Sermoni sul Cantico dei Cantici

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Sermone LXXX

I. Ritorno al senso morale; rapporto di parentela fra anima e Verbo

1. Ho saputo che alcuni di voi pur provando piacere nello stupore e nell’ammirazione dei misteri trattati si lamentano che il nostro discorso sia stato o per nulla, condito, o con pochissimo sale di applicazioni morali.

E questo contro l’abitudine.

Ma non si può rivedere quello che è stato detto.

Non vado avanti se non riparo tutto.

Su, dite se vi ricordate da quale passo della Sacra Scrittura ha avuto inizio questa deficienza, perché io ricominci di là.

Tocca a me risarcire i danni, anzi al Signore, dal quale dipendiamo in tutto.

Di dove, dunque, devo ricominciare?

Forse dal passo: Nel mio letto per notti ho cercato l’amato dell’anima mia?

Se non erro, è di qui.

Solo di li in poi ho avuto a cuore di porre in luce le segrete delizie di Cristo e della Chiesa, districando la caligine spessa di queste allegorie.

Dunque, torniamo indietro per indagare il senso morale: non deve, infatti, esservi gravoso ciò che è nel vostro interesse.

Questo avverrà veramente se le cose che abbiamo detto riguardo a Cristo e alla Chiesa le applichiamo al Verbo e all’anima.

2. Ma mi dirà qualcuno: « Perché tu unisci queste due cose? Che relazione c’è tra l’anima e il Verbo? ».

Molte sotto ogni aspetto.

Dapprima perché vi è tanta parentela tra le nature, sicché come il Verbo è immagine di Dio essa è creata a immagine di lui.

E poi perché la parentela è attestata dalla somiglianza.

L’anima, infatti, è stata fatta non solo a immagine ma anche a somiglianza di Dio.

Simile in che cosa? domandi.

Senti prima riguardo all’immagine.

Il Verbo è verità, è sapienza, è giustizia: e questa è immagine.

Di chi? Della giustizia, della sapienza, della verità.

È, infatti, questa Immagine giustizia della giustizia, sapienza della sapienza, verità della verità, quasi luce da luce, Dio da Dio.

L’anima non è nessuna di queste cose perché non è immagine.

È, tuttavia, capace di esse e le desidera; e di qui forse essa è fatta a immagine.

Eccelsa creatura che presenta nella capacità un’impronta della maestà, e nel desiderio una tendenza alla rettitudine.

Leggiamo che Dio ha fatto l’uomo retto, che equivale a grande: lo prova la capacità, come si è detto.

È necessario, infatti, che ciò che fu fatto a immagine, convenga con l’immagine, e non partecipi invano il nome di immagine, come neanche la stessa immagine è cosi chiamata solo per un vano e vuoto nome.

Sappiamo di colui che è immagine che pur essendo Figlio di Dio non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ( Fil 2,6 ).

Qui è accennata la sua rettitudine anche nella forma di Dio, e la maestà nell’uguaglianza affinché mentre si paragona la grandezza alla grandezza e la rettitudine alla rettitudine, appaia che corrispondono tra di loro sia ciò che è secondo l’immagine, sia l’immagine, come anche l’immagine corrisponde nell’uno e nell’altro a colui di cui è immagine.

Egli è colui del quale il santo re Davide canta nei Salmi: Grande è il Signore onnipotente ( Sal 147,5 ), e altrove: Retto è il Signore nostro Dio, in lui non c’è ingiustizia ( Sal 92,16 ).

Da questo Dio retto e grande deriva che la sua immagine è anch’essa retta e grande; deriva anche che l’anima è anch’essa retta e grande perché fatta a sua immagine.

II. Il Verbo ha molto più dell’anima e la rettitudine e la grandezza non sono affatto possesso proprio dell’anima, come del Verbo

3. Ma dico: Dunque l’immagine non ha nulla più dell’anima, che è fatta a immagine, poiché anche a questa assegniamo la grandezza e la rettitudine?

L’immagine ha molto di più.

Questa ha ricevuto a uguaglianza, mentre l’anima in certa misura.

Nulla più di questo? Nota ancora: l’anima ha ricevuto la rettitudine e la grandezza per la creazione o per degnazione; l’Immagine l’ha per generazione.

E questo è cosa molto più grande certamente.

Ma non si neghi che è anche più eminente il fatto che avendo questo l’anima da Dio, il Verbo abbia l’una e l’altra cosa per partecipazione di Dio, cioè dalla sua sostanza.

È, infatti, l’immagine di Dio a lui consustanziale, e tutto ciò che sembra impartire a questa sua immagine è a Dio e alla sua immagine sostanziale, non accidentale.

Bada ancora a una cosa in cui l’immagine si differenzia non poco per la sua eminenza.

La grandezza e la rettitudine sono due cose per natura differenti: ora nell’immagine sono una cosa sola, né questo solo, ma sono una cosa sola con l’Immagine.

Per l’immagine, infatti, non solo è lo stesso l’essere retto e l’essere grande, ma anche essere semplicemente è lo stesso che essere retto e grande.

Per l’anima non è così, la sua grandezza e la sua rettitudine sono diverse da essa e diverse tra di loro.

Se, infatti, come ho detto sopra, l’anima è grande in quanto capace di cose eterne, e se è retta in quanto aspira a cose superne, quella che non cerca né gusta le cose di lassù ma quelle della terra non è davvero retta, ma curva, senza cessare però per questo di essere grande perché continua ad essere capace dell’eternità.

Né sarà, infatti, non capace di essa, anche se non la conterrà mai, perché sia come è scritto: L’uomo passa come immagine ( Sal 39,7 ); in parte, tuttavia, perché appaia l’eminenza del Verbo per la stessa integrità.

Come, infatti, può il Verbo cessare di essere grande e retto se queste due cose si confondono con la sua essenza?

L’anima, invece, può cessare di essere tale almeno in parte, perché se non lo fosse più del tutto, non vi sarebbe più speranza di salvezza; se, infatti, cessa di essere grande, cessa anche la capacità: dalla capacità, infatti, si stima la grandezza dell’anima.

Ma che cosa potrebbe sperare di cui non fosse capace?

4. Pertanto, per la grandezza che ritiene anche dopo aver perso la rettitudine l’uomo passa come immagine, quasi zoppicando da un piede, e divenuto figlio adulterino.

Penso, infatti, che di tali sia stato detto: I figli adulteri negarono fede a me, i figli adulteri sono alla vecchiaia e zoppicando van fuori dalla loro strada ( Sal 18,46 ).

Bene sono stati chiamati figli adulteri; figli, infatti, perché hanno conservato la grandezza; adulteri perché hanno perso la rettitudine.

Né avrebbe detto zoppicando ma cadendo, o qualcosa di simile, se avessero perso completamente l’immagine.

Ora, invece, secondo la grandezza l’uomo passa come immagine; in quanto poi alla rettitudine quasi zoppicando si conturba e deturpa l’immagine, come dice la Scrittura: L’uomo passa come immagine, e in più si conturba invano ( Sal 39,7 ).

Invano, davvero, perché segue: Tesoreggia e non sa per chi egli metta da parte ( Sal 39,7 ).

Perché non sa se non perché chinandosi a queste cose infime e terrene si tesoreggia della terra?

Ignora del tutto circa quelle cose che affida alla terra, per chi egli mette da parte, per la tignola che distrugge o per il ladro che scassina o per il fuoco che divora.

Di qui quel lamento del salmo messo in bocca all’uomo che si curva quasi a covare le cose che sono nella terra: Sono divenuto miserabile e incurvato fuori misura, e me ne andavo tutto il giorno carico di tristezza ( Sal 38,7 ).

Così in se stesso sperimenta la verità di quella sentenza del Saggio: Dio ha fatto l’uomo retto ma egli si implica in molti dolori ( Sir 7,30 ).

E subito la voce del ludibrio: Curvati che noi ti passiamo sopra ( Is 51,23 ).

III. Dimostrazione che l’anima differisce dalla sua grandezza

5. Ma di dove siamo venuti qua?

Di là dove volevamo dimostrare che la rettitudine e la grandezza con questi due beni avevamo definito l’immagine nell’anima non sono una cosa sola, né formano una cosa sola nell’anima, mentre abbiamo insegnato the nel Verbo e con il Verbo esse sono un’unica cosa.

Così da quanto abbiamo detto risulta che la rettitudine è diversa cosa dall’anima e differisce pure dalla grandezza dell’anima, in quanto anche se non c’è l’anima resta con la sua grandezza.

Ma come mostreremo la diversità tra l’anima e la grandezza?

Non si può dimostrare allo stesso modo della rettitudine, perché l’anima non può essere priva come della rettitudine così della grandezza.

L’anima, tuttavia, non è la sua grandezza.

Poiché, se l’anima non si trova senza la sua grandezza, questa tuttavia si trova separata dall’anima.

Chiedi dove si trova? Negli Angeli.

Sia, infatti, la grandezza dell’Angelo, sia quella dell’anima si prova dal fatto che sia capace dell’eternità.

Che se si prova la differenza dell’anima dalla sua rettitudine dal fatto che possa esistere senza di essa, perché non sarà diversa l’anima dalla sua grandezza se non può ritenere questa come esclusivamente sua?

Poiché, dunque, la rettitudine non è in ogni anima, né la grandezza in essa sola, è chiaro che tutte e due differiscono da essa.

Così pure: nessuna forma è ciò di cui è forma.

Ora, la grandezza è la forma dell’anima.

Né è a questo un ostacolo il fatto che è inseparabile da essa.

Sono, difatti, così tutte le differenze sostanziali, così non solo le propriamente proprie, ma anche certe proprie, così altre innumerevoli forme.

L’anima non è, dunque, la sua grandezza, non più che il colore nero sia il corvo, che il candore sia la neve, che la risibilità o la razionalità sia l’uomo, pur non esistendo corvo che non sia nero, né neve senza candore, né uomo che non sia risibile e razionale.

Così l’anima e la grandezza dell’anima anche se inseparabili, sono diverse tra loro.

Come non diverse mentre la grandezza è nel soggetto, e l’anima è il soggetto e la sostanza?

Solo la somma e increata natura che è Dio-Trinità si attribuisce questa pura e singolare semplicità della sua essenza per cui in essa non si trova una cosa e un’altra cosa, non un posto e un altro posto, non un tempo e un altro tempo; rimanendo, infatti, in se stessa essa è ciò che ha, e ciò che è lo è sempre e nella stessa maniera.

In essa molte cose si riducono a una sola, e cose diverse nella medesima cosa, sicché non acquista pluralità dal numero delle cose, né sente alterazione dalla loro varietà.

Contiene tutti i luoghi e dispone ogni cosa al posto suo, senza essere mai contenuta da luogo alcuno.

I tempi passano sotto di essa, non per essa.

Non aspetta futuro, non ripensa al passato, non sperimenta le cose presenti.

IV. Contro la perversità di coloro che dicono che la divinità non è Dio, e riprovazione del commento che fa Gilberto Porata sul De Trinitate di Boezio

6. Lungi da voi, o carissimi, lungi i nuovi non dialettici ma eretici, i quali empiamente sostengono che la grandezza per cui Dio è grande, e così la bontà per cui è buono, e la sapienza per cui è sapiente, la giustizia per cui è giusto, in ultimo la divinità per cui è Dio non sono Dio.

« Per la divinità, dicono, Dio è Dio, ma la divinità non è Dio ».

Forse non si degna di essere Dio, essa che è tanto grande da fare Dio?

Ma se la divinità non è Dio, che cosa è?

O infatti è Dio, o qualche cosa che non è Dio, o non è nulla.

Ora tu dici che non è Dio, ma ammetti che non può essere nulla, perché senza di essa Dio non può essere Dio, e per essa lo è.

E se è qualche cosa che non è Dio, o sarà minore di Dio, o maggiore o pari a lui.

Come, pertanto, potrà essere minore di Dio, se per essa egli è Dio?

Resta che sia maggiore o uguale.

Ma se è maggiore di Dio è essa il sommo bene, non Dio; se è pari a Dio vi sono allora due sommi beni, non uno solo; e il sentimento cattolico non accetta né l’una né l’altra cosa.

Quello che si è detto della divinità si dica pure della grandezza, della bontà, della giustizia e della sapienza.

Esse sono una cosa sola in Dio e con Dio.

Né egli è buono per altra ragione da quella per cui è grande, né è giusto o sapiente per motivo diverso da quello per cui è grande e buono; né è insieme tutte queste cose per la stessa ragione per cui è Dio; e non c’è altra ragione per cui è Dio che lui stesso.

7. Ma dice l’eretico: « Che? Neghi che per la divinità Dio è Dio ».

« No; ma sostengo che la divinità per cui è Dio è parimenti Dio, per non dire che c’è qualcosa di più eccellente di Dio.

Così per la grandezza lo dico grande, ma quella grandezza è lui stesso, per non porre qualcosa di più grande di Dio; e per la bontà lo confesso buono, ma non altra bontà diversa da quella che egli è, per non sembrare di aver trovato qualcosa migliore di lui, e così nella stessa maniera degli altri divini attributi.

Sicuramente e volentieri cammino a piede sicuro, come si dice, in quella sentenza: « Dio non è grande se non per quella grandezza che è quello che è lui.

Diversamente quella sarebbe una grandezza più grande di Dio ».

3 Agostino è qui il validissimo martello degli eretici.

Per parlare più propriamente di Dio si dovrebbe dire più giustamente e più convenientemente: « Dio è la grandezza, la bontà, la giustizia, la sapienza » piuttosto che dire: « Dio è grande, buono, giusto e sapiente ».

8. Perciò non senza ragione nel Concilio che Papa Eugenio ha celebrato a Reims, sia a lui come agli altri vescovi è apparsa perversa e del tutto sospetta l’opinione espressa nel libro di Gilberto, vescovo di Poitiers, con cui, commentando le parole di Boezio sulla SS. Trinità, parole sante e conformi alla dottrina cattolica, si esprimeva in questo modo: « Il Padre è verità, cioè vero; il Figlio è verità, cioè vero; lo Spirito Santo è verità, cioè vero.

E questi tre insieme non tre verità ma una sola verità, cioè un solo vero ».

Spiegazione oscura e perversa!

Come avrebbe detto più veramente e più correttamente per il contrario: « Il Padre è vero, cioè verità; il Figlio è vero, cioè verità; lo Spirito Santo è vero, cioè verità.

E questi tre un solo vero, cioè una sola verità ».

Avrebbe fatto questo se si fosse degnato di imitare san Fulgenzio il quale dice: « Una sola verità, infatti, in un solo Dio, anzi una sola verità, un solo Dio non permette che si congiunga il servizio e il culto del Creatore e della creatura ».

Buon correttore che parlava veracissimamente della verità, che sentiva veramente e cattolicamente della vera e pura semplicità della divina sostanza, nella quale non vi può essere nulla che non sia essa stessa, come essa stessa è Dio.

In altri passi quel libro del vescovo predetto sembra discostarsi ancora più chiaramente dalla retta fede.

Infatti, alle parole dell’autore: « Quando si dice Dio, Dio, Dio, questo appartiene alla sostanza », il nostro commentatore spiega: « Non quella che è ma quella per cui è ».

Questo non può accettare la Chiesa cattolica, che cioè vi sia una sostanza o qualsiasi altra cosa per cui Dio è che non sia Dio.

9. Ma ormai non parliamo più contro il vescovo Gilberto in quanto egli nello stesso Concilio, accettando umilmente il parere dei vescovi, condannò con la propria bocca sia queste sia le altre affermazioni degne di riprensione; ma diciamo queste cose per coloro che ancora si dice leggano o trascrivano quel libro, promulgato contro la proibizione della Santa Sede, persistendo nel seguire con ostinazione il vescovo nell’opinione ormai da lui rigettata, e preferendo averlo maestro nell’errore più che nella correzione.

Non solo ma anche per voi, prendendo occasione dalla differenza tra l’immagine e l’anima che è stata fatta a immagine, ho creduto che valesse la pena fare questa digressione, perché se alcuni avessero bevuto dalle acque furtive che sembrano più dolci, presa la medicina siano provocati al vomito, purgato lo stomaco della mente possano disporsi ad attingere, con gioia ormai, cose più pure in quello che, secondo la nostra promessa, ci resta da dire sulla somiglianza, e questo non dalle nostre ma dalle sorgenti del Salvatore, Sposo della Chiesa, Gesù Cristo Signore nostro, che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

Amen.

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