibile, perché procede con un rigore tale che mettersi contro la scienza significherebbe avversare la ragione e la realtà.

Questo non deve, comunque, farci dimenticare che si tratta di una pseudoscienza.

Le ideologie, infatti, che nascono tutte come scientifiche, si diffondono facendo appello ad una fede, ad una fiducia incondizionata e irrazionale nei confronti di chi promuove la stessa ideologia.

L'aspetto del coinvolgimento emotivo deve quindi essere considerato determinante nello svilupparsi, nel diffondersi di una ideologia.

Essa si diffonde, cioè, come una religione.

Non solo si diffonde come una religione, chiedendo, senza ammetterlo, di credere, ma diventa in un certo senso essa stessa una religione secolarizzata.

Finisce sempre per assolutizzare un aspetto della realtà, come se fosse l'aspetto decisivo per comprendere l'intera realtà, come se costituisse la totalità.

Nella varietà di fenomeni, di vicende, di problemi connessi all'esperienza umana, individua un livello considerato determinante.

Ad esempio nella visione marxiana, che è una visone economicistica, l'uomo è interamente identificato con i rapporti economici, i quali spiegano l'intera esistenza senza lasciare fuori nulla, o meglio eliminando tutto ciò che non può essere ricondotto ad essi.

L'ideologia quindi nasce dall'individuazione di un aspetto problematico e dall'individuazione della legge che regola tale aspetto.

A tale legge viene poi conferito un valore assoluto tanto che da esso dipende la spiegazione di tutti gli altri aspetti.

La visione ideologica implica perciò la funzionalizzazione di tutti gli aspetti della realtà ad uno di essi.

L'ideologia si fonda sempre su di un'idea forte, assolutizzata: le altre idee acquistano valore se possono essere dedotte rigorosamente da essa, se possono essere ricondotte ad essa.

Questo è anche il principio della violenza ideologica: l'idea è posta come esclusiva e totalizzante e tutto ciò che non è riconducibile ad essa deve essere piegato ad essa o eliminato.

Le ideologie moderne, non bisogna inoltre dimenticare, hanno la pretesa di essere insieme scientifiche e sociali.

L'uomo moderno ha creduto, attraverso l'impiego della sua ragione tecnico-scientifica, di essere in grado di modificare la propria vita materiale e la situazione sociale.

In tal modo si passa, senza soluzione di continuità, dalla conoscenza dell'uomo alla trasformazione della vita sociale.

Anzi l'efficacia e il valore del pensiero ideologico sono definiti innanzitutto dalla sua applicazione sociale; l'idea ha valore solo nella misura in cui riesce a cambiare la vita nella sua dimensione sociale.

Non c'è vera conoscenza della realtà, non c'è vera conoscenza scientifica dell'uomo se non si arriva a creare una società scientificamente organizzata.

Per la realizzazione di un tale progetto è, tuttavia, necessario che una porzione di umanità, vasta o piccola che sia, venga trattata come oggetto da parte di coloro che, essendo gli ideologi, sono i responsabili del formularsi e della verifica sociale della stessa ideologia.

L'uomo trattato come oggetto, per tutto il tempo necessario per preparare ed imporre il progetto ideologico, viene considerato privo di libertà perché la libertà esprime un'assoluta imprevedibilità e non è quindi riconducibile ad alcuna legge scientifica.

Paradossalmente la modernità che nasce per difendere la libertà dell'uomo finisce per considerarlo, come si evince da un'attenta analisi del fenomeno ideologico, privo di libertà, totalmente funzionale al progetto sociale.

La modernità che può essere vista forse come il più grande tentativo compiuto dall'uomo di salvarsi da sé, senza dipendere da nessun altro, conduce ad una concezione tale per cui, nella maggior parte dei casi, l'uomo deve essere individualmente sacrificato per la realizzazione di un progetto sociale.

Per affermare una società perfetta, uno Stato perfetto è stato necessario privare l'uomo della sua costitutiva libertà.

L'ideologia è stata, quindi, applicata alla storia e alla società con il fine di costruire una società in cui la perfezione ed il rigore del pensiero ideologico sfociassero nella costruzione dello Stato totalitario.

Se non tutta la modernità, una componente decisiva di essa ha condotto al totalitarismo, nel senso che ha tematizzato la dimensione politica come la categoria omnicomprensiva.

Il soggetto sociale è divenuto il vero soggetto della storia e l'espressione massima di questa soggettività sociale è stata vista nella creazione dello stato totalitario.

In esso si è sintetizzata il massimo di conoscenza scientifica e il massimo di capacità tecnologica, che hanno finito per rappresentare il criterio ultimo di definizione dell'uomo.

L'uomo moderno è, infatti, un uomo politico, un uomo che si esaurisce nella sua appartenenza sociale, perché nella sua appartenenza sociale, e non religiosa, vive la massima espressione della cultura e della razionalità.

Negando la dimensione religiosa, non riconoscendo più come costitutivo il rapporto con l'assoluto, l'umanesimo moderno finisce quindi per subordinare l'uomo allo Stato, finisce inevitabilmente per sacrificare la dignità assoluta dell'essere umano.

Alla fine del processo innescato dalla modernità l'uomo non realizza a pieno il proprio umanesimo, bensì si perde.

Non a caso Solzenicyn, che ha sperimentato sulla sua pelle gli effetti disumani del totalitarismo, nel discorso tenuto ad Harward nel giugno del 1978, così si è espresso: « il cammino che noi abbiamo percorso dopo il Rinascimento ha arricchito la nostra esperienza, ma noi abbiamo perduto il Tutto, il Più Alto, che fissava in altro tempo il limite alle nostre passioni e alle nostre responsabilità.

Noi avevamo riposto troppe speranze nelle trasformazioni politico-sociali e ci si manifesta che ci si toglie quel che avevamo di più prezioso: la nostra vita inferiore ».20

La modernità non ha fallito soltanto come realtà sociale e politica a causa dell'esito totalitario, ma ha fallito anche e soprattutto nel suo tentativo di costruire un autentico umanesimo, finendo per generare « un umanesimo inumano », secondo la celebre espressione di De Lubac.

Come ha evidenziato Giovanni Paolo II la storia del XX secolo ha, infatti, pienamente confermato l'intuizione, che può essere considerata quasi profetica, di De Lubac: « Non è poi vero, come pare si voglia dire qualche volta, che l'uomo sia incapace di organizzare la terra senza Dio.

Ma ciò che è vero è che, senza Dio, egli non può, alla fine dei conti che organizzarla contro l'uomo.

L'umanesimo esclusivo è un umanesimo inumano ».21

Di fatto l'uomo dell'età modemo-contemporanea ha affidato a sé e alle sue capacità intellettuali, morali, tecnologiche, scientifiche il compito di produrre il senso della realtà, di determinare una visione dell'uomo e della società in cui l'istanza fondamentale della persona, la libertà e l'autorealizzazione fossero possibili.

Ma, come Giovanni Paolo II ha richiamato più volte, l'esito di questa parabola è stato inevitabilmente la negazione dell'uomo, la sua inconsistenza ultima come soggetto dentro la storia.

Un'inconsistenza che ha avuto sia il volto dell'annullamento dell'uomo come individuo di una specie biologica su cui la scienza pretende di dare l'ultimo giudizio, sia il volto dell'annullamento dell'essere umano nel potere sociale.

Il grande progetto di autoliberazione, di realizzazione del potere dell'uomo, si è sostanzialmente realizzato come potere sull'uomo e negazione dell'uomo.

Una negazione che è stata così radicale che ha comportato l'eliminazione fisica di milioni di persone non omologabili al potere dominante e al di là di essa, in un modo non meno tragico, l'eliminazione del gusto della vita.

Nonostante oggi si possa dire conclusa l'epoca delle grandi ideologie totalitarie, non sono tuttavia completamente superate le conseguenze negative, gli atteggiamenti culturali e sociali propri della concezione antropologica che ha sotteso l'intero sviluppo del pensiero moderno.

In fondo siamo gli eredi di un mondo che pensa che l'uomo non abbia bisogno che di se stesso per esistere, come ha individuato con chiarezza Romano Guardini leggendo in profondità la modernità in quello straordinario volume che diventa sempre più attuale, ovvero La fine dell'epoca moderna.22

La profonda crisi della modernità ha aperto un periodo particolarmente delicato e drammatico.

Il crollo delle ideologie non ha significato la fine di quell'atteggiamento secolaristico profondamente avverso al cristianesimo perché l'ateo vede nella fede « una minaccia alla propria volontà di appartenenza, alla propria autonomia di giudizio, alla libertà di disporre di sé ».23

Il contesto entro cui ci muoviamo, a causa dell'eredità del passato, è ancora fortemente segnato dalla polemica nei confronti della Chiesa e da una volontà di emarginarla, quanto meno di funzionalizzarla alla mentalità dominante, a quella che oggi va di moda chiamare "politicamente corretto".

Si inseriscono in questo contesto le recenti polemiche nei confronti delle prese di posizioni pubbliche della Chiesa a riguardo della difesa della vita fin dal suo concepimento o a riguardo della difesa della famiglia.

Inoltre, le conseguenze più negative dell'umanesimo moderno sono oggi riscontrabili nella disgregazione antropologica che ha investito in modo particolare i giovani.

I giovani di oggi vivono in partenza una situazione patologica di inconsapevolezza delle proprie questioni fondamentali, e soprattutto di indisponibilità a rischiare liberamente nella vita.

I giovani, infatti, avvertono drammaticamente su di sé tutto il peso di un nichilismo teorico-culturale che trova il suo principale alleato nel consumismo, che afferma, come unico approccio possibile alla realtà, la ricerca del benessere in tutte le dimensioni e gli aspetti della vita: da quello economico, a quello psicologico, a quello affettivo.

Ma è un benessere nel quale il soggetto, l'individuo cerca il massimo della sua immediata gratificazione finendo per dimenticare ed ignorare totalmente le proprie esigenze costitutive, il proprio desiderio di realizzazione più profondo.

Nel mondo contemporaneo si è verificato lo svuotamento del valore dell'io, la sua riduzione alla pura istintività.

L'uomo è disintegrato nel suo gusto di conoscere, come se l'amore al vero, al bene, al bello, al giusto, non essendo più concretamente sperimentati, non fossero più reali.

Prima conseguenza di tutto ciò è la mancanza assoluta di consistenza dell'io.

Un'inconsistenza che porta, soprattutto le giovani generazioni, a un'incapacità di accogliere la vita e perciò di crescere.

Una visione alternativa

La dottrina sociale della Chiesa si è sviluppata a partire dalla consapevolezza di rappresentare una concezione cristiana e cattolica "tradizionale" dell'uomo e della società, in aperto contrasto con quella laicista "moderna" e "contemporanea".

Con la dottrina sociale la Chiesa ha inteso affermare che esiste un modo diverso, ma non meno legittimo, di considerare la persona umana, la ragione, la famiglia, la società, lo Stato da quello che si è andato affermando con la modernità.

Il Magistero sociale della Chiesa è nato allora in aperta dialettica con il progetto culturale, sociale e politico dell'età moderno-contemporanea.

Con esso la Chiesa ha cercato e tenta ancora oggi di difendere la possibilità della propria esistenza, la propria libertà di missione e di evangelizzazione e con essa la libertà dell'uomo in quanto tale.

Indubbiamente la lunga resistenza che la Chiesa ha opposto nei confronti di ogni totalitarismo ha avuto proprio nella testimonianza dei cristiani martiri una delle espressioni più significative: « Laddove l'odio sembrava inquinare tutta la vita senza la possibilità di sfuggire alla sua logica, essi hanno manifestato come l'amore sia più forte della morte ».24

Questa testimonianza storica di martirio costituisce un esplicito giudizio sulla storia mondana e su tutti i tentativi che sono stati compiuti per estirpare Dio dal cuore dell'uomo, per creare una società senza Dio.

Non si può negare Dio senza contemporaneamente negare l'uomo, la sua libertà personale, la sua dignità, la sua capacità di amare intensamente se stesso e gli altri uomini, di collaborare con essi a una società più umana.

Il martirio ha rivelato in modo definitivo che non esiste una adeguata alternativa alla fede che non porti, poco o tanto, alla costruzione dell'Inferno su questa terra: « All'interno di terribili sistemi oppressivi che sfigurano l'uomo, nei luoghi di dolore, fra privazioni durissime, lungo marce insensate, esposti al freddo, alla fame, torturati, sofferenti in tanti modi, essi hanno fatto risuonare alta la loro adesione a Cristo morto e risorto [ … ] tanti hanno rifiutato di piegarsi al culto degli idoli del ventesimo secolo, e sono stati sacrificati dal comunismo, dal nazismo, dall'idolatria dello Stato e della razza.

Molti altri sono caduti nel corso di guerre etniche e tribali perché avevano rifiutato una logica estranea al Vangelo di Cristo.

Alcuni hanno conosciuto la morte, perché, sul modello del Buon Pastore, hanno voluto restare con i loro fedeli, nonostante le minacce.

In ogni continente e lungo l'intero Novecento, c'è stato chi ha preferito farsi uccidere, piuttosto che venir meno alla propria missione.

Religiosi e religiose hanno vissuto la loro consacrazione fino alla effusione del sangue.

Uomini e donne credenti sono morti offrendo la loro esistenza per amore dei fratelli, specie dei più poveri e deboli.

Non poche donne hanno perso la vita per difendere la loro dignità e la loro purezza ».25

Nei martiri e nella loro testimonianza Dio ha gridato la sua presenza in tutte le situazioni, in tutti i dolori, in tutte le ingiustizie.

La testimonianza pubblica si è sempre rivelata come un seme di personalità nuova.

E la personalità nuova è sempre all'origine, anche mentre muore, di una socialità nuova.

Cosi la memoria dei martiri diventa oggi il fondamento per una nuova stagione di missione della Chiesa; per una nuova capacità di annuncio; per una nuova disponibilità a vivere una compassione per l'uomo, per i dolori e le sofferenze da cui è afflitto in un momento così grave e tragico come quello in cui viviamo.

Così può nascere nel cuore dei credenti e di tutti gli uomini di buona volontà una nuova speranza, una nuova certezza, radice di una nuova civiltà.

« Resti viva, nel secolo e nel millennio appena avviati, la memoria di questi nostri fratelli e sorelle.

Anzi, cresca! Sia trasmessa di generazione in generazione, perché da essa germini un profondo rinnovamento cristiano!

Sia custodita come un tesoro di eccelso valore per i cristiani del nuovo millennio e costituisca il lievito per il raggiungimento della piena comunione di tutti i discepoli di Cristo! ».26

Accanto a questa forma di resistenza al progetto totalitario di società, che si è andato imponendosi nel corso dell'epoca moderna, va collocato il Magistero sociale della Chiesa.

Quest'ultimo ha condannato fin dalla sua origine ogni pretesa di potere totalitario.

È lo Stato fonte di ogni diritto, quello che Pio IX denunciava nella proposizione XXXIX del Sillabo: la Chiesa non potrà mai riconoscere che lo stato, come fonte autonoma, goda di un diritto che non conosce confine.

Nella sua lunga storia, la Chiesa ha sempre affermato, ovviamente secondo differenti modalità storiche, che la vita politica e l'istituzione devono rispettare alcuni limiti strutturali: la legge di Dio, la presenza di Dio nella storia e la coscienza del popolo.

In altri termini si può dire che il disegno laicista di mettere al bando dalla società la componente religiosa non è riuscito fino in fondo, o comunque non è riuscito ad azzerare completamente il riferimento all'assoluto che la tradizione cristiana ha mantenuto vivo nella storia.

Ciò è avvenuto, sia perché la Chiesa ha, attraverso la formulazione del suo Magistero sociale, combattuto e difeso la propria libertà di esistere e con essa la libertà di ciascun uomo, sia perché all'ideologia laicista si è opposta quella che potremmo definire una cultura naturale e popolare.

Quest'ultima, sebbene non particolarmente appariscente, permanendo legata alla tradizione, ha resistito agli attacchi sferrati dalla modernità laicista.

Non si è trattato di un puro fenomeno di conservazione.

Essa ha, infatti, saputo fare proprie le esigenze e i diritti fondamentali dell'uomo, così come lo stesso spirito moderno ha indicato, valorizzando al massimo soggettività ed individuo, senza tuttavia rinunciare a tentare di collocarli all'interno di quella concezione etica ed antropologica che colloca in Dio il fondamento ultimo dell'uomo.

Mentre il disegno laicista è risultato a tutti gli effetti un tentativo ideologico, sviluppatesi lungo i secoli secondo modalità storiche differenti, più o meno totalitarie, questa componente della modernità è stata capace di autentica cultura.

« La vera cultura - come ha insegnato Giovanni Paolo II - è umanizzazione, mentre la non cultura e le false culture sono disumanizzanti ».27

Il termine cultura viene così innanzitutto ad indicare una categoria antropologica, non un insieme di conoscenze relative ad un aspetto della realtà piuttosto che ad un altro.

Nella sua accezione più tradizionale e popolare la cultura si identifica con il tentativo critico ed organico di affrontare il problema dell'uomo in quanto uomo.

Esso è riscontrabile in ogni tipo di cultura a forte ispirazione antropologica e religiosa e coincide con il tema della sapienza.

Essendo caratterizzato innanzitutto dalla tensione alla conoscenza della verità, cioè della natura ultima del reale, si presenta come tentativo di spiegazione dell'uomo e della modalità attraverso cui lo stesso uomo può realizzare pienamente la propria natura.

Nella cultura tradizionale, l'uomo viene considerato razionale proprio a motivo della constatazione che la natura profonda dell'uomo consiste nella tensione a conoscere la verità e a conoscere se stesso alla luce della verità.

Seguendo sempre l'insegnamento di Giovanni Paolo II si può dire in questo senso che « la cultura è un modo specifico dell'essere e dell'esistere dell'uomo ».28

Del resto, come ha evidenziato Del Noce, all'interno del Magistero di Giovanni Paolo II, « l'idea dominante, tante volte ripetuta, ma sino ad oggi insufficientemente compresa, è che la vera radice profonda della crisi contemporanea non deve essere cercata nella sfera dell'economia, ma in quella della cultura.

Che se sfruttamento e offesa alla dignità devono venir considerati come legati, è tuttavia l'offesa alla dignità che precede e condiziona lo sfruttamento ».29

Si capisce pertanto perché la cultura sia da considerarsi un'espressione eminentemente personale e non si può concedere in alcun modo che sia trattata come un problema inerente alle istituzioni.

Quest'ultime ( scuola, stato ) sono state percepite sempre dalla cultura tradizionale come mezzi per consentire l'espressione della cultura.

Con l'affermarsi di un certo pensiero moderno, invece, ad alcune istituzioni è stato attribuito un valore etico assoluto.

Lo Stato, ad esempio, diventando riferimento etico assoluto è diventato anche il depositario della cultura, o meglio dell'ideologia.

Si è ritenuto cioè che avesse il diritto di monopolizzare la cultura di coloro che fanno parte della realtà sociale che è sottoposta al suo governo.

La necessità di un nuovo umanesimo

È comunque ravvisabile nella fine della modernità un risveglio della domanda religiosa, della ricerca di senso.

Il Concilio Vaticano II prima, il Magistero di Giovanni Paolo II poi, hanno saputo ascoltare tale grido, avvertendo la necessità di un nuovo umanesimo.

L'uomo ricomincia a sentire il bisogno di percorrere un'altra strada per sviluppare l'umanesimo, di un'altra strada che riesca a costruire un umanesimo vero.

La crisi della modernità ha riaperto la questione del senso, del vero, del bene, del giusto, del bello.

Viene in questo modo recuperato il valore della dimensione religiosa.

Infatti, « quando il perché delle cose viene indagato con integralità alla ricerca della risposta ultima e più esauriente, allora la ragione umana tocca il suo vertice e si apre alla religiosità.

In effetti, la religiosità rappresenta l'espressione più elevata della persona umana, perché è il culmine della sua natura razionale.

Essa sgorga dall'aspirazione profonda dell'uomo alla verità ed è alla base della ricerca libera e personale che egli compie del divino ».30

Di fronte a questo risveglio della domanda religiosa la Chiesa deve essere più che mai in grado di riportare Cristo a contatto con il cuore dell'uomo.

A dispetto delle loro differenze d'origine e di orientamento, le ideologie moderne si incontrano al crocevia dell'autosufficienza dell'uomo, senza che alcuna di esse riesca a colmare la sete di assoluto che lo attanaglia, perché l'uomo supera infinitamente l'uomo, come diceva Pascal.

La Chiesa ha dunque la grande responsabilità di ribadire all'uomo di oggi l'esistenza di un'alternativa all'insuccesso dell'umanesimo ateo: « siamo dunque, in spirito e verità, dei testimoni del Dio vivente, portatori della sua tenerezza di Padre al vuoto di un universo rinchiuso su se stesso e oscillante dall'orgoglio luciferino alla disperazione disingannata ».31

La Chiesa, con il suo essere presente e sicuramente anche attraverso la dottrina sociale, mostra all'uomo una prospettiva di realizzazione in cui non esiste contrapposizione tra Dio e l'uomo: « Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda.

E questo è anche uno dei principi fondamentali, e forse il più importante, del Magistero dell'ultimo Concilio ».32

La Chiesa porta nel mondo un'antropologia adeguata, in cui l'uomo è considerato secondo tutti i suoi aspetti, secondo la sua profondità ultima, quella di essere immagine e somiglianza di Dio.

È ciò che lo rende portatore di diritti che, derivando dalla sua dipendenza da Dio, non vengono mutuati da nessuna istanza umana e hanno perciò valore assoluto.

La dottrina sociale si fonda appunto su questa antropologia che vuole difendere e comunicare: « La Chiesa possiede, grazie al Vangelo, la verità sull'uomo.

Questa si incontra in un'antropologia, che la Chiesa non cessa di approfondire e comunicare.

L'affermazione primordiale di tale antropologia è quella dell'uomo come immagine di Dio, irriducibile ad una semplice particella della natura o ad elemento anonimo della città umana [ … ]

Questa verità completa sull'essere umano costituisce il fondamento della dottrina sociale della Chiesa, così come è la base della vera liberazione.

Alla luce di tale verità l'uomo non è un essere sottomesso ai processi economici e politici, ma questi stessi processi sono ordinati all'uomo e sottoposti a lui ».33

È l'annuncio della verità di Cristo che svela all'uomo pienamente se stesso.

La Chiesa, che ha ritrovato in maniera profonda e radicale con il Concilio e con il Magistero di Paolo VI e Giovanni Paolo II la sua identità, ha pienamente preso coscienza di essere un soggetto totalmente relativo a Cristo e di essere mandata.

È nella nuova evangelizzazione, è in questo rinnovato incontro fra Cristo e il cuore dell'uomo, che si fonda il nuovo umanesimo.

Dunque, l'azione della Chiesa coincide innanzitutto con l'annunzio che il Cristo è il Redentore dell'uomo, il centro del cosmo e della storia, la possibilità di una realizzazione piena dell'umanità, che non esclude il cammino che l'umanità ha fatto per andare verso Cristo.

La verità cristiana, infatti, non è una verità esclusiva, è una verità inclusiva come ci ha insegnato S. Tommaso.

È la verità ideologica, al contrario, ad essere una verità esclusiva, perché se l'ideologia contiene la totalità della verità, fuori dall'ideologia non è possibile che esista nulla se non l'errore, che deve essere condannato ed eliminato.

La violenza ideologica è innanzitutto una violenza teorica, che trova sicuramente nella formulazione della dialettica hegeliana una formulazione estremamente significativa.

Nei sistemi dei regimi totalitari tale violenza trova poi una sua concretizzazione pratica.

La Chiesa, invece, non ritiene che la sua verità sia esclusiva perché è una verità che non è in suo possesso, dal momento che è portata pienamente solo da Gesù Cristo.

Tuttavia, partecipando a questa verità grazie alla sua intima comunione con Cristo, la Chiesa diventa capace di leggere i segni del Verbo, i segni dello Spirito, i segni della verità che sono diffusi in ogni formazione culturale.

Per questo la Chiesa riesce a valorizzare anche ciò che nasce mori di essa dal sincero tentativo dell'uomo di comprendere più a fondo se stesso e la realtà intera.

Un esempio sorprendente di ciò è indubbiamente rappresentato dal proficuo dialogo sviluppato con la filosofia classica.

Non è, infatti, frutto del caso che i Padri della Chiesa abbiamo valorizzato e assimilato il pensiero dei grandi filosofi greci, rifiutando e condannando la tradizione religiosa propria dei culti pagani, in quanto concepita e di fatto vissuta al servizio del potere politico totalizzante del mondo greco-romano.

La Chiesa è portatrice di un nuovo umanesimo che a differenza di quello tragico della modernità è integrale, si fonda, cioè, sul rapporto costitutivo dell'uomo con Dio e sa abbracciare ogni forma autenticamente umana di ricerca di senso.

Tale umanesimo non si sviluppa solo come teoria all'interno della riflessione dottrinale sulla Rivelazione cristiana, ma anche e soprattutto come prassi all'interno dell'esperienza ecclesiale.

La missione è, infatti, la comunicazione al mondo di questa esperienza di umanità nuova, che nella vita della Chiesa, nell'obbedienza ecclesiale, nell'appartenenza al mistero di Cristo diventa esperienza traboccante, evidente per tutti.

La vita della comunità cristiana è allora il primo luogo di esperienza di questo umanesimo integrale e solidale.

Stralciare la dottrina sociale della Chiesa dall'esperienza viva del popolo cristiano significa irrigidirla, farla diventare un'ideologia; un'ideologia analoga a quelle che hanno contrassegnato la modernità, di cui ne condividerebbe la radicale prospettiva astratta e soprattutto l'incapacità di stare al passo coi tempi.

Al contrario la dottrina sociale della Chiesa è stata sempre singolarmente al passo con i tempi, perché ha sempre vissuto una forte circolarità tra teoria e pratica: il Magistero ha sempre illuminato l'agire cristiano, ma la pratica del popolo cristiano ha sempre contribuito ad approfondire e concretizzare l'insegnamento nella vita quotidiana, non smettendo mai di stimolare il Magistero ad aprire nuovi ambiti di riflessione.

Dunque l'umanesimo integrale e solidale è un'esperienza ecclesiale ed umana perché Cristo rivela all'uomo tutta la verità su di lui: « Cristo Redentore rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso [ … ].

L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo ».34

Chi vive la fede e l'appartenenza ecclesiale come assimilazione di Cristo alla fine arriva allo stupore di una vita rinnovata.

Il cristianesimo, dice Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis, è lo stupore di una vita rinnovata.

Questo umanesimo integrale e solidale, che costituisce l'elemento fondamentale, il contenuto del vissuto cristiano, diventa parola, giudizio.

In questo modo nasce e si sviluppa la dottrina sociale, che pertanto risulta essenziale per la nuova evangelizzazione del Terzo millennio.

Non può esistere una missione cristiana nel mondo del Terzo Millennio che non si faccia carico della novità di vita umana, anche sul piano sociale, che l'esperienza cristiana genera.

La sua formulazione è essenziale perché la verità sperimentata, custodita, amata, la novità della vita cristiana che nasce in noi dalla fede in Cristo e dalla sequela della Chiesa, possa trovare una via di comunicazione ragionevole e persuasiva.

Non bisogna, infatti, dimenticare che la Chiesa entra in contatto con il mondo attraverso la testimonianza di esperienze, ma anche attraverso la comunicazione e la parola, esattamente come il Signore Gesù arrivava agli uomini del suo tempo, come dice l'apostolo prediletto, con parole e fatti.

La Chiesa non può comunicare in altro modo con l'uomo che con le parole e i fatti.

La dottrina sociale è parola che illumina ed aiuta a chiarire la novità cristiana in modo più intenso e persuasivo, perché è nella società che si consumano le grandi attese, le grandi illusioni, le grandi delusioni.

È nella vita della società che si rinnova permanentemente il desiderio operativo della verità, della bellezza e della giustizia; così come è sempre nella vita sociale che prendono forma le tentazioni più turpi: l'affermazione ad oltranza del proprio potere su tutto e su tutti; il consumismo che diventa l'unica ragione della vita di singoli e di gruppi; l'estraneità di un mondo all'altro; la subordinazione violenta dei diritti della persona o dei gruppi o dei popoli alla formazione di un progetto sociale attraverso l'uso indiscriminato dei mezzi della comunicazione sociale.

La questione della dottrina sociale nel Terzo Millennio è la questione della persona e del suo destino.

Aiutare l'uomo ad affrontare i problemi di natura sociale a partire dal grande progetto d'amore che si compie in Gesù Cristo e si attua nella vita della Chiesa può far comprendere a tutti gli uomini che la radice della persona non è un'autonomia, che il piano di realizzazione non è l'immanenza e che al contrario il cuore dell'uomo è costitutivamente caratterizzato da un'apertura religiosa.

Significato e valore della dottrina sociale

La dottrina sociale della Chiesa, proclamata adeguatamente, aiuta gli uomini di buona volontà a recuperare il senso del trascendente.

Recuperando il senso del trascendente si recupera anche il senso dei diritti fondamentali della persona e della società.

La dottrina sociale della Chiesa pone, infatti, la persona al centro della società considerandola il fattore genetico e propulsivo della società stessa.

Se è fondamentale tenere presente che la dottrina sociale indica nella persona l'elemento su cui fondare la costruzione della società, allo stesso modo non bisogna dimenticare che essa non vuole essere una teoria della società perfetta.

Si tratta piuttosto di un contributo, molto essenziale nei contenuti, a partire dal quale il popolo è chiamato a costruire una società, non necessariamente cristiana, che sia per tutti gli uomini e che sia di tutti gli uomini.

Per questo motivo « è importante fare un grande sforzo per spiegare adeguatamente i motivi della posizione della Chiesa, sottolineando soprattutto che non si tratta di imporre ai non credenti una prospettiva di fede, ma di interpretare e difendere i valori radicati nella natura stessa dell'essere umano ».35

L'ultima parola spetta al laico, ovvero il grande protagonista della vita della Chiesa che è il battezzato, colui che appartiene al popolo cristiano, colui che appartiene a quel popolo che mangia e beve, veglia e dorme, vive e muore non più per se stesso ma per il Signore che è risorto.

Se la dottrina sociale ha una valenza innanzitutto missionaria, è, infatti, il popolo cristiano il soggetto di questa inesorabile missione, di questa testimonianza che pertanto è segnata dai limiti personali, e può essere segnata anche dai limiti di una determinata società, perché i testimoni non vivono fuori dal mondo.

In altri termini la dottrina sociale favorisce e promuove la costruzione di opere, rende la vita cristiana un pullulare di opere, quelle opere cristiane che a distanza di secoli segnano ancora la vita del nostro paese e ci rendono pieni di nostalgia nei confronti di una tradizione che è desiderabile non si ripeta semplicemente, ma si rinnovi all'interno della situazione attuale.

La dottrina sociale non si comprende fino in fondo se non si tiene presente il popolo cristiano nella sua forza di appartenenza, nella sua chiarezza culturale, nel suo impeto di missione, nella sua capacità di carità.

L'insegnamento del Magistero sociale dice l'amore della Chiesa per il popolo, l'interesse della Chiesa perché il popolo esista e viva, perché il popolo sia educato a vivere la fede secondo una prospettiva matura e autentica.

Seminare la fede senza educarla è infatti quasi più dannoso di non seminarla.

D'altra parte è lo stesso popolo cristiano che attende, magari anche inconsapevolmente, che la Chiesa lo porti a prendere coscienza della propria identità, del proprio compito; ovvero il compito di testimoniare al mondo il senso dell'esistenza; il compito di trasformare il mondo secondo l'annunzio evangelico, perché illuminato dalla grazia di Cristo, come ha ricordato Papa Giovanni Paolo II nella Novo millenio ineunte.36

All'interno di un contesto sociale e culturale, come quello di oggi, ancora fortemente problematizzato, ma non senza segni di ripresa, dal momento che sembra che l'uomo cominci a risentire il fascino del mestiere di essere uomo, il contributo della Chiesa è fondamentale.

Per questo motivo oggi più che mai la Chiesa deve prendere coscienza, alla luce del grande insegnamento che è stato il Concilio, della propria identità e del proprio inesorabile compito.

Come già precedentemente sottolineato la missione, infatti, non è qualche cosa che viene ad aggiungersi estrinsecamente alla vita della Chiesa; essa è, piuttosto, il grande movimento percorrendo il quale la Chiesa si autorealizza e quindi diventa credente e credibile.

Se la Chiesa è tanto più credibile quanto più è credente, non bisogna però dimenticare che la Chiesa diventa autenticamente credente nella misura in cui sa dare ragione della speranza che è in essa.

Da questo punto di vista la dottrina sociale risulta un contributo decisivo perché aiuta a chiarire le ragioni della speranza e della certezza cristiana, portando nel mondo un umanesimo integrale e solidale.

Allora, ogni singolo cristiano, nelle sue responsabilità quotidiane, grandi o piccole che siano, vive questa impresa straordinaria di missione, mostrando un umanesimo diverso.

Si verifica così quell'esperienza straordinaria secondo la quale le grandi prospettive universali della Chiesa diventano le dimensioni normali della vita del cristiano:

« la carità si farà allora necessariamente servizio alla cultura, alla politica, all'economia, alla famiglia, perché dappertutto vengano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il destino dell'essere umano e il futuro della civiltà ».37

Il cristiano è chiamato a vivere l'avvenimento di Cristo come forma della sua personalità, quindi come vocazione totalmente gratuita e totalmente responsabile.

Gratuita perché la grazia è totalmente altro da sé; responsabile perché la grazia lo lancia nella responsabilità più grande della vita: testimoniare la verità incontrata.

A questo riguardo forse l'immagine più illuminante è quella contenuta in uno dei testi di letteratura più intensi del secolo scorso, L'annuncio a Maria di Paul Claudel.

In esso, infatti, il costruttore di cattedrali Pietro di Craon, a proposito della costruzione della cattedrale, che per analogia rappresenta la vita del cristiano, la vita del popolo, l'espressione della varietà e della grandezza della vita del popolo cristiano, afferma: « Possa io presto sentire sotto di me l'opera mia vasta che si alza, metter la mano su questa cosa indistruttibile fatta da me, ben proporzionata in tutte le sue parti, quest'opera compatta costruita con pietra dura, l'opera mia che Dio abita ».38

Esprimendo così perfettamente lo stretto rapporto tra grazia e responsabilità.

La dottrina sociale è un invito per il cristiano a diventare il protagonista della costruzione di una società umana, e allo stesso tempo un documento che testimonia il contributo fondamentale dato dai cristiani a tale fine, perché si tratta di una teoria che viene continuamente verificata in un'esperienza, a sua volta continuamente illuminata dalla teoria.

Le società mutano in continuazione, ma la Chiesa non può rinunciare ad essere presente ed esercitare la sua missione.

In tal senso, il Magistero sociale altro non è che uno strumento della sempre "nuova evangelizzazione", che mira a far si che ogni uomo possa trovare in Cristo la propria verità e salvezza.

Alla "nuova creatura", nata dall'incontro con Cristo, è dato anche un nuovo orizzonte di conoscenze e di azione, entro il quale cercare di dare soluzione anche ai suoi problemi sociali; non senza una seria elaborazione culturale e in costante corretto dialogo con ogni uomo di buona volontà.

Si capisce allora perché è necessario che la dottrina sociale venga insegnata e diffusa a tutti i livelli, ed entri quindi in maniera organica a far parte della pastorale ordinaria della comunità cristiana.

È, infatti, compito della catechesi mettere in luce le conseguenze sociali del Vangelo e in tale compito essa trova un necessario riferimento alla dottrina sociale della Chiesa.

Nel suo sforzo di educazione alla fede, la catechesi non deve omettere, ma chiarire « l'azione dell'uomo per la sua liberazione integrale, la ricerca di una società più solidale e fraterna, le lotte per la giustizia e per la costruzione della pace ».39

Indice

9 Comp. dottrina sociale della Chiesa
10 Comp. dottrina sociale della Chiesa, 19
11 Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso "Evangelizzazione e ateismo", 10 ottobre 1980, 1-2
12 B. Cervelliera, Prefazione a Robert Royal, I martiri del XX secolo, ed Ancora, Milano 2002, p. 7
13 A. Del Noce, Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea, a cura di Leonardo Santorsola, Edizioni Studium, Roma 2005, p. 158
14 Cit. in R. Royal, I martiri del XX secolo, ed Ancora, Milano 2002, p. 64
15 Cit. in R. Royal, I martiri del XX secolo, ed Ancora, Milano 2002, p.161.
Del resto non bisogna dimenticare che l'attacco alla religione e alla Chiesa era già stato esplicitato in epoca illuminista.
La Rivoluzione francese, con il suo tentativo di costruire una società senza alcun riferimento a Dio, soprattutto al Dio cristiano, è sicuramente tra le espressione più emblematiche di questa posizione anticristiana e antireligiosa.
Così Marat poteva tranquillamente affermare: « Colpite la superstizione alla radice! Dite apertamente che i preti sono i nostri nemici » ( cit. in L. Mezzadri, La Rivoluzione francese e la Chiesa, ed. Città Nuova, Roma 2004, p. 125 ).
Allo stesso modo, il rivoluzionario Chaumette, commentando il culto della dea Ragione celebrato in Notre-Dame al posto di quello cristiano, poteva proclamare: « Il fanatismo ha lasciato la sua stretta; i suoi occhi biechi non hanno potuto sostenere il chiarore della luce, ed egli è fuggito di fronte alla Giustizia e alla Verità.
Non ci sono più i preti, non ci sono più dei all'infuori di quelli che la natura ci offre » ( cit. in L. Mezzadri, La Rivoluzione francese e la Chiesa, ed. Città Nuova, Roma 2004, p. 126 )
16 F. Ricci, Cronache d'Europa perdute e ritrovate. Edizioni CSEO, Bologna 1990, pp. 102-103
17 Cit. in F. Furet, Il secolo della Rivoluzione 1770-1880, Ed. Rizzoli, Milano 1989, p. 285
18 Per una trattazione più esauriente della posizione della Chiesa nei confronti dello Stato liberale ottocentesco si veda L. Negri, Pio IX. Attualità e profezia, ed. Ares, Milano 2004
19 H. Arendt, Le origini del totalitarismo. Edizioni di Comunità, Torino 1999, pp. 642-644
20 Cit. in A. Del Noce, Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea, a cura di Leonardo Santorsola, Edizioni Studium, Roma 2005, p. 122
21 H. de Lubac, Il/ dramma dell'umanesimo ateo, ed. Morcelliana, Broscia 1996, p. 9. «Come in particolare non essere sensibili al dramma dell'umanesimo ateo, di cui l'ateismo e più precisamente l'anticristianesimo, schiaccia la persona umana che esso aveva voluto liberare dal pesante fardello di un Dio considerato come un oppressore?
[ … ] A quattro decenni di distanza, ciascuno può riempire queste indicazioni premonitrici di padre de Lubac, del peso tragico della storia della nostra epoca» ( Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso "Evangelizzazione e ateismo", 10 ottobre 1980, 8 )
22 R. Guardini, La fine dell'epoca moderna. Il potere, ed. Morcelliana, Broscia 1993
23 J. Daniélou, Il cristiano e il mondo moderno, ed. Cantagalli, Siena 2004, p. 21
24 Giovanni Paolo II, Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del XX secolo, 7 maggio 2000
25 Giovanni Paolo II, Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del XX secolo, 7 maggio 2000
26 Giovanni Paolo II, Commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del XX secolo, 7 maggio 2000
27 Giovanni Paolo II, Discorso agli uomini di cultura. Rio de Janeiro, 1 luglio 1980, 1
28 Giovanni Paolo II, Discorso all'UNESCO, 2 giugno 1980, 6
29 A. Del Noce, Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea, a cura di Leonardo Santorsola, Edizioni Studium, Roma 2005, p. 243
30 Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza generale del 19 ottobre 1983, 2
31 Giovanni Paolo II, Discorso al Congresso "Evangelizzazione e ateismo", 10 ottobre 1980, 8
32 Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 1
33 Giovanni Paolo II, Prolusione alla III Conferenza generale dell'episcopato latino americano, Puebla, 28 gennaio 1979
34 Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 10
35 Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte 51
36 « Un nuovo secolo, un nuovo millennio si aprono nella luce di Cristo.
Non tutti però vedono questa luce.
Noi abbiamo il compito stupendo ed esigente di esserne il "riflesso".
È il mysterium lunae così caro alla contemplazione dei padri, i quali indicavano con tale immagine la dipendenza della Chiesa da Cristo, sole di cui essa riflette la luce […] è un compito, questo, che ci fa trepidare, se guardiamo alla debolezza che ci rende tanto spesso opachi e pieni di ombre.
Ma è un compito possibile, se esponendoci alla luce di Cristo, sappiamo aprirci alla grazia che ci rende uomini nuovi» ( Giovanni Paolo II, Nova millennio ineunte, 54 )
37 Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte 51
38 P. Claudel, L'Annuncio a Maria, ed. BUR, Milano 2001, p. 40. Sottolineatura mia
39 Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae 29