Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XXXII

I. Come meritare la presenza dello Sposo; a quale anima si manifesta come Sposo

1. Dimmi dove vai a pascolare il gregge, dove riposi al meriggio ( Ct 1,7 ).

Siamo rimasti qui. Ricominciamo da qui.

Ma prima di cominciare la spiegazione di queste parole e del loro significato simbolico mi sembra opportuno ricapitolare quelle precedenti, per vedere come possano adattarsi spiritualmente a noi, a seconda dei sentimenti e dei meriti di ciascuno; e così, una volta dimostrato questo, se ci sarà possibile ci riuscirà più facile capire ciò che stiamo per discutere.

Questo però comporta una grande difficoltà.

Anche se quelle parole infatti, che esprimono tali concetti o similitudini, significano corpi o cose corporee, le cose che per esse ci vengono indicate sono spirituali, e quindi dobbiamo cercare anche nello spirito le loro cause e ragioni.

E chi è in grado di investigare e comprendere le così molteplici disposizioni e i gradi di perfezione delle anime, alle quali viene dispensata una così multiforme grazia per la presenza dello Sposo?

Tuttavia se entriamo in noi stessi, e lo Spirito Santo, con la sua luce, si degnerà di mostrarci quello che con la sua azione non cessa di operare in noi, penso che non resteremo senza una qualche intelligenza di queste cose.

Credo infatti che noi abbiamo ricevuto non lo spirito di questo mondo, ma lo Spirito che è da Dio, per sapere le cose che da Dio ci sono state donate.

2. Dunque, se per qualcuno di noi è cosa buona, con il santo Profeta, aderire a Dio, e, per parlare più chiaro, se qualcuno di noi è talmente uomo di desiderio da bramare di morire ed essere con Cristo, e il suo desiderio è forte, la sua sete ardente, la sua meditazione assidua, costui non riceverà in forma diversa da quella di Sposo il Verbo, quando verrà a visitarlo, quando cioè si sentirà come stringere dalle braccia della sapienza e infondersi la soavità del santo amore.

Perché soddisferai il desiderio del suo cuore ( Sal 21,3 ), anche se ancora pellegrino nel corpo, sia pure in modo imperfetto, e per breve tempo.

Quando infatti, cercato con veglie e preghiere e molte lacrime, si sarà fatto sentire presente, improvvisamente, mentre si crede, di tenerlo scompare, e di nuovo, venendo incontro a chi lo insegue piangendo si lascia prendere, ma non trattenere, sfuggendo nuovamente d’improvviso, come dalle mani.

E se l’anima devota insisterà con le preghiere e le lacrime, tornerà di nuovo, e non respingerà il voto delle sue labbra; ma nuovamente disparirà e non si farà rivedere, se non cercato con vivo desiderio.

Così dunque, anche in questa vita vi può essere frequente letizia a causa della presenza dello Sposo, ma non abbondante, perché se la sua visita rallegra, riesce molesto quell’alternarsi di presenze e assenze.

E la diletta dovrà necessariamente soffrire questo fino, a che, deposto il peso del corpo possa anch’essa volarsene, portata dalle ali dei suoi desideri, prendendo liberamente la via per i campi della contemplazione, seguendo senza impedimenti con la mente il diletto ovunque vada.

3. Tuttavia non capita a ogni anima di godere così, anche solo di passaggio delle visite dello Sposo, ma solo a quella che, mediante una grande devozione, un veemente desiderio e un dolcissimo affetto, si sarà mostrata una degna sposa; venendo a farle visita il Verbo si riveste di bellezza prendendo la forma di sposo.

II. A chi si manifesta come medico e a chi si offre come compagno

Chi non si trova ancora in queste disposizioni, ma è piuttosto compunto per il ricordo dei suoi trascorsi, parlando dell’amarezza della sua anima dice a Dio: Non volermi condannare ( Gb 10,2 ) o forse si trova ancora attualmente pericolosamente tentato, stornato e attratto dalla propria concupiscenza; costui non cerca lo Sposo, ma il medico, e per questo non riceverà i baci e gli amplessi, ma solo i rimedi per le sue ferite, consistenti in olio e unguenti.

Non è forse vero che molto spesso questi sono i nostri sentimenti, e questo sperimentiamo nella preghiera, noi che ogni giorno siamo afflitti dai presenti mancamenti e sentiamo rimorso per quelli trascorsi?

Da quanta amarezza, venendo, mi hai spesso liberato, o Gesù buono!

Quante volte, dopo affannosi pianti, dopo inenarrabili gemiti e singulti hai unto la mia coscienza ferita con l’unzione della tua misericordia, e l’hai cosparsa con l’olio della letizia?

Quante volte, entrando quasi disperato nell’orazione ne sono uscito esultante e pieno di fiducia nel perdono?

Quelli che sperimentano queste cose sanno veramente come il Signore Gesù sia medico che risana i cuori affranti e fascia le loro ferite ( Sal 147,3 ).

Coloro che non l’hanno provato credano a lui stesso che dice: Lo Spirito del Signore è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione, mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati ( Is 61,1 ).

Se ancora non sono persuasi, vengano e ne facciano la prova, e imparino in se stessi che cosa voglia dire: Misericordia io voglio e non sacrificio ( Mt 9,13 ).

Ma vediamo anche il resto.

4. Vi sono di quelli che, stanchi di applicarsi alle cose spirituali e divenuti tiepidi e fiacchi di spirito, camminano tristi nelle vie del Signore, compiono le cose loro imposte con cuore arido, spesso mormorando, e lamentandosi che i loro giorni e le loro notti sono interminabili, dicendo con il santo Giobbe: Se mi corico dico: quando mi alzerò?

E nuovamente aspetto la sera ( Gb 7,4 ).

Dunque, quando capita che qualcuno soffre cose del genere, se il Signore avendone pietà si avvicinerà a noi nel nostro cammino e comincerà a parlarci del cielo colui che è dal cielo, o a cantarci qualche cosa adatta dei canti di Sion, o a raccontarci della città di Dio, della pace di quella città, dell’eternità di questa pace, dello stato dell’eternità, io vi dico che questi lieti racconti serviranno a eccitare l’anima che sonnecchia pigra, e scacceranno ogni tedio dall’animo di chi ascolta, e dal corpo ogni fatica.

Non ti sembra che patisse e chiedesse proprio questo colui che disse: Sonnecchia per il tedio l’anima mia, dammi forza con le tue parole? ( Sal 119,28 ).

E quando ha ottenuto quello che domandava esclama: Quanto ho amato la tua legge Signore, tutto il giorno la vado meditando ( Sal 119,97 ).

Vi sono infatti alcune parole del Verbo Sposo rivolte a noi, che servono a farci meditare su di lui e la sua gloria, bellezza, potenza e maestà.

Non solo, ma quando anche scrutiamo con avida mente la sua legge e i giudizi della sua bocca, e li meditiamo giorno e notte, siamo certi che lo Sposo è vicino a noi e ci parla, e con le sue parole ci rallegra perché non veniamo oppressi dalla fatica.

5. Quando dunque tu senti operarsi queste cose nel tuo intimo, non pensare che si tratti di pensieri tuoi, ma sappi che ti parla colui che per bocca del Profeta dice: Sono io che parlo con giustizia ( Is 63,1 ).

III. Le parole del Verbo e il pensiero del cuore o l’insinuarsi del maligno

Le parole infatti che la verità dice in noi sono molto simili a quelle che la nostra mente pensa, né è facile discernere ciò che nasce dal proprio cuore e ciò che uno ascolta.

Questo con prudenza distingue chi bada alle parole del Signore nel Vangelo: Dal cuore escono i cattivi pensieri ( Mt 15,19 ) e quelle altre: Perché pensate cose cattive nei vostri cuori? ( Mt 9,4 ); e ancora: Chi dice il falso parla del suo ( Gv 8,44 ).

L’Apostolo poi dice: Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi ( sottintendi: di buono ), ma la nostra capacità viene da Dio ( 2 Cor 3,5 ).

Quando dunque abbiamo nel cuore cose cattive, sono pensieri nostri, se si tratta di cose buone parola di Dio.

Quelle le dice il nostro cuore, queste le ascolta.

Ascolterò, dice il salmista, che cosa dice in me Dio, il Signore ( Sal 85,9 ).

Dio parla in noi, e queste cose non siamo noi a pensarle, ma in noi le sentiamo.

Invece gli omicidi, gli adulteri, i furti, le bestemmie e cose simili, escono dal cuore, né le ascoltiamo, ma le diciamo.

Riferisce ancora il salmo: Disse lo stolto nel suo cuore: Dio non c’è ( Sal 14,1 ).

Per questo l’empio ha irritato Dio, perché ha detto nel suo cuore: non ne chiederà conto ( Sal 10,13 ).

Ma c’è ancora qualcosa che viene sentita nel cuore, ma non è una parola del cuore.

Non esce infatti dal cuore, come i nostri pensieri, e neanche è quella parola del Verbo che si fa sentire nel nostro cuore, essendo cosa cattiva.

Essa viene immessa dalle potestà nemiche, come avvengono le suggestioni degli angeli cattivi, come per esempio accadde, come si legge, che il diavolo mise in cuore a Giuda Iscariota di tradire il Signore.

6. Ma chi sarà così attento e diligente osservatore dei suoi moti interni, sia che nascano da sé o siano prodotti in sé, da discernere tra le cose cattive del suo cuore, quali siano effetto di malattia e quali morso del serpente?

Io penso che questo non sia possibile a nessuno, a meno che uno, illuminato dallo Spirito Santo, abbia ricevuto quel dono speciale che l’Apostolo enumera tra gli altri carismi e che chiama discrezione degli spiriti.

Infatti, per quanto uno, come dice Salomone, custodisca con ogni cura il suo cuore, e osservi con grandissima attenzione tutti i movimenti che si avvicendano nel suo cuore, anche nel caso che si sia di frequente esercitato in questo esperimento, non potrà con sicurezza conoscere e discernere in sé il male innato e quello seminato.

Poiché, le mancanze, chi le discerne? ( Sal 19,13 ).

Né molto ci importa sapere donde ci viene questo male, purché ci rendiamo conto che c’è; piuttosto dobbiamo vigilare e pregare per non consentirvi, da qualsiasi parte provenga.

Anche il Profeta prega contro l’uno e l’altro male, dicendo: Assolvimi, o Signore, dai miei peccati occulti, e perdona gli altrui al tuo servo ( Sal 19,13 ).

E io non posso comunicare a voi quello che non ho ricevuto.

Non ho ricevuto, lo confesso, il dono di distinguere tra ciò che è prodotto dal cuore, e ciò che è stato seminato dal nemico.

Tutti e due sono male, tutti e due dal male, tutti e due nel cuore sebbene non tutti e due provenienti dal cuore.

Questo è quello di cui sono certo, ma resta incerto quanto si debba attribuire al cuore e quanto al nemico.

E questa incertezza, come ho detto, non comporta alcun pericolo.

7. Ma dove c’è veramente un pericolo, dove si può colpevolmente sbagliare, è nell’attribuire a noi ciò che è di Dio; e perciò noi stabiliamo una certa regola, per cui non ci avvenga di considerare un nostro pensiero come una visita del Verbo.

Quanto dunque sono distanti tra loro il male e il bene, così queste due cose tra di loro; poiché né dal Verbo potrà provenire nulla di male, né dal cuore alcunché di bene che non abbia prima concepito dal Verbo, perché non può un albero buono far frutti cattivi, né un albero cattivo farne di buoni.

Ma credo che abbiamo a sufficienza distinto quello che nel nostro cuore sia nostro e quello che sia di Dio.

Non era cosa superflua, a mio avviso, perché sappiano i nemici della grazia che il cuore umano non è in grado, senza la grazia, neppure di pensare una cosa buona, ma la sua capacità a ciò gli viene da Dio, è voce di Dio il bene che viene pensato, non prodotto del cuore stesso.

Tu dunque, se senti la sua voce, non è che non sai di dove venga e dove vada, tu sappi che viene da Dio, ed è diretta al tuo cuore.

Ma bada che la parola che esce dalla bocca di Dio non torni a lui senza effetto, ma sia efficace, e operi tutto ciò per cui è stata mandata, perché possa dire anche tu: La grazia di Dio in me non è stata vana ( 1 Cor 15,10 ).

Felice la mente alla quale il Verbo, divenuto suo indivisibile compagno, si mostra dappertutto affabile e, rallegrata dalla soavità delle sue parole, supera in ogni momento le molestie e i vizi della carne, profittando del tempo, perché i giorni sono cattivi.

Non si stancherà, non verrà molestata perché, come dice la Scrittura, al giusto, non può capitare alcun danno ( Pr 12,21 ).

IV. A quale affetto lo sposo si offre come re o come padre e perché dopo tutto si manifesta in sembianza di pastore

8. Ma ormai penso che appaia la figura del grande Padre di famiglia, ossia della regale maestà, a coloro che, penetrando nel profondo del cuore, resi più magnanimi da una maggiore libertà di spirito e purezza di coscienza, osano di solito aspirare a cose più grandi, a penetrare inquieti e curiosi nelle cose più segrete, a raggiungere vette più alte, e mettere mano a cose più perfette, non solo riguardo ai sensi, ma alle virtù.

Questi tali, per la grandezza della loro fede sono trovati degni, divenire introdotti a ogni pienezza, e non vi è affatto apoteca della divina sapienza da cui il Signore Dio delle scienze pensi di escludere quelli che sono avidi di verità, non mossi da vanità.

Tale era Mosé, che osava dire a Dio: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mostrami te stesso ( Es 33,13 ).

Tale era Filippo, che domandava che venisse mostrato il Padre a sé e ai suoi condiscepoli.

Tale anche Tommaso, che ricusava di credere se non avesse toccato con la mano le ferite e il fianco squarciato.

Piccola fede, ma proveniente in modo mirabile da un animo grande.

Tale fu pure Davide, che diceva anche lui a Dio: Di te ha detto il mio cuore: cercate il suo volto; il tuo volto, Signore, io cerco ( Sal 27,8 ).

Uomini di tal fatta osano aspirare a cose grandi, perché grandi sono essi stessi; e ottengono quanto osano, secondo la promessa a essi fatta, che è questa: Ogni luogo che il vostro piede avrà calcato sarà vostro ( Dt 11,24 ).

Una grande fede infatti, merita grandi cose; e tanto nei beni del Signore avanzerai il piede della fiducia, altrettanto possederai.

9. A Mosé poi Dio parla bocca a bocca, ed egli merita di vedere il Signore apertamente, non per enigmi, mentre Dio dice di apparire solo in visione agli altri Profeti, oppure in sogno.

Anche a Filippo, secondo la richiesta del suo cuore, fu mostrato il Padre nel Figlio, come dimostrano senza dubbio le parole che subito si sentì dire: Filippo, chi vede me vede il Padre, … perché io sono nel Padre e il Padre è in me ( Gv 14,9.10 ).

Ma anche da Tommaso, secondo il desiderio del suo cuore, si lasciò palpare, e non lasciò insoddisfatto il desiderio che le sue labbra avevano espresso.

E che cosa dire di Davide?

Non fa capire anche lui che il suo desiderio non sarebbe frustrato, d’ove dice che non avrebbe concesso sonno ai suoi occhi, né riposo alle sue palpebre fino a che non avesse trovato una sede per il Signore?

Dunque, a questi grandi spiriti verrà incontro il grande Sposo, e farà grandi cose per loro, mandando la sua luce e la sua verità, e guidandoli e portandoli al suo monte santo e alle sue dimore, sicché questi possano dire: Grandi cose ha fatto a me l’Onnipotente ( Lc 1,49 ).

I loro occhi vedranno il re nel loro splendore, lo seguiranno ai pascoli del deserto, ai roseti fioriti, ai gigli delle valli, agli ameni giardini irrigati dalle fonti, alle delizie delle dispense, al profumo degli aromi, e infine all’intimità della camera nuziale.

10. Questi sono i tesori della sapienza e della scienza nascosti presso lo Sposo, questi i pascoli della vita preparati per la refezione delle anime sante.

Beato l’uomo il cui desiderio è pieno di queste cose ( Sal 127,5 ).

Questo solo tenga presente, che cioè non pretenda possedere egli solo quello che può bastare per molti.

Forse per questo, infatti, dopo tutte queste cose, si fa apparire lo Sposo come un pastore, affinché sia ammonito colui che ha conseguito così grandi doni, del dovere di pascere il gregge dei semplici, di quelli cioè che non sono capaci da soli di apprendere queste cose, in quanto non osano, senza pastore, uscire a pascolare.

Infine la sposa, considerando prudentemente questa cosa, chiede che le venga indicato dove lo Sposo fa pascere il gregge e dove lo faccia riposare durante il calore del meriggio, pronta, come si può comprendere da questo passo, a essere pasciuta e a pascere, con lui e sotto di lui.

Pensa infatti che non sia cosa sicura condurre il gregge lontano dal sommo Pastore, a causa dell’incursione dei lupi, massimamente di quelli che vengono a noi in veste di agnelli; e perciò si preoccupa di far pascolare il gregge insieme con lui negli stessi pascoli, e riposare alla stessa ombra.

E ne spiega la ragione: Perché io non sia come vagabonda dietro i greggi dei tuoi compagni ( Ct 1,6 ).

Sono questi coloro che vogliono apparire come amici dello Sposo, ma non lo sono; e preoccupandosi di pascere non i greggi di lui, ma i loro, dicono tuttavia insidiosamente: Ecco, il Cristo è qui, eccolo! ( Mc 13,21 ), con l’intento di sedurre molti e, strappandoli ai greggi di Cristo, unirli ai loro.

Questo per quanto riguarda la lettera del testo.

Riguardo poi al senso spirituale che in essa si nasconde, aspettatelo al principio del prossimo sermone, quando vi esporrò tutto quello che, per le vostre orazioni, si degnerà di elargirmi al riguardo lo Sposo della Chiesa, Gesù Cristo nostro Signore, che è Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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