Per un umanesimo del terzo millennio

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La dottrina sociale della Chiesa di fronte alla modernità

La dottrina sociale della Chiesa, come si è precedentemente accennato, nasce in dialettica con quel progetto culturale, sociale e politico dell'età moderna e contemporanea, che ha inteso costruire una società a misura di un uomo privato della sua dimensione religiosa.

In senso radicale si è trattato di un progetto alla cui base è ravvisabile una concezione errata della persona umana, della sua natura profonda, della sua libertà, della sua capacità di costruzione culturale e sociale.

La denuncia dell'errore antropologico caratteristico della modernità

Il Magistero sociale della Chiesa, a partire dal Sillabo di Pio IX, dalla straordinaria e lucidissima Enciclica Libertas praestantissimum di Leone XIII a cui ha fatto seguito la celebre Rerum novarum, per giungere fino alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, ha individuato e chiarito le forme di questo errore antropologico riscontrabile nell'epoca modemo-contemporanea.

Tale errore consiste in un irrealismo antropologico che ha condizionato tutta la riflessione culturale, sociale e moderna, fino a determinarne le conseguenze drammatiche di carattere politico verificatesi nel corso del XX secolo.

Giovanni Paolo II ha ribadito come tale errore abbia la propria origine nella visione ateistica che si è imposta con la modernità: « se ci si domanda poi da dove nasca questa errata concezione della natura e della persona e della società, bisogna rispondere che la prima causa è l'ateismo ».40

Si tratta di un ateismo che, nella flessione moderna, non è identificabile solo con la negazione formale di Dio, ma più radicalmente con la negazione del senso religioso.

Giovanni XXIII ha indicato in tale atteggiamento l'errore peculiare della modernità: « l'errore più radicale nell'epoca moderna è quello di ritenere l'esigenza religiosa dello spirito umano come espressione del sentimento o della fantasia, oppure un prodotto di una contingenza storica da eliminare quale elemento anacronistico e quale ostacolo al progresso umano; mentre in quell'esigenza gli esseri umani si rivelano per quello che veramente sono: esseri creati da Dio e per Dio, come esclama sant'Agostino: "ci hai creati per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te" ( S. Agostino, Confessioni, I, I ) ».41

La principale conseguenza della negazione della dimensione religiosa dell'uomo consiste, pertanto, nella privazione del carattere assoluto dell'esistenza personale.

Come, infatti, ha sottolineato Guardini rifacendosi a Kierkegaard, « soltanto colui che sta ritto in se stesso, ma davanti a Dio, può esistere come persona ».42

E nella risposta all'appello di Dio contenuto nell'essere delle cose che l'uomo diventa consapevole della sua trascendente dignità.

Ogni uomo è chiamato a rispondere e nella risposta a tale chiamata trova un fondamento ultimo la sua umanità.

Tale fondamento trascendente impedisce che alcun meccanismo sociale o soggetto collettivo possa sostituirlo.43

L'uomo non è a disposizione di nessuno perché è figlio del Mistero e quindi figlio di Dio.

La radice dell'uomo è salvata soltanto perché sta di fronte ad un Altro che lo ha voluto per sé: l'uomo è l'unico essere che Dio ha voluto per se stesso, come ha detto Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis.

Se si parte dalla verità che l'uomo è, dalla verità che l'uomo desidera, dalla verità che l'uomo esige, dal suo costitutivo rapporto con il Mistero di Dio, in nessun momento della sua vita e in nessuna dimensione del suo esistere, né nella dimensione fisica, né in quella psicologica, né in quella sessuale, né in quella affettiva, né in quella etica, né in quella politica, in nessun momento e in nessuna parte della sua vita, l'uomo è di un altro.

L'uomo è di Dio e questo gli fa guardare la vita con un'enorme capacità di apertura, di benevolenza; anche se forse è meglio usare la parola rispetto, come scriveva l'ignoto autore della Lettera a Diogneto quando ricordava che i cristiani hanno « una capacità di rispetto ignota a tutti ».

La negazione di Dio priva la persona del suo fondamento e di conseguenza induce a organizzare l'ordine sociale prescindendo dalla dignità e dalla responsabilità della persona.

Negare la dimensione religiosa vuol dire negare la dignità della persona e ciò porta a sostituire la persona con un soggetto collettivo.

È questa sostituzione a cui ha teso tutto il processo di cultura e di costruzione sociale proprio dell'età moderno contemporanea, come è stato sopra rilevato.

Giovanni Paolo II aveva già formulato il nucleo essenziale del problema con molta chiarezza nel discorso tenuto all'inizio del suo pontificato di fronte agli studenti dell'Università Cattolica: « Se è vero che "l'homme passe infìnnitament l'homme", come ha intuito Pascal, allora bisogna dire che la persona non trova una piena realizzazione di se stessa che in riferimento a Colui che costituisce la ragione fondante di tutti i nostri giudizi sull'essere, sul bene, sulla verità, sulla bellezza ».44

Solo se si tiene presente ciò si può capire come l'uomo sia più dei condizionamenti fisici e psicologici che lo determinano o delle strutture sociali in cui è coinvolto perché il fondo della sua esistenza appartiene al mistero delle cose, al mistero dell'essere, al mistero di Dio.

Tagliare questa radice, che lega il cuore dell'uomo al Mistero, equivale a rendere l'uomo schiavo della materia o schiavo della società umana come complesso, come agglomerato di individui.

Nella stessa circostanza Giovanni Paolo II ha altresì sottolineato come, grazie all'assoluta originalità della Rivelazione, i cristiani sono facilitati nel riconoscere e interpretare il valore assoluto della persona umana: « Siccome l'infinita trascendenza di questo Dio, che qualcuno ha indicato come il "totalmente altro", si è avvicinata a noi in Gesù Cristo fattosi carne per essere totalmente partecipe della nostra storia, bisogna allora concludere che la fede cristiana abilita noi credenti ad interpretare, meglio di qualsiasi altro, le istanze più profonde dell'essere umano e ad indicare con serena e tranquilla sicurezza le vie ed i mezzi di un pieno appagamento ».45

La denuncia della falsa idea di progresso

Si è già in precedenza notato che il soggetto del progetto culturale e sociale moderno è, invece, stato concepito come individuo capace di conoscere scientificamente tutti i problemi della vita personale e sociale e di costruire una società che garantisca il massimo di potere, cioè di libertà. La libertà è stata pensata semplicemente come una forma di espressione del potere dell'uomo.

L'esercizio del potere sociale è dunque stato pensato in vista della realizzazione di un immenso processo di autoliberazione che in nome delle capacità razionali e tecnologiche ha progettato la costruzione di un uomo e di una società nuovi.

Costruire un uomo scientifico, costruire una società scientifica: in questo è stata vista l'autoliberazione dell'uomo.

Il Magistero da Leone XIII a Giovanni Paolo II ha indicato in modo drammaticamente articolato gli equivoci di tale antropologia senza domanda religiosa.

L'età moderna è l'età dell'enorme progresso scientifico e tecnologico, ma questo, che aveva come obiettivo quello di cambiare, secondo un processo necessario, quasi automatico, in meglio la situazione dell'uomo sulla terra, non ha meccanicamente prodotto la maturazione dell'uomo nella sua umanità.

Lo ha dotato di strumenti assolutamente sofisticati per la conoscenza e il dominio della natura, ma a questo enorme processo dell'avere, ha sottolineato Giovanni Paolo II, non è corrisposto un incremento dell'essere: « Si tratta dello sviluppo delle persone e non soltanto della moltiplicazione delle cose, delle quali le persone possono servirsi.

Si tratta - come ha detto un filosofo contemporaneo e come ha affermato il Concilio - non tanto di "avere di più", quanto di "essere di più".

Infatti, esiste già un reale e percettibile pericolo che, mentre progredisce enormemente il dominio da parte dell'uomo sul mondo delle cose, di questo suo dominio egli perda i fili essenziali, e in vari modi la sua umanità sia sottomessa a quel mondo, ed egli stesso divenga oggetto di multiforme, anche se spesso non direttamente percettibile, manipolazione, mediante tutta l'organizzazione della vita comunitaria, mediante il sistema di produzione, mediante la pressione dei mezzi di comunicazione sociale ».46

L'uomo, che vive indubbiamente in una situazione di grande progresso tecnologico e scientifico, allo stesso tempo rischia di essere condannato ad un imbarbarimento spirituale, come ha denunciato anche Benedetto XVI: « È vero, nel corso del millennio da poco concluso e specialmente negli ultimi secoli, tanti sono stati i progressi compiuti in campo tecnico e scientifico; vaste sono le risorse materiali di cui oggi possiamo disporre.

L'uomo dell'era tecnologica rischia però di essere vittima degli stessi successi della sua intelligenza e dei risultati delle sue capacità operative, se va incontro ad un'atrofia spirituale, ad un vuoto del cuore ».47

L'uomo non diventa migliore grazie a questo progresso, né più cosciente della dignità della sua umanità, né tanto meno più responsabile, più aperto agli altri.

Non è né meccanico né automatico che al maggior progresso corrisponda una maggiore umanizzazione.

Anzi assistiamo ad una dinamica opposta: lo sviluppo tecnologico-scientifico tende a diventare un obiettivo totalizzante al punto tale che la stessa vita umana rischia di diventare funzionale a tale sviluppo, come si può chiaramente vedere a proposito della manipolazione genetica dell'essere umano.

Come, infatti, ha sottolineato Giovanni XXIII, « qualunque sia il progresso tecnico ed economico, nel mondo non vi sarà né giustizia né pace finché gli uomini non ritornino al senso della dignità di creature e di figli di Dio, prima ed ultima ragione d'essere di tutta la realtà da lui creata.

L'uomo staccato da Dio diventa disumano con sé stesso e con i suoi simili, perché l'ordinato rapporto di convivenza presuppone l'ordinato rapporto della coscienza personale con Dio, fonte di verità, di giustizia e di amore ».48

Alla fine di questi ultimi due secoli di grande sviluppo scientifico, ma anche di radicale negazione della dimensione religiosa l'uomo è molto più l'oggetto su cui si rovesciano bombe estremamente sofisticate, è molto più l'oggetto di un'analisi di tipo scientifico, tecnologico, psicanalitico, che non il soggetto che esprime se stesso attraverso il progresso tecnico-scientifico.

La stessa attività lavorativa diventa per l'uomo condizione di alienazione: « Nel costume prevalente nel mondo occidentale odierno si è raggiunto il disconoscimento completo dell'aspetto soggettivo del lavoro, portando alla sua logica conclusione il processo dell'economismo e del materialismo.

Il rapporto di coesistenza-alterità è infatti completamente deformato, nel senso che l'altro è visto soltanto come un insieme di bisogni sensibili da accrescere, e per converso io mi riduco a strumento che può accrescere questi bisogni sensibili, senza alcuna altra realtà che sia al di fuori di questa strumentalità.

L'interiorità, lo spirito diventano in questa prospettiva una malattia ».49

Gli ultimi due secoli hanno dimostrato che se non c'è Dio l'uomo diventa oggetto ed è a disposizione di chiunque voglia prenderselo in carico e manipolarlo.

Lo hanno preso in carico le ideologie totalitarie e gli Stati totalitari e lo hanno trattato come oggetto per la costruzione di una società perfetta.

Se lo prendono in carico la scienza e la tecnica, legate a visioni ideologiche che le precedono ed a cui servono, e lo manipolano come un qualsiasi oggetto.

Come ha denunciato chiaramente già negli anni Cinquanta del secolo scorso Romano Guardini « chi guarda attentamente, scopre nella vita delle democrazie, così apparentemente libera, i sintomi più preoccupanti di una coercizione indiretta che si esercita attraverso l'apparato della cultura tecnologica ».50

La paura dell'uomo moderno-contemporaneo

La paura che attanaglia l'umanità, e di cui la terza parte della Redemptor hominis ha fornito una precisa documentazione, è la paura dell'uomo che si perde, che non sa più chi è, che è ridotto ad un fatto analizzabile scientificamente e manipolabile socialmente.

« L'uomo contemporaneo ha paura che con i mezzi inventati da questo tipo di civiltà, i singoli individui e anche gli ambenti e le comunità, le società e le nazioni, possano rimanere vittime del sopruso di altri individui, ambienti e società; malgrado tutte le dichiarazioni sui diritti dell'uomo nella sua dimensione integrale non possiamo dire che questi esempi appartengano solo al passato.

L'uomo ha giustamente paura di restare vittima di una oppressione che lo privi della libertà interiore, della possibilità di esternare la verità di cui è convinto, della fede che professa, della facoltà di obbedire alla voce della coscienza che gli indica la retta via da seguire ».51

I mezzi tecnici a disposizione della società odierna celano non soltanto la possibilità di un'autodistruzione, ma la possibilità di un soggiogamento politico degli individui.

L'olocausto che minaccia l'umanità non è innanzitutto di tipo nucleare, ma è un olocausto delle coscienze degli individui, attraverso i mezzi della comunicazione sociale.

L'uomo ha paura proprio perché si sente ridotto a "pezzo di materia", perché questo enorme progresso, non solo non lo ha fatto necessariamente maturare come uomo, ma lo ha ridotto in una posizione tale di minorità che in qualsiasi momento egli può essere semplicemente utilizzato come un dato manipolabile.

Il Magistero della Chiesa ha individuato profeticamente il movimento di costruzione sociale che si è andato sviluppando in questi due secoli e che ha trovato la formulazione più rigorosa nelle grandi ideologie totalitarie.

In una delle forme più drammatiche di espressione della dottrina sociale, ovvero quella dei radiomessaggi che Pio XII ha formulato nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando la Chiesa sembrava vinta e il totalitarismo sembrava assolutamente invincibile, il carattere di tale totalitarismo è stato indicato con molta chiarezza: « L'assolutismo di stato - diceva Pio XII - consiste infatti nell'erroneo principio che l'autorità dello Stato è illimitata e che di fronte ad essa, anche quando da libero corso alle sue misure dispotiche oltrepassando i confini del bene e del male, non è ammesso alcun appello a una legge superiore e moralmente obbligante ».52

Giovanni Paolo II ha ulteriormente chiarito i termini di questo totalitarismo: « La radice del moderno totalitarismo dunque è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile, e proprio per questo, per sua natura soggetto di diritti che nessuno può violare: né l'individuo, né il gruppo, né la classe, né la nazione, né lo stato.

E non può farlo neppure la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di annientarla ».53

La persona, privata della sua dimensione religiosa, finisce per essere semplicemente assorbita dentro un soggetto totalitario, il soggetto sociale da cui dipende, da cui gli derivano i diritti, mentre secondo la concezione cristiana della dottrina sociale i diritti dell'uomo derivano immediatamente da Dio e sono il segno della sua appartenenza a Dio.

Fino alla Centesimus annus la dottrina sociale si è assunta la responsabilità di correggere l'impostazione antropologica e sociale dominante.

Ne ha discusso i fondamenti e ne ha indicato con lucidità le conseguenze di carattere sociale: il disconoscimento radicale della persona umana e dei suoi diritti, la creazione di strutture sociopolitiche in cui si consumava la tragedia della privazione della libertà, la mostruosa creazione di quelli che con un vocabolo indimenticabile Pio XI ha chiamato i nuovi "idoli".

La condanna della cultura di morte

Il disconoscimento radicale della persona umana e dei suoi diritti, se, almeno per il mondo occidentale, non ha più il carattere del totalitarismo politico dei regimi totalitari, ha tuttavia trovato una nuova espressione nella cultura di morte promossa dall'ideologia tecnocratica, nuova minaccia contro l'umanità: « In realtà, se molti e gravi aspetti dell'odierna problematica sociale possono in qualche modo spiegare il clima di diffusa incertezza morale e talvolta attenuare nei singoli la responsabilità soggettiva, non è meno vero che siamo di fronte a una realtà più vasta, che si può considerare come una vera e propria struttura di peccato, caratterizzata dall'imporsi di una cultura anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera "cultura di morte" ».54

Questa "cultura di morte", che è caratterizzata da una straordinaria ricchezza di mezzi scientifici e tecnologici e da strumenti di pressione sulla coscienza delle nazioni e dei popoli, è l'esito di quel processo culturale, in parte precedentemente richiamato, per il quale l'uomo si è considerato al centro della realtà e ha considerato la realtà come un "dato" a sua totale disposizione.

L'uomo moderno si è considerato al centro della realtà, dotato di un potere assoluto, intellettuale, morale, scientifico e politico, finendo per considerare la persona dell'altro semplicemente come un "dato" da conoscere, da organizzare ed eventualmente da manipolare.

È per questo motivo che per secoli la persona dell'altro è stata ridotta alle caratteristiche socio-politiche ed economiche.

L'individuo ( perché questo termine è stato largamente preferito al termine persona ) valeva come dato da manipolare per la creazione dei grandi sistemi politici, in cui si è espressa negli ultimi due secoli l'ideologia sociologica.

L'individuo aveva solo il valore della sua funzionalità al processo ideologico politico destinato a creare un nuovo potere o a conservare un potere già acquisito.

Non a caso il Concilio Ecumenico Vaticano II, nella Gaudium et spes ha parlato della riduzione dell'uomo a « elemento anonimo della città umana ».55

Oggi, nell'orizzonte della grande ideologia tecnocratica che domina il mondo la persona umana è considerata semplicemente un dato di carattere biologico, su cui la scienza è abilitata a operare tutti i possibili esperimenti in vista della creazione di livelli di vita fisica sempre più rispondenti agli ideali di comodità.

La vita umana ha perso qualsiasi dimensione di mistero: non è un dato originariamente gratuito da accogliere e da amare, è una situazione che deve essere razionalizzata e dominata.

Quando la vita fisica mostra i suoi limiti, al suo sorgere, al suo declinare, per la presenza di condizionamenti che ne aggravano la procedura o anche quando soltanto ostacola un benessere economico e fisico considerato irrinunciabile, allora la vita umana può essere variamente manipolata o addirittura negata.

Tale cultura di morte « è attivamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società », in quanto « la vita che richiederebbe più accoglienza, amore e cura è ritenuta inutile, o è considerata come un peso insopportabile e, quindi, è rifiutata in molte maniere.

Chi, con la sua malattia, con il suo handicap o, molto più semplicemente, con la stessa sua presenza mette in discussione il benessere o le abitudini di vita di quanti sono più avvantaggiati, tende ad essere visto come un nemico da cui difendersi o da eliminare.

Si scatena così una specie di "congiura contro la vita" ».56

Le manipolazioni genetiche, l'aborto, la contraccezione, le varie forme di eutanasia costituiscono, secondo l'insegnamento della Chiesa ed in particolare il Magistero di Giovanni Paolo II, una immensa congiura dei nuovi potenti contro i nuovi deboli, in cui domina un concetto di libertà assolutamente falso.

È una libertà che trova esclusivamente in sé, come pura reazione istintiva, le proprie ragioni ed il proprio dinamismo, non più nell'essenziale riferimento alla verità: « Se è vero che talvolta la soppressione della vita nascente o terminale si colora anche di un malinteso senso di altruismo e di umana pietà, non si può negare che una tale cultura di morte, nel suo insieme, tradisce una concezione della libertà del tutto individualistica che finisce per essere la libertà dei "più forti" contro i deboli destinati a soccombere ».57

La dottrina sociale ha sempre affermato che una libertà senza verità non è umanamente pensabile, in quanto conduce all'arbitrio dei potenti contro i deboli.

Quando le strutture sociali e politiche assecondano questa congiura, conferendo alle violenze contro la vita il valore di leggi, proprio allora inizia il cammino verso il totalitarismo.

In troppi paesi del mondo il totalitarismo tecnocratico scrive ogni giorno infiniti episodi di violenza contro il mistero della vita come dono gratuito ospitato nel cuore di ogni persona che Dio chiama alla vita.

Di fronte a questa situazione, che Giovanni Paolo II ha molte volte descritto in modo lucido penetrante ed impegnativo, il Magistero della Chiesa ha affermato il grande Vangelo della vita come fondamento ed energia alimentante una autentica cultura della vita: « Il Vangelo della vita sta al cuore del messaggio di Gesù.

Accolto dalla Chiesa ogni giorno con amore, esso va annunciato con coraggiosa fedeltà come buona novella agli uomini di ogni epoca e cultura.

All'aurora della salvezza, è la nascita di un bambino che viene proclamata come lieta notizia: "Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore" ( Lc 2,10-11 ).

A sprigionare questa "grande gioia" è certamente la nascita del Salvatore; ma nel Natale è svelato anche il senso pieno di ogni nascita umana, e la gioia messianica appare così fondamento e compimento della gioia per ogni bimbo che nasce ( Gv 16,21 ).

Presentando il nucleo centrale della sua missione redentrice.

Gesù dice: "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" ( Gv 10,10 ).

In verità, Egli si riferisce a quella vita "nuova" ed "eterna", che consiste nella comunione con il Padre, a cui ogni uomo è gratuitamente chiamato nel Figlio per opera dello Spirito Santificatore.

Ma proprio in tale "vita" acquistano pieno significato tutti gli aspetti e i momenti della vita dell'uomo ».58

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40 Giovanni Paolo II, Centesimus annus 13
41 Giovanni XXIII, Mater et magistra 199
42 R. Guardini, Viva la libertà. Monaco, 12 luglio 1958, in Opera Omnia, ed. Morcelliana, Voi. VI, p. 506
43 « Essendo ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno.
È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può in sua sostituzione » ( Catechismo della Chiesa Cattolica, 357 )
44 Giovanni Paolo II, Discorso agli studenti dell'Università Cattolica, 8 dicembre 1978, 5
45 Giovanni Paolo II, Discorso agli studenti dell'Università Cattolica, 8 dicembre 1978, 5
46 Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 16
47 Benedetto XVI, Messaggio urbi et orbi. Natale 2005
48 Giovarmi XIII, Mater et magistra 200
49 A. Del Noce, Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea, a cura di Leonardo Santorsola, Edizioni Studium, Roma 2005, p. 240
50 R. Guardini, Viva la libertà. Monaco, 12 luglio 19S8, in Opera Omnia, ed. Morcelliana, Voi. VI, p. 510
51 Giovanni Paolo II, Dives in misericordia 11
52 Pio XII, Radiomessaggio natalizio sul problema della democrazia, 24 dicembre 1944, 12
53 Giovanni Paolo II, Centesimus annus 44
54 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 12
55 Gaudium et Spes 14
56 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 12
57 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 19
58 Giovanni Paolo II, Evangelium vitae 1