Leggenda perugina

[1637] Arezzo disinfestata dai demoni

81. Quando arrivarono vicini ad Arezzo, la città era interamente in preda allo sconvolgimento e alla guerra civile, giorno e notte, a causa di due fazioni che si odiavano da lungo tempo.

Vedendo questo, Francesco, e udendo lo scatenarsi di strepiti e urla giorno e notte, mentre alloggiava in un ospedale del borgo fuori città, scorse un nembo di demoni che si divertivano in quello sconquasso e incitavano tutti gli abitanti a distruggere la loro città con gli incendi e altre furie.

Ne fu mosso a compassione.

E si rivolse a frate Silvestro, che era sacerdote, uomo di grande fede, di stupenda semplicità e purità, ch'egli venerava come santo.

Gli disse: « Va' dinanzi alla porta della città e a voce alta comanda ai demoni di sloggiare tutti ».

Silvestro si alzò e andò davanti alla porta della città, dove ordinò a gran voce: « Lodato e benedetto sia il Signore Gesù Cristo!

Da parte di Dio onnipotente e in virtù della santa obbedienza di Francesco, io comando a tutti i demoni di uscire da questa città! ».

E per la misericordia divina e la preghiera di Francesco, gli abitanti di Arezzo tornarono poco dopo, senza bisogno di alcuna predicazione, a pace e concordia.

Non avendo potuto predicare loro in quella occasione Francesco, un'altra volta, nel primo di una serie di discorsi disse: « Parlo a voi come a gente che fu incatenata dai demoni.

Vi eravate legati e venduti da voi stessi, come animali al mercato, a causa della vostra iniquità.

Vi siete buttati in braccio ai demoni, esponendovi al potere di esseri che distrussero e distruggono se stessi e voi, e vogliono mandare in rovina l'intera città.

Ma voi siete miserabili e incoscienti, mostrandovi ingrati ai benefici di Dio, il quale - sebbene alcuni di voi non lo sappiano, - liberò una volta questa città per i meriti di un santo religioso, chiamato Silvestro ».

[1638] Ugolino blocca il viaggio in Francia

82. Giunto a Firenze, Francesco vi trovò Ugolino, vescovo di Ostia, che poi diventò papa.

Egli era stato inviato da Onorio III come legato nel ducato di Spoleto in Toscana, Lombardia, Marca Trevigiana, fino a Venezia.

Il rappresentante papale fu molto felice dell'arrivo di Francesco.

Quando però ebbe udito da lui che intendeva andare in Francia, gli proibì quel viaggio: « Fratello, non voglio che tu vada oltralpe, poiché nella curia romana vi sono numerosi prelati e altri personaggi che nuocerebbero volentieri al bene del tuo Ordine.

Io e altri cardinali che amiamo il tuo movimento, lo proteggiamo di gran cuore e lo aiutiamo, purché tu non ti allontani da queste regioni ».

Disse Francesco: « Messere, è triste per me rimanere in queste province, dopo che ho inviato i miei fratelli in regioni lontane e straniere ».

Il vescovo replicò con voce di rimprovero: « E perché hai mandato i tuoi fratelli così lontano a morire di fame e di altre tribolazioni? ».

Gli rispose il Santo con grande slancio di spirito e con tono profetico: « Non pensate, messere, che il Signore abbia inviato i frati soltanto per il bene di queste regioni.

Vi dico in verità che Dio ha scelto e inviato i frati per il vantaggio spirituale e la salvezza delle anime degli uomini del mondo intero; essi saranno ricevuti non solo nelle terre dei cristiani, ma anche in quelle degli infedeli.

Purché osservino quello che hanno promesso al Signore, Dio darà loro il necessario nelle terre degli infedeli come in quelle cristiane ».

Ugolino fu molto ammirato da queste parole, affermando che diceva il vero.

Però non lo lasciò proseguire verso la Francia.

Il Santo vi mandò frate Pacifico con altri frati, mentre lui tornò nella valle di Spoleto.

[1639] Serenità del vero Frate minore

83. Un'altra volta, avvicinandosi il Capitolo che si sarebbe svolto presso la chiesa della Porziuncola, Francesco confidò al suo compagno: « Non mi considero un frate minore, se non ho le disposizioni d'animo che sto per dirti ».

E seguitò: « Ecco i frati in gran devozione e venerazione venire a me, invitandomi alla riunione capitolare.

Commosso dalle loro affettuose insistenze, mi avvio assieme ad essi.

Convocata l'assemblea, mi pregano di annunziare loro la parola di Dio.

Mi alzo e predico secondo l'ispirazione dello Spirito Santo.

Finisco il sermone.

Supponiamo che allora, dopo averci pensato, concludano dicendomi: " Non vogliamo che tu regni sopra di noi, perché non sai parlare, sei troppo semplice, ci vergognamo di avere a capo una persona così incolta e incapace.

D'ora in avanti, non avere la pretesa di chiamarti nostro prelato! ".

E così dicendo, mi cacciano, vilipendendomi.

Ebbene, non potrei considerarmi vero frate minore, se non resto ugualmente sereno quando mi vilipendono e ignominiosamente mi cacciano via, rifiutandosi di avermi a prelato, come quando mi onorano e venerano, purché in entrambi i casi il loro vantaggio sia lo stesso.

Se mi allieto per il loro profitto e devozione allorché mi esaltano e onorano ( mentre la mia anima corre pericolo di vana gloria ), ancor più mi si addice gioire ed esultare del profitto spirituale e della salvezza della mia anima, allorché mi vituperano cacciandomi via in maniera umiliante: qui infatti c'è sicuro guadagno per l'anima ».

[1640] Sorella cicala

84. Era d'estate, e Francesco dimorava alla Porziuncola, nell'ultima cella vicino alla siepe dell'orto, dietro la casa ( dove abitava frate Ranieri, l'ortolano, dopo la morte del Santo ).

Un giorno che usciva dalla celletta vide, e poteva toccarla con la mano, sul ramo di un fico sorgente lì presso, una cicala.

Le stese la mano, invitandola: « Sorella mia cicala, vieni con me! ».

Quella venne all'istante sulle sue dita, e il Santo prese ad accarezzarla con un dito dell'altra mano, dicendole: « Canta, sorella mia cicala! ».

Subito lei obbedì, e prese a frinire.

Francesco ne fu molto felice e lodava Dio.

La tenne così sulla mano molto a lungo, poi la ripose sul ramo del fico da cui l'aveva tolta.

Per otto giorni continui ogni volta che usciva dalla celletta, la trovava allo stesso posto e tutti i giorni, prendendola in mano, appena le diceva, toccandola, di cantare, la cicala friniva.

Passati otto giorni, Francesco si rivolse ai compagni: « Permettiamo adesso a sorella cicala di andare dove vuole.

Ci ha donato abbastanza consolazione, e la nostra carne potrebbe trarne vanagloria ».

Come la ebbe congedata, quella si allontanò e non tornò più a quel posto.

I compagni rimasero meravigliati del fatto che la cicala gli obbedisse così e fosse tanto affettuosa.

In effetti, Francesco trovava tanta gioia nelle creature per amore del Creatore, che Dio, al fine di confortare fisicamente e spiritualmente il suo servo, gli rendeva mansuete le creature che si mostrano ritrose con gli uomini.

[1641] Modello ed esempio

85. In altro tempo, Francesco soggiornava nell'eremo di sant'Eleuterio, presso il paese di Contigliano, nella contrada di Rieti.

Siccome non portava che la sola tonaca, un giorno, per ripararsi dal freddo pungente, foderò con delle pezze all'interno il suo saio e quello del compagno, così che il suo corpo ne ebbe un po' di conforto.

Poco dopo, un giorno che tornava dall'orazione, tutto gioioso disse al compagno: « Io devo essere modello ed esempio a tutti i fratelli.

Benché sia necessario al mio corpo avere una tonaca foderata, sono però obbligato a considerare i miei fratelli che patiscono lo stesso bisogno e non hanno né riescono a procurarsi questa comodità.

Perciò è indispensabile che mi metta nella loro condizione e condivida le loro stesse privazioni, affinché, vedendomi così, sopportino i loro disagi con maggiore pazienza ».

Noi, che siamo vissuti con lui, non potremmo dire a quanto numerose e urgenti necessità del suo corpo egli negò soddisfazioni nel vitto e nel vestito, per dare il buon esempio ai fratelli e aiutarli a sopportare più pazientemente le loro privazioni.

La sua preoccupazione dominante fu, in ogni tempo, soprattutto quando i frati presero a moltiplicarsi ed egli lasciò il governo della fraternità, quella di ammaestrare più con i fatti che a parole i frati su ciò che dovevano fare e ciò che dovevano evitare.

[1642] « Ti ho scelto perché eri sprovveduto »

86. Ci fu un momento in cui Francesco, osservando o sentendo dire che i frati davano malesempio nell'Ordine e che stavano scadendo dall'altezza del loro ideale di perfezione, angosciosamente ferito nel profondo del cuore, disse durante la preghiera: « Signore, riaffido a te la famiglia che mi hai dato »

E gli fu detto dal Signore: « Dimmi, perché ti affliggi così, quando un frate abbandona l'Ordine e vedi che altri non camminano per la strada che ti ho indicato?

Dimmi ancora: chi ha piantato questa comunità fraterna?

Chi converte l'uomo e lo sospinge a entrarvi per fare penitenza?

Chi dona la grazia di perseverare?

Non sono io forse? ».

E la voce incalzava: « Io non ti ho scelto per dirigere questa mia famiglia perché eri letterato ed eloquente, al contrario perché eri sprovveduto, in maniera che sappiate, tu e gli altri, che sono io a vigilare sul mio gregge.

Ti ho innalzato in mezzo ai fratelli a guisa d'insegna, allo scopo che vedano e compiano a loro volta le opere che io realizzo in te.

Coloro che camminano la mia strada, possiedono me e mi possederanno sempre più.

Quelli che si rifiutano di camminare la mia strada, si vedranno togliere anche i doni che sembrano avere.

Pertanto ti dico di non avvilirti, ma di fare bene quello che fai e badare a compiere il tuo dovere, sapendo che ho piantato l'Ordine dei frati in uno slancio di amore che mai verrà meno.

Sappi che amo talmente questa famiglia che, se qualche frate ritorna a malfare e muore fuori della fraternità, in suo luogo ne invierò un altro a prendere la corona perduta da quello; e se non fosse nato, lo farò nascere.

Affinché tu sia convinto quanto profondamente io amo questa fraternità, anche se in tutto l'Ordine non restassero che tre frati, non li abbandonerò in eterno ».

[1643] Esempio e stimolo per i fratelli

87. Francesco fu molto confortato da queste parole, poiché molto era desolato al sentire di qualche mal comportamento dei fratelli.

Sebbene non potesse non provare un senso di amarezza nel conoscere qualche miseria, tuttavia, dopo che ebbe ricevuto dal Signore questa consolazione, la richiamava alla memoria e ne parlava con i suoi compagni.

Ripeteva spesso ai frati, sia nei Capitoli che nei trattenimenti intimi: « Io ho giurato e risoluto di osservare la Regola, e allo stesso impegno si sono obbligati tutti i frati.

E dunque, da quando lasciai il governo della fraternità a causa delle mie malattie, per il maggior bene dell'anima mia e dei fratelli, verso di loro non ho che l'obbligo del buon esempio.

Infatti, ho imparato dal Signore e so con certezza che, anche se la malattia non giustificasse il mio ritiro, il più grande aiuto ch'io possa dare alla fraternità è di pregare ogni giorno il Signore per essa, affinché la governi, conservi, protegga e difenda.

Mi sono impegnato davanti a Dio e ai fratelli di render conto a lui, se uno dei fratelli si perde a causa del mio malesempio ».

Se talvolta un frate lo esortava a occuparsi della guida dell'Ordine, Francesco faceva questa considerazione: « I frati hanno la loro Regola, e hanno giurato di osservarla.

Affinché non si appiglino a scuse, quando al Signore piacque di costituirmi loro prelato, l'ho giurata anch'io, e intendo osservarla fino alla mia morte.

Dal momento che i frati sanno benissimo cosa è loro dovere fare e cosa evitare, a me non resta che ammaestrarli con il comportamento.

Per questo sono stato dato loro mentre vivrò e dopo che sarò morto ».

[1644] Incontro con uno più povero

88. Mentre Francesco girava predicando una regione, gli accadde di incontrare un povero.

Notandone la estrema indigenza, disse al suo compagno: « La povertà di quest'uomo è umiliante per noi; è un rimprovero per la nostra povertà ».

Il compagno rifletté: « In che maniera, fratello? ».

E Francesco: « Quando trovo uno più povero di me, mi sento arrossire.

Io ho scelto la santa povertà come mia signora, come la mia felicità spirituale e corporale.

E gira in tutto il mondo questa fama, che io cioè ho fatto professione di povertà davanti a Dio e agli uomini.

Quindi non posso che sentirmi pieno di vergogna allorché trovo qualcuno più povero di me ».

[1645] Il fratello che disprezzò un povero

89. Essendo andato Francesco in un eremo presso Rocca di Brizio, allo scopo di predicare agli abitanti della zona, un giorno che doveva tenere il sermone, ecco venire a lui un poverello in cattiva salute.

Al vederlo, indugiò nel considerare l'indigenza e la infermità di lui e, mosso a compassione, prese a parlare accoratamente al suo compagno di quella nudità e malattia.

Gli rispose il compagno: « Fratello, è vero che costui è assai povero, ma in tutta la contrada non c'è forse un uomo più ricco di lui nel desiderio ».

Francesco lo rimproverò di aver parlato male, e il compagno confessò la sua colpa.

E il Santo: « Vuoi fare la penitenza che ti dirò? ».

Rispose: « Volentieri ».

Disse Francesco: « Va', spogliati della tonaca e presentati nudo dinanzi a quel mendico, gettati ai suoi piedi e digli che hai peccato contro di lui, disprezzandolo.

Gli dirai che preghi per te affinché il Signore ti perdoni ».

Andò il compagno ed eseguì quanto gli era stato ordinato.

Ciò fatto, si rimise la veste e tornò dal Santo.

Gli disse Francesco: « Vuoi che ti dica come hai peccato contro di lui o meglio contro Cristo?

Ecco: quando vedi un povero, devi considerare colui in nome del quale viene, Cristo cioè, fattosi uomo per prendere la nostra povertà e infermità.

Nella povertà e nella malattia di questo mendicante dobbiamo scorgere con amore la povertà e infermità del Signore nostro Gesù Cristo, le quali egli portò nel suo corpo per la salvezza del genere umano ».

[1646] I ladroni convertiti

90. In un eremitaggio situato sopra Borgo San Sepolcro, venivano di tanto in tanto certi ladroni a domandare del pane.

Costoro stavano appiattati nelle folte selve di quella contrada e talora ne uscivano, e si appostavano lungo le strade per derubare i passanti.

Per questo motivo, alcuni frati dell'eremo dicevano: « Non è bene dare l'elemosina a costoro, che sono dei ladroni e fanno tanto male alla gente ».

Altri, considerando che i briganti venivano a elemosinare umilmente, sospinti da grave necessità, davano loro qualche volta del pane, sempre esortandoli a cambiar vita e fare penitenza.

Ed ecco giungere in quel romitorio Francesco.

I frati gli esposero il loro dilemma: dovevano oppure no donare il pane a quei malviventi?

Rispose il Santo: « Se farete quello che vi suggerisco, ho fiducia nel Signore che riuscirete a conquistare quelle anime ».

E seguitò: « Andate, acquistate del buon pane e del buon vino, portate le provviste ai briganti nella selva dove stanno rintanati, e gridate: - Fratelli ladroni, venite da noi!

Siamo i frati, e vi portiamo del buon pane e del buon vino -.

Quelli accorreranno all'istante.

Voi allora stendete una tovaglia per terra, disponete sopra i pani e il vino, e serviteli con rispetto e buon umore.

Finito che abbiano di mangiare, proporrete loro le parole del Signore.

Chiuderete l'esortazione chiedendo loro per amore di Dio, un primo piacere, e cioè che vi promettano di non percuotere o comunque maltrattare le persone.

Giacché, se esigete da loro tutto in una volta, non vi starebbero a sentire.

Ma così, toccati dal rispetto e affetto che dimostrate, ve lo prometteranno senz'altro.

E il giorno successivo tornate da loro e, in premio della buona promessa fattavi, aggiungete al pane e al vino delle uova e del cacio; portate ogni cosa ai briganti e serviteli.

Dopo il pasto direte: - Perché starvene qui tutto il giorno, a morire di fame e a patire stenti, a ordire tanti danni nell'intenzione e nel fatto, a causa dei quali rischiate la perdizione dell'anima, se non vi ravvedete?

Meglio è servire il Signore, e Lui in questa vita vi provvederà del necessario e alla fine salverà le vostre anime -.

E il Signore, nella sua misericordia, ispirerà i ladroni a mutar vita, commossi dal vostro rispetto ed affetto ».

Si mossero i frati e fecero ogni cosa come aveva suggerito Francesco.

I ladroni, per la misericordia e grazia che Dio fece scendere su di loro, ascoltarono ed eseguirono punto per punto le richieste espresse loro dai frati.

Molto più per l'affabilità e l'amicizia dimostrata loro dai frati, cominciarono a portare sulle loro spalle la legna al romitorio.

Finalmente, per la bontà di Dio e la cortesia e amicizia dei frati, alcuni di quei briganti entrarono nell'Ordine, altri si convertirono a penitenza, promettendo nelle mani dei frati che d'allora in poi non avrebbero più perpetrato quei mali e sarebbero vissuti con il lavoro delle loro mani.

I frati e altre persone venute a conoscenza dell'accaduto, furono pieni di meraviglia, pensando alla santità di Francesco, che aveva predetto la conversione di uomini così perfidi e iniqui, e vedendoli convertiti al Signore così rapidamente.

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