Teologia dei Padri

Indice

Persecuzione e martirio

1. - Anelito al martirio del vescovo Ignazio di Antiochia

Sto scrivendo a tutte le Chiese, e faccio sapere a tutti che io sono pronto a morire per Dio, se voi però non me lo impedite.

Vi scongiuro: non abbiate per me una pietà inopportuna.

Lasciate che io sia il pasto delle belve; solo così raggiungerò Dio.

Sono frumento di Dio e devo essere macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo.

Piuttosto accarezzatele, perché diventino il mio sepolcro, e non lascino nulla del mio corpo; e così, anche morto, non sarò di peso a nessuno.

Solo quando il mondo non vedrà più nulla del mio corpo, sarò un vero discepolo di Cristo.

Supplicate il Signore per me, affinché con quegli strumenti di morte sia un vero sacrificio a Dio.

Non vi comando come Pietro e Paolo: essi erano apostoli, e io un condannato; essi erano liberi, e io sono ancora uno schiavo; ma se soffro, diventerò liberto di Cristo, e risorgerò in lui come uomo libero.

Ora, in catene, imparo a non desiderare null'altro.

Sto già lottando con le fiere della Siria a Roma, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, cioè il plotone dei soldati.

Se li benefico, diventano peggiori.

I loro maltrattamenti sono per me un allenamento, ma non per questo sono giustificato.

Possa godere delle altre belve preparate per me; bramo che si gettino subito su di me!

Io le alletterò, perché mi divorino in un istante, e non succeda - come a qualcuno - che, intimorite, neppure lo toccarono; se si mostrassero restìe, io le costringerò con la forza.

Siate buoni! Io so cosa mi conviene!

Ora comincio a essere un vero discepolo.

Nessuna cosa visibile o invisibile mi impedisca di raggiungere Gesù Cristo.

Il fuoco e la croce, le belve e gli strazi, le ferite, gli squarci, le slogature, le mutilazioni, lo stritolamento di tutto il corpo, i più malvagi tormenti del demonio vengano su di me, purché io raggiunga Gesù Cristo!

Nulla mi gioverebbe tutto il mondo e tutti i regni di quaggiù, per me è meglio morire per Gesù Cristo, che essere re fino ai confini della terra.

Io cerco colui che morì per noi; io voglio colui che per noi risuscitò.

Il momento in cui sarò partorito è imminente!

Siate buoni fratelli! Non impedite la mia vita, non vogliate la mia morte.

Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio; lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là sarò veramente un uomo; lasciate che io imiti la passione del mio Dio.

Se qualcuno ha Dio nel cuore, comprenda quello che io voglio; e chi conosce la mia oppressione, abbia pietà di me!

Il principe di questo mondo vuole rovinarmi e sconvolgere il mio pensiero rivolto a Dio.

Nessuno di voi dunque, se allora sarà presente, lo aiuti.

Piuttosto tenete le mie parti, cioè le parti di Dio.

Non abbiate Gesù Cristo sulle labbra, e il mondo nel cuore; non vi sia in voi invidia.

E anche se allora vi dovessi supplicare, non obbeditemi; ma obbedite a ciò che ora vi scrivo: ora, nel pieno possesso della mia vita, vi scrivo che bramo di morire.

Il mio amore è crocifisso, e non vi è più in me un fuoco terreno; ma un'acqua viva mormora in me e mi dice dentro: « Vieni al Padre! ».

Non gusto più il cibo corruttibile dei piaceri della vita; voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, figlio di Davide, e voglio come bevanda il suo sangue, cioè l'amore incorruttibile.

Non voglio più vivere quaggiù; e questo avverrà se voi lo vorrete.

Vogliatelo, e così Dio vi vorrà bene! Vi ripeto in poche parole la mia supplica: « Credetemi! ».

Gesù Cristo, che è la bocca infallibile con cui il Padre ci ha veramente parlato, Gesù Cristo vi farà comprendere chiaramente con quanta sincerità io vi parlo.

Pregate per me, perché possa raggiungere la meta.

Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, 4-8

2. - Il gioioso sacrificio della vita nel martirio

Il vero gnostico, se chiamato, obbedisce facilmente e a colui che gli chiede il sacrificio del corpo lo offrirà con gioia, essendosi in antecedenza spogliato dalle passioni di questa carne.

Non oltraggia il suo persecutore, ma lo istruisce, credo, e lo persuade « da quale onore e quale pienezza di prosperità », come dice Empedocle, egli è venuto quaggiù per trattenersi con i mortali.

Davvero costui dà una solenne testimonianza: riguardo a se stesso, che è pieno di vera fede in Dio; riguardo al suo persecutore, che inutilmente ha combattuto colui che ha abbracciato la fede per amore; riguardo al Signore, che la sua dottrina è piena di persuasione, tanto che non la si abbandona neppure per timore della morte.

Conferma così con i fatti la verità della predicazione, mostrando la potenza di Dio, verso cui egli tende.

Hai da ammirare il suo amore, che egli fa chiaramente conoscere, unendosi pieno di riconoscenza ai suoi simili e addirittura sconcertando col suo sangue prezioso ( 1 Pt 1,19 ) i non credenti.

Egli non per timore, a causa della legge, evita di rinnegare Cristo, tanto da essere martire solo per paura, neppure per la speranza dei doni preparati traffica la sua fede, ma per amore del Signore abbandona con prontezza questa vita; forse è addirittura riconoscente a colui che gli dà l'occasione di dipartirsi da quaggiù e a colui che gli ha teso insidie, perché sono stati per lui l'occasione, che egli non si è procurata, di mostrare chi egli sia; cioè: nei confronti del persecutore, pieno di sopportazione; nei confronti di Dio, pieno di amore; per il quale amore era noto a Dio, che ne conosceva, ancor prima della nascita, il proposito di subire il martirio.

Con animo lieto, dunque, giunge al Signore, suo amico, per il quale volentieri ha dato il corpo e al quale, come i giudici si aspettavano ha rimesso l'anima; e sente dirsi « carissimo germano », per dirlo col poeta, dal nostro Salvatore, per la somiglianza della vita.

Noi chiamiamo il martirio « compimento » non perché l'uomo giunge alla conclusione della vita come tutti gli altri, ma perché dà prova di una compiuta opera di carità.

Anche i greci antichi lodano la fine dei caduti in guerra, non per raccomandare la morte violenta ma perché chi è caduto in guerra se n'è andato senza la paura di morire, perché, spogliato all'improvviso del corpo, senza le sofferenze d'animo e lo sfinimento interiore che gli uomini subiscono nelle malattie.

Essi infatti se ne vanno con debolezza femminea, pieni di compianto per la vita; perciò la loro anima non è pura, quando la emettono, ma porta con sé le proprie brame come pesi di piombo, ad esclusione di alcuni che si sono segnalati nella virtù.

Anzi, anche tra i caduti in guerra alcuni muoiono pieni di rimpianti, e in questo caso non vi è differenza alcuna che se fossero finiti per malattia.

Se poi professare fede in Dio è una testimonianza, ogni anima che si è data a una vita pura nella conoscenza di Dio e nell'obbedienza ai comandamenti, è martire, cioè testimone, nella sua vita e con le sue parole, qualunque sia il modo in cui se ne parte dal corpo, perché sparge la propria fede, come sangue, per tutta la vita, e anche al momento del decesso.

Dice il Signore nel Vangelo: Se qualcuno abbandonerà il padre o la madre o i fratelli e le parole che seguono: per il Vangelo e il mio nome ( Mt 19,20 ), è beato, perché ha dato non una semplice testimonianza, ma la testimonianza del vero gnostico, vivendo, per amore del Signore, secondo la regola del Vangelo.

Il senso di « nome » e la nozione di « Vangelo » non sono un semplice modo di dire, ma significano appunto la vera gnosi.

Egli infatti abbandona i suoi parenti di quaggiù, abbandona ogni sostanza e ogni possesso, perché vive libero da ogni passione.

« Madre » significa allegoricamente la patria e la terra nutrice e « padri » sono le leggi civili.

Di tutte queste cose il giusto, dall'animo elevato, pieno di riconoscenza, non deve fare nessun conto, per diventare amico di Dio e ottenere un posto a destra nel santuario, come fecero gli apostoli.

Clemente Alessandrino, Stromata, 4,13-15

3. - Lettera di conforto ai fratelli in prigione

Esulto di letizia e mi congratulo, fratelli fortissimi e beatissimi, avendo conosciuta la vostra fede e la vostra virtù, di cui la madre Chiesa si gloria.

Anche poco fa si è gloriata quando, per la perseverante confessione di fede, le fu imposta la pena che condannò all'esilio i confessori di Cristo.

Ma la presente confessione, quanto è più dura per i tormenti, tanto è più splendida e onorata: è cresciuta la lotta, è cresciuta anche la gloria dei lottatori.

La paura dei tormenti non vi ha ritardato alla battaglia, ma proprio dai tormenti siete stati alla battaglia eccitati, e vi siete slanciati, forti e costanti, al massimo cimento con animo pronto e devoto.

So che alcuni di voi già sono stati coronati, che altri sono vicini alla corona della vittoria, e che tutti, rinchiusi in carcere per una causa gloriosa, siete animati alla lotta da simile, da identico ardore di virtù, come si addice ai soldati di Cristo negli accampamenti di Dio: che le lusinghe non ingannino la forza incorrotta della fede, che le minacce non li atterriscano, che i dolori e i tormenti non li vincano, perché colui che è in noi è maggiore di colui che è in questo mondo, né è più potente ad abbattere la pena terrena, quanto lo sia ad erigere la divina tutela.

É un fatto, questo, attestato ormai dalla battaglia gloriosa dei fratelli che, fattisi condottieri degli altri per vincere i tormenti, diedero esempio di fede e di virtù, scesero in lotta finché la lotta stessa soggiacque vinta.

Con quali lodi mai vi esalterò, dunque, o fratelli fortissimi?

Con quale voce esalterò la forza del vostro petto e la perseveranza della vostra fede?

Avete sostenuto un esame durissimo fino alla pienezza della vostra gloria, e non avete ceduto ai supplizi, ma piuttosto i supplizi hanno ceduto a voi.

La vostra corona ha posto fine al dolore cui i tormenti non davano fine.

La orrenda tortura dura così a lungo, non per abbattere una fede incrollabile, ma per spedire più velocemente al Signore gli uomini di Dio.

La folla presente ammirò stupita la lotta celeste per Iddio, la battaglia spirituale per Cristo: vide stare i servi di lui con voce libera, con spirito incorrotto, con valore sovrumano, privi di armi mondane, ma armati delle armi di una fede sincera.

I torturati furono più forti dei torturatori, e le membra, colpite e lacerate, vinsero gli aculei che colpivano e laceravano.

E i colpi crudeli, a lungo ripetuti, non poterono superare la fede inespugnabile, per quanto, rotta la compagine delle viscere, non già le membra dei servi di Dio fossero torturate, ma le loro stesse ferite.

Scorreva il sangue per estinguere l'incendio della persecuzione, per spegnere col suo fiotto glorioso le fiamme crudeli della geenna.

Quale spettacolo per il Signore!

Quanto sublime, quanto grandioso, quanto agli occhi di Dio accetto per la fedeltà del suo soldato al giuramento!

Così sta scritto nei salmi, in cui lo Spirito Santo, ci parla e insieme ci ammonisce: É preziosa al cospetto di Dio la morte dei suoi giusti ( Sal 116,15 ).

É preziosa questa morte che ha acquistato l'immortalità al prezzo del sangue, che ha meritato la corona con il valore più alto.

Come fu lieto ivi Cristo, con che soddisfazione combatté in questi suoi servi il protettore della fede, colui che dà ai credenti quanto ciascuno crede di poter ricevere.

Fu presente alla sua lotta, sostenne i combattenti, assertori del suo nome, li corroborò, li animò.

Colui che per noi una volta sola ha vinto la morte, sempre vince in noi.

Quando vi consegneranno - ha detto - non pensate cosa dobbiate dire.

Non siete voi infatti che parlate, ma lo Spirito del Padre vostro, che parla in voi ( Mt 10,19-20 ).

La prova di ciò ci è stata data in questa lotta.

Una voce piena di Spirito Santo uscì dalle labbra di un martire, quando Mappalico [ martire, insieme ad altri compagni, durante la persecuzione di Decio; morì sotto tortura durante l'interrogatorio ] beatissimo, tra i tormenti, disse al proconsole: « Domani vedrai la lotta! ».

E ciò che egli disse a testimonianza di valore e di fedeltà, il Signore lo adempì.

Il servo di Dio sostenne la sua lotta celeste, e in essa ottenne la gloria promessa ai vincitori … sostenne dunque la prova, come aveva promesso, e ricevette la palma che aveva meritato.

Ora dunque io bramo, io esorto voi tutti di imitare questo martire beatissimo e gli altri partecipi alla sua gloria, suoi compagni stabili nella fede, pazienti nei dolori, vincitori nella prova: così coloro che furono uniti dal legame della confessione e dal soggiorno nel carcere, siano uniti anche dalla prova suprema e dalla corona celeste.

Voi stessi potrete così asciugare le lacrime della madre Chiesa, che piange la rovina e la morte di molti, con la gioia che le date, e potrete consolidare la fortezza dei cristiani fedeli con lo stimolo del vostro esempio.

Se vi chiamerà la battaglia, se verrà il giorno della vostra lotta, guerreggiate con forza, combattete con costanza, ben sapendo di lottare sotto gli occhi del Signore presente, e di giungere, con la confessione del suo nome, alla sua gloria: non solo guarda i suoi servi, ma lui lotta in noi, lui scende in campo, egli nella nostra battaglia dà la corona e la riceve.

Che se prima del giorno della vostra prova per indulgenza del Signore sopraggiungerà la pace, la vostra volontà tuttavia resta integra e la coscienza gloriosa.

Non si contristi nessuno tra voi, quasi minorato di fronte a coloro che, subiti i tormenti prima di voi, sono pervenuti al Signore sulla via gloriosa, dopo aver vinto e calpestato questo mondo.

Il Signore scruta le reni e il cuore, e vede i misteri e osserva le cose nascoste.

Per ottenere da lui la corona è sufficiente dare solo la testimonianza che egli ci indica.

Perciò, o fratelli carissimi, sono ugualmente sublimi e splendide due cose: la più sicura è affrettarsi al Signore dopo la vittoria; la più lieta è fiorire con onore nella Chiesa vivendo in essa dopo la gloria.

O beata Chiesa nostra, che l'onore della divina degnazione tanto illumina, che ai nostri tempi il glorioso sangue dei martiri illustra!

Prima era candida per le opere dei fratelli; ora si è fatta purpurea per il sangue dei martiri.

Ai suoi fiori non mancano né gigli né rose.

Combattano ora tutti per raggiungere la mirabile dignità di questo duplice onore: ricevano la corona, o candida per le opere, o purpurea per la passione.

Negli accampamenti del cielo, la pace e la guerra hanno i loro fiori per incoronare di gloria i soldati di Cristo.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 10 ( ai perseguitati dell'anno 250 )

4. - Lode del martirio

Abbiamo avuto, fratello Cipriano, grande gioia, grande consolazione e grande conforto, soprattutto perché tu hai celebrato con degni elogi non tanto la morte gloriosa, quanto piuttosto l'immortalità dei martiri.

Era doveroso che un simile trapasso fosse proclamato da tale voce, e così fossero esposti i fatti proprio come si svolsero.

Nella tua lettera abbiamo contemplato il glorioso trionfo dei martiri: quasi con i nostri occhi li abbiamo seguiti mentre ascendevano al cielo e li abbiamo ammirati assisi tra gli angeli, le potestà e le dominazioni celesti.

E abbiamo sentito, quasi con le nostre orecchie, il Signore rendere loro presso il Padre la testimonianza promessa.

Tutto questo, dunque, eleva ogni giorno più il nostro animo e ci infiamma nel desiderio di raggiungere un grado così eccelso di gloria.

Cosa mai di più glorioso, cosa mai di più felice può toccare a un uomo, dalla divina degnazione, che confessare intrepido il Signore Iddio tra gli stessi carnefici?

Che professare fedeltà a Cristo, Figlio di Dio con lo spirito libero, anche se sul punto di andarsene tra i tormenti vari e ricercati della crudele potestà secolare, col corpo slogato, tribolato e scarnificato?

Che abbandonare il mondo e dirigersi verso il cielo, che lasciare gli uomini e abitare tra gli angeli, che rompere tutti i legami del mondo e stare ormai libero al cospetto di Dio, che possedere ormai senza dubbio alcuno il regno dei cieli?

Che essere divenuto socio di Cristo nella passione per il nome di Cristo, che essersi reso, per divina degnazione, giudice dei propri giudici, che aver mantenuto la coscienza immacolata nella professione del nome cristiano, che aver rifiutato obbedienza a leggi umane, sacrileghe e contrarie alla fede, che aver attestato a gran voce, in pubblico, la verità, che aver sottomesso, morendo, la morte stessa da tutti temuta, che aver con essa acquistato l'immortalità?

Che aver superato i tormenti con gli stessi tormenti, cioè tribolati e lacerati da tutti gli strumenti di tortura, che aver resistito con la forza dell'animo a tutti i dolori del corpo dilaniato, che non essersi terrorizzati vedendo scorrere il proprio sangue, che aver sentito amore, dopo la confessione di fede, per i propri supplizi, che aver considerato ormai detrimento della vita lo stesso sopravvivere?

A questa battaglia quasi con la tromba del suo Vangelo ci eccita il Signore dicendo: Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me, e chi ama l'anima sua più di me non è degno di me, e chi non prende la sua croce e mi segue non è degno di me ( Mt 10,37-38 ); e ancora: Beati coloro che sopporteranno persecuzione per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati siete voi quando gli uomini vi avranno perseguitato e vi avranno odiato.

Godete ed esultate. In questo modo infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi ( Mt 5,10-12 ).

E: Starete di fronte ai re e ai presidi, e il fratello consegnerà a morte il fratello, e il padre il figlio, e chi avrà perseverato sino alla fine, costui sarà salvo ( Mt 10,18.21-22 ).

E: A chi vincerà concederò di sedere sopra il mio trono, come io ho vinto e siedo sopra il trono del Padre mio ( Ap 3,21 ).

Ma anche l'Apostolo: Chi ci separerà dall'amore di Cristo?

Il tormento, o l'angustia, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada?

Sta scritto infatti: Per te veniamo uccisi tutto il giorno, siamo considerati pecore da macello, ma tutto ciò noi superiamo per colui che ci ha amato ( Rm 8,35-37 ).

Lettera 31 dei confessori romani al vescovo Cipriano di Cartagine, 2-5

EMP N-36. - Non parlano ancora e già confessano Cristo

Cristo è nato come un bambino, lui, il grande re … i magi arrivano da lontano; vengono per adorare colui che è ancora adagiato nella mangiatoia e che regna in cielo e in terra.

Quando i magi annunciano la nascita di un re, Erode ha paura e, per non perdere il suo regno, decide di uccidere colui che gli avrebbe dato di regnare in pace quaggiù e senza fine nella vita eterna, se avesse creduto in lui.

Perché, Erode, hai paura di sapere che un re è nato? non è venuto per detronizzarti, ma per vincere il demonio.

Ma non comprendi, hai paura e infierisci.

Per prendere il solo bambino che cerchi, diventi il crudele assassino di molti.

Né l'amore materno delle mamme in lacrime, né il dolore dei padri che piangono i loro figli, né il grido e i gemiti dei bambini ti trattengono.

Massacri nel corpo quei piccoli, perché la paura ti uccide nel cuore.

E pensi, se arrivi allo scopo che ti sei prefisso, di poter vivere lungamente, dato che cerchi di uccidere la vita stessa.

Quella fonte di grazia, quel piccolo, quel grande che è adagiato in una mangiatoia, fa tremare il tuo trono.

Egli realizza il suo disegno per mezzo del tuo e a tua insaputa, e libera le anime dal potere del demonio.

Ha ricevuto i figli di ribelli tra i suoi figli di adozione.

Quei piccoli sono morti per Cristo senza saperlo, i loro genitori piangono la morte di martiri; non sapevano ancora parlare e Cristo li ha fatti suoi testimoni: ecco come regna questo re, opera già la liberazione e dona la salvezza.

Ma tu, Erode, ignori tutto questo, hai paura e divieni crudele.

E quando infierisci contro il Bambino, ti metti già al suo servizio, senza saperlo.

Infatti, questo grande re è venuto per riunire i suoi con l'aiuto tuo e di altri, e tu sei il primo a inviare davanti a lui verso il regno del cieli una numerosa schiera di bimbi vestiti di bianco.

Ce ne parla san Giovanni nell'Apocalisse: Vidi apparire una folla immensa che nessuno poteva enumerare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua, tutti biancovestiti e con delle palme in mano ( Ap 7,9 ).

Quale grande dono di grazia!

Per quali meriti questi bambini hanno guadagnato la vittoria?

Non parlano ancora e già confessano il Cristo.

Le loro membra non hanno ancora l'agilità che li renderebbe capaci di sostenere il combattimento, e già riportano la palma della vittoria.

Quodvultdeus, Discorsi, 2

5. - Numidico sfuggito alla morte

Devo darvi, fratelli carissimi, una notizia che deve infondere gioia a tutti e che è un'immensa gloria per la nostra Chiesa.

Sappiate dunque che la divina degnazione ci ha avvertito e intimato di ascrivere al numero dei presbiteri cartaginesi, perché vi segga con noi, il presbitero Numidico, illustre per la sua splendida confessione, sublime per l'onore acquistatosi con il valore e con la fede.

Egli, con le sue esortazioni, mandò avanti a sé un numero glorioso di martiri, uccisi dalle pietre e dalle fiamme, e vide lieto la sua sposa, stretta al suo fianco, con gli altri bruciata, o, direi meglio, conservata; egli, tutto ustionato e oppresso dalle pietre, fu abbandonato come morto.

Quando poco dopo sua figlia, con sollecito affetto e devozione filiale, ricercò il cadavere del padre, lo vide semivivo, lo estrasse e rifocillò, egli rimase staccato dai compagni che lui stesso aveva mandato avanti; ma, come vediamo, il motivo per cui rimase indietro fu perché il Signore lo voleva unire al nostro clero, e adornare con sacerdoti tanto gloriosi il nostro gruppo, desolato per la caduta di alcuni presbiteri.

Se Dio lo vorrà, sarà anche promosso a un grado maggiore nel suo servizio, quando, con l'aiuto del Signore, verremo costì di presenza.

Intanto, si faccia quello che qui si indica: accogliamo con riconoscenza questo dono di Dio, sperando dalla misericordia del Signore molti altri ornamenti simili, affinché, restituita forza alla sua Chiesa, egli faccia che nel nostro consesso fioriscano sacerdoti tanto miti e tanto umili.

Vi auguro, fratelli carissimi e desideratissimi, di stare sempre bene.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 40 ( al clero e alla comunità di Cartagine )

6. - Giudizio sui morti in carcere

Si abbia grande cura e grandi attenzioni anche per i corpi di tutti coloro che, sebbene non torturati, in carcere giungono al glorioso passo della morte.

Il loro valore infatti e il loro onore non sono troppo piccoli, perché anche essi non vengano annoverati fra i beati martiri.

Per quanto fu in loro, sostennero tutto ciò che erano pronti e preparati a sostenere.

Chi sotto gli occhi di Dio si è offerto ai tormenti e alla morte, ha sofferto tutto ciò che intendeva soffrire.

Non furono essi che vennero meno ai tormenti, ma i tormenti vennero meno a loro.

Chi mi confesserà davanti agli uomini, io lo confesserò davanti al Padre mio ( Mt 10,32 ), dice il Signore: essi lo hanno confessato.

Chi persevererà sino alla fine questi si salverà ( Mt 10,22 ); dice ancora il Signore: hanno perseverato, e hanno conservati integri e immacolati sino alla fine i loro meriti e il loro valore.

Sta scritto ancora: Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita ( Ap 2,10 ): sono giunti fino alla morte fedeli, saldi e inespugnabili.

Quando alla nostra volontà e alla nostra confessione di fede si aggiunge anche la morte in carcere e tra i ceppi, allora la gloria del martirio è perfetta.

Perciò prendete nota del giorno in cui essi ci lasciano, perché ci sia dato di celebrare il loro ricordo tra le memorie dei martiri.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 12 ( ai presbiteri e diaconi )

7. - Esortazione a guardarsi dallo scisma durante la persecuzione

Nessuno, fratelli, vi faccia deviare dalle strade del Signore.

Nessuno strappi voi, cristiani, dal Vangelo di Cristo; nessuno tolga alla Chiesa i figli della Chiesa.

Si rovinino solo coloro che vogliono rovinarsi, restino solo fuori della Chiesa coloro che si sono dalla Chiesa allontanati; non siano solo senza vescovi coloro che contro i vescovi si sono ribellati; sperimentino il castigo della loro congiura solo quelli che hanno meritato la condanna per la loro cospirazione e la loro malvagità, prima dal vostro voto, ora dal giudizio di Dio.

Il Signore nel Vangelo ci ammonisce dicendo: Avete rigettato il comandamento di Dio per stabilire la vostra tradizione ( Mc 7,9 ).

Coloro che rigettano il comandamento di Dio e si sforzano di stabilire la loro tradizione vengano da voi rigettati con forza e fermezza.

Basti ai lapsi una sola rovina! Nessuno, con le sue lusinghe, faccia precipitare costoro che desiderano risorgere.

Nessuno peggiori la loro situazione e deprima questi che giacciono, e per i quali noi preghiamo che si allevi la mano, il braccio di Dio.

Nessuno strappi ogni speranza di salvezza a questi moribondi che bramano di riottenere la salute.

Nessuno spenga ogni luce sulla via della salvezza a costoro che vacillano nelle tenebre della loro caduta.

Ce lo insegna l'Apostolo dicendo: Se qualcuno insegna altrimenti e non si attiene alle salutari parole del Signore nostro Gesù Cristo e alla sua dottrina, costui è pieno di orgoglio: tienti lontano da tale gente ( 1 Tm 6,3-5 ).

E ancora egli dice: Nessuno vi inganni con parole vane.

Per questo infatti venne l'ira di Dio sugli uomini caparbi.

Non abbiate dunque parte con loro ( Ef 5,6-7 ).

Non è dunque il caso che vi lasciate ingannare da parole vane e che cominciate ad aver parte alla loro pravità.

Allontanatevi da tal gente, vi supplico, attenetevi ai nostri consigli: noi ogni giorno innalziamo preci continue al Signore per voi, noi bramiamo che, per la clemenza del Signore, voi siate richiamati alla Chiesa; noi preghiamo da Dio la pace più piena, prima per la madre e poi per i suoi figli.

Alle nostre preghiere, alle nostre orazioni, aggiungete anche le vostre preghiere e orazioni; con i nostri gemiti, unite le vostre lacrime.

Evitate i lupi che separano le pecore dal pastore, evitate la lingua avvelenata del diavolo, che fin dall'inizio del mondo fu sempre fallace e menzognero: mentisce per ingannare, blandisce per nuocere, promette il bene per far del male, promette la vita per uccidere.

Anche ora le sue parole sono chiare e il suo veleno manifesto: promette la pace, perché non si possa raggiungere la pace.

Promette la salvezza, perché chi ha errato non raggiunga la salvezza.

Promette la Chiesa, per fare in modo che chi gli crede precipiti completamente fuori della Chiesa.

Ora è il momento, fratelli dilettissimi, in cui voi, che siete rimasti saldi, dovete perseverare e conservare sempre con forza la vostra gloriosa fedeltà dimostrata nella persecuzione; e voi che per le lusinghe dell'avversario siete caduti, in questa seconda tentazione dovete darvi davvero pensiero della vostra pace e della vostra speranza; e perché il Signore vi perdoni, non allontanatevi dai sacerdoti del Signore.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 43,5-7 ( ai cristiani di Cartagine )

8. - Pressante invito alla penitenza rivolto ai cristiani caduti durante la persecuzione

Ciascuno confessi - ve ne prego, fratelli carissimi - il suo delitto, fintanto che chi lo commise è ancora in vita, fintanto che si può accettare la sua confessione ed è grata al Signore la soddisfazione e la remissione elargita dal sacerdote.

Convertiamoci al Signore con tutta l'anima ed esprimendo con vero dolore il rimorso per il nostro delitto, supplichiamo la misericordia di Dio.

A lui l'anima si prosterni, a lui soddisfi la nostra tristezza, a lui si rimetta tutta la nostra speranza.

Egli stesso ci insegna come dobbiamo pregarlo, dicendo: Ritornate a me con tutto il cuore col digiuno, i gemiti, il pianto; e lacerate i vostri cuori, non i vostri vestiti ( Gl 2,12-13 ).

Ritorniamo a Dio di tutto cuore; plachiamo la sua ira e l'offesa con i digiuni, i gemiti, i pianti, come egli stesso ammonisce …

Se tu avessi perso qualcuno dei tuoi cari, perché giunto alla fine della vita, gemeresti con dolore e piangeresti, mostreresti i segni del tuo pianto nella faccia non curata, nella veste mutata, nei capelli trascurati, nell'aspetto rannuvolato e nel volto abbattuto.

E tu, misero, hai perso la tua anima, sei morto spiritualmente e hai cominciato a sopravvivere portando il tuo stesso cadavere; e non piangi acerbamente, non singhiozzi continuamente non ti nascondi o per vergogna della colpa, o per l'assiduità del lamento!

Ecco le peggiori ferite del peccato, ecco i delitti maggiori: peccare e non soddisfare, commettere il crimine e non piangerlo!

Questo fecero i miti, questo fecero i semplici, questo fecero gli innocenti per ingraziarsi la maestà di Dio; e ora rifiutano di soddisfare e pregare il Signore coloro che negarono il Signore!

Vi scongiuro, fratelli: accettate i rimedi salutari; obbedite ai consigli migliori; alle nostre lacrime, unite le vostre lacrime; al nostro gemito, aggiungete i vostri gemiti.

Vi preghiamo che ci sia concesso di pregare per voi Dio; a voi anzitutto rivolgiamo le nostre preghiere, perché ci sia dato di pregare il Signore che vi usi misericordia.

Fate piena penitenza e mostrate la mestizia di un animo dolente e affranto …

Considerate con dolore e penitenza i vostri peccati, riconoscete il peso gravissimo della vostra coscienza, aprite gli occhi del cuore per comprendere il vostro delitto e non disperate della misericordia del Signore, ma non pretendetene già da ora l'indulgenza.

Quanto è sempre indulgente e buono Dio, padre della misericordia, tanto ne dobbiamo temere la maestà di giudice.

Quanto gravemente abbiamo peccato, tanto amaramente ne piangiamo.

Alla piaga profonda, non manchi la cura diligente e diuturna.

La penitenza non sia minore al delitto.

Credi forse di poter in breve placare il Signore, che hai rinnegato con parole perfide, cui hai preferito preporre il tuo patrimonio, il cui tempio hai violato e profanato con il sacrilegio?

Pensi che facilmente abbia misericordia di te lui, che tu non hai voluto riconoscere tuo Dio?

Si deve pregare con più impegno e supplicare, passare il giorno nel lutto, trascorrere le notti in veglia e pianto, occupare tutto il tempo con lamenti e lacrime, giacere prostrati al suolo, rivoltarsi, col cilicio, tra la cenere e l'immondezza, non voler vestiti avendo perso la veste di Cristo, preferire il digiuno dopo aver gustato il cibo del diavolo, dedicarsi alle opere di giustizia, che ci mondano dai peccati, darsi spesso alle elemosine, che liberano l'anima dalla morte.

Cipriano di Cartagine, I caduti, 29-35

9. - Riammissione dei caduti alla comunione ecclesiale

Come spesso hanno fatto i nostri predecessori, anche il nostro carissimo fratello Cornelio ( vescovo di Roma ) ha sentito la necessità di riaccogliere i fratelli.

Con Trofimo si era allontanata una parte notevolissima di popolo; ora che Trofimo è ritornato alla Chiesa, ha dato soddisfazione, ha confessato il suo errore supplicando di farne penitenza e ha richiamato con piena umiltà tutti i fratelli che aveva trascinato via con sé, le sue suppliche sono state accolte ed è stato riammesso alla Chiesa del Signore; ed è stato riammesso non tanto Trofimo solo, quanto il numero enorme di fratelli che stavano con lui e che non sarebbero usciti dalla Chiesa se non si fossero a lui uniti.

Dopo un consesso ivi ( a Roma ) tenuto con molti colleghi d'episcopato, Trofimo fu riaccolto, essendo sufficiente soddisfazione il numero dei fratelli ritornati e la salvezza a molti restituita.

Tuttavia, egli è stato riammesso alla comunione come laico, e non, secondo quanto ti riferiscono lettere di uomini maligni, come se occupasse la dignità episcopale.

Anche quello che ti è stato riferito circa Cornelio, che riammetterebbe indiscriminatamente alla comunione coloro che hanno sacrificato, deriva sempre dalle false voci sparse dagli apostati.

Non possono lodarci certo coloro che da noi si sono allontanati, e non dobbiamo aspettarci di piacere a coloro che con grande nostro dispiacere si ribellano alla Chiesa e insistono violentemente a strappare da essa i fratelli.

Qualsiasi cosa dunque ti venga riferita su Cornelio e su me, non ascoltarla facilmente, né crederla, fratello carissimo.

Se qualcuno cade ammalato, gli si viene incontro nel pericolo, come è stato stabilito.

Ma dopo che abbiamo aiutato e abbiamo dato la pace a coloro che sono in pericolo di vita, non possiamo certo soffocarli, o strozzarli o accelerare violentemente la loro morte, perché, essendo stata data loro la pace mentre erano morenti, non è detto che senz'altro muoiano: è un segno evidente piuttosto, della divina bontà e della paterna clemenza se, così riconciliati, tornano in vita.

Perciò, se ottenuta la pace, Dio concede loro un altro tratto di vita, nessuno ne deve far colpa ai vescovi, essendosi deciso una volta per sempre di soccorrere i fratelli in pericolo di vita.

E non credere, fratello carissimo, come alcuni ritengono, che si debbano equiparare i libellatici a coloro che hanno sacrificato, se perfino tra questi ultimi le cause e le circostanze spesso sono notevolmente diverse.

Non si può infatti mettere sullo stesso piano colui che corse subito spontaneamente verso il sacrificio obbrobrioso, e colui che, dopo aver resistito e preso gran tempo, giunse per necessità a questo atto funesto; fra colui che abbandonò al male sé e tutti i suoi, e colui che si espose al pericolo per tutti i suoi e che con un patto protesse, col suo rischio, la moglie, i figli e tutta la sua casa.

Fra colui che spinse gli inquilini e gli amici al delitto e colui che sottrasse al pericolo gli inquilini e i coloni, che accolse sotto il suo tetto i fratelli che in gran numero giungevano esiliati e profughi, mostrando così al Signore e offrendogli molte anime vive e incolumi che avrebbero pregato per una sola anima ferita.

Essendoci dunque molta diversità fra gli stessi che hanno sacrificato, che inclemente, che acerba durezza è confondere con essi anche il libellatico, cioè colui che è riuscito ad ottenere un falso attestato di aver sacrificato; egli potrebbe dire: « Avevo letto e avevo appreso dalla voce del vescovo che il servo di Dio non deve sacrificare agli idoli e ai simulacri, e perciò, per non fare quello che non mi era lecito, essendosene offerta un'occasione, che io non avrei cercato se non si fosse offerta, mi recai dal magistrato - o incaricai qualche altro che vi si recava - dicendo che sono cristiano, che non mi è lecito sacrificare e presentarmi davanti all'altare del demonio, e che gli versavo una somma per non essere costretto a fare ciò che non mi è lecito ».

Ora, costui che si è macchiato per aver ottenuto la falsa attestazione, se viene a sapere che noi proclamiamo non essergli stato lecito fare neppure ciò e che la sua coscienza si è macchiata, sebbene la sua mano si sia conservata pura e la sua bocca non abbia subìto il contagio di cibi profani, certo udendoci piangerà e si lamenterà, e solo ora avrà coscienza di peccato, e protesterà di essere stato travolto non tanto dal delitto quanto dall'errore, e che si sente pronto e agguerrito per il futuro.

Se non accettiamo la penitenza di costoro che hanno coscienza di aver commesso una colpa leggera, subito essi saranno attratti dal demonio nell'eresia o nello scisma, insieme con la moglie e con i figli che essi pur hanno conservato incolumi, e nel giorno del giudizio ci si imputerà di non aver curato la pecora ferita e di aver così perduto molte pecore sane; e mentre il Signore abbandonò le novantanove pecore sane e cercò l'unica pecorella perduta e affaticata, e vistala se la pose sulle spalle, noi non solo non cerchiamo gli erranti, ma li allontaniamo quando vengono da noi; e mentre i falsi profeti non cessano di devastare e lacerare il gregge di Cristo, noi diamo occasione ai cani e ai lupi che, per la nostra durezza e disumanità, vadano perduti coloro che non furono travolti dalla infausta persecuzione.

Ma dove è, fratello carissimo, quello che dice l'Apostolo: Piaccio a molti in molte cose, cercando non ciò che è utile a me, ma a molti, perché si salvino.

Siate miei imitatori, come io di Cristo ( 1 Cor 10,33-11,1 ) e ancora: Mi sono fatto debole tra i deboli per conquistare i deboli ( 1 Cor 9,22 ), e inoltre: Se un membro patisce, tutte le altre membra patiscono con lui; e se un membro gioisce, gioiscono con lui tutte le altre membra ( 1 Cor 12,26 ) …

Non pensiamo che siano morti coloro che vediamo feriti dalla persecuzione funesta: giacciono tra la vita e la morte; se fossero morti completamente, nessuno di loro dopo ciò diventerebbe martire o confessore.

In loro vive qualcosa che, con la susseguente penitenza, può rinvigorirsi sino alla fede: con la penitenza il loro animo può rafforzarsi fino alla virtù.

Ma ciò non è possibile se qualcuno viene meno per la disperazione, se allontanato con durezza e crudeltà dalla Chiesa ritorna alla strada dei pagani e alle opere di questo mondo, oppure, rigettato da noi, passa tra gli eretici e gli scismatici, ove, anche se ucciso per il nome cristiano non potrà essere coronato nella morte, perché fuori della Chiesa, diviso dall'unità e dalla carità.

Abbiamo stabilito perciò, fratello carissimo, di esaminare con cura il caso dei singoli libellatici e di riammetterli ( nella comunità ); e invece di soccorrere in caso di morte coloro che hanno sacrificato, perché presso gli inferi non vi è conversione e nessuno può essere da noi spinto a penitenza se si toglie il frutto della penitenza.

Se verrà la lotta prima della sua morte, lo vedremo forte, armato per la prova; ma se prima della lotta lo assalirà una malattia mortale, egli se ne partirà da questo mondo con la consolazione della pace e della comunione ecclesiale.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 55,11-17 ( al vescovo di Antoniano di Numidia )

10. - Inno di riconoscenza per la fine della persecuzione

Ecco, fratelli carissimi, la pace è stata restituita alla Chiesa e - ciò che or ora sembrava difficile agli increduli e impossibile ai perfidi - la nostra sicurezza, per opera e per vendetta divina, è stata restaurata.

Gli animi tornano in letizia, si è allontanata la tempesta e la nube opprimente, rifulge una tranquilla serenità.

Dobbiamo lodare Dio, celebrare i suoi benefici e i suoi doni con inni di gratitudine, quantunque la nostra voce non abbia cessato di farlo neppure nella persecuzione.

Mai infatti il nemico può avere tanta licenza di impedire a noi, che amiamo il Signore con tutto il cuore, l'anima e le forze, di annunziare con gloria le sue benedizioni e le sue lodi, ovunque e sempre.

É venuto il giorno ardentemente bramato da tutti e, dopo l'orribile e tetra caligine di una lunga notte, il mondo risplende radioso nella luce del Signore.

Fissiamo i nostri sguardi lieti sui confessori, rifulgenti per questo titolo insigne e gloriosi per la lode che merita la loro virtù e la loro fede; li stringiamo nel bacio santo, li abbracciamo con brama insaziata, avendoli a lungo desiderati.

É qui la schiera candida dei soldati di Cristo, che ruppero, in salda formazione, la ferocia turbolenta della persecuzione opprimente, pronti a soffrire il carcere, armati per tollerare la morte.

Avete combattuto fortemente contro il mondo, avete offerto uno spettacolo glorioso a Dio, siete stati di esempio ai fratelli che verranno.

La vostra voce fedele ha parlato di Cristo, confessando di aver creduto in lui una volta per sempre.

Le vostre nobili mani, esercitate solo in opere divine, hanno resistito ai sacrifici sacrileghi.

La vostra bocca, santificata dai cibi celesti, essendosi saziata del corpo e del sangue del Signore, ha rifiutato il contagio profanatore con i resti dei sacrifici idolatrici.

Il vostro capo è rimasto libero dal velo empio e scellerato, con cui là si coprivano i capi prigionieri dei sacrificanti.

La vostra fronte pura, segnata dal segno di Dio ( cioè dal segno di croce ), non ha potuto sopportare la corona del diavolo, riservandosi per la corona del Signore.

Con quale letizia la madre Chiesa accoglie nel suo seno voi, che tornate dalla battaglia!

Con quale gioia, con quale gaudio apre le sue porte, perché entriate a schiere ordinate, portando il trofeo del nemico sconfitto!

Con questi uomini trionfanti vengono anche le donne, le quali, combattendo contro il mondo, hanno vinto anche il loro sesso.

Vengono, nella doppia gloria della loro milizia, le vergini, e pure i fanciulli che hanno superato con le virtù i loro anni.

Ma anche tutta la folla dei fedeli rimasti saldi imita la vostra gloria, segue le vostre tracce, insigne per meriti ai vostri simili, anzi, quasi congiunti; identica è in loro la schiettezza di cuore, identica l'integrità della fede tenace.

Fissi alle radici inconcusse dei precetti celesti e sostenuti dalle tradizioni evangeliche, non ebbero paura dell'esilio loro comminato, dei tormenti loro destinati, del danno patrimoniale e dei supplizi corporali.

Si stabiliva un giorno per mettere a prova la fede; ma chi sa di aver rinunziato al mondo non conosce nessun giorno del mondo: non calcola i giorni terreni chi spera da Dio l'eternità.

Nessuno, fratelli dilettissimi, nessuno mutili questa gloria, nessuno sminuisca, con maligne insinuazioni, la salvezza incorrotta dei fratelli rimasti fedeli.

Passato il giorno stabilito per negare la fede, chiunque entro quel giorno non ha fatto la propria dichiarazione, ha professato di essere cristiano.

Primo titolo di vittoria è che, agguantato dalle mani dei pagani, uno confessi il Signore; il secondo gradino alla gloria è che, sottrattosi agli sgherri con cauta fuga, uno si preservi per il Signore.

Quella è una professione pubblica, questa è privata.

Quegli vince il giudice di questo secolo, questi si accontenta di custodire la coscienza pura e l'integrità di cuore per Dio suo giudice.

Ivi la fortezza è più pronta, quivi la sollecitudine è più sicura.

Quegli, all'avvicinarsi della sua ora, è già stato trovato maturo; questi forse ha cercato una dilazione, e ha abbandonato i propri beni, proprio per non voler negare: anch'egli avrebbe professato certo la propria fede se fosse stato arrestato.

Questa celeste corona dei martiri, questa gloria spirituale dei confessori, questa grandissima, esimia virtù dei fratelli rimasti saldi sono turbate da una sola tristezza: che cioè il violento nemico ha strappato una parte dei nostri visceri e l'ha gettata a terra con la sua strage distruggitrice.

Che cosa devo fare a questo punto, fratelli dilettissimi?

Sono turbato dall'ardore di sentimenti contrastanti: cosa devo dire?

E in che modo? C'è più bisogno di lacrime che di parole, per esprimere il dolore con cui piangere la piaga inferta al nostro corpo, con cui lamentare la grave iattura subita dal popolo, una volta tanto numeroso.

Chi è tanto duro e ferreo, chi tanto dimentico della carità fraterna, da riuscire a tener gli occhi asciutti tra la molteplice rovina dei suoi, tra i loro avanzi lugubri e deformi per lo squallore, esprimere il proprio dolore, per il pianto irrompente, prima con le lacrime che con la voce?

Io soffro, o fratelli, soffro con voi, e per lenire questo mio dolore non serve la mia integrità o la mia salvezza privata, perché il pastore è maggiormente colpito dalla ferita del suo gregge.

Mi unisco di cuore a ciascuno di voi, partecipo al vostro gravame drammatico di lacrime e di lutto.

Piango con chi piange, singhiozzo con chi singhiozza; con chi è a terra, anch'io mi sento a terra.

Con le sue frecce rovinose il nemico ha percosso anche le mie membra, le sue spade feroci sono passate nelle mie viscere.

Il mio animo non ha potuto restar libero e immune dagli attacchi della persecuzione: l'affetto mi ha abbattuto tra i fratelli abbattuti.

É necessario tuttavia, fratelli dilettissimi, tenersi fermi alla verità; la mente e il senso non devono esser rimasti accecati dalla nebbia tenebrosa della persecuzione ostile, tanto che non sia rimasta in loro un po' di luce e di chiarore, in cui possano vedere i divini precetti.

Se si conosce la causa della strage, si trova anche la medicina per la ferita.

Il Signore ha voluto mettere alla prova la sua famiglia: la lunga pace aveva corrotto l'osservanza divinamente tramandataci, perciò il castigo celeste ha risvegliato la fede giacente e, per così dire, addormentata.

E quantunque noi meritassimo ben peggio per i nostri peccati, il Signore clementissimo ha moderato tutte le cose, tanto che tutto l'accaduto può sembrare più una prova che una persecuzione.

Cipriano di Cartagine, I caduti, 1-5

11. - Eroico coraggio del vescovo di Roma Cornelio nella persecuzione

Abbiamo conosciuto, fratello carissimo, le testimonianze gloriose della vostra fede e virtù e abbiamo accolto con tanta esultanza la notizia gloriosa della vostra confessione, da considerarci noi stessi soci e partecipi dei vostri meriti e delle vostre lodi.

Infatti, appartenendo noi a una Chiesa, essendo il nostro spirito unito, vivendo noi in stretta concordia, perché un vescovo non deve congratularsi della gloria di un suo collega come se fosse propria?

Quali fratelli non si allietano ovunque per il gaudio dei fratelli?

Non si può esprimere quanta esultanza ci fu tra noi, e quanta letizia, quando venimmo a conoscere le vostre azioni ricche e forti, quando seppimo che tu fosti condottiero dei fratelli nella confessione, o meglio, che la confessione del condottiero crebbe per il consenso dei fratelli: tu vai avanti verso la gloria e ti fai in essa molti compagni, persuadendo il popolo intero a farsi confessore di Cristo, mostrandoti, primo di tutti, preparato alla confessione.

Non troviamo perciò cosa sia maggiormente da predicare in voi, se cioè la tua fede pronta e stabile, o la carità inseparabile dei fratelli.

Ha dato pubblica prova di sé il valore del vescovo che tutti ha preceduto, e si è mostrata in pieno la coesione della comunità che lo ha seguito.

In voi vi è un solo animo e una sola voce: tutta la Chiesa romana ha confessato il Cristo.

Si è mostrata in tutto il suo fulgore, fratello carissimo, la fede vostra, che già il beato Apostolo aveva predicato.

Già da allora prevedeva in spirito questo valore glorioso e questa fermezza robusta e con una parola profetica attestava i vostri meriti: lodando i genitori eccitava i figli.

Mostrandovi così unanimi, mostrandovi così forti, avete dato a tutti gli altri fratelli grandi esempi di unanimità e fortezza.

Avete insegnato loro come temere profondamente Dio, come aderire saldamente a Cristo, come il popolo deve unirsi, nel pericolo, ai vescovi, come nella persecuzione i fratelli non devono separarsi dai fratelli, e anche come la concordia di tutti uniti non può essere vinta e come il Dio della pace elargisce agli amanti della pace tutto ciò che insieme chiedono.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 60,1-2 ( a Cornelio, vescovo di Roma )

12. - Lettera consolatoria ai confessori condannati alle miniere

La vostra gloria richiedeva certo, fratelli beatissimi e dilettissimi, che io venissi di persona a vedervi e abbracciarvi, ma anche me la confessione del nome cristiano tiene relegato in precisi e angusti limiti di spazio.

Ma, come posso, mi raffiguro di essere tra di voi e se non mi è dato di venire col corpo, coi piedi, vi vengo tuttavia in amore e in ispirito, esprimendo in questa lettera il mio animo, con quanta letizia cioè io esulto per questo vostro valore e questa vostra gloria.

Invero mi ritengo compagno vostro, se non nel dolore del corpo, certo in forza della comunione d'amore.

Come potrei tacere e come potrei reprimere nel silenzio la mia voce, conoscendo, miei carissimi, le vostre imprese così molteplici e gloriose, di cui la divina degnazione vi ha onorati, tanto che una parte di voi è già andata avanti, ha consumato in pieno il martirio per ricevere dal Signore la corona dei propri meriti, e l'altra parte, invece, è trattenuta ancora nelle celle dei carceri o tra i ceppi delle miniere, offrendo così, proprio col ritardo dei supplizi, un così grande esempio per rafforzare e armare i fratelli?

Così, proprio così, attraverso la maggior durata dei tormenti, essi si avviano a maggiori titoli di merito, per avere in cielo tanta ricompensa quanti sono i giorni che contate tra le pene.

Per il merito della vostra pietà e della vostra fede, non mi meraviglio, o fratelli fortissimi e beatissimi, che proprio voi il Signore abbia elevato al sublime fastigio della gloria, onorandovi col suo splendore; proprio voi, che nella sua Chiesa vi mostraste vigorosi nel custodire la fede, osservando con forza i precetti divini, conservando l'innocenza nella semplicità, la concordia nella carità, la modestia nell'umiltà, la diligenza nell'amministrazione, la vigilanza per aiutare gli affaticati, la misericordia per soccorrere i poveri, la costanza nel difendere la verità, l'esattezza nell'austera disciplina.

E perché nulla mancasse all'esempio delle vostre buone opere, ora incitate l'animo dei fratelli al divino martirio con la confessione della vostra voce e la passione del vostro corpo, mostrandovi a noi guide alla virtù; così il gregge, seguendo i suoi pastori e imitando ciò che vede fare dai suoi capi, sarà coronato dal Signore, per il suo servizio, di meriti uguali.

Che voi all'inizio siate stati gravemente colpiti e tormentati dai flagelli e che proprio con la pena della flagellazione abbiate dato pio inizio alla vostra confessione, non ci pare affatto cosa spregevole.

Infatti il corpo cristiano non paventa i flagelli, perché la sua speranza è tutta nel legno.

Il servo di Cristo ha riconosciuto il mistero della sua salvezza: redento dal legno ( della croce ) per mezzo del legno ( dei flagelli ) è stato innalzato alla corona.

E che c'è di strano se, vasi d'oro e d'argento ( 2 Tm 2,20 ), voi siete stati posti nella miniera, cioè nella casa dell'oro e dell'argento?

Se non che ora la natura delle miniere si è mutata: i luoghi che prima solevano dare oro e argento, hanno incominciato ad accoglierlo.

E hanno stretto i vostri piedi fra i ceppi e hanno legato con vincoli infami le vostre membra felici, templi di Dio, come se col corpo si potesse legare lo spirito, o che il vostro oro si potesse macchiare al contatto del ferro!

Per uomini dedicati a Dio, attestanti con religioso valore la loro fede, questi sono ornamenti, non ceppi, e non avvincono i piedi dei cristiani in segno di infamia, ma li glorificano con lo splendore della corona.

O piedi, al presente legati in questo mondo, per essere sempre liberi presso Dio!

O piedi, ora vacillanti per i ceppi e le catene, ma che correranno celermente a Cristo sulla strada di gloria!

Vi stringa qui quanto vuole l'invidia o la maligna crudeltà con i suoi legami e con i suoi vincoli, presto voi, da questa terra e da queste pene, perverrete ai regni dei cieli.

Nelle miniere il corpo non ha il conforto del letto e dei cuscini, ma ha il conforto del refrigerio e della consolazione di Cristo.

Giacciono a terra le membra affrante dalla fatica, ma non è una pena giacere con Cristo.

Le membra, prive di bagno, si fanno squallide e ripugnanti per la sporcizia del luogo, ma dentro lo spirito si purifica quando fuori la carne si insozza.

Il pane ivi è poco, però non di solo pane vive l'uomo, ma della parola di Dio ( Lc 4,4 ).

Manca il vestito a chi ha freddo, ma chi ha indossato Cristo è vestito bene e con eleganza.

Si arruffano i capelli sul capo semirasato, ma essendo Cristo capo dell'uomo, necessariamente è adorno qualunque capo è insigne per il nome del Signore.

Tutta questa trasformazione è orrenda e detestabile per i pagani, ma con quale splendore sarà ricompensata!

Questa pena, presente e breve, in quale premio di onore splendido ed eterno sarà mutata, quando, secondo la parola del beato Apostolo, il Signore trasformerà il corpo della nostra umiltà, conformandolo al suo corpo glorioso ( Fil 3,21 ).

E nemmeno, fratelli dilettissimi, può in qualche modo soffrire la vostra devozione e la vostra fede per il fatto che costì ai sacerdoti di Dio non è concessa la facoltà di offrire e celebrare i sacrifici divini.

Anzi, celebrate e offrite a Dio un sacrificio prezioso e glorioso insieme, che immensamente vi gioverà per la ricompensa dei premi celesti, perché la Scrittura parla e dice: Sacrificio a Dio è uno spirito tribolato il cuore contrito e umiliato Dio non lo disprezza ( Sal 51,19 ).

Questo sacrificio voi offrite a Dio, questo sacrificio celebrate incessantemente giorno e notte, voi che siete diventati ostie per Dio e che gli offrite voi stessi quali vittime sante e immacolate, come l'Apostolo ci esorta dicendo: Vi supplico perciò, fratelli per la misericordia di Dio, che facciate del vostro corpo un'ostia viva, santa, accetta a Dio, e che non vi conformiate a questo mondo, ma vi trasformiate nel rinnovamento della mente, per provare quale sia la volontà di Dio, che è buona, gradita, ed è perfetta ( Rm 12,1-2 ).

Questo è ciò che principalmente piace a Dio, questo è ciò in cui le nostre opere profittano maggiormente per ottenere la benevolenza divina, questo solo è ciò che l'ossequio della nostra fede e devozione può rendere al Signore per i suoi benefici grandi e salvifici, come attesta lo Spirito Santo nei salmi, annunciando: Che cosa restituirò al Signore di tutto ciò che mi ha dato?

Prenderò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.

Preziosa al cospetto del Signore la morte dei suoi giusti ( Sal 116,12-15 ).

Chi non prenderà con prontezza e gioia il calice della salvezza?

Chi non aspirerà gioioso e lieto a ciò che egli può in qualche modo restituire al Signore?

Chi non accetterà con forza e costanza la morte preziosa al cospetto di Dio, per piacere agli occhi di colui che nella lotta per il suo nome ci guarda dall'alto, approva i volonterosi, aiuta chi combatte, corona chi vince, rimunerando con il premio della sua bontà e pietà paterna ciò che egli in noi ha operato, e onorando ciò che egli ha compiuto? …

E ora, fratelli dilettissimi, che ardore per la coscienza vincitrice, che sublimità di spirito, che esultanza intima, che trionfo in cuore, sapere che ciascuno di voi ha la sua parte al premio promesso da Dio, è sicuro per il giorno del giudizio, cammina nella miniera prigioniero, certo, con il corpo, ma regnando nel cuore; saper che Cristo è presente e gode per la pazienza dei suoi servi che camminano sulla sua via e sulle sue vestigia verso i regni eterni.

Ogni giorno aspettate lieti il momento salvifico della vostra dipartita, già ritirandovi da questo mondo vi affrettate alle ricompense dei martiri, alle dimore divine; e dopo queste tenebre mondane vedrete una luce fulgidissima e avrete uno splendore maggiore per tutti i vostri tormenti e disagi, come attesta l'Apostolo dicendo: Non sono degni i dolori di questo tempo allo splendore futuro che si rivelerà in noi ( Rm 8,18 ).

E infine, dato che la vostra parola è ora più efficace nelle preghiere e più facilmente impetra l'orazione innalzata nelle strettezze, chiedete con più fervore e supplicate che la divina degnazione porti a compimento la confessione di noi tutti, affinché Dio liberi anche noi con voi, integri e gloriosi, da queste tenebre e dai lacci del mondo; e così noi tutti, che qui fummo uniti dal vincolo della carità e della pace contro le ingiurie degli eretici e le persecuzioni dei pagani, saremo uniti e godremo nel regno dei cieli.

Vi auguro, fratelli beatissimi e fortissimi, di aver salute nel Signore e vi prego di ricordarvi sempre e ovunque di noi. Addio!

Cipriano di Cartagine, Lettere, 76 ( anno 257 )

13. - Il vescovo e la sua comunità

Essendoci stato riferito, fratelli carissimi, che sono stati mandati degli emissari per condurmi a Utica, e avendomi i più intimi consigliato di allontanarmi per il momento dai miei giardini, ho acconsentito, essendo sopravvenuta una causa giusta; è più conveniente, infatti, che il vescovo confessi il Signore nella città in cui presiede alla Chiesa del Signore, e tutto il popolo sia glorificato dalla confessione del suo capo, tra di lui presente: quanto cioè il vescovo, per ispirazione di Dio, dice nel momento supremo della confessione, lo dice con la bocca di tutti.

Del resto la nostra Chiesa tanto gloriosa sarebbe mutilata nel suo onore se io, vescovo preposto a un'altra Chiesa, subissi a Utica la sentenza per la mia confessione cristiana e da qui partissi per il Signore, mentre io supplico con preghiere continue, devo a voi tutti e anzi sono tenuto, per me e per voi, a confessare tra di voi la fede, costì patire e costì partire per il Signore.

Stiamo perciò rintanati in un nascondiglio in attesa che il proconsole ritorni a Cartagine, per udire da lui le disposizioni impartite dagli imperatori per il reato di professare il nome cristiano, sia come laici che come vescovi, e per dire ciò che in quel momento il Signore vorrà che diciamo.

E voi, fratelli carissimi, secondo l'insegnamento che avete sempre accolto da me sui comandi del Signore e secondo ciò che molto spesso avete sentito trattare da me, conservate la quiete e la tranquillità, e nessuno di voi susciti tra i fratelli qualche tumulto o si offra spontaneamente ai pagani.

Solo chi è preso e tradotto in giudizio deve parlare, perché Dio presente in noi parlerà in quell'ora, egli che ha voluto da noi più una confessione che una professione di cristianesimo.

Ciò poi che convenga osservare circa il resto, lo disporremo al momento, per istruzione del Signore, prima che il proconsole emetta su di me la sentenza per la confessione cristiana.

E il Signore Gesù, fratelli carissimi, vi mantenga incolumi nella sua Chiesa e si degni di conservarvi.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 81 ( alla sua comunità )

14. - Il martirio davanti agli occhi

Valeriano ha consegnato al senato il rescritto che si proceda immediatamente all'esecuzione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi; che i senatori, invece, gli uomini egregi e i cavalieri romani perdano la loro dignità e vengano spogliati dei loro beni; e se, anche dopo la confisca, perseverassero ad essere cristiani, vengano condannati alla decapitazione.

Le matrone invece vengano spogliate dei beni e relegate in esilio; tutti gli impiegati imperiali che abbiano confessato o che confessino in seguito, vengano deposti e, imprigionati, vengano relegati nei possessi imperiali con atto pubblico.

Inoltre l'imperatore Valeriano ha aggiunto al suo rescritto una copia della lettera, riguardante noi, indirizzata ai governatori delle province.

Ogni giorno speriamo che giunga questa lettera, ritti e pronti nella fermezza della fede, a sostenere la passione e aspettando per aiuto e misericordia del Signore la corona della vita eterna.

Sappiate poi che Sisto [ papa, 257-258 ] è stato decapitato in un cimitero [ di san Callisto, ov'era stato sorpreso mentre celebrava ] il 6 agosto e con lui quattro diaconi.

I prefetti dell'Urbe insistono ogni giorno in questa persecuzione, comminando la morte a tutti quelli che vengono loro denunciati e incamerando per il fisco i loro beni.

Vi chiedo di far conoscere tutto ciò agli altri nostri colleghi, perché ovunque, per le loro esortazioni, i fratelli possano essere corroborati e preparati alla lotta spirituale, perché ciascuno dei nostri pensi non tanto alla morte quanto all'immortalità e perché tutti, dediti al Signore con piena fede e integro coraggio, godano piuttosto di temere questa confessione.

In essa, lo sanno, i soldati di Dio e di Cristo non vengono uccisi, ma incoronati.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 80 ( al vescovo Successo )

EMP O-7. - Morte e trionfo di san Martino

Martino conobbe molto tempo prima la data della sua morte e disse ai fratelli che la dissoluzione del suo corpo era imminente.

Nel frattempo si presentò la necessità di visitare la diocesi di Candes: i sacerdoti di questa Chiesa, infatti, erano in discordia fra di loro.

Il santo, desideroso di riportarvi la pace, sebbene non ignorasse la sua prossima fine, non rifiutò di partire per una causa di questo genere.

Pensava che avrebbe degnamente concluso la sua vita virtuosa, se avesse lasciato questa Chiesa, dopo averle restituito la pace …

Si era fermato un po' di tempo in questo borgo o piuttosto nella Chiesa in cui era venuto e, dopo aver ristabilito la pace tra i sacerdoti, contava di ritornare al suo monastero.

Ad un tratto però le forze fisiche cominciano ad abbandonarlo: riunisce subito i suoi fratelli e avverte che sta per morire.

Allora, tra il dolore e il lutto di tutti, si levò un unico lamento: « Perché, padre, ci abbandoni? » …

Egli, dopo essersi rivolto al Signore, rispose con queste parole ai fratelli tanto addolorati: « Signore, se la mia presenza è ancora necessaria al tuo popolo, non rifiuto la fatica: sia fatta la tua volontà » …

Trascorreva le notti nella preghiera e nella veglia e costringeva il corpo, che si indeboliva sempre più, a servire allo spirito, disteso su quel suo letto così nobile: la cenere, cioè, e il cilicio.

Dato che i discepoli lo supplicavano perché lasciasse porre sotto il suo corpo un poverissimo giaciglio: « No - disse - un cristiano deve morire sulla cenere: se vi lasciassi un esempio diverso, commetterei una mancanza ».

Tuttavia, con gli occhi e con le mani sempre tese verso il cielo, non desisteva mai dal pregare.

Ai sacerdoti che erano venuti da lui e gli chiedevano che desse un po' di sollievo al debole corpo, girandosi di fianco: « Lasciatemi, fratelli - rispose - lasciatemi guardare il cielo piuttosto che la terra, perché la mia anima, che sta per andarsene verso il Signore, sia già diretta per la sua strada ».

Pronunciate queste parole, vide il diavolo stargli vicino: « Perché stai qui - disse - bestia crudele? Non troverai nulla in me, maledetto: il seno di Abramo mi accoglie ».

E così dicendo rese il suo spirito al cielo.

Quelli che furono presenti ci hanno attestato di aver visto il suo volto simile a quello di un angelo; le sue membra apparivano bianche come la neve, tanto che si diceva: « Chi avrebbe mai pensato che egli era coperto del cilicio e avvolto nella cenere? ».

In un certo senso il suo aspetto anticipava quasi la gloria della futura risurrezione e la natura di un corpo trasfigurato.

Incredibile fu l'afflusso dei fedeli accorsi per rendergli gli onori funebri.

Tutta la città si affrettò, dirigendosi incontro al corpo.

Furono presenti tutti gli abitanti delle campagne e dei villaggi e persino molti venuti dalle città vicine.

Sulpicio Severo, Vita di Martino di Tours, 1

15. - Causa della persecuzione

Supera le nostre possibilità esporre degnamente quanta e quale gloria, e libertà, prima della persecuzione dei nostri tempi, abbia conseguito presso tutti gli uomini, greci e barbari, la dottrina della vera pietà verso Iddio dell'universo annunziata al mondo da Cristo.

Ne siano prova le dimostrazioni di stima ai nostri da parte dei dominatori; affidavano loro perfino il governo delle province e li liberavano dal dovere di compiere sacrifici, che contrastavano con la loro coscienza, per la grande stima che nutrivano verso la nostra dottrina.

Che dire poi di coloro che vivevano nel palazzo imperiale e dei supremi reggitori?

Questi permisero che la gente di palazzo, donne, figli e schiavi, professassero apertamente con le parole e le opere la loro religione e permisero loro persino di gloriarsi della libertà concessa alla loro fede, mostrandosi con loro più benevoli che con tutti gli altri dipendenti.

Così accadde col celebre Doroteo, a loro affezionato e fedele più di ogni altro, per il quale motivo meritò il massimo onore tra le dignità civili e militari; e con lui il famoso Gorgonio e tutti quelli che conseguirono del pari la stessa gloria per la parola di Dio.

Si può inoltre vedere quale onore, venerazione e benevolenza sia stata dimostrata da tutti i governatori, sia civili, sia militari, ai capi delle singole Chiese.

Chi potrebbe poi descrivere le innumerevoli conversioni, e la quantità di assemblee in tutte le città, e lo splendido concorso nei luoghi dedicati alla preghiera?

Per questo motivo non bastarono più le costruzioni antiche e in ogni città si costruirono dalle fondamenta nuove chiese più spaziose.

Questo continuo progresso nel tempo, questo accrescersi di giorno in giorno in più e in meglio, da nessuna invidia era impedito; nessuna malizia diabolica era capace di metterlo in luce sinistra o d'incepparlo a mezzo di insidie umane, fino a quando la mano celeste, divina, protesse e difese il suo popolo, ritenendolo degno di tali benefici.

Ma per la troppa libertà il nostro atteggiamento si tramutò in superbia e negligenza; l'uno si diede a invidiare e oltraggiare l'altro, e non solo, ma ci combattemmo a vicenda con le parole, quando capitò, quasi a lancia e spada; i prelati si urtarono con altri prelati e i laici si mossero a guerra contro altri laici; la bassa ipocrisia e l'infingimento raggiunsero il grado sommo della loro malvagità.

Allora la divina sentenza, con la soavità che le è propria, mentre ancora si potevano radunare le assemblee, cominciò, a poco a poco e con moderazione, a farci pesare la sua sorveglianza, e la persecuzione cominciò tra i fratelli che vivevano nell'esercito.

Ma, insensibili come eravamo, non pensammo neppure in che modo placare e renderci propizia la Divinità e ritenemmo perfino, come alcuni pagani, che le realtà umane non siano da quella curate e dirette, ammucchiando peccati su peccati.

I nostri pastori mostrarono di disprezzare i precetti della pietà e si accesero di invidia reciproca; e non solo: moltiplicando i dissensi, le minacce, le manifestazioni di invidia, di inimicizia reciproca e di odio, rivendicarono con passione il potere quasi come un dominio terreno.

Allora, come suona la voce di Geremia, il Signore nel suo sdegno offuscò la figlia di Sion, gettò dal cielo in terra il vanto di Israele, non badò allo sgabello dei suoi piedi nel giorno della sua collera.

Sommerse il Signore ogni bellezza d'Israele e ne abbatté le mura ( Lam 2,1-2 ).

E come è predetto nei salmi: Sconvolse il patto del suo servo, ne dissacrò la santità scagliandola a terra, con la distruzione delle chiese.

Ne distrusse tutte le mura, pose lo spavento nelle sue difese.

La saccheggiarono tutte le turbe di genti che passarono per via e divenne perciò l'obbrobrio dei suoi vicini.

Innalzò infatti la destra dei suoi nemici, allontanò da lei il soccorso della sua spada e non la aiutò in guerra.

Pose fine a tutti i suoi riti purificatori e infranse a terra il suo trono.

Abbreviò i giorni della sua vita e lo riempì ovunque di ignominia ( Sal 89,40-46 ).

Tutte queste cose si sono adempiute ai nostri giorni, e con i nostri occhi abbiamo visto le chiese abbattute dalla sommità alla base, distrutte dalle fondamenta, i libri sacri dati al fuoco in mezzo alle piazze, i pastori delle Chiese nascondersi vergognosamente ora qui ora lì, oppure arrestati ignominiosamente e beffati dai nemici, secondo un altro detto profetico: Il disprezzo fu versato sui loro condottieri e li fece errare in luoghi impraticabili e senza sentiero ( Sal 107,40 ).

Eusebio, Storia ecclesiastica, 8,1-2

16. - Forza che promana dalla speranza nella vita eterna

Il saggio, al primo aspetto, sembra stolto; ciò è dovuto a quanto segue.

Non pochi credono che l'anima si spenga col corpo, perciò essi considerano solo i vantaggi per la vita terrena.

Se con la morte tutto finisce, certo agisce da stolto colui che risparmia la vita del prossimo con danno della propria, colui che si preoccupa più degli altri che di se stesso.

Se la morte spegne l'anima, ci si deve preoccupare solo di una vita lunga e agiata; ma se dopo la morte ci aspetta una vita, eterna e beata, allora il giusto e il saggio disprezzeranno questa vita corporea, con tutti i beni terreni, sapendo quale ricompensa riceveranno da Dio.

Anche se agli uomini sembra sciocco e stolto accettare su di sé i martìri e la morte piuttosto che sacrificare agli idoli ottenendone salvezza e bene, tuttavia noi con le nostre forze e tutta la nostra pazienza ci sforzeremo di custodire la fedeltà a Dio.

La morte non ci può spaventare e il dolore non ci può piegare; dobbiamo conservare inconcussa la forza dello spirito e la saldezza.

Ci diranno per questo che siamo pazzi, ma solo essi sono i pazzi veri: sono ciechi, muti e simili alle bestie irragionevoli; non comprendono che abbandonare il Dio vivente e gettarsi nella polvere delle cose terrene conduce alla morte; non sanno che la pena eterna attende coloro che adorano le immagini prive di senso e che invece segue la vita immortale all'accettazione del martirio e della morte per la gloria del vero Dio.

Questa è la fedeltà, questa è la vera saggezza, questa è la piena giustizia.

Non ci preoccupa affatto ciò che poveri uomini pensano di noi; noi dobbiamo badare al giudizio di Dio, per poter un giorno giudicare i nostri stessi giudici.

Lattanzio, Epitome delle divine istituzioni, 52

17. - Lettera dell'anno 376 ai vescovi di Italia e Gallia, sulla persecuzione ariana

Ai carissimi fratelli che veramente amano Dio, ai nostri colleghi di ministero che nutrono gli stessi nostri sentimenti, ai vescovi della Gallia e dell'Italia, Basilio, vescovo di Cesarea di Cappadocia.

Il Signore nostro Gesù Cristo, che si è degnato di chiamare suo corpo la Chiesa universale e ha reso ciascuno di noi membra gli uni degli altri, ha concesso a noi tutti di aver stretti rapporti reciproci alla stregua dell'armonia che stringe le membra.

Perciò, anche se siamo tanto lontani per dimora, siamo vicini gli uni agli altri a motivo della nostra stretta unione.

Il capo non può dire ai piedi: Non ho bisogno di voi; e certamente neppur voi ammetterete di respingerci ma soffrirete con noi per le tribolazioni cui siamo stati abbandonati per i nostri peccati; e precisamente quanto noi ci rallegriamo per la pace di cui vi gloriate, a voi concessa dal Signore.

Già altre volte abbiamo innalzato alla vostra carità il nostro grido, per ottenere da voi aiuto e commiserazione; ma, certo perché non era completo il nostro castigo, non vi fu concesso di sorgere a nostro aiuto.

Bramiamo soprattutto che lo sconvolgimento da noi vissuto venga, per la vostra pietà, portato a conoscenza di colui che governa i vostri territori ( l'imperatore Graziano ); ma se ciò fosse troppo difficile, vengano almeno alcuni di voi a visitare e consolare gli afflitti e possano così contemplare coi propri occhi le tribolazioni dell'Anatolia, perché con le orecchie non possono essere comprese, dato che non si possono trovare parole adatte ad esprimervi la nostra situazione.

Ci ha colpito la persecuzione, o fratelli stimatissimi, anzi una persecuzione pesantissima.

Vengono perseguitati i pastori perché siano dispersi i greggi.

E ciò che è più grave, né i perseguitati accettano le tribolazioni con la coscienza fiduciosa del martirio, né il popolo venera questi eroi nella schiera dei martiri, perché i persecutori si ornano del nome di cristiani.

Uno solo è il delitto che ora viene violentemente castigato: l'osservanza accurata delle tradizioni dei padri.

Per questo motivo uomini religiosi vengono allontanati dalla patria, vengono cacciati nei deserti.

Né le canizie suscitano reverenza ai giudici di iniquità, né l'esercizio della pietà, né una vita condotta secondo il Vangelo dalla giovinezza alla vecchiaia.

Nessuno scellerato viene condannato senza prove, mentre i vescovi vengono giudicati e abbandonati ai supplizi per una semplice delazione, senza l'aggiunta di nessun indizio.

Anzi, alcuni neppure hanno conosciuto accusatori né visto tribunali, né sono stati oggetto di calunnie, ma durante la notte sono stati rapiti violentemente, cacciati in regioni lontane, abbandonati a morire di privazioni nel deserto.

Ciò che ne segue è noto a tutti, anche se lo taciamo: fuggono i presbiteri, fuggono i diaconi e tutto il clero viene depredato.

É giocoforza o adorare la statua o essere abbandonati alla fiamma malvagia dei flagelli ( Dn 3,10 ).

Gemiti di popoli, lacrime continue nelle case e in pubblico, un reciproco lamentare le proprie sofferenze.

Nessuno ha tanto il cuore di pietra che, privato del padre, ne sopporta lietamente la separazione.

Si odono lamenti nella città, lamenti nelle campagne, nelle vie, nei deserti.

Solo un'unica voce di cordoglio, di lamento delle proprie tristezze.

Ci è stata tolta la gioia, la serenità spirituale; le nostre feste si sono tramutate in lutto, sono chiuse le chiese, gli altari sono privi del culto spirituale.

Non vi sono più adunanze di cristiani, né maestri che presiedono l'assemblea; non più insegnamento di salvezza, celebrazione di solennità, canto notturno di inni, né beata esultanza delle anime che, nelle assemblee liturgiche e nella partecipazione ai beni spirituali, si eleva nelle anime di coloro che credono nel Signore.

Possiamo dire giustamente che: In questo tempo non abbiamo né principe né profeta né condottiero né oblazione né sacro incenso e neppure luogo per sacrificare davanti al Signore e ottenere così misericordia ( Dn 3,38-39 ).

Scriviamo questo a chi già sa, perché non vi è più un angolo della terra dove non si conoscano le nostre sventure.

Non dovete però credere che noi vi diciamo questo per ammaestrarvi o per ricordarvi di prendervi cura di noi.

Sappiamo infatti che non vi siete mai scordati di noi, come una madre non dimentica i figli del suo seno.

Ma poiché quelli che sono stretti dal dolore sono soliti alleviare la sofferenza con i gemiti, facciamo così anche noi: quasi ci sbarazziamo del peso della sofferenza, annunziando alla vostra carità le nostre molteplici disgrazie: forse, mossi da noi a pregare con più intensità, otterrete che il Signore sia verso noi propizio.

Tuttavia, se fossero solo i dolori che ci opprimono, avremmo deciso di restarcene zitti e di gloriarci delle sofferenze per Cristo, perché le sofferenze di questo mondo non sono degne della futura gloria che si rivelerà in noi ( Rm 8,18 ).

Ora invece temiamo che il male cresca, come una fiamma che invade del materiale combustibile: divorato quello che gli è vicino si estende anche a quello lontano.

Infatti, il male dell'eresia si diffonde rovinosamente e c'è pericolo che, divorate le nostre Chiese, serpeggi poi anche nella parte sana, nelle vostre contrade.

Forse perché tra di noi ha abbondato il peccato siamo stati per primi abbandonati come esca ai denti omicidi dei nemici di Dio; ma forse - ed è certo più verosimile - poiché l'annuncio del regno di Dio ha iniziato dalle nostre contrade a diffondersi su tutta la terra, per questo il nemico comune delle nostre anime si sforza che il seme dell'apostasia, prendendo origine da queste stesse contrade, si diffonda su tutto l'orbe.

Egli trama che le tenebre dell'empietà si stendano su quelli ai quali rifulse lo splendore della conoscenza del Cristo.

Da veri discepoli del Signore, considerate come vostri i nostri dolori.

Non per le ricchezze non per la gloria e per null'altro di questo mondo ci viene mossa guerra, ma per l'eredità comune, per il tesoro paterno della fede sana stiamo combattendo! Soffrite per il nostro dolore, voi che amate i fratelli, perché tra di noi sono state chiuse le labbra degli uomini pii e si sono aperte invece tutte le lingue blasfeme e audaci di quelli che parlano iniquamente contro Dio ( Sal 75,6 ).

Le colonne e il fondamento della verità sono dispersi, mentre noi, che per la nostra piccolezza non siamo stati tenuti in conto, siamo privi di ogni possibilità di parlare.

Combattete per i popoli, non guardate solo la vostra situazione, che cioè siete ormeggiati in porti tranquilli, perché la grazia di Dio vi ha protetti dal turbine degli spiriti maligni; bensì porgete la mano anche alle Chiese travolte dalla tempesta, perché non avvenga che, abbandonate a se stesse, non subiscano il completo naufragio della fede.

Basilio il Grande, Lettere, 243,1-4

18. - I martiri danno testimonianza a favore della fede nella risurrezione

A che cosa danno testimonianza tali miracoli ( avvenuti nei luoghi destinati al culto dei martiri ), se non a questa fede che predica la risurrezione di Cristo nella carne e la sua ascensione al cielo con la carne?

Gli stessi martiri infatti furono « martiri » di questa fede, cioè suoi testimoni: a questa fede dettero testimonianza davanti al mondo inimicissimo e crudelissimo, che vinsero non combattendo, ma morendo.

Per questa fede sono morti, e ora possono impetrarla al Signore, per il cui nome furono uccisi.

É per questa fede che essi hanno anzitutto sofferto con una ammirevole pazienza affinché in seguito potessero manifestare questa grande potenza.

Poiché, se la risurrezione della carne per l'eternità non ha avuto già luogo nel Cristo, o non deve aver luogo in futuro come l'ha predetto il Cristo e come l'hanno predetto i profeti che hanno annunziato il Cristo, perché tanto potere è stato concesso a dei morti che hanno gettato via la loro vita per una fede che proclama questa risurrezione?

Infatti, sia che Dio stesso operi da sé in quel modo mirabile con cui egli, eterno, agisce nelle cose temporali, sia che operi per mezzo dei suoi ministri; e in questo caso, sia che agisca per mezzo dello spirito dei martiri, come fa per mezzo degli uomini ancora viventi in questa carne, sia per mezzo degli angeli, in cui opera in modo invisibile, immutabile e incorporeo - e di conseguenza i miracoli che si dicono compiuti dai martiri avverrebbero solo per le loro preghiere e impetrazioni, non per la loro opera - sia che egli li compia alcuni in un modo, altri in un altro modo che a noi mortali non è possibile comprendere: tuttavia è certo che questi prodigi sono una testimonianza in favore di quella fede che annuncia la risurrezione della carne per l'eternità.

Agostino, La città di Dio, 22,9

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