Sermoni sul Cantico dei Cantici

Indice

Sermone XXV

I. Chi chiama la Sposa figlia di Gerusalemme e perché

1. Avevo già detto che la sposa è costretta a rispondere alle provocazioni delle emule, le quali, anche se esternamente figurano nel numero delle giovinette, sono pero lontane con il cuore.

Dice dunque: Sono bruna, ma bella, figlie di Gerusalemme ( Ct 1,4 ).

È chiaro che mormoravano contro di lei, rimproverandole di essere scura.

Ma bada alla pazienza e alla benignità della sposa.

Non solo non risponde malamente a chi parla male di lei, anzi ne dice bene, chiamandole figlie di Gerusalemme, mentre avrebbero meritato di essere chiamate piuttosto, a causa della loro cattiveria, figlie di Babilonia, figlie di Baal o qualcosa di simile che suonasse rimprovero.

In verità la sposa aveva imparato dal Profeta, anzi dalla stessa Unzione che insegna la soavità, a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo fumigante.

Per questo ha creduto bene di non irritarle maggiormente, essendo già abbastanza scosse, né di aggiungere qualche cosa agli stimoli dell’invidia che le tormentava.

Ma cerco piuttosto di essere pacifica con quelle che odiavano la pace, sapendo di essere debitrice anche agli insipienti.

Preferì, dunque, addolcirle con parole benevole, perché le interessava maggiormente adoperarsi per la salvezza delle inferme che non cercare il loro castigo.

2. È desiderabile che tutti posseggano questa perfezione, ma essa è in modo particolare la forma dei migliori prelati.

Sanno infatti i buoni e fedeli superiori che il loro compito non è di sfoggiare pompa, ma di aver cura delle anime inferme loro affidate.

E quando talora ne sorprendono qualcuna a mormorare, anche se tali lamentele giungessero agli insulti e alle ingiurie contro di essi, riconoscendosi medici, e non padroni, preparano prontamente per quelle anime agitate, non la vendetta, ma la medicina.

Questa è pertanto la ragione per cui la sposa chiami figlie di Gerusalemme quelle giovinette malevole e maldicenti, sperando con dolci parole, di lenire le mormoratrici, calmare il loro turbamento, sanare il loro livore.

Sta scritto infatti: La lingua pacifica mette fine alle liti ( Pr 25,15 ).

Del resto, queste tali sono realmente figlie di Gerusalemme, né la sposa le chiama falsamente così.

Infatti, sia a causa dei sacramenti della Chiesa che esse, senza distinzione, ricevono insieme con i buoni, sia per la professione della fede, parimente comune, sia per l’appartenenza per lo meno al corpo della stessa Chiesa, o anche per la speranza della salvezza futura, della quale, finché sono in questa vita, non devono affatto disperare, anche se vivono da disperate, non senza ragione vengono chiamate figlie di Gerusalemme.

II. Perché la sposa sia stata bruna e perché sia bella

3. Ma vediamo che cosa si intenda con quelle parole: Sono bruna, ma bella.

Non c’è forse contraddizione in queste parole? Affatto.

Lo dico per i semplici, i quali non sanno discernere tra il colore e la forma, riferendosi questa alla composizione e l’essere bruna soltanto al colore.

Non tutto quello che è scuro è per lo stesso fatto deforme.

Il neo, per esempio, nella pupilla non disdice, e certi sassolini neri fanno bella figura nelle decorazioni, e i capelli neri che adornano facce candide conferiscono loro decoro e grazia.

E non vi è difficile trovare innumerevoli esempi del genere.

E si possono trovare numerosissime cose che, all’esterno sono scolorite, mentre sono belle quanto alla loro forma.

È forse possibile che la sposa, alla bellezza che le viene dall’armonia delle membra, unisca in tal modo il neo del colore oscuro: questo, però, nel luogo del suo pellegrinaggio.

Diversa sarà nella patria, quando lo Sposo della gloria la presenterà gloriosa, senza macchia, né ruga, o altro difetto.

Ma adesso, se dicesse di non essere scura, ingannerebbe se stessa, e non vi sarebbe in lei la verità.

Perciò non stupirti che abbia detto: Sono bruna, soggiungendo tuttavia, con vanto, di essere bella.

E come non sarebbe tale colei alla quale viene detto: Vieni, mia bella? ( Ct 2,10 ).

Colei a cui è detto Vieni, non è ancora pervenuta, perché non si creda che questo non è stato detto a questa bruna che ancora soffre venendo nella via, ma a quella già beata, la quale ormai, senza alcuna oscurità regna nella patria

4. Ma ascolta per quale ragione la sposa si dice bruna e perché si dice bella.

Forse bruna a causa della cattiva condotta tenuta in antecedenza; sotto il principe di questo mondo, portando ancora la forma dell’uomo terrestre, bella invece per la celeste somiglianza che in seguito ha realizzato in sé, camminando in una vita nuova?

Se così fosse, avrebbe dovuto dire: « Sono stata bruna », e non: Sono bruna.

Se tuttavia a qualcuno piacesse questa interpretazione, le parole che seguono: come le tende di Cedar, come i padiglioni di Salomone, dovrebbero intendersi così: che Cedar significhi la vecchia condotta, e i tabernacoli di Salomone si riferiscano alla nuova.

Prima dunque scura, come le vilissime tende di Cedar, dopo bella come i tabernacoli del glorioso Re.

III. Come intendere la sposa bruna e insieme bella

5. Ma vediamo come « bruna e bella » si riferiscano piuttosto entrambe a uno stato di vita più eccellente.

Se consideriamo la forma esterna della vita dei santi, come il loro abito appaia umile e abietto e trascurato, mentre invece nell’intimo sovente, a faccia scoperta contemplando la gloria del Signore, vengono trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore ( 2 Cor 3,18 ), non è vero che ci sembrerà che una simile anima possa giustamente rispondere a coloro che le rimproverano l’oscurità del suo esterno: Sono scura, ma bella?

Vuoi che ti porti l’esempio di un’anima nello stesso tempo scura e bella?

Le lettere, dicono, sono dure e forti, ma la presenza corporale è debole e la parola dimessa ( 2 Cor 10,10 ).

Così era Paolo. Forse che, o figlie di Gerusalemme, giudicate Paolo dalla presenza corporale, e lo disprezzate perché scolorito e deforme, per il fatto che lo scorgete come un pover’uomo afflitto dalla fame e dalla sete, dal freddo e dalla nudità, dalle innumerevoli fatiche, percosso crudelmente, spesso in pericolo di morte? ( 2 Cor 11,27.23 ).

Sono queste cose che rendono scuro Paolo; per tali cose il Dottore delle genti viene stimato senza gloria, ignobile, nero, oscuro, insomma, come la spazzatura di questo mondo.

È veramente quel medesimo che è rapito in paradiso, che, per la sua purezza, oltrepassa il primo e il secondo e arriva al terzo cielo?

O davvero bellissima anima, che, sebbene abitasse in un corpo debole e infermo, fu accolta dalla bellezza celeste, non venne rigettata dalla sublimità angelica, né fu respinta dal divino splendore!

Questa voi chiamate bruna? È bruna, ma bella, figlie di Gerusalemme.

Bruna secondo il vostro giudizio, bella secondo quello di Dio e degli angeli.

E se è scura, lo è al di fuori.

Quanto a lui, non gl’importa nulla di essere giudicato da voi, o da coloro che giudicano secondo le apparenze.

L’uomo infatti vede la faccia, ma Dio scruta il cuore ( 1 Sam 16,7 ).

Perciò, anche se bruna al di fuori, è però bella al di dentro, onde piacere a colui che la giudica; non cerca infatti di piacere a voi; se lo facesse, non sarebbe servo di Cristo.

Felice colore oscuro, che genera il candore della mente, la luce della scienza, la purezza della coscienza.

6. Senti infine quello che Dio, per mezzo del Profeta, promette a queste anime brune, che, o l’umiltà della penitenza, o lo zelo della carità, quasi ardore di sole, sembra aver abbronzato.

Se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana ( Is 1,18 ).

Non è veramente da disprezzare nei santi questa esterna apparenza oscura, che produce un interno candore, e con questo prepara la sede della sapienza.

La sapienza è infatti candore della vita eterna ( Sap 7,26 ), come la definisce il Saggio; e candida deve essere l’anima nella quale essa sceglie la sua dimora.

Che se l’anima del giusto è sede della sapienza, a ragione diremo che l’anima del giusto è candida.

E forse la stessa giustizia è candore.

Giusto era Paolo, al quale era riservata la corona della giustizia.

Candida perciò era l’anima di Paolo, e la sapienza dimorava in essa, sicché esprimeva la sapienza parlando tra i perfetti, la sapienza nascosta nel mistero, che nessuno dei principi di questo mondo conobbe.

Pertanto, in lui quel colore oscuro che gli veniva all’esterno dall’aspetto di un corpo infermo, dalle molte fatiche, dai prolungati digiuni, operava o meritava questo candore della sapienza e della giustizia.

E per questo, anche quello che in Paolo è oscuro, è più bello di qualsiasi ornamento esteriore, di ogni eleganza regale.

Non si potrà paragonare a esso la bellezza, per quanto grande, della carne, non la pelle nitida, che dovrà essere bruciata con il fuoco, non la faccia truccata, prossima a diventare putredine, non la veste preziosa, soggetta al tarlo, non la bellezza dell’oro o lo splendore delle gemme, o qualsiasi altra cosa, tutte soggette alla corruzione.

IV. Tutta l’attenzione dei santi rivolta alla bellezza interiore

7. A ragione, pertanto, i santi, disprezzando l’ornamento e il culto superfluo del corpo, che è soggetto alla corruzione, mettono ogni cura e diligenza nel coltivare e ornare l’uomo interiore che di giorno in giorno si rinnova a immagine di Dio.

Sono infatti sicuri che nulla è più accetto a Dio che la sua immagine, quando essa è restituita alla sua propria bellezza.

Perciò ripongono ogni loro gloria all’interno, non al di fuori: vale a dire, non nel fiore del fieno, o nella bocca della gente, ma nel Signore.

Per questo dicono: Questa è la nostra gloria, la testimonianza della nostra coscienza ( 2 Cor 1,12 ), perché Dio solo è arbitro della coscienza, e a lui solo desiderano piacere, e piacere a lui è la sola, vera e somma gloria.

Non è invero mediocre quella gloria interiore, nella quale si degna di gloriarsi anche il Signore della gloria, come dice Davide: La gloria della figlia dei Re è tutta interiore ( Sal 45,14 ).

E la gloria di ciascuno è più al sicuro quando si ha dentro se stessi e non in altri.

Ma forse non c’è solo da gloriarsi del candore interno, ma anche del colore oscuro esteriore, onde nulla sia invano nei santi, ma tutte le cose cooperino per il loro bene.

Non si gloriano, infatti, solamente nella speranza, ma anche nelle tribolazioni.

Volentieri, dice Paolo, mi glorierò nelle mie infermità, perché dimori in me la potenza del Cristo ( 2 Cor 12,9 ).

Desiderabile infermità, che viene compensata dalla forza di Cristo!

Chi mi darà, non solo di essere infermo, ma divenir meno del tutto ed essere privato di tutto ciò che viene da me stesso, perché io possa venire sorretto dalla virtù del Signore degli eserciti?

La mia potenza, infatti, si manifesta pienamente nella mia debolezza ( 2 Cor 12,9 ).

E infine: Quando sono debole, è allora che sono forte ( 2 Cor 12,10 ).

8. Stando così le cose, la sposa si attribuisce molto a proposito a sua gloria quello che dalle emule le viene imputato come motivo di, vergogna, vantandosi di essere, non solo bella, ma anche scura.

Non arrossisce per la pelle scura, pensando che, prima di lei, anche lo Sposo è apparso con tale deformità, ed è cosa sommamente gloriosa essere simile a lui.

Stima dunque che nulla sia più onorifico che portare l’obbrobrio di Cristo.

Di qui quelle parole veramente piene di esultanza e di salvezza: Quanto a me, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore mio Gesù Cristo ( Gal 6,14 ): grata ignominia della croce per colui che non è ingrato al Crocifisso.

È colore oscuro, ma forma e immagine del Signore.

Va dal santo Isaia, e ti descriverà come ha visto il Signore in spirito.

Lo chiama Uomo dei dolori, che ben conosce il patire, e dice che non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi.

E aggiunge: Noi l’abbiamo stimato come un lebbroso, percosso da Dio e umiliato.

Eppure egli è stato percosso per le nostre iniquità, schiacciato per i nostri delitti; per le sue piaghe noi siamo stati guariti ( Is 53,2ss ).

Ecco il colore oscuro. Aggiungi a questo ciò che ha detto il santo Davide: Il più bello tra i figli dell’uomo ( Sal 45,3 ), e hai nello Sposo quello che la sposa in questo passo attribuisce a se stessa.

9. Non ti sembra che anche Cristo, secondo quello che è stato detto, potrebbe rispondere agli emuli giudei: « Sono scuro, ma bello, figli di Gerusalemme? ».

Davvero scuro, lui che non aveva bellezza, né splendore; scuro, perché verme e non uomo, obbrobrio degli uomini e abiezione della plebe.

E poi fece se stesso peccato: e non oserò chiamarlo scuro?

Guardalo in panni sordidi, livido di piaghe, coperto di sputi e di un pallore mortale: almeno adesso riconoscilo scuro.

Domanda poi agli Apostoli quale lo hanno contemplato sul monte, o agli Angeli chi sia colui nel quale bramano fissare lo sguardo e vedrai con stupore quanto è bello.

Bello dunque in sé, scuro per te.

Come ti riconosco bello, anche nella mia forma, o Signore Gesù!

Non solo per i miracoli divini per i quali risplendi, ma anche per la verità, la mansuetudine e la giustizia.

Beato chi, osservando con diligenza queste cose nella vita che hai condotto, uomo tra gli uomini, si sforza, per quanto glielo permettono le sue capacità, di mostrarsi imitatore di te!

Questa beatitudine l’ha ricevuta in dono, come primizia della sua dote, la tua bella, sollecita nell’imitare ciò che in te è bello, né vergognosa di sopportare ciò che in te è oscuro.

Perciò diceva: Sono scura, ma bella, figlie di Gerusalemme.

E aggiunge una similitudine: come i tabernacoli di Cedar, come le pelli di Salomone ( Ct 1,4 ).

Ma questo è oscuro, né stancatevi per riuscire a capirlo.

Avete tempo per bussare.

Se non cesserete di farlo, vi sarà chi rivela i misteri; né tarderà ad aprire colui che invita a bussare.

È lui che apre, e nessuno chiude, lo Sposo della Chiesa, Gesù Cristo nostro Signore, che è benedetto nei secoli.

Amen.

Indice