Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone XLIX

I. La cella vinaria, che è la chiesa primitiva o lo zelo della giustizia che arde nell’amore per la contemplazione di Dio

1. Il Re mi ha introdotto nella cella del vino e ha ordinato in me la carità ( Ct 2,3 ).

Come sembra indicare il senso letterale di questa affermazione, dopo il desiderato, dolce e oltremodo familiare colloquio avuto con il diletto, partito questo, la sposa ritorna alle giovinette, così ripiena e accesa dalla vista e dal colloquio con lui da apparire simile a una ubriaca.

E ad esse che si stupiscono per la novità della cosa e ne chiedono la ragione risponde che non fa meraviglia se sembri accesa di vino, dal momento che era stata introdotta nella cella vinaria.

Questo secondo la lettera.

Secondo lo spirito pure la sposa non nega di essere ebbra, ma di amore, non di vino, a meno che si dica che l’amore è vino.

Il Re mi ha introdotto nella cella vinaria.

Quando lo Sposo è presente e la sposa rivolge a lui il discorso, allora viene chiamato « Sposo » o « diletto », oppure « colui che l’anima mia ama »; parlando invece di lui alle giovinette lo chiama « Re ».

Perché questo? Credo che la ragione sia perché alla sposa amante e diletta convenga di trattare più familiarmente, per quanto spetta a lei, con i nomi dell’amore, e alle giovinette, come a quelle che hanno bisogno di disciplina, sia necessario far ricorso a una parola che incuta la reverenza dovuta alla maestà.

2. Il Re mi ha introdotto nella cella vinaria.

Quale sia questa cella vinaria tralascio qui di spiegarlo, perché mi ricordo di averlo già detto.

Tuttavia se il discorso viene riferito alla Chiesa, quando i discepoli ripieni di Spirito Santo erano ritenuti dal popolo ubriachi di mosto, Pietro, quale amico dello Sposo, prendendo le difese della sposa alzatosi in mezzo ad essi disse: Costoro non sono ubriachi, come voi credete ( At 2,15 ).

Bada che egli non negò che fossero ebbri, ma che fossero ebbri come quelli li stimavano.

Erano infatti si ebbri, ma di Spirito Santo, non di mosto.

E quasi per dimostrare al popolo che in verità erano stati introdotti nella cella vinaria, Pietro risponde di nuovo per tutti: Accade invece quello che predisse il Profeta Gioele: negli ultimi giorni, dice il Signore, io effonderò il mio spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni. ( At 2,16-17 ).

Non ti sembra che sia stata una cella vinaria quella casa in cui i discepoli erano radunati insieme quando venne all’improvviso dal cielo un rombo come di vento che si abbatte gagliardo e riempi tutta la casa dove si trovavano ( At 2,2 ) e adempì la profezia di Gioele?

E ciascuno di loro non uscì forse ebbro dall’abbondanza di quella casa, avendo bevuto al torrente di tanta voluttà, e non poteva dire in verità: Mi ha introdotto nella cella vinaria?

3. Ma anche tu se con spirito raccolto, mente sobria e libera dalle vane sollecitudini, entri da solo nella casa dell’orazione, e stando davanti al Signore a uno degli altari, tocchi con la mano del santo desiderio la porta del cielo, e ammesso ai cori dei santi dalla tua penetrante devozione, poiché l’orazione del giusto penetra i cieli ( Sir 35,21 ), alla loro presenza deplori umilmente le miserie e le calamità a cui vai soggetto, con frequenti sospiri e gemiti inenarrabili esponi le tue necessità, implori pietà; se farai questo, dico, confido in colui che ha detto: Chiedete e riceverete ( Gv 16,24 ) perché se persevererai nel bussare non te ne andrai vuoto.

Ma quando tornerai a noi pieno di grazia e di carità, non potrai, essendo fervente di spirito, dissimulare il dono ricevuto, che comunicherai senza invidia, e sarai a tutti, nella grazia che ti è stata data, non solo gradito, ma oggetto di ammirazione, e potrai anche tu dire con verità: Mi ha introdotto nella cella vinaria.

Solamente cerca di stare attento a non gloriarti in te stesso, ma nel Signore.

Non direi che ogni dono, sia pure spirituale, venga dalla cella vinaria, dato che presso lo Sposo vi sono altre celle e dispense, che contengono in sé diversi doni e carismi, secondo le ricchezze della sua gloria: di questo mi ricordo di aver altrove ampiamente discusso.

Non sono forse queste cose nascoste presso di me, sigillate nei miei forzieri? ( Dt 32,34 ).

Dunque, secondo le diversità delle celle vi sono diverse specie di grazie, e a ciascuno si manifesta lo Spirito per l’utilità comune.

E sebbene a uno venga concesso il linguaggio della sapienza, a un altro il linguaggio della scienza, a un altro il dono della profezia, a un altro il dono di far guarigioni, a un altro la varietà delle lingue, ad altri l’interpretazione delle lingue, e ad altri simili doni non potrà tuttavia uno di costoro dire per queste cose che fu introdotto nella cella vinaria.

Difatti questi doni provengono da altre celle e tesori.

4. Ma se uno pregando ottiene di essere rapito in estasi contemplando qualche divino arcano, e subito ritorni in sé acceso da veemente amore, ardente di zelo per la giustizia, nonché ferventissimo in tutti gli studi spirituali e nell’esercizio delle sue mansioni, di modo che possa dire: Ardeva il cuore nel mio petto, al ripensarci è divampato il fuoco ( Sal 39,4 ); costui veramente quando avrà cominciato, per l’abbondanza della carità, a dare segni di una ubriachezza buona e salutare del vino di delizia, dimostrerà in verità di essere entrato nella cella vinaria.

Sono due infatti le estasi della beata contemplazione, una nell’intelletto e l’altra nell’affetto, una nella luce, l’altra nel fervore, una nella cognizione, l’altra nella devozione; perciò l’affetto della pietà e il petto acceso d’amore e l’infusione della santa devozione, e anche lo spirito ripieno di ardente zelo, non si riportano da altrove che dalla cella vinaria.

E a chiunque è dato di alzarsi dall’orazione con l’abbondanza di questi doni, può con verità dire: Il Re mi ha introdotto nella cella vinaria.

II. La discrezione è la carità ben ordinata

5. Segue: Ha ordinato in me la carità ( Ct 2,4 ).

Cosa del tutto necessaria.

Lo zelo, per esempio, diventa insopportabile senza la scienza.

Dove dunque c’è una forte emulazione, là è massimamente necessaria la discrezione, che è l’ordine della carità.

Lo zelo senza la scienza è sempre meno efficace e meno utile, molte volte anzi si rivela dannoso.

Più dunque è fervente lo zelo e veemente lo spirito e più profusa è la carità, tanto maggiormente c’è bisogno di una scienza vigilante che contenga lo zelo, temperi lo spirito, ordini la santa.

Perciò la sposa per non essere considerata eccessiva e insopportabile per l’impeto dello spirito che sembra aver riportato uscendo dalla cella vinaria, specialmente dalle giovanette, aggiunge di aver anche ricevuto il dono della discrezione, cioè l’ordine della carità.

La discrezione infatti mette ordine in ogni virtù, l’ordine conferisce la misura e il decoro, e anche la perpetuità.

Cosi è detto: Per il tuo ordine sussiste il giorno ( Sal 119,91 ), dove chiama « giorno » la virtù.

È, dunque, la discrezione non tanto una virtù, quanto piuttosto una certa moderatrice e guida delle virtù, ordinatrice degli affetti e maestra dei costumi.

Togli questa e la virtù diventerà vizio, e la stessa affezione naturale si cambierà piuttosto in perturbazione e sterminio della natura.

Ordinò in me la carità.

Questo si è compiuto quando nella Chiesa Dio ha stabilito alcuni come Apostoli, altri come Profeti, altri come Evangelisti, altri come pastori e maestri per la riunione di tutti i santi.

Ma occorre che tutti questi siano legati e associati da un’unica carità nell’unità del corpo di Cristo: e questo non lo potrà fare questa carità se non sarà ordinata.

Se infatti ognuno si lascia trasportare dal suo impulso secondo lo Spirito che ha ricevuto, e indifferentemente si orienta a tutto ciò che vuole, secondo il capriccio e non secondo il giudizio della ragione, mentre nessuno si contenterà dell’ufficio assegnatogli, ma tutti senza discrezione cercheranno di mettere mano a ogni cosa, non vi sarà più unità, ma piuttosto confusione.

III. Come ciò che secondo la ragione è da anteporre, si debba talora posporre in base all’ordine della carità e come di ciò che torna a maggior gloria di Dio si debba maggiormente godere

6. Ha ordinato in me la carità.

Oh, se il Signore Gesù ordinasse anche in me quel poco di carità che mi ha dato, di modo che cosi io mi preoccupi di tutte le cose che interessano lui, in modo però da curare anzitutto ciò che riguarda il mio dovere o il mio impegno; ma in realtà cosi prima questo che io sia maggiormente interessato a quelle altre molte cose che non mi riguardano in modo speciale.

Non sempre infatti quello a cui prima si deve badare è quello che deve stare più a cuore, e spesso ciò che e prima oggetto di sollecitudine e meno utile e per questo deve avere meno importanza in ordine all’affetto.

Spesso pertanto ciò che si mette al primo posto perché è comandato, viene giudicato meno importante dalla ragione, e quando la verità giudica che una cosa da preferirsi, l’ordine della carità impone di farla con più amore.

Per esempio a me è comandato di aver cura di tutti voi.

Ora, qualunque cosa io preferissi a questa incombenza che mi impedisca di vigilare nell’esecuzione di questo dovere e in modo tale da essere a voi utile secondo le mie forze, anche se per caso agissi per motivi di carità, ciò non mi sarebbe consentito dall’ordine della ragione.

Ma se io mi applico a questo compito prima che a ogni altra cosa, come e mio dovere, e non godo dei maggiori interessi di Dio che sento per caso realizzati per mezzo di un altro, è chiaro che in parte osservo e in parte no l’ordine della carità.

Se invece io mi applico in modo speciale a ciò che è mio compito, e riservo un maggiore affetto a quello che è più importante, mi trovo ad avere in ogni caso mantenuto l’ordine, e nulla mi impedisce di dire anch’io: Ha ordinato in me la carità.

7. Se poi dici che è difficile che uno goda più per un grande bene altrui che per uno proprio piccolo, osserva anche da questo l’eccellenza della grazia nella sposa, e come non tutte le anime possano dire: Ha ordinato in me la carità.

Perché si sono fatte scure le facce di alcuni di voi a questo discorso?

Lunghi sospiri indicano infatti la tristezza del vostro animo e l’abbattimento della vostra coscienza.

In realtà se misuriamo noi stessi da noi, sentiamo come per alcuni di noi, come dimostra l’esperienza della nostra imperfezione, sia rara virtù non invidiare la virtù degli altri e invece piuttosto godere di essa, congratularsene più che non fosse propria, quando uno si vede superato nella virtù.

Ancora poca luce abbiamo in noi, o fratelli, quanti abbiamo questi sentimenti.

IV. Quale utilità traiamo in base all’ordine della carità

Camminiamo finché abbiamo la luce, affinché non ci sorprendano le tenebre.

Camminare equivale a progredire.

Camminava l’Apostolo che diceva: Non penso di essere già arrivato alla perfezione ( Fil 3,13 ).

E aggiunge: Questo soltanto so, dimentico del passato mi protendo verso il futuro.

Questo soltanto so, come per indicare che gli è rimasta una cosa come rimedio, speranza, consolazione.

Che cosa è questo? Dimentico del passato mi protendo verso il futuro.

Grande fiducia, che il grande vaso di elezione non si ritiene perfetto e dice di progredire!

Dunque il pericolo di essere sorpreso nelle tenebre della morte sta per chi è seduto, non per chi cammina.

E chi è seduto se non colui che non si preoccupa di progredire?

Guardati da questo, e se sarai sorpreso dalla morte sarai nel refrigerio.

Dirai a Dio: Ancora imperfetto mi hanno visto i tuoi occhi ( Sal 139,16 ) e nel tuo libro, tuttavia, tutti saranno scritti.

Chi tutti? Certamente coloro che sono trovati desiderosi di progredire.

Segue infatti: Saranno formati i giorni, e nessuno di essi, sottintendi: perirà.

Per giorni intendi i proficienti, che se saranno sorpresi dalla morte saranno perfezionati in quello che loro manca: Saranno formati e nessuno di essi sarà lasciato informe.

8. « E come, dirai, io posso progredire se sono invidioso del fratello che progredisce »?

Se soffri del fatto di essere invidioso, senti, ma non acconsenti.

È una passione che un giorno guarirà, non un’azione degna di condanna.

Solamente non fermartici sopra, meditando l’iniquità sul tuo giaciglio, in modo cioè da favorire la malattia, soddisfare la peste, perseguitare l’innocente dicendo male del bene da lui compiuto, deprimendolo, stravolgendolo e impedendo che faccia altro bene.

Del resto non nuoce a chi cammina proteso verso cose migliori il fatto che non sia lui che opera, ma il fatto che abita in lui il peccato.

Non c’è dunque condanna per colui che non fa servire le sue membra all’iniquità; non la lingua alla detrazione, né altro membro del suo corpo a danneggiare o nuocere in qualsiasi maniera, ma piuttosto si confonde dei cattivi sentimenti che prova confessando e piangendo il vizio inveterato, e cercando con la preghiera di liberarsene; e quando non ci riesce diventa più mite verso tutti, e più umile di fronte a se stesso.

Quale sapiente condannerebbe un uomo sano che ha imparato dal Signore ad esser mite ed umile di cuore?

E non è certamente malato chi si è fatto imitatore del Salvatore, Sposo della Chiesa, Signore nostro che è Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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