Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LV

I. Per quale motivo lo sposo è paragonato alla capra e al cerbiatto

1. Il mio diletto è simile a un capriolo e a un cerbiatto ( Ct 2,9 ).

Questo versetto dipende dal precedente.

Colui che aveva descritto poco fa come uno che saliva e si avvicinava saltando, ora lo paragona a un capriolo e a un cerbiatto.

Questo paragone è ben a proposito, perché questo genere di animali è veloce nella corsa e agile nel salto.

Pertanto qui si parla dello Sposo, e lo Sposo stesso è la Parola.

Ora il Profeta dice di Dio che velocemente corre la sua parola ( Sal 147,15 ) e quel passo conviene molto bene a questo, dove lo Sposo, che è la Parola di Dio, è descritto come uno che sale e valica i monti proprio come un capriolo e un cerbiatto.

Questa è la ragione della similitudine.

Aggiungi, inoltre, perché non venga trascurato alcun aspetto della similitudine, che il capriolo non solo si distingue per la velocità della corsa, ma anche per l’acutezza della vista.

Questo riguarda quella parte del racconto in cui si dice che lo Sposo non solo sale, ma scavalca, perché senza un acuto e perspicace intuito, specialmente correndo, non potrebbe distinguere dove salire e dove oltrepassando scavalcare.

Altrimenti, per designare solamente la sua velocità nel venire, poteva bastare il solo paragone del cerbiatto: si sa, infatti, che questi è rapidissimo nel correre.

Ora invece, poiché questo Sposo, anche se preso da ardente amore sembri volare verso gli amplessi della sposa, sa tuttavia dirigere con prudente considerazione i suoi passi, o piuttosto i suoi salti ponendo con cautela il piede nel punto giusto; per questo, giustamente, fu assimilato pure al capriolo, affinché, mentre la velocità del cervo esprimeva il suo desiderio di salvare, l’acume del capriolo esprimeva il giudizio della sua elezione.

Cristo, infatti, è giusto e misericordioso, salvatore e giudice; e poiché ama, vuole che tutti gli uomini siano salvi e arrivino alla conoscenza della verità; e poiché giudica, sa chi sono i suoi, e conosce quelli che ha eletti da principio.

2. Questi, pertanto, sono i due beni dello Sposo, la misericordia, cioè, e la giustizia, raffigurati in questi due animali a noi presentati dallo Spirito Santo, affinché in testimonianza dell’integrità e perfezione della nostra fede, anche noi, imitando il Profeta, cantiamo al Signore la sua misericordia e la sua giustizia.

Io non dubito che si possano trovare altri sensi circa la natura di questi da coloro che se ne intendono e sono investigatori di queste cose, che possano adattarsi utilmente e congruamente allo Sposo.

Ma quello che abbiamo detto penso che possa bastare a rendere ragione dell’addotta similitudine.

Molto a proposito tuttavia lo Spirito Santo ha parlato non di cervo ma di cerbiatto, nel che fece menzione dei Padri, dai quali discende Cristo secondo la carne, e ricorda l’infanzia dei Salvatore.

Come cerbiatto infatti apparve il pargolo che nacque per noi.

Ma tu che desideri l’avvento del Salvatore temi lo scrutinio del Giudice, temi gli occhi del capriolo, temi colui che dice per mezzo del Profeta: In quel tempo perlustrerò Gerusalemme con lanterne ( Sof 1,12 ).

È di vista acuta: nulla sfuggirà al suo occhio.

Scruterà i reni e i cuori, e lo stesso pensiero dell’uomo gli sarà manifesto.

Che vi sarà di sicuro in Babilonia se a Gerusalemme è riservato lo scrutinio?

Penso che in questo passo dal Profeta siano indicati con il nome di Gerusalemme coloro che in questo modo conducono una vita religiosa e imitano per quanto possono con una condotta onesta e ordinata i costumi della celeste Gerusalemme, e non come quelli di Babilonia che menano una vita disordinata, turbata e confusa da vizi e scelleratezze.

I peccati di costoro sono manifesti, pronti ad essere giudicati, e non hanno bisogno di essere scrutati, ma aspettano solo la condanna.

I peccati, invece, di me che sembro monaco e abitante di Gerusalemme, sono occulti, coperti dall’ombra del nome e dall’abito del monaco; e perciò sarà necessario che siano investigati con sottile discussione e, con l’aiuto di lucerne, siano dalle tenebre portati alla luce.

II. Dobbiamo giudicare noi stessi per non essere giudicati

3. Possiamo addurre anche qualche frase del Salmo per confermare quanto si è detto dello scrutinio di Gerusalemme.

Dice infatti in persona del Signore: Nel tempo che avrò stabilito io giudicherò le giustizie ( Sal 75,3 ).

Dice, se non erro, che discuterà, ed esaminerà le vie dei giusti e le loro azioni.

C’è molto da temere che quando si verrà a questo giudizio, sotto un così sottile esame, molte delle nostre cosiddette giustizie appariscano peccati.

Una cosa è certa: Se ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati ( 1 Cor 11,31 ).

Buon giudizio quello che mi sottrae e nasconde a quello stretto giudizio di Dio.

Ho davvero il terrore di cadere nelle mani del Dio vivente voglio presentarmi al volto adirato di Dio già giudicato, non per essere giudicato.

L’uomo spirituale giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno ( 1 Cor 2,15 ).

Giudicherò, pertanto, i miei mali, giudicherò anche il mio bene.

Cercherò di correggere il male con azioni migliori, lavandolo con le lacrime, castigandolo con i digiuni e gli altri esercizi della santa disciplina.

Nelle cose buone cercherò di avere umili sentimenti di me stesso, e secondo il precetto del Signore mi reputerò un servo inutile che ha semplicemente fatto quello che doveva fare.

Starò attento a non offrire loglio invece del grano, né la paglia per il frumento.

Scruterò la mia condotta e i miei sentimenti perché colui che deve scrutare Gerusalemme alla luce delle lampade non trovi nulla in me che non sia stato già scrutato e discusso.

Non giudicherà, infatti, due volte la stessa cosa.

4. Chi mi darà di ricercare a fondo e dar la caccia a tutti i miei vizi, in modo tale da non aver per nulla a temere gli occhi del capriolo e non mi capiti di dover arrossire al lume delle lucerne?

Anche ora sono veduto e non vedo.

È presente l’occhio a cui tutto è manifesto, anche se esso non si vede.

Vi sarà un tempo in cui conoscerò come anch’io sono conosciuto; ma ora conosco in modo imperfetto ( 1 Cor 13,12 ), non però imperfettamente sono conosciuto, bensì in modo perfetto.

Temo l’aspetto di quell’esploratore che sta di là dalla parete.

Questo infatti aggiunge di Lui la Scrittura, dopo averlo paragonato al capriolo per l’acume della vista: Ecco egli sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra, spia attraverso i cancelli ( Ct 2,9 ).

Di questo parleremo a suo luogo.

Temo, dunque, l’occulto esploratore delle cose occulte.

La sposa non teme nulla, perché non ha coscienza di alcuna colpa.

E che cosa dovrebbe temere l’amica, la colomba, la bella?

Infatti, più sotto dice: Ora il mio diletto parla con me ( Ct 2,10 ).

Con me non parla, e perciò ne temo l’aspetto, perché non ho testimonianza in mio favore.

Tu che cosa ti senti dire, o sposa? Che cosa ti dice il tuo diletto?

Sorgi amica mia, mia colomba, mia bella ( Ct 2,10 ).

Ma anche questo voglio riservare al principio di un altro sermone, né ridurrò con la brevità quelle cose che richiedono diligenza, perché non mi capiti di essere trovato colpevole anche di questo, se per caso sarete trovati meno edificati in questa parte per l’intelligenza e l’amore dello Sposo della Chiesa, Gesù Cristo nostro Signore, che è sopra tutte le cose benedetto nei secoli.

Amen.

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