Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LXIII

I. La vigna che le volpi distruggono

1. Prendeteci le volpi piccoline che guastano le vigne perché la nostra vigna è in fiore ( Ct 2,15 ).

Si vede che non si è andati inutilmente alle vigne, poiché si sono trovate le volpi che le guastano.

Questo dice la lettera. Che cosa ci fa intendere lo spirito?

Anzitutto dobbiamo rifiutare assolutamente in questo commento il senso usuale e comune della lettera, come inadatto e insulso e assolutamente indegno di essere inteso nella Scrittura, così santa, così autentica.

A meno che uno sia talmente insensato e stolto di animo da stimare gran cosa l’aver appreso da essa, come i figli di questo secolo, ad aver cura dei terreni possedimenti, a custodire e difendere le vigne dall’invasione di bestie, perché non si abbia a perdere il frutto del vino, nel quale è la lussuria, e vada nello stesso tempo sprecato il lavoro e la spesa.

Grande danno, per cui leggiamo con tanto amore e venerazione il Sacro Libro, per essere edotti da esso a custodire le vigne dalle volpi, affinché nel coltivarle non si svuotino le nostre borse, se saremo stati pigri nella loro custodia.

Voi non siete talmente rozzi, né talmente privi di grazia spirituale per avere tali carnali sentimenti.

Dunque, cerchiamo per queste cose un senso spirituale.

Ritroveremo saggiamente intese e in senso degno sia le vigne fiorite, sia le volpi che le saccheggiano, e un più degno lavoro e più fruttuoso nel catturarle o allontanarle.

Dubitate forse voi che si debba essere molto più vigilanti nel preservare le menti che nel difendere i raccolti, e che si debba essere molto più attenti per tener lontane dalle anime le spirituali nequizie che non nel catturare le astute piccole volpi per difendere i raccolti?

2. Ma ora tocca a me dimostrare che cosa siano sia queste viti che queste volpi spirituali.

Sarà vostro interesse che ciascuno provveda alla sua propria vigna, quando ascoltando le mie parole avvertirà in che cosa e da che cosa debba soprattutto guardarsi.

Per l’uomo sapiente è una vigna la sua vita, la sua mente, la sua coscienza.

Il sapiente, invero, non lascerà in sé nulla di incolto o di deserto.

Non così lo stolto: tutte le cose troverai presso di lui trascurate, tutte abbandonate, incolte e sporche.

Non c’è vigna per lo stolto.

Come potrebbe essere tale dove nulla è piantato, nulla appare in qualche modo lavorato?

La vita dello stolto è tutta una selva di triboli e spine; che razza di vigna sarebbe questa?

Anche se lo è stata non lo è più ora, ridotta com’è in desolazione.

Dov’è la vite della virtù? Dove il grappolo delle opere buone?

Dove il vino della spirituale letizia?

Sono passato per il campo dell’uomo pigro, dice, e per la vigna di un uomo insensato: ecco, ovunque erano cresciute le ortiche e il terreno era coperto di spine, e la maceria intorno era rovinata ( Pr 14,30-31 ).

Senti come il sapiente canzona lo stolto perché ha ridotto, trascurandola, in non vigna la sua primitiva vigna, cioè i beni di natura e i doni di grazia che aveva forse ricevuto per il lavacro di rigenerazione, come appunto una vigna piantata da Dio, e non dall’uomo.

Infine, non ci può essere vigna dove non c’è vita.

Poiché quella che vive lo stolto la riterrei piuttosto morte che vita.

Come infatti si può conciliare la vita con la sterilità?

Una pianta secca e che non dà più frutto non viene forse giudicata morta?

E anche i sarmenti sono morti.

Uccise con la grandine le loro vigne ( Sal 78,47 ), dimostrando prive di vita quelle che erano condannate alla sterilità.

Così lo stolto, per il fatto che vive inutilmente, pur vivendo è morto.

II. Soltanto il sapiente ha la vigna, la vite, il palmizio, il vino; quali sono le volpi che la distruggono e come sono catturate

3. Solo, pertanto, il sapiente ha veramente, o piuttosto, è veramente vigna.

Egli è una pianta che produce frutto nella casa di Dio, e per questo pianta vivente.

Infatti, la sapienza stessa per la quale vien detto ed è sapiente è albero della vita per chi la possiede.

Come non sarebbe vivo colui che la possiede? Vive, ma di fede.

E se l’anima del giusto è sede della sapienza ( Rm 1,17 ), davvero è sapiente colui che è giusto.

Costui, dunque, sia che lo chiami giusto, sia sapiente, non vive mai senza vigna, perché sempre vive.

Per lui la vigna è come la vita.

E buona è la vigna del giusto; anzi, buona vigna il giusto, per il quale la virtù è come vite, le sue azioni tralci, e per il quale il vino è la testimonianza della coscienza, a cui la lingua serve come torchio di espressione.

La nostra gloria è questa, dice, la testimonianza della nostra coscienza ( 2 Cor 1,12 ).

Vedi come nel sapiente nulla è trascurato?

Le parole, il pensiero, la condotta e tutto quello che lo riguarda, non è tutto campo coltivato di Dio, casa di Dio e vigna del Signore degli eserciti?

E che cosa per lui può andare a male di lui stesso, quando le sue foglie non cadranno mai? ( Sal 1,3 ).

4. Del resto, a una tale vigna non mancheranno mai infestazioni o insidie.

Davvero dove sono molti beni, molti sono quelli che ne mangiano ( Sir 5,10 ).

Il sapiente sarà sollecito nel preservare la sua vigna non meno che nel coltivarla, né permetterà che la divorino le volpi.

Pessima volpe è l’occulto detrattore, ma non meno cattivo è il blando adulatore.

Il sapiente si guarderà da costoro.

Si adopererà per quanto è in lui a prendere quelli che così agiscono, ma a prenderli con i benefici e i servizi, con salutari ammonimenti e orazioni per loro a Dio.

Non cesserà così di accumulare sul capo del maldicente carboni ardenti, e così sulla testa dell’adulatore, fino a che non riesca a togliere, se è possibile, dal cuore di quello l’invidia, e da questo la simulazione, mettendo così in pratica il comando dello Sposo che dice: Prendeteci le volpi piccoline che guastano le vigne.

Non ti sembra forse preso colui che, soffuso di rossore, in quanto si vergogna del suo giudizio, è testimonio della confusione e pentimento propri, sia che odiasse un uomo degnissimo, sia che amasse solo con la lingua e a parole colui dal quale ha avuto prova di essere amato con le opere e in verità?

Preso davvero, e preso per il Signore, secondo che ha detto chiaramente: Prendeteci.

Oh! Potessi io prendere così tutti quelli che mi avversano senza motivo, per acquistarli, o restituirli a Cristo!

Così, così siano confusi e coperti di ignominia quelli che attentano alla mia vita, retrocedano e siano umiliati quelli che tramano la mia sventura ( Sal 35,4 ), in quanto sia anch’io trovato obbediente allo sposo, e prenda anch’io le volpi, non per me, ma per lui.

Ma ritorni il sermone al suo principio, perché la serie delle spiegazioni proceda secondo il suo ordine.

5. Prendeteci le volpi piccoline che guastano le vigne.

III. I frutti della vigna; i novizi sono i fiori; che cosa questi fiori devono temere

Questo è un passo morale, e secondo la disciplina morale abbiamo già mostrato che queste vigne spirituali non sono altro che gli uomini spirituali, dei quali essendo tutte le cose interiori coltivate, e tutte germoglino e facciano frutto, producendo spirito salutare, come fu detto del Regno di Dio, così di queste vigne ugualmente del Signore degli eserciti, possiamo dire che sono dentro di noi.

Si dice poi nel Vangelo che il regno sarà dato a un popolo che gli farà produrre frutti.

Questi sono quelli che Paolo enumera dicendo: Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, continenza, castità ( Gal 5,22-23 ).

Questi frutti sono i nostri profitti.

Questi sono accetti allo Sposo, perché di noi Egli ha cura.

Ma degli arbusti si cura Iddio?

Il Dio-Uomo ama gli uomini e non gli alberi, e i nostri profitti li considera frutti suoi.

Osserva con diligenza il loro tempo; si rallegra quando appaiono, ed è sollecito perché non vadano perduti per noi una volta apparsi, anzi, perché non vadano perduti per lui: si considera, infatti, come uno di noi.

Perciò provvede a che siano catturate per sé le piccole volpi che tendono insidie per portarsi via esse i novelli frutti.

Prendeteci, dice, le volpi piccoline che guastano le vigne.

E quasi uno gli dicesse: « Ti preoccupi troppo presto, non è ancora venuto il tempo dei frutti », « Non è così risponde già la nostra vigna è in fiore.

Dopo i fiori non tardano i frutti: appena quelli cadono, spuntano questi e si fanno subito vedere ».

6. Questa parabola riguarda questo nostro tempo.

Vedete questi novizi? Sono da poco venuti, da poco si sono convertiti.

Non possiamo dire di essi che la nostra vigna ha fiorito; fiorisce infatti ora.

Per il momento, quello che vedete apparire in essi è un fiore, il tempo dei frutti non è ancora venuto.

È un fiore la nuova vita, fiore il tenore recente di una condotta più morigerata, hanno messo una faccia disciplinata e una compostezza in tutto il corpo.

Fanno piacere, lo confesso, queste cose che colpiscono l’occhio; è più trascurato l’esterno culto del corpo e degli abiti, la parola è più rara, il volto più ilare, lo sguardo più modesto, l’incesso più grave.

Ma poiché hanno cominciato ad essere così da poco, per la loro stessa novità sono da ritenersi fiori e speranza di frutti più che non già frutti.

Per voi, figlioli, non abbiamo timore dell’astuzia delle volpi, che insidiano più i frutti che non i fiori.

Il vostro pericolo viene da altrove.

Non temo che mi vengano rubati i fiori, ma che vengano bruciati, bruciati dal freddo.

La tramontana mi è sospetta, e i freddi del mattino che sono soliti rovinare i fiori venuti fuori anzitempo, compromettendo il frutto.

Dunque, dalla tramontana verrà il vostro male.

Di fronte al suo gelo chi resiste? ( Sal 147,17 ).

Questo freddo, una volta che ha pervaso un’anima, per sua incuria, come capita, e perché lo spirito sonnecchia, e in seguito non impedendolo alcuno, è pervenuto al suo intimo, ed è disceso in fondo al cuore e alla mente, e scossi i sentimenti avrà occupato le vie del consiglio, perturbato il lume del giudizio, condizionando la libertà di spirito, allora subito, come suole accadere nei febbricitanti, interviene una certa rigidezza dell’anima, il vigore si allenta, le forze sembrano illanguidirsi, l’austerità comincia a incutere terrore, il timore della povertà reclama, l’animo si stringe, viene sottratta la grazia, la vita sembra interminabile, la ragione si assopisce, lo spirito si spegne, diminuisce il fervore novizio, si fa più grave una fastidiosa tiepidezza, si raffredda l’amore fraterno, le passioni fanno sentire le loro lusinghe, svanisce la sicurezza, richiama l’abitudine.

Che più? Si dissimula la legge, si rinunzia al dovere, si abbandona quello che è lecito, si lascia il timore del Signore.

Infine, si dà mano all’impudenza: si ardisce fare quel temerario, quel vergognoso, quel salto assai turpe e pieno di ignominia e confusione dall’alto nell’abisso, dal palazzo nel letamaio, dalla reggia nella cloaca, dal cielo nella fogna, dal chiostro al secolo, dal paradiso all’inferno.

Non appartiene a questo tempo dimostrare quale sia il principio e l’origine di questa peste, con quale arte si possa evitare, con quale virtù superare.

Ora continuiamo quello che abbiamo cominciato.

7. Il discorso si può ritorcere ai più provetti e forti, alla vigna che già è fiorita, e che, anche se non ha da temere per i fiori a causa del freddo, i suoi frutti però non sono al sicuro dalle volpi.

Si deve dire ben chiaro che cosa siano in senso spirituale queste volpi, perché si dicono piccole, perché sia comandato soprattutto di prenderle e di non scacciarle o ucciderle; si deve anche accennare ai diversi generi di queste bestie per maggior conoscenza e cautela di chi ascolta, non certo in questo sermone, per non renderlo noioso, e l’alacrità della nostra devozione si mantenga sempre nella grazia e nella confessione della gloria del grande Sposo della Chiesa, il Signore nostro Gesù Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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