Un apostolo di Gesù Crocifisso

Alla scuola di Fr. Leopoldo

La vita che il Servo di Dio trascorreva in convento era in apparenza molto ordinaria.

Lo si sapeva religioso esemplare, molto pio, assiduo agli esercizi comuni: lo si vedeva sempre calmo e sorridente, mai impaziente, o imbronciato, ognora pronto a soddisfare i desideri dei confratelli.

Attendeva alla sua cucina e sovente alla portineria.

Con tutti aveva sempre una parola buona da dire e se occorreva anche buoni consigli.

Molto premuroso coi religiosi forestieri che venivano a S. Tommaso, che riceveva con grande cordialità e gentilezza.

Insomma un buon religioso, un buon Fratello Laico, come si desidera trovare nei conventi.

Nessuna cosa straordinaria si era mai sentita narrare di lui nel ventennio che rimase a S. Tommaso.

Neppure quelli che convivevano con lui notarono cose eccezionali.

Vedevano sì persone secolari andare a conversare con lui nel parlatorio, ma non si diede mai importanza, anche perché a S. Tommaso i secolari sono di casa e specialmente in quegli anni di grande movimento e lavoro, come abbiamo accennato nel capo precedente.

Solo verso la fine della vita qualcosa trapelò, ma non tutto.

La rivelazione avvenne solo dopo la sua morte.

Allora si seppe che in quel via vai di gente che passava a S. Tommaso maturarono cose grandiose di santità individuale per lui e di apostolato per le anime.

Si svelò che il cuoco di S. Tommaso aveva saputo salire alle altissime vette della santità e aveva diretto sapientemente altri per le vie del bene e dell'azione.

Bisognerebbe poter narrare quanto infinite persone affermarono al riguardo, per comprendere tutta l'importanza dell'azione di F. Leopoldo come maestro di vita spirituale.

Per circa venti anni al povero cuoco dei Frati persone di ogni condizione sociale, umili ed alte, ignoranti e dotte, vennero a proporre i loro dubbi, a chiedere consigli pratici, a chiedere perfino come ad un santo, di intercedere presso Dio per loro.

Quello che colpisce, secondo la testimonianza degli Interessati, è che nessuno mai trovò F. Leopoldo disorientato, qualunque fosse l'argomento che gli si proponeva.

Nessun stento, nessuna tergiversazione che servisse a prender tempo per dare una risposta.

Questa veniva subito, semplice, chiara, a proposito.

Solo quando lo spirito interiore che gli dettava le risposte, non lo illuminava, rispondeva che avrebbe pregato e risposto un'altra volta.

E anche in questi casi la risposta che poi dava era decisiva, chiara come un comando.

Non si scomponeva mai; parlava con naturalezza, senza enfasi, come se le parole non fossero che ripetizioni di altri che parlasse per mezzo suo.

Ma incatenava subito e il tempo passava troppo presto per chi ascoltava.

Narra un tale che lo conobbe molto, che ebbe le sue confidenze e che detiene i suoi manoscritti come reliquie, uomo di alta cultura, di carattere vivo, sbrigativo e non uso ad ascoltare altri a lungo, che quando era con F. Leopoldo resisteva al miracolo di stare due ore di seguito con lui senza difficoltà o impazienze, anzi gli rincresceva quando la conversazione era terminata.

Per questo signore era una specie di miracolo e ciò dice quanto di poco umano vi fosse nei colloqui col Servo di Dio.

Il suo grande discepolo, quello che ne ereditò lo spirito e ne continua la missione, quello che fu il primo suo biografo, Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane, confessa che le più belle meditazioni sulle cose di spirito le faceva quando andava a conversare col Servo di Dio.

Sentiva cose che non si trovano sui libri e le sentiva dette con semplicità, con la massima naturalezza.

Cose che facevano pensare, che penetravano l'anima e che gli lasciavano per una settimana un grande conforto e sollievo spirituale.

Perciò vi ritornava sovente non solo per parlargli delle opere che aveva per le mani e delle quali, come diremo, F. Leopoldo è come l'intermediario presso Dio, ma per gustare una nuova meditazione. Fratel Teodoreto è quello che più di tutti penetrò nell'anima privilegiata di F. Leopoldo, che può parlare con vera cognizione di causa, quindi il più sicuro testimonio della santità di lui.

Due uomini di cultura dunque che si fanno discepoli ferventi del cuoco di S. Tommaso.

Un altro ammiratore di F. Leopoldo fu il prof. Luigi Rostagno, che recentemente e troppo presto la morte ha rapito alla scuola e all'apostolato cattolico.

Quando si trovava ancora a Torino spesso faceva lunghe conversazioni con il Servo di Dio, verso il quale aveva stima e venerazione senza limiti.

Esaminò gli scritti di lui e ne fece rilevare certe particolarità che non si possono spiegare, a suo giudizio, se non ammettendone la veridicità assoluta.

Non fu soltanto ammirazione la sua, ma cooperazione fattiva alle opere consigliate e patrocinate da F. Leopoldo.

La Casa di carità arti e mestieri, lo ebbe tra i primi e più ferventi sostenitori, prestando l'opera sua di professore.

Anche questo insigne intellettuale si inchinava al santo cuoco, ubbidiva ai suoi consigli, lo consultava come un maestro e credeva a lui come ad un messaggero del cielo.

Non è possibile passare in rassegna, anche solo accennando quanti altri delle stesse condizioni correvano alla scuola di F. Leopoldo.

La fama di lui come di un privilegiato della grazia si dilatava sempre più fuori del convento e vi attirava ogni sorta di persone anche ecclesiastiche.

Ricorderò soltanto il caso del conte Sacconi Federico.

Questo illustre patrizio romano era stato inviato a Torino da Benedetto XV per consegnale i doni che aveva mandato alla Consolata.

Sentito parlare di F. Leopoldo volle fargli una visita per conoscerlo e provare se la fama era esatta.

Bastò il primo colloquio per suscitare un vero entusiasmo in lui.

Fin che rimase a Torino non passò giorno senza che passasse a S. Tommaso a conversare col povero cuoco e ritornato a Roma continuò ad avere con lui una nutrita corrispondenza.

Non fu il solo della nobiltà che si inchinasse al Servo di Dio.

Il conte Alessandro Arborio Mella di Torino, lo frequentò con assiduità, gli scriveva, si raccomandava alle sue preghiere e gli fu amico sempre, venerandolo come un santo.

Entusiasta di lui era e fu sempre il grand'uff. Achille, Cavallotti, allora al servizio del Card. Agostino Richelmy, Arciv. di Torino.

Lo aiutò assai in certe circostanze e lo difese, persuaso com'era della santità di lui.

Ho ricordato alcuni e solo del ceto maschile.

Non sono che un saggio molto ristretto degli innumeri discepoli che ebbe F. Leopoldo in tutte le categorie di uomini e di donne.

E fu appunto quando le visite continue cominciarono, verso la fine della sua vita, a essere notate dal Religiosi, che il Guardiano di S. Tommaso disse un giorno tra il faceto e il serio: « Che è questo, F. Leopoldo, che tanta gente viene a cercare di te e a consultarti, mentre nessuno viene da me che sono il Guardiano? ».

La risposta fu quella che diede già un giorno S. Francesco a F. Masseo il quale gli aveva chiesto il perché il mondo corresse dietro di lui, mentre non era nobile, non bello, non dotto.

« Sai », rispose il Santo, « il perché? Perché Dio si serve sempre degli strumenti che il mondo stima più inadatti e più vili ».

Più o meno Identica fu la risposta di F. Leopoldo al suo Superiore: « Che vuole, Padre? la gente non sa che io sono uno sciocco ».

Ma quale meraviglia e quale confusione per lui che si credeva così da poco quando un giorno venne in persona a visitarlo e a parlare con lui confidenzialmente lo stesso Cardinale Arcivescovo Richelmy?

Il grande e santo Porporato non lo fece chiamare al suo palazzo ( e sarebbe già stata non, comune degnazione ) ma con una umiltà che lo rende più grande ancora, volle concedergli un onore che non si concede se non a personaggi qualificati.

Questa volta era anche la porpora che cedeva dinanzi al cuoco santo.

Questi onori mettevano a prova la sua umiltà.

È doveroso assicurare che egli non li cercò, ma fece tutto il possibile per evitarli.

Se i suoi Confratelli furono tanto in ritardo nel sapere che avevano un santo tra di loro, in gran parte lo si deve alla sua santa industria.

Presso i secolari cercò in tutti i modi di occultarsi.

Se per propagare la sua Devozione al SS. Crocifisso dovette servirsi di persone del secolo, aveva proibito che si palesasse il suo nome e il luogo dove abitava.

Ne abbiamo una prova nel caso di Fratel Teodoreto delle Scuole Cristiane.

Lo narra egli nella biografia del Servo di Dio.

Egli aveva sentito parlare di un frate privilegiato da alcune persone, ma con molto riserbo perché non si doveva fare il nome di lui ne indicarne la residenza.

Questo nel 1911-12. In una sepoltura che aveva riunito i principali propagatori della Devozione a Gesù Crocifìsso, egli sentì un signore che diceva ad un gruppo di persone: « Sono stato a S. Tommaso, ma F. Leopoldo non ha potuto venire ».

Quelle parole fecero pensare a Fratel Teodoreto che F. Leopoldo fosse il Frate privilegiato, di cui gli avevano parlato e sentì il desiderio di conoscerlo.

E così cominciò, come diremo, quella conoscenza e amicizia che produrranno frutti inaspettati.

Fr. Leopoldo Maria

Non egli dunque cercava, ma Dio mandava a lui le anime e per mezzo suo S. Tommaso, già centro di devozione al SS. Sacramento e a N. S. del S. Cuore di Gesù, divenne pure quello della Devozione al SS. Crocifisso e scuola di santità.

Ancor una volta F. Leopoldo si trovò non discepolo, ma guida e maestro.

Può ciò spiegarsi considerate le sue doti soltanto naturali, o non piuttosto siamo costretti a riconoscere che qui vi è il dito di Dio?

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