Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XXIX

I. Di chi dice la sposa: « Figli di mia madre » e come c’è da guardarsi dai mali della propria casa

1. I figli di mia madre hanno lottato contro di me ( Ct 1,5 ).

Anna e Caifa e Giuda Iscariota furono i figli della Sinagoga; e costoro combatterono aspramente contro la Chiesa, che è pure figlia della Sinagoga, fin dal suo nascere, appendendo alla croce il suo fondatore Gesù.

Già da allora Dio aveva adempiuto quanto aveva predetto per mezzo del Profeta dicendo Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge ( Mt 26,31; Zc 13,7 ).

E forse è sua quella voce che dice, nel cantico di Ezechia: Come un tessitore hai arrotolato la mia vita, mi recidi dall’ordito ( Is 38,12 ).

Si può dunque pensare che intenda parlare di questi tali e di altri, della stessa nazione che, come sappiamo, si sono mostrati nemici del nome cristiano, quando la sposa dice: I figli di mia madre hanno lottato contro di me.

E giustamente li chiama figli di sua madre, e non figli di suo padre, non avendo essi Dio per Padre, ma essendo figli del diavolo, omicidi anch’essi, come quello era omicida dall’iniziò.

Perciò non dice: « I miei fratelli » o « i figli di mio padre », ma i figli di mia madre hanno lottato contro di me.

Diversamente, senza questa distinzione, anche l’Apostolo Paolo potrebbe sembrare compreso nel numero di coloro dei quali si lamenta, perché anch’egli un tempo perseguitò la Chiesa di Dio.

Ma ottenne misericordia perché, nella sua incredulità, aveva agito per ignoranza, e diede prova di avere Dio per Padre, e di essere fratello della Chiesa, sia da parte del Padre, sia da parte della madre.

2. E bada come la sposa accusa nominatamente i figli di sua madre, ed essi soli, quasi fossero i soli colpevoli.

Eppure, quanto ebbe a soffrire anche dagli stranieri, secondo il detto del Profeta: Dalla giovinezza molto mi hanno perseguitato, e Sul mio dorso hanno arato gli aratori ( Sal 129,1.3 ).

Perché dunque ti lamenti singolarmente dei figli di tua madre, mentre non ignori di essere stata molto spesso combattuta da parecchie altre nazioni?

Invitato alla mensa di un ricco, risponde, considera diligentemente quanto ti viene posto dinanzi ( Pr 23,1 ).

Fratelli, siamo seduti alla mensa di Salomone. Chi più ricco di Salomone?

Non dico delle ricchezze terrene, sebbene anche di queste abbondasse Salomone; ma considerate la mensa presente, come sia ricolma di superni cibi deliziosi.

Sono cose spirituali e divine quelle che ci vengono servite.

Considera dunque diligentemente, dice, le cose che ti vengono poste dinanzi, pensando che tali cose tu devi preparare.

Io, in verità, per quanto dipende da me, rifletto a quanto mi viene presentato in queste parole della sposa, e penso che serva a istruirmi e a rendermi cauto il fatto che in esse viene espressamente nominata la persecuzione che essa ha subito da parte dei domestici, mentre si tacciono le molte e gravissime vessazioni subite da lei in tutto il mondo da parte di ogni nazione che è sotto il cielo, dagli infedeli, dagli eretici e dagli scismatici.

Conosco la prudenza della sposa, e non penso che abbia tralasciato queste ultime per dimenticanza.

Ma di proposito essa piange più particolarmente il male da cui ammonisce noi di guardarci con più attenzione.

Questo male è quello interno e domestico.

Questo male viene indicato apertamente nel Vangelo per bocca dello stesso Salvatore quando dice: E i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa ( Mt 10,36 ).

Così pure il Profeta: Anche l’amico in cui confidavo, anche lui che mangiava il mio pane alza contro di me il suo calcagno ( Sal 41,10 ); e ancora: Se mi avesse insultato un nemico l’avrei sopportato; ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente, che prendevi con me il dolce cibo ( Sal 55,13.15 ), vale a dire, sento con maggior pena e sopporto con più vivo dolore quello che provo da parte tua, o mio commensale e compagno.

Conoscete questo lamento, e a chi si riferisca.

3. Riconoscete dunque anche la sposa che si lamenta dei figli di sua madre con i medesimi sentimenti, perché nel medesimo Spirito, quando, dice: I figli di mia madre hanno lottato contro di me.

E altrove viene detto: Amici e compagni si scostano dalle mie piaghe, i miei vicini stanno a distanza ( Sal 38,12 ).

II. Come sia da abbracciare la pace e da evitare lo scandalo, anche nella più piccola cosa da quanti vivono in comunità

Ve ne prego, tenete sempre lontano da voi questo abominevole e detestabile male, voi che avete sperimentato e sperimentate ogni giorno quanto buona cosa sia l’abitare insieme tra fratelli, se tuttavia si vive uniti e non in modo da essere di scandalo gli uni agli altri.

Se no non è più cosa gioconda né buona, ma davvero pessima e oltremodo molesta.

Ma guai a quell’uomo per il quale viene turbata la giocondità dell’unione.

Sarà oggetto di condanna chiunque egli sia.

Possa io morire prima di udire qualcuno di voi gridare con ragione: I figli di mia madre hanno lottato contro di me.

Non siete forse voi tutti che appartenete a questa comunità come figli di un’unica madre e tra di voi tutti fratelli?

Che cosa mai dall’esterno potrà conturbarvi e contristarvi, se all’interno state bene e godete della pace fraterna?

E chi vi potrà fare del male, se farete a gara nell’operare bene? ( 1 Pt 3,13 ).

Aspirate pertanto ai carismi più grandi, onde dimostrarvi buoni emuli nel bene.

Il carisma di gran lunga migliore è la carità, al quale nessun altro si può paragonare, e che il celeste Sposo aveva cura di inculcare così spesso alla nuova sposa, dicendo: In questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri ( Gv 13,35 ); e: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati ( Gv 15,12 ); così pure pregando che essi fossero una cosa sola, come egli e il Padre sono una cosa sola.

E vedi come lo stesso Paolo, il quale ti invita ai carismi migliori, insinui tra gli altri la carità, sia quando parlando della fede e della speranza afferma che la carità è più importante e superiore alla scienza, sia dove, avendo enumerati parecchi e meravigliosi doni della grazia divina, ci rimanda infine a una via sovraeccellente, chiamando così appunto la carità.

Che cosa infine paragoneremo a questa carità che viene preferita allo stesso martirio e alla fede che trasporta le montagne?

Questo è dunque quello che dico: la vostra pace derivi da voi stessi, e allora tutto quello che la può minacciare dal di fuori non fa più paura, perché è incapace di procurare danno.

E al contrario, tutto ciò che può consolarvi dal di fuori non val nulla, se all’interno, che Dio non voglia, germoglierà la discordia.

4. Pertanto, dilettissimi, siate in pace tra di voi, né vogliate farvi torto a vicenda con azioni, parole o qualsivoglia segno, perché non avvenga che qualcuno, esacerbato e sconvolto dalla furia dell’uragano, a causa della sua pusillanimità, si senta costretto a rivolgersi a Dio contro coloro che lo hanno offeso e contristato con quel duro lamento: I figli di mia madre hanno lottato contro di me.

Così, peccando contro il fratello, pecchereste contro Cristo, il quale dice: Quanto avete fatto a uno solo di questi miei più piccoli, l’avete fatto a me ( Mt 25,40 ).

E non è necessario astenersi soltanto dalle offese più grandi, come insulti e imprecazioni, proferiti in faccia, ma anche dalla velenosa nascosta detrazione.

Non basta, dico, preservare la bocca da queste e simili cose; bisogna guardarsi anche da cose leggere, se leggero si può dire quello che fai contro un fratello con l’intenzione di recargli danno, mentre, come dice il Signore, il solo fatto di adirarti contro di lui ti fa reo di giudizio.

E giustamente, poiché ciò che tu reputi leggero, e che per questo con più leggerezza tu, fai, molte volte un altro lo subisce giudicandolo diversamente, in quanto è un uomo che vede l’apparenza, e secondo quella giudica, sospettando forse una trave dove non c’è che una pagliuzza, e prendendo una scintilla come una fornace.

Non tutti, infatti, hanno quella carità che tutto crede.

I sensi invece e i pensieri dell’uomo sono inclini a sospettare piuttosto il male che a credere il bene, specialmente dove la regola del silenzio non permette a te, che sei in causa, di scusarti, né all’altro di manifestare la ferita del sospetto, di cui soffre, per esserne guarito.

Brucia pertanto costui, e muore per la ferita mortale che non trova sfogo, gemendo in se stesso, mentre tutto preso dall’ira e dall’interna reazione, non è capace nel suo silenzio di pensare ad altro che all’ingiuria che ha ricevuto.

Non può pregare, non può applicarsi alla lettura o alla meditazione di alcunché di santo o spirituale; e così mentre, priva dello spirito vitale per mancanza di alimenti, se ne va alla morte un’anima per la quale Cristo è morto, tu che cosa fai?

Quale sapore ha la tua orazione o qualsiasi cosa tu farai in questo tempo, mentre Cristo grida contro di te dal petto del fratello che hai contristato, dicendo: Il figlio di mia madre lotta contro di me, e colui che prendeva con me dolci vivande mi ha riempito di amarezza?

5. E se dirai che per una cosa cosi leggera non era il caso che si turbasse tanto, rispondo: quanto più si tratta di cose leggere, tanto era più facile per te non farle.

Quantunque non riesca a capire come tu chiami cosa leggera quello che è di più: che il semplice adirarsi, come ho già detto, dal momento che anche questo solo sia, come dice lo stesso Giudice, sottoposto a giudizio.

Tu dunque dirai leggero quello per cui viene offeso Cristo, per cui dovrai essere trascinato al giudizio di Dio, e sai che è cosa orrenda il cadere nelle mani del Dio vivente?

Tu dunque, quando ti capita di ricevere un torto, cosa che è difficile che non capiti talvolta in queste comunità, non affrettarti, come fanno i secolari, a colpire a tua volta il fratello con una risposta dura; e non osare, sia pure sotto pretesto di correzione, di usare parole pungenti o offensive, per non ferire in qualche modo un’anima per la quale Cristo si è degnato di farsi crocifiggere; non sia come un grugnito il tuo rimprovero, non borbottare con le labbra, come se stessi mormorando, non storcere il naso o sghignazzare come se te ne facessi beffe, non corrugare la fronte come per inveire o minacciare.

La tua reazione muoia dove nasce, né si permetta di uscire a quella che è portatrice di morte, perché non uccida, e tu possa dire con il Profeta: Sono stato turbato e non ho parlato ( Sal 77,5 ).

III. L’opinione di taluni sul diavolo e sui suoi angeli. L’utilità del rimprovero

6. Ho sentito alcuni dare di queste parole un’interpretazione più sottile.

Secondo questi si tratterebbe del diavolo e dei suoi angeli, i quali sono anch’essi figli di quella Gerusalemme celeste, che è madre nostra, e da quando sono decaduti, non cessano di combattere la Chiesa loro sorella.

Ma non avrei neanche nulla in contrario se uno volesse interpretarle in senso buono, intendendo la lotta che gli spirituali che sono nella Chiesa conducono con la spada dello spirito, cioè la Parola di Dio, contro i fratelli carnali, ferendoli salutarmente e spronandoli, con tale lotta, a divenire spirituali.

Voglia Dio che il giusto mi corregga, mosso da carità, e mi sgridi, percuotendo al fine di sanare, uccidendo per vivificare, affinché io pure possa dire: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me ( Gal 2,20 ).

Mettiti d’accordo, dice Gesù, con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice, e il giudice al carceriere ( Mt 5,25 ).

Buono quell’avversario, mettendomi d’accordo con il quale potrò evitare la sentenza del giudice e il carceriere.

A me pertanto non dispiace se, talvolta, vi ho in questo modo contristato.

È stato infatti per il vostro bene.

A dir vero, non mi ricordo di averlo mai fatto senza sentirne anche io una grande tristezza, secondo quel detto: La donna quando partorisce è afflitta ( Gv 16,21 ).

Ma non ricordo certamente più l’afflizione ora che constato il frutto del mio dolore, vedendo Cristo formato nei figli.

Anzi, non so come, mi sento maggiormente stretti da tenero affetto quelli che dopo i rimproveri e per mezzo di questi sono guariti dalle loro infermità, che non quelli che dall’inizio si sono dimostrati forti, non bisognosi di tale medicina.

7. Dunque, in questo senso potrà la Chiesa, o l’anima che ama Dio, dire che il sole l’ha scolorita mandando cioè e armando qualcuno dei figli di sua madre per contrariarla salutarmente e ricondurla alla fede e all’amore di lui, con tante saette confitte, delle quali è scritto: Frecce acute di un prode ( Sal 120,4 ) e: Le tue frecce mi hanno trafitta ( Sal 38,3 ).

E perciò continua dicendo: Non c’è sanità nella mia carne ( Sal 38,4 ), per dire poi, una volta fatto più sano, e quindi più forte secondo l’anima: Lo spirito veramente è pronto, ma la carne è debole ( Mt 26,41 ), e con l’Apostolo: Quando sono debole, è allora che sono forte ( 2 Cor 12,10 ).

Vedi come l’infermità della carne accresce la forza dello spirito e procura forze?

Così, al contrario, sappi che la forza della carne ha come effetto l’indebolimento dello spirito.

E non fa meraviglia se, divenuto più debole il nemico, tu vieni reso più forte, a meno che, comportandoti da pazzo, tu ti prenda come amica quella carne che non cessa di avere desideri contrari allo spirito.

Considera dunque la prudenza del santo, che chiede di venire salutarmente combattuto e ostacolato, quando dice nell’orazione: Trafiggi con il tuo timore la mia carne ( Sal 119,120 ).

Ottima saetta questo timore, che trafigge e uccide i desideri carnali perché lo spirito sia salvo.

Ma anche chi castiga il suo corpo e lo riduce in schiavitù, non ti sembra che aiuti la mano di chi combatte contro di lui?

IV. La freccia d’amore che trapassò l’anima della beata Maria e come ciò si addica alla Chiesa o all’anima desiderosa di rendere grazie

8. Saetta anche la Parola di Dio, viva ed efficace, più penetrante di ogni spada a doppio taglio, di cui parla il Salvatore: Non sono venuto, dice, a portare la pace, ma la spada ( Mt 10,34 ).

È anche una saetta scelta l’amore di Cristo che non solo ferì, ma trapassò l’anima di Maria, perché nel petto verginale non lasciasse vuota nessuna particella, ma amasse con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, e fosse piena di grazia.

Ovvero la trapassò per venire fino a noi, e da quella pienezza noi tutti ricevessimo, e divenisse madre della carità, il cui padre è Dio carità, partorendo e ponendo nel sole il suo tabernacolo perché si adempisse la Scrittura che dice: Ti ho reso luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra ( Is 49,6 ).

Questo si è adempiuto per mezzo di Maria, la quale partorì visibile colui che aveva ricevuto invisibile, non dalla carne, né con la carne.

Ed essa ricevette in tutta se stessa una grande e soave ferita d’amore; io poi mi reputerò felice se ogni tanto mi sentirò almeno pungere dalla punta di questa spada, affinché, ricevuta una sia pur piccola ferita d’amore, l’anima mia possa dire: Sono ferita d’amore ( Ct 2,5 ).

Chi mi darà di essere in tal modo non solo ferito, ma sconfitto del tutto, fino alla distruzione del colore e del calore di quella che combatte contro l’anima?

9. A un’anima di tal fatta, se le figlie di questo secolo dovessero rimproverare di essere pallida e senza colore, non ti sembra che potrebbe rispondere: Non state a guardare che io sono bruna, perché il sole mi ha abbronzata? ( Ct 1,6 ).

E se ricordasse di essere così ridotta per le esortazioni e i rimproveri di alcuni servi di Dio, gelosi di lei della gelosia di Dio, non potrà dire anch’essa con verità: I figli di mia madre hanno lottato contro di me?

Vorrà dunque significare, come è stato detto, che la Chiesa o qualsiasi altra anima innamorata di Dio, dica questo, non quasi gemendo o lamentandosene, ma con gioia e ringraziando, gloriandosi anzi di essere e di venir giudicata scura o senza colore, per il nome e l’amore di Cristo, e questo non lo attribuisca alla sua iniziativa, ma alla grazia e alla misericordia che l’hanno prevenuta e l’hanno ricondotta a se stessa.

Infatti quando potrebbe credere senza chi le predicasse?

E come uno le predicherebbe se non fosse inviato?

Ricorda che i figli di sua madre hanno lottato contro di lei, non come se ne fosse adirata, ma per mostrarsi non ingrata.

Perciò dice in seguito: Mi hanno messa a guardia delle vigne ( Ct 1,6 ).

Queste parole, se si esaminano in senso spirituale, non hanno, penso, nulla che significhi lamento, o rancore, ma indicano qualcosa di favorevole.

Ma prima di porre mano a capire questo, è infatti un luogo sacro, occorre renderci propizio con le solite preghiere, quello spirito che scruta le profondità di Dio, e così consultarlo, ovvero ricorrere all’aiuto dell’Unigenito che è nel seno del Padre, Sposo della Chiesa, Gesù Cristo. Signore che è benedetto nei secoli.

Amen.

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