Teologia dei Padri

Indice

Roma e il Papato

1. - La cura della comunità di Roma per la comunità di Corinto

La Chiesa di Dio esule a Roma, alla Chiesa di Dio esule a Corinto, agli eletti e santificati dalla volontà di Dio per opera del Signore nostro Gesù Cristo.

Grazia e pace vi sia concessa con larghezza da Dio onnipotente per mezzo di Gesù Cristo.

Per le avversità e le tribolazioni improvvise e continue che ci hanno colpito [ allude alla persecuzione di Domiziano del 95; la lettera è del 96 ], o fratelli, crediamo di aver tardato troppo nel porre attenzione ai fatti discussi tra di voi, carissimi, cioè alla empia e detestabile rivolta, tanto disdicevole ai servi di Dio, che alcune persone temerarie e insolenti hanno fatto divampare, giungendo a tale eccesso di pazzia che la fama del vostro nome, già venerato, celebre e caro a tutti, ne è rimasta assai danneggiata.

Chi in passato, soggiornando qualche tempo tra voi, non ha notato la saldezza della vostra fede, adorna di ogni virtù, chi non ha esaltato la vostra ospitalità magnifica, e non ha lodato la vostra formazione religiosa sicura e completa?

Agivate sempre senza preferenze e considerazioni personali, vivevate nell'osservanza della legge di Dio, soggetti ai vostri capi, usando agli anziani i riguardi loro dovuti.

I giovani li esortavate a coltivare la riflessione e i pensieri santi; alle vostre donne raccomandavate di compiere tutti i loro doveri con coscienza retta e pura, amando sinceramente il marito; insegnavate loro a governare la casa mantenendosi nella debita soggezione e in un saggio equilibrio.

Eravate umili, lontani da ogni alterigia; eravate più pronti a obbedire che a comandare, più felici di dare che di ricevere ( At 20,35 ).

Vi accontentavate dei doni che Cristo ci concede per il nostro viaggio mortale, e li stimavate molto; avevate sempre presenti le sue parole, e le sue sofferenze erano sempre dinanzi ai vostri occhi.

Clemente di Roma, Lettera ai Corinti, 1-2,1

2. - Supplica di Ignazio alla comunità di Roma perché non ostacoli il suo martirio

L'inizio è buono: possa ottenere la grazia di raggiungere senza impedimenti la mia eredità.

Ma temo che il vostro amore mi sia dannoso [ teme che i cristiani di Roma possano ottenergli di sfuggire la condanna ].

Per voi è facile ottenere ciò che volete, ma per me sarebbe difficile raggiungere Iddio, se voi non avete compassione di me.

Non voglio che voi cerchiate ciò che piace all'uomo, ma ciò che piace a Dio, cui siete accetti.

E io non avrò più un'occasione come questa di raggiungere Dio; e anche voi, se pur tacete, non potrete mai sottoscrivere un'opera migliore.

Se voi tacete, io diventerò parola di Dio; ma se voi avrete pietà della mia carne, di nuovo non sarò che un suono vuoto [ l'opera missionaria della Chiesa non si basa sulla sapienza delle parole umane, ma sulla forza della testimonianza ].

Lasciatemi questo solo: che io sia immolato a Dio, finché l'altare è pronto; solo allora, uniti dall'amore in un solo coro, inneggerete al Padre, in Cristo Gesù, perché Iddio si è degnato di posare lo sguardo sul vescovo della Siria chiamandolo dall'Oriente all'Occidente.

É bello per me tramontare al mondo per Iddio, e così risorgere in lui.

Non avete mai avuto gelosia per nessuno, avete insegnato agli altri.

Io voglio che resti fisso tutto ciò che avete insegnato e inculcato.

Solamente chiedete per me la forza interiore ed esteriore; non solo di parlare, ma anche di volere; non solo di chiamarmi cristiano, ma d'esserlo di fatto.

Solo se lo sarò di fatto, sarò degno di essere chiamato cristiano, e sarò veramente un fedele solo quando non apparirò più a questo mondo.

Quello che appare quaggiù non è buono; anche Gesù Cristo, ora che è tornato al Padre, appare in maggiore splendore.

Quando il cristianesimo viene odiato dal mondo, mostra di non essere opera umana ma grandezza di Dio.

Ignazio di Antiochia, Lettera ai Romani, 1,2-3,3

3. - Il vescovo Dionisio di Corinto loda la carità e la benevolenza della Chiesa romana

Devo anzitutto parlare di Dionisio, che occupò il seggio episcopale nella Chiesa di Corinto ed estese il suo zelo veramente divino non solo a quelli soggetti al suo governo, ma copiosamente anche ai fedeli di altre regioni …

Di costui ci è stata tramandata una lettera ai romani, indirizzata al vescovo di allora, Sotero [ papa tra il 166 e il 175 circa ].

Non è fuori luogo riportarne qui il passo ove, lodando l'usanza romana durata fino alla persecuzione dei nostri giorni, egli scrive: « Fin dall'inizio è vostra consuetudine di beneficare in vario modo tutti i fratelli, di mandare soccorsi a molte Chiese nelle varie città.

In questo modo sollevate l'indigenza dei bisognosi e provvedete il necessario ai fratelli che vivono nelle miniere.

Proprio per questi aiuti che fin dall'inizio continuate a inviare, voi romani conservate un antico costume romano tramandatovi dagli avi.

E Sotero, il vostro degno vescovo, non solo l'ha conservato, ma vieppiù sviluppato, sia soccorrendo con larghezza i santi nei loro bisogni, sia consolando con sante parole i fratelli che vengono a lui, come fa un padre amoroso con i propri figli ».

Nella medesima lettera egli ricorda pure la lettera di Clemente ai corinti, attestando che per antica consuetudine se ne faceva lettura nella Chiesa.

Ecco cosa dice: « Oggi abbiamo celebrato il giorno santo del Signore, abbiamo letto la vostra lettera, che continueremo sempre a leggere, come facciamo con la prima scrittaci da Clemente ».

Eusebio, Storia ecclesiastica, 4,23

4. - Contesa pasquale del vescovo di Roma con i vescovi della provincia di Asia

Nell'anno decimo dell'impero di Commodo [ anno 189 ] ad Eleuterio, che tenne l'episcopato di Roma per tredici anni, successe Vittore …

Si agitò in quei tempi una controversia non lieve, perché tutte le Chiese dell'Asia Minore [ quest'uso di celebrare la Pasqua quando gli ebrei avevano il primo giorno degli Azzimi, il 14 di nisan, era esteso alla provincia consolare dell'Asia ], basandosi su una tradizione antichissima, ritenevano che si dovesse celebrare la Pasqua del Salvatore nel giorno quattordicesimo della luna, quando era prescritto ai giudei di sacrificare gli agnelli e che in quel giorno, qualunque fosse il dì della settimana, si dovesse in ogni caso porre termine al digiuno.

Invece le Chiese di tutto il resto del mondo non seguivano affatto questa usanza e, in base a una tradizione apostolica che vige fino ad oggi, si attenevano all'usanza di non ammettere la cessazione del digiuno se non nel giorno della risurrezione del Salvatore.

A questo riguardo si riunirono sinodi e assemblee di vescovi e tutti concordemente notificarono con lettere ai fedeli di ogni luogo la norma ecclesiastica che non si doveva celebrare il mistero della risurrezione del Signore dai morti in nessun altro giorno se non di domenica e che solo in quel giorno si poteva rompere l'osservanza del digiuno pasquale.

Ci sono state conservate fino ad oggi la lettera dei vescovi di Palestina riunitisi allora sotto la presidenza di Teofilo, vescovo di Cesarea, e di Narciso, vescovo di Gerusalemme; la lettera dei vescovi radunatisi a Roma che tratta la stessa questione e porta il nome del vescovo Vittore ( 189-198 ); quella dei vescovi del Ponto presieduti da Palma, il più anziano; quella delle comunità di Gallia, di cui era vescovo Ireneo.

E ancora la lettera dei vescovi di Osroene e delle città di quella regione; in particolare, poi, quella di Bacchillo, vescovo della Chiesa di Corinto, e di moltissimi altri.

Tutti manifestarono la stessa identica opinione, presero la medesima decisione, diedero lo stesso voto.

Quale la norma da loro unanimemente decisa, lo abbiamo già detto.

I vescovi dell'Asia, che sostenevano fortemente di doversi osservare l'uso loro tramandato dagli antenati, erano presieduti da Policrate.

Questi, nella lettera da lui scritta a Vittore e alla Chiesa romana, espone in questi termini la tradizione a lui pervenuta: « Noi celebriamo il giorno autentico, e non gli abbiamo né aggiunto né tolto nulla.

É nell'Asia, infatti, che si sono estinti i grandi luminari i quali risorgeranno nel giorno della parusia del Signore, quando egli verrà con gloria dal cielo, e risusciterà tutti i santi.

Essi sono: Filippo, uno dei dodici apostoli, che si addormentò a Gerapoli, e le due sue figlie invecchiate nella verginità; una terza sua figlia, che visse nello Spirito Santo, riposa a Efeso.

Poi anche Giovanni, che riposò sul petto del Signore, che fu sacerdote e portò la lamina d'oro, che fu martire e maestro: egli si è addormentato a Efeso.

Inoltre Policarpo, che fu vescovo e martire a Smirne; e Trasea, vescovo di Eumenia e martire, che riposa a Smirne.

Che bisogno c'è poi di ricordare Sagari, vescovo e martire, addormentatosi a Laodicea?

E il beato Papirio e l'eunuco Melitone, che agì sempre mosso dallo Spirito Santo, e che giace a Sardi in attesa della visita celeste, onde risorgerà dai morti?

Tutti questi, in conformità al Vangelo, celebrarono la Pasqua al quattordicesimo giorno, senza nulla variare, seguendo la regola della fede; e anche io Policrate, il più piccolo di tutti voi, osservo la tradizione dei miei parenti, alcuni dei quali furono miei predecessori.

Sette miei antenati infatti furono vescovi e io sono l'ottavo.

Essi sempre celebrarono la Pasqua nel giorno in cui il popolo ebreo si astiene dal pane fermentato. Io, o fratelli, ho sessantacinque anni nel Signore; sono stato in rapporto con i fratelli di tutto il mondo, ho letto tutta la sacra Scrittura; non mi lascio perciò atterrire dalle minacce.

Uomini più grandi di me hanno detto: Obbedire prima a Dio che agli uomini! ( At 5,29 ) ».

A ciò soggiunge che i vescovi presenti alla stesura della lettera erano del suo stesso parere, e dice: « Potrei ricordare anche i vescovi qui presenti, che voi mi chiedeste di convocare e io ho convocato.

Se scrivessi i loro nomi, sarebbero un numero immenso.

Pur avendo conosciuto quanto io sia un piccolo uomo, hanno approvato la mia lettera, consci che non porto invano la mia canizie e che sempre sono vissuto nel Signore Gesù ».

In seguito a ciò, il capo della Chiesa romana, Vittore, intende staccare immediatamente dalla comunione ecclesiale tutte le comunità dell'Asia e le Chiese confinanti, come eterodosse, e per lettera minaccia apertamente che tutti fedeli di quei paesi andavano incontro alla scomunica.

Ma ciò non piacque a tutti i vescovi e molti lo esortarono, al contrario, ad avere cura della pace, dell'unità e dell'amore verso il prossimo.

Ci sono state conservate anche le loro lettere, con cui si rivolgono abbastanza aspramente a Vittore.

Fra di essi vi fu anche Ireneo che scriveva a nome dei fratelli della Gallia, cui presiedeva.

É d'accordo che si debba celebrare il mistero della risurrezione del Signore solamente di domenica, ma esorta anche rispettosamente Vittore a non scomunicare intere Chiese di Dio che osservano l'usanza loro tramandata.

Tra molte altre considerazioni, gli rivolge queste testuali parole: « La controversia non riguarda solo i giorni, ma la forma stessa del digiuno.

Alcuni ritengono che si debba digiunare un giorno solo, altri due, altri vari giorni; altri ancora computano quaranta ore diurne e notturne, al loro digiuno [ qui si parla del digiuno strettissimo che precedeva la Pasqua, non di quello quaresimale ].

Tale varietà nell'osservanza del digiuno non è sorta ai nostri giorni, ma da molto tempo, sotto i nostri predecessori; essi, non essendo probabilmente sufficientemente oculati, trasmisero ai posteri una consuetudine instauratasi per faciloneria e ignoranza.

Pur tuttavia essi vissero in pace tra di loro, e anche noi viviamo in pace tra di noi: la diversità del digiuno conferma l'unità della fede ».

A ciò soggiunge una considerazione che ritengo opportuno riferire; è di questo tenore: « I presbiteri [ vescovi di Roma ] che, prima di Sotero, furono a capo della Chiesa da te governata, cioè Aniceto e Pio, Igino e Telesforo e Sisto, né essi osservarono tale uso asiatico, né lo fecero osservare ai propri fedeli; ma ciò nonostante restavano in pace con i fedeli che provenivano dalle Chiese in cui tale usanza si osservava.

Eppure la loro osservanza doveva apparire assai stridente in mezzo a quelli che non la tenevano!

Ma nessuno fu per questo riprovato e i presbiteri tuoi predecessori inviavano l'eucaristia a quelli delle Chiese in cui vigeva quella osservanza [ anticamente i vescovi solevano scambiarsi l'eucaristia ].

Anche quando il beato Policarpo venne a Roma, ai tempi di Aniceto, per altre divergenze di lieve conto, subito si scambiarono l'abbraccio di pace e su questo argomento non discussero molto.

Infatti Aniceto non poté persuadere Policarpo ad abbandonare l'osservanza che egli, vissuto familiarmente con Giovanni discepolo di nostro Signore e gli altri apostoli, aveva sempre praticato, né Policarpo si sforzò di persuadere Aniceto, il quale asseriva di sentirsi obbligato a mantenere l'uso tramandatogli dai presbiteri suoi predecessori.

Pur stando così le cose, rimasero in unità e Aniceto, a titolo di onore, concesse a Policarpo di celebrare in Chiesa l'eucaristia, e alla fine si separarono in pace; e in tutta la Chiesa regnava la pace, sia tra chi seguiva e chi non seguiva l'usanza asiatica ».

Questi consigli diede e così trattò per la pace delle Chiese Ireneo, che fece veramente onore al suo nome: fu infatti « uomo di pace » non solo di nome, ma anche nelle opere.

Non solo con Vittore, ma con molti altri capi di Chiese si tenne in corrispondenza epistolare, trattando la questione che si agitava.

Eusebio, Storia ecclesiastica, 5,22-24

5. - Posizione del vescovo romano nei confronti di un problema connesso al precedente: il montanismo

Il demonio è menzognero fin dall'inizio ( 1 Gv 3,8 ), anche quando con le sue arti subornò un uomo come Prassea.

Egli per primo infatti portò dall'Asia a Roma questa sorta di perversità.

Era, fra l'altro, un tipo agitato e pieno di spocchia per il suo martirio: un semplice e breve periodo di noia passato in carcere, ma anche se avesse abbandonato il suo corpo alle fiamme, a nulla gli sarebbe giovato, non avendo amore di Dio ( 1 Cor 13,3 ), anzi, combattendo contro i suoi carismi.

Infatti allora lo stesso vescovo romano stava riconoscendo le profezie di Montano, di Prisca e Massimilla, e per tale riconoscimento stava offrendo pace alle Chiese di Asia e di Frigia; egli sostenendo accuse false contro quei profeti e le loro Chiese, difendendo la posizione e l'autorità dei predecessori di quello, lo costrinse a revocare le lettere di pace già mandate, e a retrocedere dal proposito di riconoscerne i carismi.

Due affari del demonio dunque Prassea curò a Roma: fece estromettere la profezia e ammettere l'eresia; fugò il Paraclito e crocifisse il Padre.

Tertulliano, Contro Prassea, 1

6. - Episcopato romano e comunità romana secondo Ireneo

La tradizione degli apostoli diffusa in tutto il mondo, può essere trovata in ogni Chiesa, da coloro che vogliono vedere la verità, e a noi è possibile elencare coloro che dagli apostoli furono costituiti vescovi nelle varie Chiese, e i loro successori fino a noi; tutti costoro non hanno mai né insegnato né conosciuto le pazzie che quei tali ( gli gnostici ) vanno sognando.

Se gli apostoli avessero conosciuto misteri arcani da insegnare solo ai « perfetti », di nascosto dagli altri, li avrebbero senz'altro tramandati a coloro cui affidarono le stesse Chiese.

Volevano infatti che fossero perfetti e irreprensibili in tutto, quelli che lasciavano come loro successori, affidando ad essi il loro magistero; infatti, agendo essi bene, ne sarebbe venuta grande utilità a tutta la Chiesa, mentre se fossero venuti meno, ne sarebbero provenuti gravi danni.

Ma poiché sarebbe troppo lungo in un volume come questo numerare le successioni di tutte le Chiese, indichiamo solo la tradizione ricevuta dagli apostoli, la fede annunciata a tutti gli uomini e giunta fino a noi nella successione episcopale, della Chiesa più grande e più antica, conosciuta da tutti; della Chiesa fondata e costituita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo.

Possiamo confondere così tutti coloro che in qualsiasi modo, o per presunzione, o per vanagloria, o per cecità e gusto dell'errore, fondano conventicole.

Con questa Chiesa, per la sua esimia superiorità, deve accordarsi la Chiesa universale, cioè i fedeli che sono ovunque; in essa infatti viene conservata, da coloro che sono dovunque, la tradizione derivante dagli apostoli.

I beati apostoli, che fondarono e costituirono quella Chiesa, affidarono poi a Lino l'ufficio episcopale di governarla.

Questo Lino è ricordato anche da Paolo nelle sue lettere a Timoteo.

Lo seguì Anacleto; dopo questi, al terzo posto dopo gli apostoli, ebbe l'episcopato Clemente, che aveva conosciuto i beati apostoli, aveva conversato con loro e, mentre risuonava ancora la loro predicazione, aveva avuto sotto gli occhi la tradizione; e non era il solo, perché sopravvivevano molti direttamente istruiti dagli apostoli.

Sotto Clemente ebbe luogo una ribellione non piccola tra i fratelli che erano a Corinto; la Chiesa di Roma scrisse perciò ai corinti una lettera molto energica, richiamandoli alla pace, rinsaldando la loro fede e proclamando la tradizione poc'anzi ricevuta dagli apostoli …

A questo Clemente successe Evaristo, e ad Evaristo Alessandro; poi, sesto dagli apostoli, fu costituito vescovo Sisto; dopo di lui, Telesforo, che sostenne un glorioso martirio.

Poi Igino, poi Pio e poi Aniceto.

Ad Aniceto successe Sotero; e ora, al dodicesimo posto dopo gli apostoli, ha l'episcopato Eleuterio.

Per quest'ordine e questa successione, la tradizione apostolica, la predicazione della verità nella Chiesa è giunta fino a noi.

É questa una dimostrazione fortissima che una e identica è la fede vivificatrice affidata dagli apostoli alle Chiese e conservata genuina fino ad oggi.

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3,1-3

7. - Le tombe degli apostoli all'inizio del III secolo

Narrano che Paolo fu decapitato nella stessa Roma e che Pietro invece fu crocifisso sotto Nerone.

La tradizione è confermata dal fatto che tuttora nomi di Pietro e di Paolo hanno un vero predominio nei monumenti cimiteriali di quella città.

Del resto anche Gaio, uomo ecclesiastico, vissuto ai tempi di Zefirino vescovo di Roma [ pontificò dal 199 al 217 ], nella sua disquisizione scritta contro Proclo, capo della setta dei catafrigi, parlando dei luoghi dove furono deposti i sacri corpi dei detti apostoli dice: « Posso mostrarti i trofei degli apostoli. Se vorrai recarti sul Vaticano o sulla via Ostiense, troverai i trofei dei fondatori di questa Chiesa ».

Inoltre anche Dionisio, vescovo di Corinto, attesta che ambedue subirono il martirio nello stesso tempo, rivolgendosi così, per iscritto, ai romani: « Così voi, con questa vostra ammonizione, avete strettamente unito Roma e Corinto, le due piante cresciute grazie a Pietro e a Paolo.

L'uno e l'altro infatti nella nostra Corinto hanno impiantato e hanno istruito noi, e poi dopo aver insieme insegnato in Italia, nello stesso tempo hanno subìto il martirio ».

Eusebio, Storia ecclesiastica, 2,25,5-8

8. - Importanza della Chiesa di Roma

Se vuoi esercitare meglio la tua curiosità nel negozio della tua salute, passa in esame le Chiese apostoliche, presso le quali tuttora le cattedre degli apostoli si conservano al loro posto di presidenza nei luoghi di raduno; là dove si leggono proprio le lettere autentiche loro scritte dagli apostoli, nelle quali ancora vibra l'eco delle loro voci e vive l'aspetto di ciascuno.

Sei vicino all'Acaia? Hai Corinto.

Se non sei lontano dalla Macedonia, hai Filippi e Tessalonica.

Se puoi recarti in Asia, hai Efeso.

Se ti trovi nei paraggi dell'Italia, hai quella Roma, donde anche a noi arriva rapidamente l'autorità.

Questa Chiesa di Roma, quanto è beata!

Furono gli apostoli stessi a versare a lei, col loro sangue, la dottrina tutta quanta.

É la Chiesa, dove Pietro è parificato, nella passione, al Signore; dove Paolo è coronato del martirio di Giovanni, dove l'apostolo Giovanni è immerso nell'olio bollente per uscirne illeso e venir quindi relegato in un'isola.

Vediamo perciò che cosa essa abbia appreso, che cosa abbia insegnato e che cosa attesti: e con lei che cosa attestino le Chiese d'Africa.

Tertulliano, La prescrizione contro gli eretici, 36

9. - Lettera del clero romano al clero cartaginese

Il vescovo di Roma Fabiano aveva subito il martirio già all'inizio della persecuzione di Decio; Cipriano, invece, vescovo di Cartagine, si era sottratto alle ricerche delle autorità statali: i chierici romani esprimono su tale condotta un giudizio critico poco velato.

Dal suddiacono Cremenzio, che è giunto da costì per motivi particolari, abbiamo saputo che il benedetto padre Cipriano si è ritirato, cosa che può aver compiuto a buon diritto, perché è una personalità insigne.

Ma è imminente la lotta che Dio ha permesso nel mondo per sconfiggere il suo avversario con il suo servo, volendo anche mostrare agli angeli e agli uomini la battaglia in cui chi vince sarà incoronato mentre chi rimane vinto subirà quella condanna che ci è stata rivelata.

Ora, gravando su di noi, che siamo considerati capi, l'obbligo di custodire il gregge come pastori, se ci si accorgerà che siamo negligenti, si dirà di noi ciò che è stato detto di quei nostri antecessori che furono guide negligenti: cioè che noi non ricercammo la pecora perduta, non drizzammo quella sbandata, non fasciammo quella zoppa, ma mangiavamo il loro latte e ci vestivamo con la loro lana ( Ez 34,3 ).

Il Signore stesso poi, completando ciò che era stato scritto nella legge e nei profeti, così ci ammaestra: Io sono il pastore buono, che do la mia anima per le mie pecore.

Ma il mercenario, è colui di cui le pecore non sono proprietà, quando vede venire il lupo le abbandona e fugge, e il lupo le disperde ( Gv 10,11-12 ).

E a Simone dice: Mi ami tu?, quegli risponde: Ti amo.

Gli soggiunge: Pasci le mie pecore ( Gv 21,15 ).

Sappiamo che questa parola ebbe compimento nel momento stesso della sua dipartita, e tutti gli altri discepoli fecero così.

Non vogliamo dunque, fratelli dilettissimi, che voi appariate mercenari, ma pastori buoni, ben sapendo che non è piccolo il pericolo, se voi non esorterete i nostri fratelli di persistere immobili nella fede, che si precipitino tutti al culto idolatrico e la comunità risulti addirittura estirpata.

E non solo a parole vi esortiamo: potete ben sapere da molti che giungono costì come tutto ciò noi, con l'aiuto del Signore, l'abbiamo fatto e lo facciamo con tutta sollecitudine, con ogni pericolo di questo mondo, tenendo avanti agli occhi più il timore di Dio e le pene eterne che il timore degli uomini e una breve calamità, mai abbandonando i fratelli ed esortandoli a resistere nella fede e a tenersi preparati per andare col Signore.

Inoltre, abbiamo distolto coloro che già salivano a compiere ciò che da essi si richiedeva.

La Chiesa sta forte nella fede, anche se alcuni spinti dal terrore sono caduti, sia che fossero persone insigni, sia che, arrestati, abbiano temuto gli uomini; anche se da noi separati, non li abbandoniamo, ma li abbiamo esortati e li esortiamo a fare penitenza per poter in qualche modo ottenere il perdono da colui che lo può accordare; e questo perché se fossero da noi abbandonati diventerebbero peggiori.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 8,1-2

10. - Risposta di Cipriano

Mentre tra di noi vagava ancora incerta la voce della morte di Fabiano mio eccellente collega, fratelli carissimi, e mentre ancora le idee ondeggiavano nel dubbio, ho ricevuto dal suddiacono Cremenzio la lettera da voi speditami, in cui mi informate diffusamente sul suo transito glorioso; ho avuto una grande gioia che alla bontà ineccepibile del suo governo abbia corrisposto anche una fine gloriosa.

E mi congratulo molto anche con voi che ne esaltiate il ricordo con una testimonianza tanto celebre e illustre, in modo che abbiamo avuto piena conoscenza di questa memoria gloriosa che onora voi e che offre anche a noi esempio di fede e di virtù.

Infatti, come è pericolosa per la rovina degli inferiori la caduta di un capo, tanto è utile e salutare, al contrario, l'esempio che il vescovo offre, per confermare la fede dei fratelli.

Ho letto anche un'altra lettera, in cui non sono espressi chiaramente né il mittente né il destinatario; e dato che essa, sia per la forma, che per il contenuto e per la stessa carta mi ha fatto sospettare che qualcosa vi sia stato soppresso o mutato, rispedisco a voi l'originale di questa lettera, perché possiate riconoscere se sia proprio quella che avete consegnato per me al suddiacono Cremenzio.

Sarebbe infatti ben grave se una lettera del clero fosse con frode falsificata o alterata.

Perché dunque ci sia dato sapere ciò, controllate la scrittura e la firma, se sia proprio vostra, e scriveteci di che realmente si tratta.

Vi auguro, fratelli carissimi, di star sempre bene.

Cipriano di Cartagine, Lettere, 9 ( ai presbiteri e diaconi di Roma )

11. - Il vescovo di Roma informa quello di Antiochia sullo scisma di Novato

[ Si tratta di papa Cornelio e del vescovo Fabio ].

Abbiamo visto in poco tempo, fratello carissimo, un mutamento impensato, una vera trasformazione in lui.

Questo illustre uomo, infatti, che con terribili giuramenti aveva attestato di non desiderare l'episcopato, all'improvviso, quasi uscendo da un incantesimo, apparve quale vescovo.

Tale insigne maestro e propugnatore della disciplina ecclesiastica si diede da fare per impossessarsi della dignità episcopale che non gli era stata data dall'alto; si scelse perciò quali soci due individui davvero anime perdute, per mandarli in una piccola e oscura località dell'Italia e trarne ivi fraudolentemente tre vescovi, incolti e semplici; ingannandoli con una falsa argomentazione, affermava e persuadeva a forza che dovevano immediatamente recarsi a Roma per placare con la loro mediazione, insieme anche ad altri vescovi, tutto il dissidio che ivi era sorto.

Arrivati dunque a Roma, inesperti come erano - lo abbiamo detto - di inganni e macchinazioni, li fece circondare da gente della sua risma e all'ora decima, oppressi dal cibo e dal vino, li costrinse con la forza a conferirgli, con una imposizione delle mani contraffatta e invalida, l'episcopato; episcopato che non gli appartiene, e che si rivendica solo con astuzia e frode.

Uno dei tre, non molto dopo, venne alla Chiesa riconoscendo e confessando la propria colpa; e noi lo abbiamo riammesso nella comunione dei laici, perché tutto il popolo presente ha interceduto per lui.

Abbiamo invece ordinato i successori degli altri due vescovi, e li abbiamo inviati nel luogo dove essi erano prima.

Non sapeva dunque questo bel difensore del Vangelo, che nella Chiesa cattolica ci deve essere un solo vescovo?

E sapeva pure - e come non l'avrebbe potuto? - che vi sono quarantasei presbiteri, sette diaconi, sette suddiaconi, quarantadue accoliti, cinquantadue esorcisti e insieme ostiari e più di mille e cinquecento vedove e poveri, mantenuti tutti dalla grazia e dalla benignità del Signore.

Tuttavia questa moltitudine, tanto grande e necessaria della Chiesa, il cui numero, per la divina provvidenza, s'arricchisce e nasce sempre più, e insieme a questa il popolo immenso e innumerevole non lo distolsero da tale gesto disperato e delittuoso, né a richiamarlo alla Chiesa.

Eusebio, Storia ecclesiastica, 6,43,7-12

12. - Testimonianza di Cipriano su Cornelio

Vengo ora, fratello carissimo, alla persona di Cornelio, nostro collega, perché tu con noi meglio lo conosca, non dalle menzogne dei maligni e dei detrattori, ma secondo il giudizio di Dio che fa i vescovi e l'attestazione dei colleghi in episcopato, che tutti in tutto il mondo, nessuno escluso, ammettono ciò con concorde unanimità.

Infatti - cosa che segnala il nostro carissimo Cornelio davanti a Dio, a Cristo e alla sua Chiesa, e anche, per le aperte attestazioni di lode, davanti a tutti i vescovi - egli non giunse all'episcopato d'un tratto, ma, passando attraverso tutti gli uffici ecclesiastici e spesso promosso ai vari impegni religiosi nel servizio del Signore, ascese alla vetta sublime del sacerdozio attraverso tutti i gradi del culto.

Egli poi non domandò né volle l'episcopato, e neppure, come tutti gli altri gonfi di arroganza e di superbia, se ne impossessò, ma quieto come sempre e modesto - proprio quali sogliono essere coloro che vengono eletti da Dio a questa dignità -, per il pudore verginale della sua continenza e per l'umiltà della sua verecondia, a lui congenita e da lui custodita, non fece, come alcuni, violenza per diventare vescovo, ma soffrì violenza per accettare, costretto, l'episcopato.

E fu creato vescovo da molti nostri colleghi presenti allora nella città di Roma, i quali inviarono a noi, sulla sua ordinazione, una lettera piena di lode, che gli fa onore e che è notevole per la testimonianza che di lui rende.

Egli dunque divenne vescovo per giudizio di Dio e del suo Cristo, per attestazione di quasi tutti i chierici, per il voto del popolo allora presente, per l'accettazione collegiale di vescovi venerabili e illustri; e nessuno era stato creato vescovo prima di lui; la sede di Fabiano - cioè la sede di Pietro, la sua cattedra episcopale - era vacante.

Ché se una cattedra è già occupata per volontà di Dio, e se il consenso di noi tutti vi ha dato conferma, chiunque vi vuole essere fatto vescovo, lo diviene solo fuori della Chiesa: non ha ordinazione ecclesiastica chi non conserva l'unità ecclesiale.

Chiunque egli sia, per quanto si vanti e per quanti meriti rivendichi, è un profano, è un estraneo, è fuori della comunione.

E dato che dopo il primo non vi può essere il secondo, chiunque viene fatto vescovo dopo l'unico che solo deve esserci, non è certo un secondo, ma non è nulla.

Dopo aver dunque non ambito, non estorto, ma accettato l'episcopato dalla volontà di Dio che fa i vescovi, quanta virtù, quanta forza d'animo, quale fermezza di fede mostrò nell'ufficio abbracciato!

Con semplicità di cuore dobbiamo pienamente riconoscere, dobbiamo celebrare che egli sedette intrepido sulla cattedra episcopale a Roma nel tempo in cui, il tiranno, pieno di odio per i sacerdoti di Dio minacciava ogni sorta di nefandezza; tiranno che si sarebbe mostrato più paziente e tollerante se avesse udito che in Roma era stato eletto un altro imperatore suo emulo, piuttosto che un sacerdote di Dio.

Non si deve dunque, fratello carissimo, elogiare costui per la sua somma testimonianza di valore e di fede?

Non si deve enumerare tra i gloriosi confessori e martiri costui, che per tanto tempo rimase nella sua sede aspettando i carnefici del suo corpo, gli emissari del feroce tiranno, incaricati di passare per la spada Cornelio - che resisteva contro i funesti editti e calpestava col vigore della fede le torture e i tormenti - oppure crocifiggerlo, o gettarlo nel fuoco, o dilaniare le sue viscere e le sue membra con qualche altra tortura feroce e inaudita?

Anche se la maestà e la bontà del Signore, che protegge i vescovi e che lo volle eletto, lo protesse in effetti dopo l'elezione, tuttavia Cornelio, per quanto riguarda la sua devozione e il suo timore di Dio, soffrì tutto ciò che poté soffrire, e col suo potere episcopale vinse per primo il tiranno, che poi fu vinto dalle armi in guerra.

Cipriano, Lettere, 55,8-9 ( ad Antoniano )

13. - Le Chiese di Oriente possono salvarsi solo unendosi con i vescovi d'Occidente

Penso che nessuno soffra tanto per la presente situazione delle Chiese - o meglio confusione, per parlare con più verità - quanto ne soffre la tua eccellenza [ Atanasio di Alessandria ].

Sai mettere a confronto il presente con il passato, ne giudichi tutta la differenza e comprendi che, se tutto protende al male con lo stesso impeto, nulla impedirà che entro poco tempo le Chiese cambino completamente nel loro aspetto.

Mi sono fermato spesso a pensare che, se questo traviamento della Chiesa sembra a noi tanto miserabile, cosa avrà mai nell'animo colui che ha esperimentato l'antica tranquillità e concordia nella fede delle Chiese del Signore?

Ma come per la tua perfezione sai assumerti la maggior parte di dolore, così riteniamo conveniente rimettere alla tua saggezza la parte maggiore della sollecitudine per la Chiesa.

Anch'io sono da molto tempo ormai convinto, pur nella mia limitata comprensione della realtà, e riconosco che una sola è la strada di salvezza per le nostre Chiese: l'unione attiva con i vescovi dell'Occidente.

Se essi volessero mostrare anche per le comunità della nostra regione lo zelo che ebbero contro uno o due che in Occidente furono sorpresi nell'errore [ Aussenzio di Milano e i suoi seguaci ], forse non piccola sarebbe l'utilità per il bene comune, perché i governanti [ l'imperatore Valente ] avrebbero rispetto del loro numero imponente e i popoli di ogni regione li seguirebbero senza difficoltà.

Per ottenere ciò, cosa mai è più adatto della tua saggezza?

Chi è più acuto nel prevedere ciò che è necessario?

Chi è più pratico nel mettere in opera ciò che è utile?

Chi partecipa più di te ai dolori dei fratelli?

Cosa mai in tutto l'Occidente è più stimato della tua venerabile canizie?

Lascia ai viventi un monumento degno della tua condotta, o padre sommamente venerando!

Corona le tue mille altre fatiche per la fede con questa sola buona opera: manda dalla tua Chiesa ai vescovi di Occidente alcuni uomini ben versati nella dottrina sana: esponi loro le sventure che ci travagliano, suggerisci loro il modo di aiutarci.

Sii per le Chiese un Samuele, abbi pietà dei popoli travagliati dalla guerra, offri preghiere di pace, chiedi al Signore la grazia che mandi alle Chiese un segno di pace!

So che lo scritto vale poco per persuaderti a questa impresa; ma tu non hai bisogno delle esortazioni altrui, come i lottatori più generosi non hanno bisogno dell'applauso dei fanciulli, e noi non istruiamo un ignorante, ma eccitiamo il fervore di un fervoroso [ scritta nel 371, questa lettera oltre a invocare l'aiuto del vescovi d'Occidente contro l'eresia ariana, contiene un elogio di Atanasio, l'uomo e il vescovo che difese con vigore la fede di Nicea ].

Per tutte le altre situazioni dell'Oriente forse hai bisogno dell'aiuto di molti e ti è necessario attendere gli occidentali; tuttavia il buono stato della Chiesa di Antiochia pende chiaramente dalla tua pietà: che tu cioè con alcuni scenda a trattative e altri convinca a star calmi, restituendo così alla Chiesa, per mezzo della concordia, la sua forza.

Che la cura debba incominciare dalle parti più vitali, tu, come medico sapientissimo, lo sai meglio d'ogni altro.

E per la Chiesa universale, cosa è mai più importante di Antiochia?

Se viene ricondotta alla concordia, nulla impedirà che, come un capo rinvigorito, essa diffonda la salute in tutto il corpo.

Ma la debolezza di questa città ha effettivamente bisogno della tua saggezza e della tua compassione evangelica.

Essa non solo è lacerata dagli eretici [ ariani ], ma anche da taluni che dicono di avere le stesse nostre idee.

Riunire queste membra e innestarle nell'armonia di un solo corpo è possibile solo a colui che con la sua indicibile potenza concede anche alle ossa aride di ritornare tra i nervi e la carne ( Ez 37 ).

Certo, Dio compie grandi opere per mezzo di quelli che sono degni di lui.

Speriamo dunque che il disbrigo di queste faccende tanto importanti renda illustre la tua grandezza d'animo e che tu possa appianare lo scompiglio del popolo, far cessare il dominio delle fazioni, unire tutti nell'amore e restituire alla Chiesa la forza di prima.

Basilio il Grande, Lettere, 66 ( ad Atanasio, vescovo di Alessandria )

14. - Perché consultare la cattedra di Pietro [ papa Damaso ]

Con un furore che dura da secoli, i popoli d'Oriente continuano a scontrarsi tra loro, e riducono a brandelli la tunica inconsutile del Signore, tessuta da cima a fondo senza cuciture.

Delle volpi devastano la vigna di Cristo; in mezzo a cisterne spaccate e senz'acqua è difficile capire dove si trovi quella fontana sigillata, quell'orto chiuso da un recinto, di cui parla la Scrittura ( Ct 4,12 ).

Per questo ho deciso di consultare la cattedra di Pietro, dove si trova quella fede che la bocca di un apostolo ha esaltato; vengo ora a chiedere un nutrimento per la mia anima lì, dove un tempo ricevetti il vestito di Cristo [ cioè il battesimo ].

No davvero! Né l'immensità del mare, né l'enorme distanza terrestre hanno potuto impedirmi di cercare la perla preziosa.

Dove sarà il corpo, là si raduneranno le aquile ( Lc 17,37 ).

Dopo che il patrimonio è stato dissipato da una progenie perversa, solo presso di voi si conserva intatta l'eredità dei padri.

Costì una terra dalle zolle fertili riproduce al centuplo la pura semente del Signore; qui il frumento nascosto nei solchi degenera in loglio e avena.

In Occidente sorge il sole della giustizia, mentre in Oriente ha posto il suo trono sopra le stelle quel Lucifero, che era caduto dal cielo.

Voi siete la luce del mondo, il sale della terra ( Mt 5,13 ), voi i vasi d'oro e d'argento; qui da noi vasi di terra cotta e di legno attendono la verga di ferro che li spezzi e il fuoco eterno.

La tua grandezza, a dire il vero, mi mette in soggezione, ma la tua bontà m'attira.

Io, vittima, attendo dal sacerdote la salvezza, e come una pecorella chiedo protezione al pastore.

Metti da parte ciò che è invidiabile, sottraiti un momento al fasto dell'altissima dignità romana: ecco il successore del pescatore, con un discepolo della croce che desidero parlare.

Io non seguo altro primato se non quello di Cristo; per questo mi metto in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro.

So che su questa pietra è edificata la Chiesa.

Chiunque si ciba dell'Agnello fuori di tale casa è un empio.

Chi non si trova nell'arca di Noè, perirà nel giorno del diluvio.

Girolamo, Le Lettere, I, 15,1-2 ( a papa Damaso )

15. - Pietro e Paolo, gloria di Roma

La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi! Amen! ( Rm 16,27 ).

Vedi in che modo si deve iniziare e terminare tutto?

In questo modo l'Apostolo ha iniziato la lettera e in questo modo l'ha conclusa felicemente: augurando ai romani la grazia, madre di tutti i beni e ricordando loro i benefici di Dio.

In questo modo si deve comportare appunto il vero maestro: aiutare i discepoli non solo con la parola, ma anche con la preghiera.

Per questo diceva: Noi invece ci occuperemo assiduamente della preghiera e del ministero della predicazione ( At 6,4 ).

Ma chi pregherà per noi, ora che Paolo se n'è andato? Coloro che imitano Paolo.

Solo rendiamoci degni di una tale intercessione, affinché non solo udiamo quaggiù la voce di Paolo, ma possiamo anche essere degni, alla nostra dipartita, di vedere questo grande atleta di Cristo.

Anzi, se quaggiù l'udremo, sicuramente lassù lo vedremo e, anche se non gli saremo vicini, lo contempleremo certo splendere vicino al trono del re, dove i cherubini innalzano la loro lode e dove aleggiano i serafini.

Lassù vedremo Paolo insieme con Pietro, capo e guida del coro dei santi, ed esperimenteremo tutto il suo amore.

Infatti, se quaggiù amava tanto gli uomini da preferire di restare in terra pur bramando di partirsene ed essere con Cristo ( Fil 1,23 ), tanto più lassù mostrerà loro un amore ardente.

Per questo motivo io amo Roma; pur avendo altre ragioni per lodarla: la grandezza, l'antichità, la bellezza, la moltitudine del suo popolo, la potenza, la ricchezza e le imprese belliche; ma tralasciando tutto il resto, io la stimo felice perché Paolo, mentre ancora viveva, scrisse ai suoi cittadini, li amò intensamente, parlò loro di presenza e concluse ivi la sua vita.

Per questo motivo, più che per ogni altro, quella città è celebre: come un corpo grande e robusto, possiede due occhi splendenti: i corpi di quei due santi.

Il cielo non è splendido, quando il sole diffonde i suoi raggi, come lo è la città di Roma, che irradia lo splendore di quelle fiaccole ardenti per tutto il mondo.

Da quel posto Pietro, da quel posto Paolo saranno rapiti al cielo.

Pensate e ammirate che spettacolo contemplerà Roma quando, all'improvviso, Paolo risorgerà dalla tomba, insieme con Pietro, per andare incontro al Signore!

Quale rosa Roma presenta al Cristo, di quali corone è adorna quella città, di quali catene auree circondata e quali fonti ha in sé!

Questo è il motivo per cui ammiro questa città; non per l'oro, non per le statue e tutto il suo fasto, ma per queste due colonne della Chiesa.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 33,2

16. - « Su questa pietra edificherò la mia Chiesa »

In tutto il mondo, Pietro solo viene eletto per essere posto a capo di tutte le genti da Dio chiamate, di tutti gli apostoli e di tutti i padri della Chiesa.

In tal modo, quantunque nel popolo di Dio vi siano molti sacerdoti e molti pastori, Pietro regge in senso proprio coloro che, in senso eminente, regge Cristo.

É grande e mirabile, carissimi, la partecipazione alla sua potenza che la divina degnazione elargì a questo uomo; e se volle che gli altri prìncipi della Chiesa avessero qualcosa con lui in comune, mai se non per il tramite di lui elargì ciò che agli altri non negò.

Poi il Signore chiede a tutti gli altri apostoli ciò che gli uomini di lui pensano, e in tanto le risposte sono identiche, in quanto esprimono le ambiguità dell'umana ignoranza.

Ma quando esige di sapere ciò che i discepoli sentono di lui, è primo a professare il Signore colui che è primo nella dignità apostolica.

Pietro disse: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivo ( Mt 16,16 ); e Gesù rispose: Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti rivelarono me, ma il Padre mio che è nei cieli ( Mt 16,17 ).

Cioè: tu sei beato perché ti ha ammaestrato mio Padre: non ti ha ingannato l'opinione mondana, ma ti ha istruito l'ispirazione celeste; e non la carne e il sangue ti hanno rivelato me, ma colui di cui io sono il Figlio unigenito.

E io ti dico, soggiunse: cioè come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io ti rendo nota la tua stessa grandezza: che tu sei Pietro, cioè: io sono la pietra inviolabile, io sono la « pietra angolare che unisco i due in uno », io sono il fondamento oltre il quale nessuno può porne un altro ( Ef 2,14.20 ); tuttavia anche tu sei una pietra, perché sei forte per la mia saldezza, perché quanto mi appartiene per potestà è comune tra me e te per partecipazione.

E sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non prevarranno contro essa ( Mt 16,18 ).

Su questa base salda costruirò il tempio eterno e la sublimità della mia Chiesa, che toccherà il cielo, sorgerà sulla saldezza di questa fede.

Le porte dell'inferno non fermeranno questa solenne professione, i vincoli della morte non la legheranno: questa parola infatti è una parola di vita; e come eleva ai regni celesti i suoi sostenitori, così essa immerge negli inferi i suoi negatori.

Per questo il Signore soggiunse al beatissimo Pietro: A te darò le chiavi del regno dei cieli.

E tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche nei cieli; e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli ( Mt 16,19 ).

Certo, passò anche negli altri apostoli il diritto a tanto potere, si riversò anche negli altri capi della Chiesa la forza di questo decreto; ma non è senza motivo che viene commesso a uno solo ciò che sarebbe valso per tutti.

Viene affidato singolarmente a Pietro, perché la persona di Pietro viene preposta a tutti i reggitori della Chiesa.

Resta dunque un privilegio di Pietro anche per i suoi successori, ogniqualvolta essi emettono un giudizio ispirato alla di lui equità.

E non è troppa la severità o l'indulgenza ove nulla sarà legato e nulla sciolto, se non ciò che il beato Pietro avrà sciolto o legato.

Ma incombendo la passione, che avrebbe sconvolto la costanza dei discepoli, il Signore disse: Simone Simone: ecco che Satana vi ha esigito, per vagliarvi come il grano.

Ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno.

E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli, perché non entriate in tentazione ( Lc 22,31-32 ).

Tutti gli apostoli erano esposti al pericolo della paura e tutti allo stesso modo avevano bisogno dell'aiuto e della protezione divina, perché il diavolo bramava tutti agitarli e tutti eliminarli; e tuttavia il Signore si prende cura particolare di Pietro e prega ardentemente proprio per la fede di Pietro, come se lo stato degli altri fosse più garantito, qualora l'animo del loro capo non fosse stato sconfitto.

Dunque, in Pietro, viene difesa la forza di tutti e l'aiuto della grazia divina segue questo ordine: la fermezza che, per il tramite di Cristo, viene donata a Pietro, per il tramite di Pietro viene conferita agli apostoli.

Vedendo dunque, dilettissimi, che è stato divinamente istituito per noi un presidio tanto grande, è ragionevole e giusto rallegrarci per i meriti e la dignità del nostro condottiero, rendendo grazie al re eterno e redentore nostro, il Signore Gesù Cristo, che diede una tale potenza a colui che pose a capo di tutta la Chiesa, tanto che se ai nostri tempi per opera nostra qualcosa di giusto si fa o giustamente si dispone, lo dobbiamo attribuire all'opera e alla guida di colui, cui fu detto: « E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli ».

A lui il Signore, dopo la sua risurrezione, alla triplice professione di amore eterno rivolse il significativo invito: Pasci le mie pecore ( Gv 21,17 ).

Egli senza dubbio ora lo fa, ed eseguisce, come pastore fedele, il comando del Signore, sostenendoci con le sue esortazioni e non cessando di pregare per noi, perché nessuna tentazione ci vinca.

E se estende ovunque questa sua cura amorosa, come è da credere, su tutto il popolo di Dio, quanto più si degnerà di impegnare la sua opera per noi suoi protetti, tra cui nella sacra tomba dorme nel sonno beato, con quella stessa carne con cui un giorno fu capo?

Leone Magno, Sermoni, 4,2-4

17. - Pietro non ha abbandonato il timone della Chiesa

Il mistero del sacerdozio divino, pervenuto agli uomini, non si propaga per il tramite delle generazioni, né viene eletto quel che hanno prodotto la carne e il sangue.

É cessato il privilegio derivante dai padri; si trascura l'ordine proveniente dalle famiglie: la Chiesa accoglie come pastori coloro che lo Spirito Santo ha preparato.

Così, nel popolo, da Dio adottato, nel suo complesso regale e sacerdotale, non è la prerogativa dell'origine terrena che ottiene l'unzione, ma è il favore della grazia celeste che crea il vescovo.

Perciò, dilettissimi, nel compiere il servizio del nostro ufficio ci dimostriamo deboli e pigri - se infatti desideriamo agire con pietà e coraggio ci attarda la stessa fragilità della nostra condizione -; tuttavia godendo dell'incessante propiziazione del Sacerdote onnipotente ed eterno, il quale, simile a noi e uguale al Padre, ha abbassato la divinità fino alla realtà umana e ha innalzato l'umanità fino alla realtà divina, ci rallegriamo, com'è giusto e doveroso, di ciò che egli ha stabilito.

Infatti, pur avendo delegato a molti pastori la cura delle sue pecore, egli non ha abbandonato la custodia del gregge diletto.

E dalla sua assistenza, fondamentale ed eterna, deriva anche a noi l'appoggio dell'apostolo Pietro, che certo non viene mai meno alla sua missione.

La saldezza di questo fondamento su cui è costruita tutta la Chiesa nella sua altezza, non è mai scossa, per quanto grande sia la mole del tempio che la sovrasta.

La saldezza di quella fede, lodata nel principe degli apostoli, è perpetua; e come resta per sempre ciò che Pietro credette in Cristo, così resta per sempre ciò che Cristo stabilì in Pietro.

Infatti, come è stato annunciato nella lettura del Vangelo, avendo il Signore interrogato i discepoli che cosa essi lo ritenessero, tra le disparate opinioni dei molti, rispose il beato Pietro dicendo: Tu sei Cristo, figlio del Dio vivo.

Il Signore disse: Beato sei tu, Simone Bar-Iona, perché non la carne e il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.

E io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa, e a te darò le chiavi del regno dei cieli.

E tutto ciò che avrai legato sulla terra, sarà legato anche nei cieli; e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli ( Mt 16,16-19 ).

Resta per sempre, dunque, questa disposizione della Verità; e Pietro, perseverando nella saldezza di pietra assegnatagli, non ha più abbandonato il timone della Chiesa.

Egli infatti fu preposto a tutti gli altri, e così, quando viene detto « pietra », quando viene nominato « fondamento », quando viene costituito « portiere del regno dei cieli », quando viene preposto come « arbitro del legare e dello sciogliere » i cui giudizi rimarranno stabili anche nei cieli, ci è dato conoscere quale sia la sua unione con Cristo attraverso il mistero di questi appellativi.

E ora compie con maggiore pienezza e potenza gli incarichi affidatigli, ed eseguisce in tutti i particolari gli uffici e gli impegni, in colui e con colui dal quale fu glorificato.

Se, dunque, da noi si fa qualche azione retta o si prende qualche decisione giusta, se con le suppliche quotidiane otteniamo qualcosa dalla misericordia di Dio, è per la sua opera e per i suoi meriti: nella sua sede vive la sua potestà, vi eccelle la sua autorità.

Ciò fu ottenuto, dilettissimi, da quella gloriosa affermazione che, ispirata da Dio Padre al suo cuore apostolico, trascese ogni incertezza delle opinioni umane e ricevette la fermezza di pietra che non sarà mai scossa da nessun attacco.

In tutta la Chiesa infatti « Tu sei Cristo, figlio del Dio vivo » dice ogni giorno Pietro, e ogni lingua che loda il Signore viene formata dal magistero di questa voce.

Questa fede vince il diavolo e scioglie i ceppi dei suoi prigionieri.

Essa strappa dal mondo e colloca nel cielo, e le porte dell'inferno non possono prevalere contro di essa; è stata divinamente dotata di tale saldezza, che mai potrà corromperla la stoltezza degli eretici, né mai potrà superarla la perfidia dei pagani.

In questo modo dunque, dilettissimi, si celebra con giusta devozione la festività odierna, sicché si veda e si onori nella mia umile persona colui nel quale persevera la sollecitudine di tutti i pastori e la custodia delle pecore a lui affidate, e la cui dignità non viene meno neppure in un indegno successore.

Da ciò, anche la presenza, desiderata e onorabile, dei miei venerabili fratelli e colleghi nel sacerdozio sarà più sacra e devota, se essi consacreranno questa sacra funzione, alla quale si sono degnati di presenziare, principalmente a colui che, come essi sanno, non è solo presule di questa sede, ma anche primate di tutti i vescovi.

Quando dunque rivolgiamo esortazioni alle orecchie della vostra santità, credetelo, vi parla colui al cui posto noi ora stiamo: infatti vi ammoniamo con il suo affetto e non vi annunciamo nulla che egli non abbia insegnato.

Leone Magno, Sermoni, 3,1-4

18. - Gesù Cristo è il vero ed eterno capo della Chiesa

Circondati di carne mortale, soggetti alla fragilità di fronte alla tentazione, non siamo mai liberi da qualche attacco che ci colpisce, e in questa lotta la vittoria non è mai tanto felice, che anche dopo il trionfo non risorga qualche nuova battaglia.

Perciò nessun pontefice è tanto perfetto, nessun vescovo è tanto immacolato, da poter offrire ostie di pacificazione solo per i delitti del popolo, e non anche per suoi peccati.

Se questa è la condizione che lega tutti i sacerdoti, quanto più essa grava e stringe noi, per i quali la stessa grandezza del compito assunto è occasione frequentissima di colpa?

Quantunque infatti i singoli pastori presiedano con speciale sollecitudine al loro gregge e sappiano che dovranno rendere conto delle pecore loro affidate, a noi tuttavia la cura è comune con tutti, e il governo di ciascuno di loro è porzione della nostra fatica.

Infatti quando da tutto il mondo si ricorre alla sede dell'apostolo Pietro, si richiede al nostro ministero anche quell'amore per la Chiesa universale che il Signore raccomandò a Pietro.

E tanto maggiore sentiamo su di noi gravare il peso, quanto maggiori sono i nostri doveri.

Tra questi motivi di trepidazione, che fiducia mai avremmo di compiere il nostro servizio, se non perché mai sonnecchia né si addormenta colui che custodisce Israele e che disse ai suoi discepoli: Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo ( Mt 28,20 )?

Se non perché egli si degna di essere non solo custode delle pecore, ma anche pastore degli stessi pastori?

Non lo si vede materialmente con la vista, ma lo si sente spiritualmente col cuore; è assente col corpo, con cui poteva farsi da noi vedere, è presente con la divinità, con la quale è sempre tutto e dovunque …

É presente dunque, dilettissimi, in mezzo ai suoi fedeli il Signore Gesù Cristo - lo professiamo non temerariamente, ma con fede - e quantunque segga alla destra di Dio Padre fino a quando porrà i suoi nemici a sgabello dei suoi piedi ( Sal 110,1 ), egli tuttavia, pontefice sommo, non è lontano dal consesso dei suoi pontefici, e giustamente la bocca di tutta la Chiesa e di tutti i sacerdoti canta a lui: Giurò il Signore e non se ne pentirà: tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedek ( Sal 110,4 ) …

Non è dunque una presunzione questa nostra festa, dilettissimi, in cui onoriamo, memori del dono divino, il giorno della nostra consacrazione; infatti confessiamo con sentimenti religiosi e conformi a verità che Cristo svolge l'opera del nostro ministero in tutto ciò che noi rettamente compiamo; e ci gloriamo non in noi, che senza di lui nulla possiamo, ma in lui, che è la nostra stessa possibilità.

Leone Magno, Sermoni, 5,1-4

19. - Pietro non cessa di presiedere alla sua sede

Non cessa di presiedere alla sua sede il beatissimo Pietro, ed è stretto all'eterno sacerdote in un'unità che non viene mai meno.

Infatti la saldezza che egli, diventato « pietra » prese dalla « pietra Cristo », si propaga anche nei suoi eredi e, ovunque vi è una manifestazione di fermezza, vi appare indubbiamente la forza del pastore.

E se dovunque, a quasi tutti i martiri, per la loro tolleranza nel tormento è stato elargito che, per manifestare i loro meriti, possano prestare aiuto a chi è in pericolo, allontanare i contagi, cacciare gli spiriti immondi e curare numerose malattie, chi stimerà tanto poco la gloria del beato Pietro - sia per ignoranza che per invidia - da ritenere che qualche parte della Chiesa non sia retta dalla sua sollecitudine e non aumenti per la sua opera?

É vivo infatti e vigoroso nel principe degli apostoli quell'amore per Dio e per gli uomini, che non fu scosso dall'angustia del carcere, né dalle catene, né dal furore del popolo, né dalle minacce del re; e la sua fede inespugnabile, che non venne meno nella battaglia, non si è intiepidita nella vittoria.

Se dunque ai nostri giorni la mestizia si tramuta in gioia, le fatiche in riposo, le discordie in pace, noi riconosciamo di essere aiutati dalle preghiere e dai meriti del nostro patrono, ed esperimentiamo, per prove frequenti, che egli presiede ai consigli salutari e ai giudizi equi; e così, vigendo presso di noi il diritto di legare e di sciogliere, è sotto la guida del beatissimo Pietro che chi è condannato viene condotto a penitenza, e chi è riconciliato giunge al perdono.

E perciò tutte le dimostrazioni di affetto, che per degnazione fraterna o pietà filiale avete rivolto a noi, riconoscete, con maggior devozione e verità, di averle con me rivolte a colui, alla cui sede noi godiamo non tanto di presiedere, quanto di servire.

Speriamo di ottenere per le preghiere di lui che il Dio delle misericordie riguardi benigno il tempo del nostro ministero e si degni di custodire e di pascere il pastore delle sue pecore.

Leone Magno, Sermoni, 5,4-5

20. - Lettera di Leone Magno nella contesa con Ilario di Arles

La divina religione, che la grazia di Dio volle far risplendere tra tutte le genti e tra tutte le nazioni, fu istituita dal Signore nostro Gesù Cristo, salvatore del genere umano, in modo che la verità, contenuta prima nell'annuncio della legge e dei profeti, si diffondesse ovunque, a salute dell'universo intero, per mezzo degli apostoli, come sta scritto: In tutta la terra uscì il loro suono, e fino ai confini dell'orbe terrestre le loro parole ( Sal 19,5 ).

Il Signore però volle che questo sacro compito, ufficio proprio di tutti gli apostoli, avesse la sua sede principale nel beatissimo Pietro, il sommo degli apostoli, e che in questo modo i suoi doni promanassero da lui, come da un capo, in tutto il corpo: così avrebbe compreso di essersi privato di questo divino mistero colui che avesse osato sottrarsi all'unione con Pietro.

Egli infatti aveva assunto Pietro a un'unità tutta personale, e volle che tutti sapessero ciò che egli era, quando disse: Tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa ( Mt 16,18 ).

Così la costruzione del tempio eterno, per dono mirabile della grazia di Dio, ha per fondamento la saldezza di Pietro; con questa forza Cristo volle corroborare la sua Chiesa, perché contro di lei nulla possa la temerità umana, e le porte degli inferi contro di lei non prevalgano.

Ed è proprio la forza sacra di questa pietra, posta da Dio a fondamento, come abbiamo detto, che intende violare, con troppa empia presunzione, chiunque cerca di spezzare la sua potestà, accarezzando le proprie brame e non seguendo le norme ricevute dagli anziani: non si ritiene soggetto a nessuna legge, non si lascia guidare da nessuna istituzione del Signore, si allontana dal vostro e dal nostro costume per la brama di usurpare nuova autorità, presume ciò che gli è illecito e trascura ciò che dovrebbe custodire …

Così Ilario [ vescovo di Arles ] con le sue nuove e assurde pretese, ha sconvolto lo stato delle Chiese [ delle Gallie ] e la concordia dei vescovi.

Bramando di assoggettare voi alla sua potestà e non soffrendo di essere soggetto al beato apostolo Pietro, ha rivendicato a sé il diritto di compiere ordinazioni in tutte le Chiese delle Gallie e di trasferire in sé l'autorità dovuta ai vescovi metropolitani; e in più ha sminuito, con espressioni troppo arroganti, la riverenza dovuta al beatissimo Pietro, a cui è stata data, al di sopra di tutti, la potestà di sciogliere e legare e una cura specialissima di pascolare le pecore.

Chiunque pensa di negare il suo primato, non può minimamente sminuirne la dignità, ma gonfiato dallo spirito della propria superbia, sprofonda se stesso nell'inferno.

Leone Magno, Lettera ai vescovi della provincia di Vienne

21. - Ammonimento di papa Leone Magno al suo vicario a Tessalonica

La tua fraternità rilegga le nostre pagine, riveda tutti gli scritti inviati dai presuli di questa sede apostolica ai tuoi predecessori e provi a trovare se mai da me o dai miei predecessori fu mai ordinato ciò che, come ci consta, tu hai avuto la presunzione di fare!

É venuto infatti da noi, insieme con i vescovi della sua provincia, il nostro fratello Attico, metropolita del Vecchio Epiro, e in lacrime si è lagnato dell'assolutamente indegna offesa che ha dovuto sostenere … che cioè tu ti sei recato alla prefettura dell'Illirico, e hai eccitato la più alta tra le alte autorità terrene per ottenere l'espulsione di un vescovo innocente.

Così fu ordinata una terribile esecuzione, all'effettuazione della quale furono obbligate tutte le pubbliche autorità: che fosse strappato dai sacri recessi della chiesa, senza colpa o per colpa falsamente insinuata, un sacerdote, esclusa ogni dilazione, né per ragioni di salute, né per l'inclemenza dell'inverno; e fu costretto a intraprendere un viaggio aspro e pieno di pericoli tra le nevi intransitabili; viaggio che fu tanto disagiato e tanto rovinoso che, mi si riferisce, alcuni di coloro che accompagnavano il vescovo ne morirono.

Me ne stupisco molto, fratello carissimo, ma soprattutto mi dolgo che tu abbia potuto muoverti con tanta atrocità e tanta violenza contro uno di cui prima non mi avevi riferito altro se non che aveva differito di presentarsi alla tua chiamata, adducendo motivi di salute.

Soprattutto perché, se avesse meritato qualcosa di simile, avresti dovuto aspettare che io rispondessi alla tua consultazione.

Ma, come vedo, conosci bene il mio carattere e hai preveduto giustissimamente con quanta urbanità io avrei risposto per conservare la concordia tra i vescovi: perciò ti sei affrettato a mandare a effetto i tuoi impulsi, senza neppure dissimularli, perché se avessi ricevuto qualche nostro scritto con altre disposizioni non avresti avuto licenza di fare ciò che hai fatto.

O forse eri venuto a conoscenza di qualche altra colpa, o ti faceva pressione il peso di qualche altro delitto del vescovo metropolitano?

Ma che ciò non fosse, tu stesso lo confermi, non obiettandogli nulla.

Ma, anche se avesse commesso qualche colpa grave e intollerabile, avresti dovuto aspettare la nostra decisione, e non avresti dovuto stabilire nulla prima di conoscere il nostro placito.

Abbiamo affidato infatti alla tua carità di fungere le nostre veci, in modo però da esser chiamato a sostenere una parte delle nostre cure, non alla pienezza della potestà.

Perciò, come molto ci allieta quello che hai portato a effetto con religiosa cura, troppo ci rattrista quello che hai malamente compiuto.

É necessario, dopo l'esperienza di molti casi, guardare con più cura e premunirsi con più diligenza che, in spirito di amore e di pace, venga tolta dalle Chiese del Signore che abbiamo a te affidato ogni materia di scandalo, mantenendo in tutto il suo onore la tua funzione episcopale in quelle province, ma eliminando ogni eccesso e usurpazione.

Perciò, secondo i canoni dei santi padri stabiliti dallo Spirito di Dio e consacrati dall'osservanza in tutto il mondo, decretiamo che i vescovi metropoliti delle singole province, affidate per delegazione nostra alle cure della tua fraternità, abbiano integro il diritto della dignità loro da tempo affidata …

A questo fine, infatti, dirigiamo tutto il nostro affetto e la nostra cura: che da nessun dissenso sia violato e da nessuna trascuranza sia negletto ciò che giova all'unità della concordia e all'osservanza della disciplina.

E te dunque, fratello carissimo e i fratelli nostri offesi dai tuoi eccessi - per quanto non tutti abbiano uguali argomenti di querela - esorto e ammonisco che non venga turbato in nessun modo ciò che è stato religiosamente ordinato e salutarmente disposto.

Nessuno curi ciò che è proprio, ma ciò che è altrui, come dice l'Apostolo: Ciascuno di voi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo ( Rm 15,2 ).

Infatti, non potrà restar salda la compagine della nostra unità se il vincolo dell'amore non ci avrà stretto con forza inseparabile, perché come in un corpo abbiamo molte membra, e tutte le membra non compiono le stesse azioni, così in molti siamo un corpo solo in Cristo e siamo ciascuno membra per l'altro ( 1 Cor 12,12 ).

L'intima unione di tutto il corpo è fonte di una sola salute, di una sola bellezza; e se questa intima unione di tutto il corpo richiede da tutti l'unanimità, esige soprattutto la concordia tra i vescovi.

Se fra di essi, poi, la dignità è comune, non è tuttavia identica l'autorità: del resto fra gli stessi beatissimi apostoli, pur in simile onore, vi fu una certa distinzione di potestà: pur essendo pari l'elezione di loro tutti, a uno solo fu dato di avere sugli altri il primato.

Su questo modello sorse anche la distinzione tra i vescovi, ed è stato provvisto, con un importante precetto, che tutti non rivendicassero a sé tutti i diritti, ma che nelle singole province vi fosse quello che tra i fratelli avesse la prima parola; e inoltre, che alcuni vescovi costituiti nelle città più grandi fossero rivestiti di una cura più ampia; e, infine, che per il loro tramite confluisse la cura della Chiesa universale nella sola sede di Pietro, dal cui capo nessuno può dissentire.

Chi dunque sa di essere preposto ad altri, non sopporti a malincuore che qualcuno gli sia superiore, ma l'obbedienza, che esige [ dagli altri ], egli per primo la attui: e come non vuole sopportare un peso grave, così non osi imporre agli altri un carico insopportabile ( Mt 13,4 ).

Siamo infatti discepoli di un maestro umile e mite, che ci dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le vostre anime.

Il mio giogo infatti è soave, e il mio peso leggero ( Mt 11,29-30 ).

E come esperimenteremo ciò, se non attueremo quello che dice lo stesso Signore: Chi fra voi è il maggiore, sarà vostro servo ( Mt 23,11 )?

Leone Magno, Lettere, 14,1-2.11 ( al vescovo Anastasio, vicario apostolico a Tessalonica )

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