Leggenda perugina

Questa Leggenda antica di san Francesco - già proposta sotto la denominazione di Leggenda antica perugina ( F. Delorme ) e, più recentemente, sotto quelle di Fiori dei tre compagni ( J. Cambell-N. Vian ), di Scritti di Leone, Rufino e Angelo, compagni di san Francesco ( R. Brooke ), di Compilazione d'Assisi degli scritti di frate Leone e compagni ( M. Bigaroni ) -, ci è stata tramandata dal manoscritto 1046 della Biblioteca Comunale di Perugia.

Si tratta di una « compilazione » messa insieme, nel passaggio tra il secolo XIII e il XIV, con materiali di provenienza e d'ispirazione diversa al fine di ricostruire una Leggenda sulla vita di Francesco che fosse più « antica » di quella « nuova » ( Leggenda maggiore ) di Bonaventura, recuperando i ricordi e le memorie che si dicevano discendere direttamente dai compagni del Poverello e che erano stati obliterati dal decreto capitolare del 1266.

Così com'è pervenuta, tale Leggenda antica non può essere identificata « tout court » con il « florilegio » di Greccio del 1246, ma ci riporta sicuramente delle testimonianze di un gruppo di persone particolarmente vicine a Francesco, e parte almeno del predetto « florilegio ».

E, in ogni caso, « un documento di sicura e straordinaria bellezza, d'indiscusso e indiscutibile valore biografico, proprio perché è pieno di una comunicativa semplice e suadente che lo costituisce, accanto allo Specchio di perfezione, uno dei testi più immediati e significativi rispetto ai gesti, all'operato, alle volontà di Francesco [ ... ], sottolineati da una presenza e da una partecipazione umana dei compagni, concretamente e intensamente vissuta ».

In questa Leggenda, « al di là forse delle intenzioni stesse di chi ha messo insieme tanta dovizia di ricordi, c'è il Francesco con la diffusione e il peso crescente del suo movimento ».

Il nostro volgarizzamento segue, per il testo, l'edizione curata da M. Bigaroni, Compilatio Assisiensis, Porziuncola 1975, per la numerazione, quella segnata dallo scopritore e primo editore F. Delorme, La Legenda antiqua S. Francisci, nella sua seconda edizione, Parigi 1926.

I titoli premessi ai ricordi, sono del traduttore.

[1545] Penitenza e discrezione

1. Nei primordi dell'Ordine, quando Francesco cominciò ad avere dei fratelli dimorava con essi presso Rivotorto.

Una volta, sulla mezzanotte, mentre tutti riposavano sui loro giacigli, un frate gridò all'improvviso: « Muoio! muoio! ».

Tutti gli altri si svegliarono stupefatti e atterriti.

Francesco si alzò e disse: « Levatevi, fratelli, e accendete un lume ».

Accesa la lucerna, il Santo interrogò: « Chi ha gridato: Muoio? ».

Quello rispose: « Sono io ».

Riprese Francesco: « Che hai, fratello? di cosa muori? ».

E lui: « Muoio di fame ».

Francesco, da uomo pieno di bontà e gentilezza, fece subito preparare la mensa.

E affinché quel fratello non si vergognasse a mangiare da solo, si posero tutti a mangiare insieme con lui.

Sia quel frate sia gli altri si erano convertiti al Signore da poco tempo, e affliggevano oltremisura il loro corpo.

Dopo la refezione, Francesco parlò: « Cari fratelli, raccomando che ognuno tenga conto della propria condizione fisica.

Se uno di voi riesce a sostenersi con meno cibo di un altro, non voglio che chi abbisogna di un nutrimento più abbondante si sforzi di imitare l'altro su questo punto; ma, adeguandosi alla propria complessione, dia quanto è necessario al suo corpo.

Come ci dobbiamo trattenere dal soverchio mangiare, nocivo al corpo e all'anima, così, e anche di più, dalla eccessiva astinenza, poiché il Signore preferisce la misericordia al sacrificio ».

Disse ancora: « Carissimi fratelli, ispirato dall'affetto io ho compiuto un gesto, quello cioè di mangiare assieme al fratello, affinché non si vergognasse di cibarsi da solo.

Ebbene, vi sono stato sospinto da una grande necessità e dalla carità.

Sappiate però che, d'ora innanzi, non voglio ripetere questo gesto; non sarebbe conforme alla vita religiosa né dignitoso.

Voglio pertanto e ordino che ciascuno, nei limiti della nostra povertà, accordi al suo corpo quanto gli è necessario ».

[1546] Duro con se stesso, tenero con i fratelli

2. E veramente i primi frati e quanti vennero dopo di loro, per molto tempo, erano soliti strapazzare il proprio corpo non solo con una esagerata astinenza nel mangiare e nel bere, ma anche rinunciando a dormire, non riparandosi dal freddo, lavorando con le loro mani.

Portavano direttamente sulla pelle, sotto i panni, cerchi di ferro e corazze, chi poteva procurarsene, o anche i più ruvidi cilizi che riuscivano ad avere.

Ma il padre santo, considerando che con tali asprezze i fratelli avrebbero finito per ammalarsi, - e taluni in breve tempo erano effettivamente caduti infermi, - durante un Capitolo proibì loro di portare sulla carne null'altro che la tonaca.

Noi che siamo vissuti con lui, siamo in grado di testimoniare a suo riguardo che, dal tempo che cominciò ad avere dei fratelli e poi per tutta la durata della sua vita, usò discrezione verso di loro bastandogli che nei cibi e in ogni altra cosa non uscissero dai limiti della povertà e dell'equilibrio, cosa tradizionale tra i frati dei primordi.

Quanto a se stesso, invece, dal principio della conversione, prima di avere dei fratelli, e ininterrottamente per tutto il tempo che visse, fu molto duro, sebbene fin da ragazzo fosse fragile e debole di costituzione, e quando era nel mondo non potesse vivere se non usandosi molti riguardi.

Una volta, notando come i frati già debordavano dai limiti della povertà e della discrezione sia nei cibi che nelle altre cose, disse ad alcuni, con l'intenzione di rivolgersi a tutti: « Non pensano i fratelli che al mio corpo sarebbe necessario un vitto speciale?

Eppure, siccome devo essere modello ed esempio per tutti i fratelli, voglio che mi bastino alimenti da povero e oggetti grossolani ed esserne contento ».

[1547] Elogio della medicità

3. Quando Francesco cominciò ad avere dei fratelli era talmente felice per la loro conversione e per l'amabile compagnia donatagli dal Signore, e li circondava di così grande amore e venerazione, che non li invitava ad andare per elemosina, soprattutto perché pensava ne provassero vergogna.

Così, per riguardo al loro imbarazzo, ogni giorno usciva da solo a questuare.

Per lui era uno strapazzo, sia perché debole di costituzione e abituato in casa sua a trattarsi con delicatezza, sia perché, abbandonato il mondo, si era ancor più indebolito a causa della eccessiva astinenza e penitenza

Considerando che non poteva sopportare un lavoro così gravoso, e che i fratelli erano mendicanti per vocazione benché ne provassero ripugnanza e non ne fossero pienamente consapevoli, e che oltrettutto non erano tanto sensibili da dirgli: « Vogliamo andare noi all'elemosina », Francesco disse loro: « Carissimi fratelli e figli miei, non arrossite di uscire alla questua, poiché il Signore si fece povero per amor nostro in questo mondo.

È sull'esempio di Lui e della sua Madre santissima che noi abbiamo scelto la via della vera povertà: è la nostra eredità questa, acquistata e lasciata dal Signore Gesù Cristo a noi e a tutti quelli che vogliono vivere come Lui nella santa povertà ».

E soggiunse: « In verità vi dico, che molti nobili e sapienti di questo mondo verranno nella nostra fraternità e stimeranno grande onore l'andare per elemosina con la benedizione del Signore.

Ci dovete andare senza rispetto umano e con animo più lieto di colui che barattasse una sola moneta con cento denari, poiché a coloro cui chiedete l'elemosina voi offrite in cambio l'amore di Dio, quando dite: « Per amore del Signore Dio, donateci l'elemosina!

Infatti, a paragone dell'amore di Dio, cielo e terra sono un nulla ».

Siccome erano ancora pochi, non li poteva mandare due a due; li inviò nei castelli e nei villaggi ognuno per conto suo.

Al ritorno, ciascuno mostrava a Francesco le elemosine che aveva raccolto, e si dicevano l'un l'altro: « Io ho preso più di te! ».

Francesco, vedendoli così lieti e di buon umore, ne fu felice.

E da allora ognuno chiedeva più volentieri il permesso di uscire alla questua.

[1548] Non vi preoccupate per il domani!

4. In quello stesso periodo, quando Francesco viveva con il primo gruppo di fratelli, il suo spirito era meravigliosamente duttile.

Infatti, dal giorno che il Signore gli ebbe rivelato di vivere, lui e i suoi fratelli, in conformità al santo Vangelo, decise e si impegnò ad osservarlo alla lettera, per tutto il tempo della sua vita.

Quando, per esempio, il frate addetto alla cucina voleva servire loro dei legumi gli proibiva di metterli a mollo nell'acqua calda alla sera per l'indomani, come si usa fare, e questo per osservare quella raccomandazione del Vangelo: « Non vi preoccupate per il domani ».

Così, quel frate aspettava che fosse terminata la recita del mattutino per mettere a bagno le sue verdure.

Per lungo tempo molti frati, nei luoghi dove dimoravano e soprattutto nelle città, continuarono ad essere ligi a questo spirito; e non volevano chiedere o accettare elemosine se non nella quantità che servisse al fabbisogno del giorno.

[1549] Delicatezza verso un malato

5. Una volta, dimorando Francesco in quello stesso luogo, un frate, uomo di profonda spiritualità e già da parecchi anni vivente nell'Ordine, si trovava molto deperito e infermo.

Francesco, al vederlo, ne ebbe compassione.

Ma i frati, a quei tempi, malati o sani che fossero, erano sempre lieti e pazienti: la povertà era la loro ricchezza.

Nella malattia non ricorrevano a medicine; anzi, volentieri sceglievano quanto contrariava il corpo.

Francesco si disse: « Se questo fratello mangiasse di buon mattino dell'uva matura, credo che ne trarrebbe giovamento ».

Un giorno si alzò all'albeggiare e chiamò di nascosto quel fratello, lo condusse nella vigna vicina a quella chiesa e, scelta una vite ricca di bei grappoli invitanti, vi sedette sotto assieme al fratello e cominciò a mangiare l'uva, affinché il malato non si vergognasse di piluccare da solo.

Mentre faceva lo spuntino, quel frate lodava il Signore Dio.

E finché visse, egli ricordava spesso ai fratelli, con devozione e piangendo di tenerezza, il gesto affettuoso del padre santo verso di lui.

[1550] Intimità inviolavile

6. Mentre Francesco soggiornava in quel luogo stesso, si appartava a pregare in una celletta situata dietro la casa.

Un giorno che si trovava là, ecco arrivare a fargli visita il vescovo di Assisi.

Entrato in casa, bussò all'uscio per entrare dove stava il Santo.

Come gli fu aperta la porta della celletta, immediatamente vi penetrò: Francesco era in un piccolo rifugio arrangiato con delle stuoie.

Sapendo il vescovo che il padre santo gli mostrava confidenza e affetto, vi si diresse senza riguardi e sollevò una stuoia per vederlo.

Ma non appena vi ebbe messo la testa dentro, ne fu respinto energicamente fuori per volontà del Signore, poiché non era degno di guardare Francesco.

Camminando a ritroso, uscì difilato dalla cella, tutto tremante e allibito.

E alla presenza dei frati confessò la sua colpa, pentendosi della libertà che si era preso quel giorno.

[1551] Il fratello tentato

7. Un frate, uomo di viva spiritualità e anziano nell'Ordine, era molto amico di Francesco.

Gli avvenne, in un periodo della sua vita, di essere torturato per lunghi giorni da gravi e crudeli suggestioni del diavolo, così che stava per inabissarsi in una disperazione profonda.

Ne era assillato ogni giorno, e più si angosciava perché provava vergogna a confessarsi ogni volta.

E si accaniva a punirsi con astinenza, veglie, lacrime e battiture.

Da molti giorni durava questo supplizio, quando, per disposizione divina, Francesco giunse a quel luogo.

E mentre il Santo passeggiava non molto discosto dal convento insieme con un fratello e con quel povero tribolato, allontanandosi a un certo punto dal primo, si accostò al tentato e gli disse: « Carissimo fratello, voglio e ordino che non ti angosci a confessare quelle suggestioni e irruzioni del diavolo.

Stai tranquillo: non hanno fatto alcun danno alla tua anima.

Ogni volta che ne sei assalito, ti suggerisco di recitare sette volte il Padre nostro ».

Fu tutto esultante il frate al sentire tali parole, che cioè non era tenuto a confessare le tentazioni, soprattutto perché si vergognava di doverlo fare ogni giorno, cosa che aggravava il suo tormento.

Ammirò la santità di Francesco che, per mezzo dello Spirito Santo, aveva conosciuto le sue tentazioni, che lui non aveva confidato a nessuno, fuorché ai sacerdoti; e aveva mutato spesso confessore, per la vergogna di far sapere sempre allo stesso tutta la sua infermità interiore.

E subito che Francesco gli ebbe rivolto la parola, egli si sentì liberato, dentro e fuori, da quella terribile prova, sofferta per lungo tempo.

Con l'aiuto di Dio, grazie ai meriti del Santo, egli ritrovò una gran serenità e pace d'anima e di corpo.

[1552] Ottiene la Chiesa della Porziuncola

8. Vedendo che Dio voleva moltiplicare il numero dei suoi discepoli, Francesco disse loro: « Carissimi fratelli e figli miei, vedo che il Signore vuole moltiplicarci.

E perciò mi sembra cosa buona e conveniente a dei religiosi, ottenere dal vescovo o dai canonici di San Rufino o dall'abate del monastero di San Benedetto, una piccola chiesa poverella, dove possiamo recitare le Ore liturgiche e accanto a questa, avere una dimora, piccola anch'essa e povera, costruita con fango e vimini, dove riposare e attendere al necessario lavoro.

Invero, il luogo dove sostiamo ora non è quello adatto, essendo l'abitazione troppo angusta per i fratelli che vi dimorano e che Dio si appresta a rendere numerosi; soprattutto, non abbiamo a disposizione una chiesa, dove recitare le Ore; di più, se alcuno venisse a morte, non sarebbe dignitoso seppellirlo qui o in una chiesa del clero secolare ».

Tale proposta piacque agli altri frati.

Allora Francesco si alzò e andò dal vescovo di Assisi, e ripeté davanti a lui le stesse parole esposte prima ai fratelli.

Gli rispose il vescovo: « Fratello, non ho alcuna chiesa da potervi dare ».

Il Santo andò dai canonici di San Rufino e ripropose la sua domanda; e quelli risposero come il vescovo.

Si diresse perciò alla volta del monastero di San Benedetto del monte Subasio, e rivolse all'abate la richiesta espressa in antecedenza al vescovo e ai canonici, aggiungendo la risposta avuto dall'uno e dagli altri.

Preso da compassione, l'abate tenne consiglio con i suoi confratelli sull'argomento e, per volontà del Signore, concesse a Francesco e ai suoi frati la chiesa di Santa Maria della Porziuncola, la più poverella che avevano.

Era anche la più misera che si potesse trovare nel territorio di Assisi, proprio come Francesco desiderava.

E gli disse l'abate: « Fratello, abbiamo esaudito la tua domanda.

Ma vogliamo che, se il Signore moltiplicherà la vostra congregazione, questo luogo sia il capo di tutti quelli che fonderete ».

La condizione piacque a Francesco e agli altri suoi fratelli.

Fu molto felice il Santo che ai frati fosse donato quel luogo, soprattutto perché la chiesa portava il nome della Madre di Dio, perché era così povera e perché era denominata « della Porziuncola », quasi a presagio che sarebbe divenuta madre e capo dei poveri frati minori.

Tale nome derivava dalla contrada in cui la chiesetta sorgeva, zona anticamente detta appunto Porziuncola.

Francesco era solito dire: « Per questo motivo il Signore ha stabilito che non fosse concessa ai frati altra chiesa, e che in quella circostanza i primi frati non ne costruissero una nuova, e non avessero che quella: perché essa fu come una profezia, compiutasi con la fondazione dei frati minori ».

E sebbene fosse tanto povera e quasi in rovina, per lungo tempo gli uomini della città di Assisi e di quella contrada sempre ebbero gran devozione ( accresciutasi poi ai nostri giorni ) verso quella chiesa.

Non appena i frati vi si stabilirono, il Signore accresceva quasi ogni giorno il loro numero.

La loro fama e rinomanza si sparse per tutta la valle di Spoleto.

In antico, la chiesa era chiamata Santa Maria degli Angeli, ma il popolo la chiamava Santa Maria della Porziuncola.

Però, dopo che i frati la restaurarono, uomini e donne della zona presero a dire: « Andiamo a Santa Maria degli Angeli! ».

Sebbene l'abate e i monaci avessero concesso in dono a Francesco e ai suoi frati la chiesa senza volerne contraccambio o tributo annuo, tuttavia il Santo, da abile e provetto muratore che intese fondare la sua casa sulla salda roccia, e cioè fondare il suo Ordine sulla vera povertà, ogni anno mandava al monastero una corba piena di pesciolini chiamati lasche.

E ciò in segno di sincera umiltà e povertà, affinché i frati non avessero in proprietà nessun luogo, e nemmeno vi abitassero, se non era sotto il dominio altrui, così che essi non avessero il potere di vendere o alienare in alcun modo.

E ogni anno, quando i frati portavano i pesciolini ai monaci, questi, in grazia dell'umiltà, donavano a lui e ai suoi fratelli una giara piena di olio.

[1553] La Porziuncola, modello dell'Ordine

9. Noi che siamo vissuti col beato Francesco attestiamo quello che egli disse di questa chiesa, impegnando la sua parola, a motivo della grande grazia che lì gli era stata fatta e come gli era stato rivelato: « La beata Vergine predilige questa tra tutte le chiese del mondo che le sono care ».

Per tali motivi egli nutrì, finché visse, la massima reverenza e devozione per la Porziuncola.

E affinché i frati la tenessero sempre nel cuore egli volle, in prossimità della morte, scrivere nel suo Testamento che essi nutrissero gli stessi sentimenti.

Prima di morire, presenti il ministro generale e altri fratelli, dichiarò: « Voglio disporre del luogo di Santa Maria della Porziuncola, lasciando per testamento ai fratelli che sia sempre tenuto da loro nella più grande reverenza e devozione.

Cosi hanno fatto i nostri fratelli nei primi tempi.

Quel luogo è santo, ed essi ne conservavano la santità con l'orazione ininterrotta giorno e notte, osservando un costante silenzio.

Se talora parlavano dopo l'intervallo stabilito per il silenzio, conversavano con la massima devozione ed elevatezza su quanto si addice alla lode di Dio e alla salvezza delle anime.

Se capitava, caso raro, che taluno prendesse a dire parole frivole o disdicevoli, subito veniva rimproverato da un altro.

Affliggevano il corpo non solo con il digiuno, ma con molte veglie, patendo freddo e nudità e lavorando con le loro mani.

Assai spesso, per non restare senza far nulla, andavano ad aiutare la povera gente nei campi, ricevendone talvolta del pane per amore di Dio.

Con queste ed altre virtù santificavano se stessi e il luogo della Porziuncola.

Altri fratelli venuti dopo si comportarono per lungo tempo allo stesso modo, sia pure con minore austerità.

[1554] Ma più tardi, il numero dei frati e delle persone che si riunivano in questo luogo si accrebbe più che non convenisse, soprattutto perché tutti i frati dell'Ordine erano obbligati a convenirvi, unitamente a quanti intendevano farsi religiosi.

Inoltre, i frati sono oggi più freddi nella preghiera e nelle altre opere buone, più inclini a conversazioni futili e inconcludenti, e facili a ciarlare di novità mondane.

Ecco perché quel luogo non è più trattato dai frati che vi dimorano e dagli altri religiosi con quella reverenza e devozione che conviene e che mi sta a cuore ».

[1555] 10 « Voglio dunque che Santa Maria della Porziuncola sia sempre sotto la diretta autorità del ministro generale, affinché egli vi provveda con maggior cura e sollecitudine, particolarmente nello stabilirvi una comunità buona e santa.

I chierici siano scelti tra i più virtuosi ed esemplari che conti l'Ordine, e che sappiano meglio dire l'ufficio in modo che non solo la gente ma anche i frati li ascoltino con gioiosa e viva devozione.

Abbiano a collaboratori dei fratelli non chierici, scelti fra i più santi, equilibrati e virtuosi.

Voglio inoltre che nessun frate né chicchessia entri in quel luogo, eccettuati il ministro generale e i frati che sono a loro servizio.

I frati qui dimoranti non parlino con nessuno, se non con i confratelli dati loro in aiuto e con il ministro quando viene a visitarli.

Voglio ancora che i fratelli non chierici siano tenuti a non riferire loro discorsi e novità mondane che riescano inutili al bene dell'anima.

Proprio per questo voglio che nessuno entri in quel luogo, affinché conservino più agevolmente la loro purità e santità, e non si proferiscano in quel luogo parole vane e nocive all'anima, ma sia esso serbato interamente puro e santo, allietato da inni e lodi al Signore.

E quando qualche frate passerà da questa vita, il ministro generale faccia venire un altro santo frate in sostituzione del defunto, prendendolo dovunque si trovi.

Poiché, se accadesse che i frati e i luoghi dove dimorano scadessero con il tempo dalla necessaria purità ed esemplarità, voglio che Santa Maria della Porziuncola resti lo specchio e il bene di tutto l'Ordine, e come un candelabro dinanzi al trono di Dio e alla beata Vergine.

E grazie ad esso, il Signore abbia pietà dei difetti e colpe dei frati, e conservi sempre e protegga il nostro Ordine, sua pianticella ».

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