Teologia dei Padri

Indice

Il prossimo, il singolo e la comunità

1. - Responsabilità per la comunità

Occupiamoci della salvezza dei nostri fratelli!

Un uomo infiammato di fede riesce a raddrizzare un popolo intero.

Perciò, non essendo uno né due né tre, ma un'enorme moltitudine quelli che potrebbero dedicarsi alla cura dei negligenti, non certo d'altra fonte, ma solo dalla nostra neghittosità dipende che i più cadono e si perdono per debolezza.

Non è assurdo che, se vediamo sulla piazza una contesa, accorriamo e separiamo i contendenti - e perché parlo di una contesa? se vediamo un asino cadere, tutti porgiamo la mano e tentiamo di rialzarlo; invece non ci prendiamo cura dei fratelli che si perdono?

Il bestemmiatore è un asino, che non sopportando più il peso dell'ira è caduto: accorri, sollevalo con parole, opere, dolcezza ed energia: sia varia la medicina!

Se disponiamo così le nostre cose e ci addossiamo la salvezza del prossimo, diventeremo subito cari e desiderabili a coloro che desiderano la correzione; e, ciò che è più grande di tutto, godremo dei beni riposti; che sia dato a noi tutti di raggiungere, per l'amore e la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, per il quale e con il quale al Padre insieme con lo Spirito Santo sia gloria, potenza, onore, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Amen.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue, 1,12

2. - I pesi degli altri

Chi sono coloro che portano a vicenda i pesi altrui, se non quelli che hanno la carità?

Coloro che non hanno la carità sono di peso l'un l'altro ma quelli che hanno la carità, si sorreggono a vicenda.

Se qualcuno ti ha offeso e ti chiede scusa, se tu non gliela concedi, tu non porti i pesi di tuo fratello; ma, se gliela concedi, tu sorreggi chi è infermo …

Tu però dici: « Sono piccolezze, sono minuzie inevitabili in questa vita ».

Ma raccogli le piccolezze e ne avrai un mucchio gigantesco!

Anche i granelli di frumento sono piccoli, eppure formano una massa enorme, anche le gocce sono piccole, eppure riempiono i fiumi e trascinano i macigni.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 130,4-5

3. - Solo giovando al prossimo troviamo il nostro vero vantaggio

Se ti riesce difficile interessarti del prossimo, rifletti che non puoi raggiungere la beatitudine in altro modo.

Fallo perciò per la salvezza sua e tua.

Supponi che in una casa scoppi il fuoco: alcuni vicini, preoccupati solo delle loro cose, non si danno da fare per allontanare il pericolo.

Chiudono la porta e restano in casa, temendo che qualcuno entri e rubi.

Quale punizione ne subiranno!

Il fuoco s'ingrandirà e brucerà tutti i loro beni: non essendosi interessati del vantaggio del prossimo, perderanno anche il proprio.

Dio ha voluto unire tra di loro gli uomini, e per questo ha impresso nelle cose la legge che il vantaggio del prossimo sia collegato al vantaggio di ciascuno; e in questo modo tutto il mondo sussiste.

Così anche nella nave, se il pilota, allo scoppiare del fortunale, sacrifica il vantaggio di molti cercando solo il proprio, manderà ben presto ad annegarsi gli altri e se stesso.

E così in ogni mestiere: se si bada solo al proprio tornaconto, non potranno sostenersi né la vita né l'arte stessa.

Per questo l'agricoltore non solo semina tanto frumento quanto basta a sé, altrimenti già da tempo sarebbe andato in rovina e lui e gli altri; cerca invece anche il vantaggio di molti.

E il soldato affronta i pericoli non per salvare se stesso, ma per proteggere la patria; il mercante non si procura solo ciò che basta a sé, ma anche ciò che serve a molti altri.

Ora, se qualcuno obietta: « Non mirando al mio vantaggio, ma al vantaggio suo personale, ciascuno agisce così: tutte le sue azioni, le compie per procurarsi ricchezza, gloria e sicurezza.

E perciò io cerco il mio interesse e lui il suo »; lo sostengo anch'io, e avrei voluto sentirlo dire già da tempo; e proprio per questo motivo ho tenuto questo sermone, cioè per dimostrare che il prossimo cerca il suo vantaggio, proprio quando mira al tuo.

Gli uomini non si sarebbero mai interessati del bene del prossimo se non fossero stati necessitati; per questo Iddio ha collegato tutte le cose in modo da non permettere che qualcuno giunga al proprio vantaggio se non per la via che conduce al vantaggio altrui.

Certamente è umano giungere a questo modo all'utilità del prossimo; ma non è questo, bensì il volere di Dio che deve a ciò muoverci.

Nessuno infatti può salvarsi se non raggiunge questo.

Anche se ti dedicassi alla filosofia più alta e non ti dessi nessuna cura di ciò che passa, non potresti avere nessuna fiducia presso Iddio.

Come lo sappiamo? Dalle parole del beato apostolo Paolo: Se distribuissi tutti i miei beni in cibo ai poveri e offrissi il mio corpo tanto da lasciarmi bruciare, ma non avessi amore, a nulla mi giova ( 1 Cor 13,3 ).

Vedi quanto esige da noi Paolo?

Eppure chi distribuisce tutti i suoi beni in cibo agli altri non cura il vantaggio proprio, ma quello del prossimo.

Ma ciò solo non basta, ci dice, vuole che ciò avvenga con la più grande sincerità e con grande partecipazione affettiva.

É Dio che ci ha dato questo comando, per condurci al vincolo dell'amore.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinti, 25,4

4. - Il vincolo dell'amore lega gli uomini

Fin dall'inizio Dio ha operato in mille modi per innestare in noi l'amore.

Diede a tutti un solo capo: Adamo.

Perché non ci plasmò tutti con la terra?

E perché non adulti, come lui? Affinché il parto, l'educazione, il fatto di nascere gli uni dagli altri ci legassero intimamente.

E per questo non fece la donna dalla terra: non sarebbe bastata la nostra comune sostanza umana per stimolarci alla concordia, se non avessimo avuto lo stesso progenitore.

Perciò dispose le cose in questo modo.

Se ora ci consideriamo estranei solamente perché ci troviamo in luoghi diversi, quanto più sarebbe avvenuto ciò, se la nostra schiatta avesse avuto due princìpi?

Per questo motivo avvinse tutto il genere umano, quasi generato da un solo capo, in un solo corpo.

E poiché all'inizio sembrava che fossero due, vedi come li unisce e li fonde in uno con le nozze: Per questo infatti, dice, l'uomo abbandonerà il padre e la madre e si unirà alla sua moglie, e i due saranno una carne sola ( Gen 2,24 ).

E non disse: « La donna … », ma: « L'uomo … », perché maggiore è in lui il desiderio.

E volle che proprio in lui il desiderio fosse maggiore, per piegare il sesso forte con questa tirannia dell'amore, assoggettandolo al sesso più debole.

E poiché si doveva istituire il matrimonio, fece marito della donna proprio colui da cui aveva fatto lei.

Tutto per Dio è secondario di fronte all'amore.

Se pur stando così le cose il primo uomo giunse a tanta pazzia e il diavolo poté seminare un tale seme di invidia e di guerra, che avrebbe mai fatto, se gli uomini non fossero sorti da una stessa radice?

Volle inoltre che una parte dominasse e l'altra fosse soggetta: la parità di comando, infatti, genera spesso guerre.

Non ammise perciò che il governo fosse democratico, ma monarchico e, come nell'esercito, questo ordinamento si può vedere in ogni casa.

Il marito dunque occupa il posto del re e la moglie quello di ministro e subalterno; i figli vengono terzi nel comando e dopo di questi il comando spetta, al quarto posto, agli schiavi.

Anch'essi infatti comandano agli inferiori, e spesso uno di loro viene preposto agli altri, per disposizione del padrone, peraltro sempre come schiavo.

E oltre a ciò, vi è ancora distinzione tra il potere della donna e quello dei figli; e tra questi, vi è distinzione secondo l'età e secondo il sesso: tra di loro infatti la femmina non ha lo stesso potere.

Quasi ovunque Dio pose così molteplici autorità, perché tutto restasse in molta concordia e buon ordine.

Per questo prima che il genere umano si fosse moltiplicato, quando ancora vi erano solo i primi due, ordinò che lui comandasse e lei obbedisse; ma perché lui non considerasse lei inferiore e non la allontanasse, vedi come Dio la onorò e unì a lui prima ancora di crearla: Facciamogli una aiutante ( Gen 2,18 ), dice infatti, mostrando che fu fatta per uso di lui unendo così intimamente lui a lei, che per lui era stata fatta: siamo infatti molto più profondamente inclini verso ciò che per noi è stato fatto.

D'altra parte, affinché lei, data a lui in aiuto, non si inorgoglisse rompendo questo legame d'amore, la fece dal fianco di lui, mostrando così che lei è una parte del tutto.

E perché l'uomo di ciò non si inorgoglisse, non permise che lei appartenesse a lui solo, come di lui solo era stata all'inizio: ottenne il contrario introducendo la procreazione dei figli; se in tutto ciò, dunque, ha concesso all'uomo un privilegio, non ha lasciato però che tutto fosse suo.

Vedi dunque quanti legami d'amore Dio ha creato?

Ma questi pegni d'amore che ci ha dato derivano dalla natura stessa della concordia: il fatto di essere della stessa sostanza conduce a ciò - ogni animale ama il suo simile -, e così il fatto che la donna derivi dall'uomo, e che i figli, a loro volta, derivano dall'uno e dall'altra.

E da ciò nascono anche molti legami d'affetto: amiamo uno come padre, un altro come nonno; e una come madre e un'altra come nutrice; amiamo uno come figlio o nipote o pronipote, l'altra come figlia o nipotina; uno come fratello, l'altro come nipote; una come sorella, I'altra come nipote.

Ma che bisogno c'è di elencare tutti i gradi di parentela?

Dio ha pensato a un altro motivo di unione tra gli uomini: proibendo le nozze tra parenti.

Ci ha spinti verso gli estranei e ha attratto loro a noi.

Non ci era possibile unirci ad essi nella loro parentela fisica; ma con le nozze egli ci ha uniti fondendo insieme interi casati con una sola sposa, e mescolando stirpi a intere stirpi.

Non sposare, dice infatti la Scrittura, tua sorella né la sorella di tuo padre né altra fanciulla che abbia con te tale parentela ( Lv 18,8.10 ) che impedisca le nozze; e pone subito dopo il nome di tali parentele.

Ti basti, per mantenere il loro affetto, che provieni da uno stesso parto e che altre donne a te spettano.

Perché coarti l'ampiezza dell'amore?

Perché logori con quelle un'occasione di amicizia per la quale puoi conseguire tante altre amicizie, sposando cioè una donna al di fuori della tua parentela, ottenendo per essa tutta una serie di parentele: una madre, un padre, dei fratelli e i loro affini?

Vedi in quanti modi Dio ci ha legati insieme!

Eppure anche questo non gli bastò, ma dispose che noi avessimo bisogno gli uni degli altri, per unirci così a vicenda, perché è soprattutto la necessità che crea l'amicizia.

E per questo motivo non permise che tutto cresca ovunque, per costringerci anche così a unirci agli altri.

Disponendo che noi avessimo bisogno gli uni degli altri, rese anche facile questa unione; se infatti non lo fosse, anche ciò sarebbe per noi motivo di sofferenza e fatica.

Infatti, se quando qualcuno ha bisogno del medico, del fabbro o di qualche altro artigiano, dovesse sottoporsi a un lungo viaggio, tutto andrebbe a catafascio.

Perciò dispose che sorgessero le città, unendo in tal modo tutti insieme.

E affinché potessimo recarci facilmente da chi è lontano, distese in mezzo il mare e ci donò i venti veloci, rendendoci facili i viaggi.

All'inizio poi aveva unito tutti in un unico luogo, e non li allontanò di là fino a quando non usarono male della concordia i due che per primi avevano ottenuto quel dono; ma da ogni parte ci ha poi riuniti, e per la natura, e per la parentela, e per la lingua e per il luogo.

E come non avrebbe voluto che noi fossimo cacciati dal paradiso ( se l'avesse voluto non avrebbe posto là l'uomo che creò all'inizio ), ma ne fu causa colui che non obbedì, così non volle che noi avessimo lingue diverse, perché altrimenti ci avrebbe fatti così fin dall'inizio; ora invece in tutta la terra vi era un'unica lingua, un'unica favella per tutti.

E per questo motivo quando fu necessario distruggere la terra, non ci creò con un'altra materia, né tolse dalla terra l'uomo giusto, ma lo lasciò tra i flutti, quasi come scintilla di tutta la terra, e riaccese così la nostra stirpe dal beato Noè.

All'inizio creò un'unica autorità preponendo l'uomo alla donna; ma poiché la nostra stirpe cadde in un gran disordine, costituì anche altre autorità: quelle cioè dei padroni e dei magistrati; e ciò per amore.

Dato che la malvagità dissolve e distrugge la nostra stirpe, in mezzo alle città pose, come medici, i giudici, che bandendo il vizio, peste dell'amore, stringessero noi tutti in uno.

E perché non solo nelle città, ma anche in ogni casa vi fosse grande concordia, non solo concesse all'uomo l'onore del comando e della preminenza e armò la donna di seduzione e pose tra l'uno e l'altra il dono della procreazione dei figli, ma predispose anche altri incentivi d'amore.

Non affidò tutto all'uomo né tutto alla donna, ma anche qui diede a ciascuno la sua parte: a lei affidò la casa, a lui la vita pubblica; e a lui di procurare il nutrimento: coltiva infatti la terra; a lei di preparare il vestiario: il telaio e il fuso sono della donna e a lei ha dato l'abilità nel tessere.

Muoia l'avidità del denaro che non permette a tali differenze di mostrarsi appieno!

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinti, 34,3-4

EMP T-6. - Vita comunitaria e amore fraterno

É importante che i fratelli vivano insieme in grande carità.

Sia che preghino, sia che leggano la Scrittura, sia che si occupino di qualche lavoro, essi debbono avere come fondamento l'amore fraterno.

In questo modo sarà possibile assaporare la gioia della partecipazione a queste diverse occupazioni, e a tutti coloro che pregano, a tutti coloro che leggono e a tutti coloro che lavorano sarà dato di edificarsi reciprocamente nella trasparenza dell'anima e nella semplicità …

Qualsiasi cosa facciano, i fratelli debbono mostrarsi caritatevoli e sereni gli uni con gli altri.

Colui che lavora, così dirà di colui che prega: « Anch'io posseggo il tesoro di mio fratello, dal momento che ci è comune ».

Da parte sua, colui che prega dirà di colui che legge: « Anch'io vengo arricchito dal beneficio che egli trae dalla sua lettura! ».

E colui che lavora, dirà ancora: « É nell'interesse della comunità che compio questo servizio ».

Le molteplici membra del corpo non formano che un corpo solo.

Esse si sostengono vicendevolmente, ciascuna assolvendo al proprio compito.

L'occhio vede per tutto il corpo; la mano lavora per le altre membra; il piede, camminando, le porta tutte; una soffre appena soffre l'altra.

Ecco come i fratelli debbono comportarsi gli uni con gli altri ( Rm 12,4-5 ).

Colui che prega, non giudicherà colui che lavora perché non prega.

Colui che lavora, non giudicherà colui che prega dicendo: « Ecco uno che perde tempo, mentre io sto qui a lavorare ».

Colui che serve non giudicherà gli altri.

Al contrario, ciascuno, qualunque cosa faccia, agirà per la gloria di Dio ( 1 Cor 10,31; 2 Cor 4,15 ).

Colui che legge, penserà con amore di colui che prega e dirà a se stesso: « Egli prega anche per me ».

E colui che prega penserà nei riguardi di colui che lavora: « Ciò che fa, lo fa per il bene di tutta la comunità ».

Così una grande concordia e una serena armonia formeranno il vincolo della pace ( Ef 4,3 ), che li unirà tra loro e li farà vivere con carità e semplicità sotto lo sguardo benevolo di Dio.

Evidentemente, l'essenziale è di perseverare nella preghiera.

Del resto, è necessaria un'unica cosa: ciascuno deve possedere nel suo cuore questo tesoro che è la presenza viva e spirituale del Signore.

Sia che lavori, preghi o legga, ciascuno deve poter dirsi in possesso di questo bene imperituro che è lo Spirito Santo.

Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 3,1-3

5. - La consolazione che dà incontrare fratelli nella fede

É come il fuoco: se uno raduna molte lampade, ne ottiene un grande splendore; così avviene di solito anche dei fedeli.

Quando siamo sparpagliati, ciascuno per conto nostro, ci sentiamo piuttosto scoraggiati; ma quando ci vediamo tutti uniti, stretti come membra tra di loro, ne abbiamo grande consolazione.

Non devi paragonare il tempo presente, in cui, per grazia di Dio, e in campagna e in città e perfino nel deserto, sono numerose le schiere dei fedeli e l'empietà è stata bandita; ma pensa a quel tempo, quando era una fortuna se il maestro poteva vedere i discepoli, o se i fratelli potevano visitare i fratelli, spostandosi da una città all'altra.

Per rendere più chiaro ciò che dico, portiamo un esempio.

Se avvenisse, se succedesse - non succeda mai! -, che fossimo deportati nella terra dei persiani, degli sciti o di altri barbari, che fossimo dispersi a due o tre in quelle città, e se all'improvviso vedessimo giungere qualcuno proveniente da qui, figurati quale consolazione ne avremmo!

Non vedete che chi è in prigione, quando scorge uno dei suoi intimi, salta dalla gioia!

Se paragono quei tempi alla prigionia, al carcere, non meravigliartene; anzi, erano peggiori ancora i mali che soffrivano quei fedeli: vivevano nella fame e nella guerra, affranti ogni giorno dal timore della morte, costretti a sospettare degli amici, dei familiari e dei parenti; abitavano come pellegrini sulla terra e stavano assai peggio di chi vive in una regione straniera.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 3,4

6. - Il conforto dell'amicizia

É degna d'approvazione l'amicizia che conserva l'onestà, e la dobbiamo certo preferire alle ricchezze, agli onori e al potere; non all'onestà, però, che l'amicizia segue passo passo.

Così fu l'amicizia di Gionata, dalla quale non lo distoglieva né l'ira del padre né il pericolo personale; tale fu l'amicizia di Abimelec, che, per dovere di ospitalità, riteneva giusto esporre se stesso alla morte, piuttosto che tradire l'amico fuggiasco.

Nulla dunque si deve preferire all'onestà; essa tuttavia non deve distogliere dall'impegno verso l'amico, come ci ammonisce la Scrittura parlando dell'amicizia.

I filosofi sollevano spesso il problema se per l'amicizia, per obbedire all'amico, qualcuno debba o non debba nutrire sentimenti contrari alla patria; e se si possa mancare di parola per riguardi verso l'amico o per il suo bene.

La Scrittura dice: Clava, spada e freccia di ferro: tale è l'uomo che depone il falso contro il suo amico ( Pr 25,18 ).

Ma considera ciò che intende dire.

Non condanna la testimonianza sul conto dell'amico, ma la falsa testimonianza.

Che allora, se qualcuno dovesse testimoniare per Dio o per la patria?

Forse che l'amicizia dovrebbe sovrastare alla religione, o all'amore per i concittadini?

In questi casi si deve cercare anzitutto la verità testimoniale, perché non succeda che qualcuno venga condannato per la perfidia dell'amico, per la cui fedeltà invece avrebbe dovuto essere assolto.

Non si deve gratificare l'amico colpevole né insidiare l'amico innocente.

Ma se fosse necessario testimoniare, anzitutto chi conosce un vizio dell'amico lo corregga a tu per tu, e se non lo ascolterà, lo rimproveri apertamente.

Sono buoni i rimproveri, e talvolta sono migliori di un'amicizia troppo silenziosa.

E anche se il tuo amico se ne ritiene offeso, tu correggilo tuttavia; e se l'amarezza del rimprovero ferisce il suo animo, tu non trattenerti dal correggerlo.

Infatti: si sopportano meglio le ferite di un amico che i baci di un adulatore ( Pr 27,6 ).

Correggi dunque l'amico che sbaglia, non abbandonare l'amico innocente.

L'amicizia deve essere costante e perseverare nell'affetto; e non dobbiamo mutare amici come i fanciulli, per instabilità di carattere.

Apri il tuo cuore all'amico, perché ti sia fedele e tu ne possa trarre gioia nella vita: l'amico fedele è farmaco per la vita e grazia per l'immortalità ( Sir 6,16 ).

Trattalo come un tuo eguale e non vergognarti di prevenirlo con i tuoi servigi: l'amicizia non conosce superbia.

Per questo il sapiente dice: Non arrossire di salutare il tuo amico ( Sir 22,25: Vulg. ).

Non abbandonare l'amico nel bisogno, non mancargli e non venirgli meno: l'amicizia è l'aiuto della vita.

Perciò, come ci insegna l'Apostolo: Portiamo i pesi gli uni degli altri ( Gal 6,2 ); parla infatti di coloro che sono stretti dall'amore in un solo corpo.

Se dunque la fortuna di un amico è di aiuto agli amici, perché nelle avversità di un amico i beni dei suoi amici non dovrebbero essergli d'aiuto?

Aiutiamolo col consiglio, mostriamogli il nostro interesse, partecipiamo ai suoi affanni con tutto l'affetto.

Se è necessario, sopportiamo anche disagi per l'amico.

Spesso per l'innocenza dell'amico si debbono sopportare inimicizie, si subiscono oltraggi se si resiste o si risponde alle accuse contro di lui mosse.

E non ti rincrescano queste offese, dice infatti il giusto: Se mi accadesse del male lo sosterrò per il mio amico ( Sir 22,25: Vulg. ).

Nelle avversità si prova l'amico, poiché nella prosperità tutti si mostrano amici.

Ma se nelle avversità dell'amico è necessaria la pazienza e la tolleranza, così nella sua prosperità è necessaria la nostra autorità, per reprimere e rimproverarne l'insolenza e la vanità.

Come sono belle le parole dette da Giobbe tra i malanni: Abbiate pietà di me, amici, abbiate pietà! ( Gb 19,21 ).

Non sono parole di supplica queste, ma di rimprovero.

Mentre infatti gli amici ingiustamente lo rimproverano, egli esclama: « Abbiate pietà di me, amici »: cioè: Voi dovete avere misericordia, mentre invece rimproverate e opprimete colui i cui dolori voi dovevate compatire, per amicizia.

Perciò, o figli, conservate l'amicizia con i fratelli, perché nulla in questo mondo c'è di più bello.

É un conforto in questa vita aver qualcuno cui aprire il cuore, cui svelare i segreti, cui manifestare i sentimenti del tuo petto.

Avrai così un uomo fedele, che nella fortuna si congratulerà con te, nella tristezza parteciperà al tuo dolore e nelle persecuzioni ti esorterà al bene.

Come erano buoni amici i fanciulli ebrei , che neppure la fiamma della fornace ardente seppe dividere ( Dn 3 )!

E come sono belle le parole di Davide: Saul e Gionata, belli e carissimi, inseparabili in vita, neppure in morte si sono separati ( 2 Sam 1,23 )!

Ma l'amicizia veramente fruttuosa non distrugge la fede.

Non può essere infatti amico di un uomo chi manca di fede verso Dio.

L'amicizia è custode della pietà, è maestra di uguaglianza: chi è superiore si mostra uguale a chi è inferiore, e viceversa.

Tra chi si comporta in modo troppo diverso non vi può essere amicizia; è perciò necessario che i due cerchino di assomigliarsi.

All'inferiore non manchi la stima e il riguardo, quando è necessario, né al superiore l'umiltà. Il primo lo ascolti come fosse uguale a lui; e l'altro lo ammonisca, lo rimproveri, non per essergli superiore, ma per intimo affetto.

L'ammonimento però non sia aspro, il rimprovero non sia oltraggioso; come infatti l'amicizia deve fuggire l'adulazione, così deve fuggire l'insolenza.

Chi altri è l'amico se non una persona unita nell'amore, al quale l'animo tuo si stringe e si fonde come volesse diventare una sola persona; a cui tu affidi tutto te stesso, da cui nulla temi e al quale nulla tu chiedi di disonesto per tuo vantaggio?

L'amicizia infatti non è fonte di guadagno, ma è piena di decoro e di grazia.

É una virtù, non un commercio: non è frutto di soldi, ma di amore; non è l'offerta di mercato che la crea, ma la reciproca benevolenza.

Così sono migliori per lo più le amicizie tra i poveri che tra i ricchi; e spesso i ricchi sono senza amici, mentre i poveri ne hanno molti.

Non vi è vera amicizia dove vi è adulazione, e con i ricchi generalmente ci congratuliamo esteriormente, ma verso il povero nessuno mostra affetti falsi.

É la verità che a lui si mostra, e l'amicizia con lui non conosce invidia.

Ambrogio, I doveri, 3,124-134

7. - Fare affidamento sugli altri

Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri.

Non aspirate a cose alte, ma sappiate adattarvi alle umili ( Rm 12,16 ).

Di nuovo si prende gran cura dell'umiltà, come all'inizio del suo discorso.

É probabile infatti che i romani fossero pieni di alterigia, sia per la loro città, sia per altri motivi.

Spesso perciò cerca di domare quella malattia, di reprimere quel bubbone.

Nulla infatti divide tanto il corpo della Chiesa quanto l'arroganza.

Ma che significa: « Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri »?

É giunto a casa tua un povero? Renditi in spirito simile a lui: non darti maggiore importanza per le tue ricchezze: non vi è né ricco né povero in Cristo.

Non lasciarti dunque prendere dalla vergogna per i suoi abiti esteriori, ma accoglilo per la sua fede intima; se poi vedi che piange, non ritenere cosa indegna di te consolarlo; se lo vedi invece contento, non arrossire di partecipare alla sua gioia e di rallegrarti con lui, ma ciò che senti di te, fa' di sentirlo anche di lui: « Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri ».

Per esempio: ti ritieni grande? Ritieni tale anche lui.

Ritieni lui povero e meschino? Fa' anche di te lo stesso calcolo, ed elimina ogni disuguaglianza.

Come avverrà ciò? Se elimini l'arroganza.

Per questo soggiunge: « Non aspirate a cose alte, ma sappiate adattarvi alle umili », cioè: abbassati alla loro meschinità, nata con loro, sta' in loro compagnia.

E non solo abbassati con loro nel tuo pensiero, ma porgi loro aiuto, tendi loro la mano, ma proprio di persona, come un padre che si cura del fanciullo, come il capo per il corpo; come è detto altrove: Ricordatevi dei carcerati come se foste loro compagni di carcere ( Eb 13,3 ).

L'Apostolo chiama qui umili non semplicemente quelli che sono di umile sentire, ma i miserabili, coloro che non sono tenuti in nessun conto.

Non ritenetevi da voi stessi saggi ( Rm 12,16 ), cioè non crediate di bastare a voi stessi.

Anche in un altro passo la Scrittura dice: Guai ai prudenti secondo loro stessi, ai sapienti ai loro propri occhi ( Is 5,21 ).

Per questo l'Apostolo attacca ancora l'arroganza, comprime l'enfiagione, il bubbone.

Nulla infatti distoglie e separa dagli altri quanto credere di bastare a se stesso: e per questo Dio ci ha posti nella necessità di aver bisogno degli altri.

Anche se sei intelligente, hai bisogno dell'altro; e se ritieni di non averne bisogno, sei il più sciocco e il più debole di tutti.

Chi ha questo atteggiamento, priva se stesso di ogni aiuto e nei suoi peccati non può usufruire né di correzione né di comprensione, e per la sua arroganza irriterà Dio e cadrà in molte colpe.

Avviene infatti, e avviene spesso, che anche chi è intelligente non capisce ciò di cui c'è bisogno, mentre invece chi è meno istruito comprende ciò che veramente quadra.

Così avvenne di Mosè e del suocero, così di Saul e del fanciullo, così di Isacco e Rebecca.

Non credere dunque di sminuirti se hai bisogno dell'altro.

Ciò piuttosto ti innalza, aumenta la tua forza, ti rende più luminoso e sicuro.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 23,2

EMP W-1. - La carità fraterna

Consideriamo quanto l'apostolo Giovanni ci raccomandi l'amore fraterno: Chi ama suo fratello, dice, dimora nella luce e in lui non c'è occasione di caduta ( 1 Gv 2,10 ).

É evidente che egli pone la perfezione della giustizia nell'amore dei fratelli, perché chi non ha in sé occasione di caduta, senza dubbio è perfetto.

E tuttavia sembra che l'Apostolo passi sotto silenzio l'amore di Dio, cosa che non farebbe mai se, nella carità fraterna stessa, non volesse intendere Dio.

Nella stessa lettera infatti, poco dopo questo passo, in maniera chiarissima dice così: Carissimi, amiamoci l'un l'altro perché la carità è da Dio.

E chi ama è nato da Dio e conosce Dio.

Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore ( 1 Gv 4,7-8 ).

Questo contesto dichiara con sufficiente chiarezza che questa stessa carità fraterna - perché carità fraterna è quella che fa sì che ci amiamo gli uni gli altri - non solo proviene da Dio, ma è Dio stesso.

E chi ce lo dice è un testimone autorevole.

Perciò quando amiamo nostro fratello nella carità, amiamo nostro fratello in Dio, perché non è possibile che non amiamo anzitutto quella carità, per mezzo della quale amiamo nostro fratello.

Deduciamo di conseguenza che questi due precetti non possono esistere uno senza l'altro.

Poiché infatti « Dio è amore », certamente ama Dio chi ama l'amore e - d'altra parte - chi ama suo fratello ama necessariamente l'amore.

Per questo poco dopo afferma: Non può amare Dio che non vede, chi non ama suo fratello che vede ( 1 Gv 4,20 ): il motivo per cui non gli riesce di vedere Dio è la mancanza d'amore verso suo fratello.

In effetti chi non ama suo fratello, non è nell'amore e chi non è nell'amore, non è in Dio, perché « Dio è amore ».

E ancora: chi non è in Dio, non è nella luce, perché Dio è luce e in lui non vi sono tenebre ( 1 Gv 1,5 ).

Cosa c'è di strano se uno che non è nella luce, non vede la luce, cioè non vede Dio, dal momento che si trova nelle tenebre?

Vede suo fratello semplicemente con lo sguardo umano, con cui non è possibile vedere Dio.

Se però questo fratello che vede con occhio umano, l'amasse con una carità spirituale, allora vedrebbe Dio, che è la stessa carità, con quello sguardo interiore che permette di vederlo.

Quindi chi non ama il fratello che vede, come può amare Dio che non può vedere, proprio perché Dio è amore e questo amore manca a colui che non ama suo fratello?

E non poniamoci più il problema di quanto amore dobbiamo dare al fratello e quanto a Dio: a Dio incomparabilmente più che a noi, al fratello invece quanto ne diamo a noi stessi.

Noi poi amiamo tanto più noi stessi, quanto più amiamo Dio.

Amiamo Dio e il prossimo di una sola e medesima carità: ma Dio lo amiamo per sé stesso, noi e il prossimo per Dio.

Agostino, La Trinità, 8,12

8. - L'aiuto reciproco

Qualche volta ci si accorge che un ricco è povero, e il povero gli offre qualcosa.

Ecco, a un fiume giunge un tale: è tanto delicato quanto è ricco: non può passare.

Se si denuda e guada, si raffredda, si ammala, muore.

Giunge un povero, più allenato.

Trasporta di là il ricco: fa l'elemosina al ricco.

Dunque, non considerate poveri solamente quelli che non hanno denaro.

Osserva in che cosa ciascuno è povero, perché tu forse sei ricco in ciò, e puoi aiutarlo.

Forse puoi aiutarlo con le tue membra, ed è più se tu lo aiutassi col denaro.

Ha bisogno di consiglio, e tu sei pieno di saggezza: egli in ciò è povero tu sei ricco.

Ecco, non fai fatica e non perdi nulla: dagli un buon consiglio e gli fai l'elemosina.

In questo istante, fratelli miei, mentre parlo a voi, voi siete come dei mendicanti davanti a noi: Dio si è degnato di dare a noi, e noi diamo a voi; tutti da lui riceviamo, che è il solo ricco.

Così dunque agisce il corpo di Cristo, così le sue membra si stringono e si uniscono nella carità e nel vincolo della pace; quando cioè chi ha, dà a chi non ha. In ciò che hai, tu sei ricco; e povero chi ciò non ha.

Così amatevi, così vogliatevi bene.

Non badate solo a voi stessi, ma pensate ai bisognosi che vi circondano.

E anche se in questa vita ciò esige fatica e dolore, non venite meno: seminate nelle lacrime, mieterete nella gioia.

Che dunque fratelli miei? Quando l'agricoltore ara, quando porta il seme, non è spaventato talvolta dal vento freddo o dalla pioggia?

Guarda il cielo e lo vede minaccioso; trema di freddo, tuttavia procede e semina.

Teme infatti che, aspettando un giorno sereno, passi il tempo e non si possa più seminare.

Non differite le buone opere, fratelli miei: seminate nell'inverno, seminate opere buone anche quando piangete, perché chi semina nelle lacrime, miete nel gaudio ( Sal 126,5 ).

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 126,13

9. - Riguardi nel trattare

Il vostro parlare, sia sempre cortese, condito con sale, tanto da sapere come abbiate a rispondere a ciascuno ( Col 4,6 ).

Dice che non sia pieno di ipocrisia: ciò non è cortesia, non è esser condito con sale.

Se è necessario ossequiare, senza pericolo, non ricusarlo; se si presenta l'occasione di una conversazione tranquilla, non considerarla adulazione.

Compi ogni atto necessario di deferenza, senza danno però per lo spirito religioso.

Non vedi come Daniele si mostra ossequioso verso un uomo empio?

Non vedi come i tre fanciulli si comportano con tanta saggezza di fronte al re, e parlano con libertà, e mostrano coraggio, ma non certo insolenza e temerità?

« Tanto da sapere come abbiate a rispondere a ciascuno ».

In un modo, cioè, a chi comanda e in un altro a chi è soggetto; in un modo al ricco e in un altro al povero.

E perché? Perché gli animi dei ricchi e dei governanti sono precisamente più deboli: più facilmente si gonfiano e si lasciano trasportare, sicché è necessario essere verso di loro più accondiscendenti.

Gli animi invece dei poveri e dei subalterni sono più forti e saggi; sicché si può usare maggiore libertà, mirando a una cosa sola: l'edificazione.

E non perché questo è ricco e quello povero, questo deve essere onorato di più e quello di meno; ma tenendo conto della debolezza, questo deve essere più sostenuto, quello meno.

Per esempio, se non c'è motivo, non dire che il pagano è empio e non oltraggiarlo; ma se qualcuno ti interroga sulle sue credenze, rispondi che sono empie e perverse; se nessuno poi interroga né ti costringe a parlare, non è opportuno crearsi alla leggera delle odiosità.

Che necessità c'è infatti di procurarsi inimicizie inutili?

E ancora: se stai catechizzando qualcuno, parlagli dell'argomento; altrimenti taci.

Se la tua parola è condita con sale, anche se cade su un'anima che si lascia facilmente trasportare, ne comprime la frivolezza; e anche se cade su un'anima aspra, ne leviga la durezza.

Sii cortese, non inopportuno; ma neppure debole: abbi serietà insieme con piacevolezza.

Chi infatti è severo oltre ogni misura, più che giovare, reca molestia.

E chi è esageratamente accondiscendente reca più danno che giovamento.

Perciò è necessario essere misurato in tutto, non essere triste e rannuvolato: è spiacevole; e neppure sfrenato: saresti disprezzato e calpestato.

Come l'ape, prendi il bene da una parte e dall'altra e fuggi il male: da una parte la gaiezza, dall'altra la gravità.

Se infatti il medico non tratta i corpi dei malati tutti allo stesso modo, tanto più lo deve fare il maestro.

E, in verità, il corpo sopporta più facilmente una medicina disadatta che l'anima un discorso disadatto.

Così, un pagano ti avvicina e ti diventa amico?

Non parlare con lui dell'argomento, fino a quando non ti è veramente amico, e quando lo sarà, a poco a poco.

Vedi come anche Paolo, quando giunse ad Atene, parlò loro?

Non disse: « O infami e scellerati », ma cosa?

O ateniesi, io vi trovo per ogni verso addirittura super-religiosi ( At 17,22 ).

D'altra parte quando era necessario inveire, non lo tralasciò, ma con grande veemenza disse a Elima: O tu, pieno di ogni frode e malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia … ( At 13,10 ).

Come infatti sarebbe stata sciocchezza inveire contro quelli, così sarebbe stata debolezza non inveire contro costui.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Colossesi, 11,2-3

10. - Partecipare alla gioia e al dolore

Godere con chi gode, e piangere con chi piange ( Rm 12,15 ).

Poiché è possibile benedire e non maledire pur agendo non per amore - ma Paolo vuole che noi siamo infiammati d'amore - perciò ha aggiunto questo: non solo dobbiamo benedire ma anche partecipare al dolore e alla sofferenza, se li vediamo precipitati nella sventura.

« Sì - si dice - è ovvio che abbia imposto di partecipare alle sofferenze di chi piange; ma l'altra parte della sua intimazione, perché ce l'ha imposta? Non è una grande cosa ».

Eppure proprio ciò richiede un'anima più saggia: godere con chi gode più che piangere con chi piange.

A questo è la natura stessa che ci indirizza, e nessuno ha un cuore così di pietra da non piangere con chi si trova nella sventura; ma l'altro è caratteristico invece di un animo veramente nobile, tanto che non solamente evita di invidiare chi è fortunato, ma ne prova gioia con lui.

Perciò Paolo ha posto innanzitutto questa prescrizione: nulla infatti spinge gli uomini ad amarsi tra loro, come il partecipare alle gioie e ai dolori.

Pertanto, quando ti trovi lontano dalle sofferenze, non essere al di fuori di ogni partecipazione al dolore, perché anche se è il prossimo tuo che soffre, tu devi far tua la sua disgrazia.

Prendi parte dunque alle lacrime, per rendere leggera la tristezza; prendi parte alla gioia, per rendere più radicata la letizia e più saldo l'amore.

E più che a lui gioverai a te stesso, perché piangendo ti renderai davvero misericordioso, e partecipando alla gioia ti purificherai dall'invidia e dal malanimo.

Vorrei che osservassi poi la moderazione di Paolo.

Infatti non ha detto: « libera dalla sventura », perché tu non risponda che spesso è impossibile; ma ti ha imposto qualcosa di ben più facile, di cui tu sei padrone.

Se non puoi togliere l'angoscia, versa le tue lacrime e ne avrai tolta la parte maggiore; se non puoi aumentare la felicità, mostrane letizia e gliene farai una grande aggiunta.

Per questo ci impone non solo di evitare l'invidia, ma anche, che è molto di più, di prender parte alla gioia: ed è molto più che non avere invidia.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 23,1

11. - « Sopportate i pesi gli uni degli altri! »

Sopportate i pesi gli uni degli altri ( Gal 6,2 ).

Poiché non è possibile che chi è uomo sia privo di difetti, Paolo ammonisce di non essere indagatori accurati dei falli altrui, ma di sopportare i difetti del prossimo, affinché anche i propri difetti siano sopportati dagli altri.

Come nella costruzione di una casa non tutte le pietre hanno la stessa sede, ma una è adatta per l'angolo e non per le fondamenta, l'altra per le fondamenta ma non per l'angolo, così è per il corpo della Chiesa.

E anche per il nostro corpo si può fare la stessa osservazione: una parte sostiene l'altra e non richiediamo da tutte le stesse cose.

Il contributo apportato in comune costituisce il corpo e l'edificio.

E così completerete la legge di Cristo ( Gal 6,2 ).

Non dice: « adempirete », ma: « completerete »: cioè adempirete tutti assieme, sostenendovi a vicenda.

Per esempio, uno è collerico, tu sei sonnolento: sopporta la sua impetuosità, affinché anche lui sopporti la tua neghittosità.

E così né lui peccherà, da te sostenuto, né tu errerai sorretto, nel tuo peso, da tuo fratello.

In tal modo, porgendovi la mano a vicenda ove potreste cadere, adempite in comune la legge, perché ciascuno, con la propria pazienza, adempie a ciò che al prossimo manca.

Ma se non fate così, se ciascuno vorrà indagare le colpe del prossimo, i vostri doveri non saranno mai adempiuti.

Come infatti se qualcuno richiedesse la stessa funzione da tutte le membra nel corpo, il corpo non potrebbe sussistere, così tra i fratelli vi sarà grande guerra se pretenderemo tutto da tutti.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Galati, 6,1

EMP I-25. - Affinché siano perfetti nell'unità

Dio, che è al di sopra di tutto, lui, il Padre del nostro Salvatore, darà a coloro che ne sono degni il regno che ha promesso; promessa confermata da Cristo in persona.

Questo regno dei cieli è il più grande di tutti i beni, in quanto Dio stesso si donerà a coloro che saranno sottomessi al Figlio suo; così Egli sarà tutto in tutti ( 1 Cor 15,28 ).

Il nostro Salvatore e Signore ce ne dà ancora una volta la testimonianza, allorquando rivolge a Dio suo Padre la sua grande preghiera per coloro che ama: Affinché siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, e io in te; che siano anch'essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato ( Gv 17,21 ) …

Nella sua grande preghiera sacerdotale, il nostro Salvatore chiede che noi siamo con lui là dove egli è, e che ne contempliamo la gloria.

Egli ci ama come il Padre suo lo ama, e desidera donarci tutto ciò che il Padre gli ha donato.

La gloria che riceve dal Padre suo, la vuole a sua volta donare a noi e fare di noi una cosa sola, affinché non continuiamo più ad essere una moltitudine informe, ma abbiamo tutti insieme a formare una unità, riuniti dalla sua divinità nella gloria del regno, non tanto nella fusione in una sola sostanza, ma nella perfezione, apice della virtù.

Questo è quanto Cristo ha proclamato, allorché disse: Affinché siano perfetti nell'unità!

Così, resi perfetti dalla saggezza, dalla prudenza, dalla giustizia, dalla pietà e da tutte le virtù di Cristo, noi saremo uniti nella luce indefettibile della divinità del Padre, divenuti noi stessi luce per mezzo della nostra unione con lui, e pienamente figli di Dio per la nostra partecipazione e unione spirituale al suo unico Figlio che ci rende partecipi dello splendore della sua divinità.

É in questo modo che noi diventeremo tutti un'unica cosa col Padre e il Figlio.

Poiché, come egli ha dichiarato che il Padre e lui sono un'unica cosa: Io ed il Padre, egli dice, siamo una sola cosa ( Gv 10,39 ), allo stesso modo egli prega perché noi, imitandolo, partecipiamo della stessa unità …

Si tratta di un'unità diversa da quella ipostatica che egli ha con il Padre: come il Padre ha reso il Figlio partecipe della sua gloria, così il Figlio stesso, a imitazione del Padre, comunicherà la sua gloria a coloro che ama.

La gloria che tu mi desti, io l'ho data a loro, affinché siano una sola cosa, come noi siamo una cosa sola.

Io in essi e tu in me; e così loro in noi ( Gv 17,22-23 ).

Il Padre e il Figlio sono una sola cosa nella loro gloria comune; gloria che Cristo dona ai suoi discepoli facendoli così entrare in quella stessa comunione.

Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, 3,18-19

12. - Esortazione alla fratellanza

Se davvero, fratelli, fossimo una cosa sola, se davvero credessimo di formare come un corpo umano e ritenessimo nostre viscere coloro che vanno perduti, nel digiuno, tra i gemiti e il pianto, senza posa grideremmo: « Signore salvaci! Periamo! ».

E cercheremmo di aiutare noi stessi nei nostri fratelli; non vedremmo un mare di sangue versato dalla spada sulla nostra terra, non sentiremmo parlare del naufragio di tanti corpi né di tante anime!

Noi grideremmo con umile voce: « Signore salvaci! Periamo ».

Eppure nessuna compassione, nessuna pietà, nessun timore, nessun pudore o compunzione vive in noi.

É un giudizio di Dio, proprio di Dio, che i mali ci opprimano, che veniamo sempre colpiti, che i pagani prevalgano, che cada la grandine, che la ruggine corroda, che l'empietà sia tanto potente, che i mali si diffondano, che la morte infuri, che la terra tremi?

Ma noi non tremiamo, non temiamo, non abbandoniamo il male e non cerchiamo il bene.

L'avarizia furoreggia, il lusso trionfa, I'iniquità piace, i beni altrui ci attirano, i nostri vanno in rovina.

Arrivano i flagelli di Dio, ma sono le nostre colpe che li provocano.

Se Dio è giusto, ha certo misericordia di noi.

Fratelli, ritorniamo al Signore, e Dio ritornerà da noi.

Rinunciamo ai mali perché torni tra noi il bene.

Serviamo Dio che è buono, per non servire ai popoli cattivi e ai poteri iniqui; con l'aiuto di Cristo, nostro Signore e nostra guida, il cui onore resta senza fine nei secoli dei secoli!

Pietro Crisologo, Sermoni sul Vangelo di Matteo, 19

13. - Sofferenza espiatrice per i fratelli

Ognuno, il quale crede in Cristo, sa che egli ha annientato i nostri peccati con la sua morte.

Ma intendiamo dimostrare dalla divina Scrittura che anche « i suoi fratelli », gli apostoli e i martiri, tolgono di mezzo i peccati dei santi.

Ascolta anzitutto la parola di Paolo: Quanto a me, ben volentieri consumerò tutto e consumerò me stesso per le anime vostre ( 2 Cor 12,15 ).

E altrove: Io infatti già vengo offerto in libagione, e si approssima il momento della mia dipartita ( 2 Tm 4,6 ).

L'Apostolo dice dunque che egli viene offerto come sacrificio e libagione per coloro cui scrive.

Ma la vittima viene immolata per cancellare i peccati di coloro per i quali viene uccisa.

E dei martiri l'apostolo Giovanni scrive nella misteriosa rivelazione: Le anime di coloro che furono messi a morte per il nome di Gesù stanno davanti all'altare ( Ap 6,9 ).

Ma chi sta davanti all'altare mostra con ciò stesso di compiere un ministero sacerdotale; ora, l'ufficio del sacerdote è quello di intercedere per i peccati del popolo.

Origene, Omelie sul libro dei Numeri, 10,2

14. - Imita i buoni, sopporta i cattivi e ama tutti

Unisciti ai buoni che vedi amare con te il tuo re.

Andando agli spettacoli, tu desideravi di essere vicino, di unirti a coloro che, con te, prediligevano un auriga, un lottatore contro le fiere, o un qualche particolare artista; quanta più gioia deve darti l'unione a coloro che con te amano Dio: chi lo predilige, non dovrà mai arrossire, perché egli non può essere vinto, non solo, ma rende invincibili anche coloro che lo amano.

Ma in questi buoni, che ti precedono o ti accompagnano a Dio, tu non devi riporre la tua speranza, perché neppure in te stesso puoi riporla, per quanto tu sia progredito in virtù; ma solamente in colui che con la sua opera giustificatrice ha salvato te e loro.

Sei sicuro di Dio, perché non muta; ma nessuno, se prudente, può essere sicuro dell'uomo.

Tuttavia, se dobbiamo amare anche coloro che non sono ancora santi, con quanto più ardore dobbiamo amare quelli che invece già lo sono?

Ma altro è amare l'uomo, altro riporre nell'uomo la propria speranza: sono cose tanto distinte che la prima Dio ce la comanda, la seconda ce la proibisce …

Unisciti dunque ai buoni, e li troverai facilmente, se anche tu sarai buono.

Così insieme dimostrerete onore e amore gratuito a Dio: e questo, perché egli sarà tutto il nostro premio, perché nella vita eterna godremo della sua bontà e bellezza.

Dobbiamo amarlo non come qualcosa che si vede con gli occhi, ma come si ama la sapienza, la verità, la santità, la giustizia, la carità e tutto ciò che, come queste, ha nome di virtù; e non nello stato in cui si trovano negli uomini, ma nello stato in cui si trovano nella stessa sorgente incorruttibile e immutabile della Sapienza.

Chiunque vedi che le ama, unisciti a lui, per riconciliarti a Dio tramite Cristo, che si è fatto uomo per essere mediatore tra Dio e gli uomini. Ma gli uomini perversi, anche se entrano tra le pareti della chiesa, non pensare che entreranno un giorno nel regno dei cieli, perché a suo tempo verranno separati, se non si miglioreranno.

Imita dunque i buoni, sopporta i cattivi e ama tutti: infatti, non sai cosa sarà in futuro colui che oggi è cattivo.

Ma non amare la loro ingiustizia, bensì amali affinché imparino la giustizia: infatti ci è stato comandato non solo l'amore di Dio ma anche l'amore del prossimo.

Agostino, Come catechizzare i principianti, 2,49.55

15. - Evita gli uomini, il cui influsso non ci rende migliori!

Evita, per quanto è possibile, la compagnia degli uomini il cui influsso non ci rende migliori e che adornano in modo sconveniente la loro pelle, siano essi fedeli, siano essi addirittura eretici.

Con la loro ipocrisia sono di danno, anche se i loro capelli grigi e le rughe del loro volto denunciano un'età matura.

Anche se non riuscissero a intaccare il tuo nobile carattere, se non altro tu li disprezzerai, e sarai così condotto a insuperbirti, a elevarti; ora, anche questo è danno per te.

Come ci si avvicina a una finestra luminosa se si vuole decifrare uno scritto a caratteri sottili, così anche tu cerca la compagnia di uomini e donne santi, perché alla stregua di loro tu possa scrutare e conoscere il tuo cuore, quando saresti leggero o sbadato.

Un volto fiorente sotto i capelli grigi, una veste pulita, un tratto modesto, un conversare cauto e letizia interiore ti saranno di sollievo se la tribolazione ti avrà colpito.

Il vestito dell'uomo, l'incedere dei suoi piedi e il sorriso dei suoi denti, testimoniano di lui, dice la Sapienza ( Sir 19,27: LXX ).

Palladio di Elenopoli, Vite dei santi padri

16. - Il rimprovero come dovere fraterno

Rimprovera il fratello, accetta l'inimicizia per amore a Cristo, per amore a lui stesso: impediscigli di precipitare nel baratro.

Partecipare alla mensa, a conversazioni cortesi, salutarsi, prender parte alla gioia, non è gran segno d'amicizia.

Questi doni porgeremo ai nostri cari: strapperemo la loro anima dall'ira di Dio, li solleveremo vedendoli giacere nel forno del vizio.

« Ma non si corregge », si dice.

Ma tu fa' ciò che è in te, e sarai scusato davanti a Dio.

Non nascondere il talento; per questo hai la ragione, per questo hai la bocca e la lingua: per correggere il prossimo.

Solo gli animali irragionevoli non si prendono cura del prossimo e non hanno nessun pensiero per gli altri: ma tu che chiami padre Dio e fratello il tuo prossimo, pur vedendo che commette mille colpe preferisci la sua benevolenza alla sua utilità? No, ti prego!

Nulla è segno di amicizia quanto non trascurare i fratelli che peccano.

Li vedi in discordia? Riconciliali!

Li vedi imbrogliare? Impedisciglielo!

Li vedi offesi? Difendili.

Non hai fatto del bene a loro, ma anzitutto a te.

Siamo amici per questo: per giovarci a vicenda.

In un modo si ascolta l'amico, in un modo l'estraneo: l'estraneo lo si sospetta facilmente e addirittura anche il maestro; ma l'amico, no davvero.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 18,4

17. - Gli uomini ingannano, Dio no

Capitano talvolta degli uomini che sembrano giusti e noi ci rallegriamo per loro; è doveroso anzi rallegrarcene, perché la carità senza gioia non può essere vera carità.

Ma se l'uomo scorge poi, come spesso capita, qualcosa di disonesto in coloro per i quali si era rallegrato, la letizia che essi gli davano si muta in altrettanta tristezza: tanto che da allora in avanti l'uomo ha timore di allentare le briglie alla gioia, ha paura di abbandonarsi alla letizia, per evitare, se scorge qualcosa di male, di cadere in una tristezza tanto maggiore, quanto più grande era stata la sua gioia.

Colpito dunque dai numerosi scandali, come da tante ferite, si è chiuso di fronte alla consolazione degli uomini, e la sua anima ha rifiutato di essere consolata.

E donde trae la vita? Donde trae sollievo? Mi sono ricordato di Dio e mi sono allietato ( Sal 77,4 ).

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 77,6

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