Teologia dei Padri

Indice

L'ufficio episcopale

1. - La gerarchia ecclesiastica

Il divino ordine dei vescovi è il primo degli ordini contemplanti Dio e insieme il sommo e ultimo, poiché in esso termina e si compie tutto l'ordinamento della nostra gerarchia.

Come vediamo che essa in tutto il suo complesso tocca il suo culmine in Gesù, così nelle singole ramificazioni lo tocca nel proprio santo vescovo.

Il potere dell'ordine gerarchico investe tutto il complesso delle organizzazioni sacre, e opera, per mezzo di tutti i sacri ordini, i misteri del proprio grado di gerarchia.

Ma, all'ordine dei vescovi, al di sopra di ogni altro ordine, la legge divina ha attribuito come azione propria i misteri più divini: questi sono le immagini efficaci della potenza dominatrice di Dio ed effettuano le operazioni simboliche più sacre e gli stessi sacri ordini.

Difatti, anche se dai sacerdoti è compiuta qualche azione simbolica sacra, tuttavia il sacerdote non compie la rigenerazione divina [ battesimo ] senza il sacratissimo crisma e neppure effettua i misteri della divina comunione senza porre i sacri simboli della comunione sul sacro altare, anzi neppure esisterebbe il sacerdote stesso se non fosse stato promosso a tale sorte dalla consacrazione dei vescovi.

Dunque, la divina legge ha attribuito esclusivamente ai poteri dei vescovi, ripieni di Dio, la promozione agli ordini sacri, la consacrazione del sacro crisma e la benedizione santa dell'altare.

L'ordine dei vescovi, pieno di potenza perfezionatrice, compie in modo preminente le funzioni che coronano le azioni della gerarchia.

Ha l'autorità di iniziare alla conoscenza del sacro e ammaestra sui rispettivi ordini e poteri.

Invece l'ordine illuminante dei sacerdoti conduce i catecumeni alla sacra contemplazione dei misteri, in subordinazione all'ordine santo dei vescovi, e in unione ad esso celebra le azioni sacre che gli competono; all'interno del suo campo d'azione mostra, per mezzo dei simboli sacratissimi, le opere divine, forma alla contemplazione e alla partecipazione dei sacri misteri chi si accosta alla fede, rimette però al vescovo coloro che desiderano una conoscenza più profonda delle sacre azioni che contemplano.

Invece l'ordine dei diaconi, purificativo e discriminativo di ciò che ha una natura diversa, purifica appunto quelli che si accostano alla fede, prima che siano introdotti alle sacre celebrazioni dei sacerdoti, li liberano da ogni contatto col male e li preparano alla contemplazione e alla partecipazione delle sacre cerimonie.

Perciò, nella sacra rigenerazione [ battesimo ], i diaconi spogliano il catecumeno della vecchia veste, gli tolgono i calzari, lo voltano a occidente per pronunciare le rinunce, poi lo girano verso oriente - il loro ordine e il loro potere è infatti purificativo -.

Essi esortano i catecumeni a deporre completamente gli abiti della vita precedente, mostrano loro le tenebre della vita passata e li ammaestrano a deporre la loro oscurità e a trasferirsi nel regno della luce.

L'ordine dei diaconi è dunque purificativo: introduce i catecumeni purificati alle luminose cerimonie dei sacerdoti, purifica gli imperfetti [ non battezzati ] e li inizia, con i riti espiatori, agli splendori e agli insegnamenti degli scritti sacri ed esclude i profani [ pagani ] dal contatto con i sacerdoti.

Per questo motivo la legislazione gerarchica li prepone alle porte del tempio.

Pseudo-Dionigi Areopagita, La gerarchia ecclesiastica, 5,5-6

2. - Il significato dell'ordinazione sacerdotale

Il vescovo, promosso alla consacrazione, piega ambedue le ginocchia davanti all'altare.

Sul capo ha le Scritture dateci da Dio e la mano del vescovo: in questa posizione viene ordinato dal vescovo consacrante con santissime invocazioni.

Il sacerdote sta inginocchiato sulle due ginocchia davanti al santo altare, ha sul capo la destra del vescovo e, in questa posizione, viene ordinato dal vescovo consacrante con invocazioni santificatrici.

Il diacono invece sta prostrato su un solo ginocchio davanti al sacro altare, ha sul capo la destra del vescovo consacrante e viene da lui ordinato con invocazioni adeguate all'invocazione diaconale.

A ciascuno di loro il vescovo consacrante imprime il segno di croce, proclama solennemente il nome di ciascuno e, come cerimonia conclusiva, li bacia.

Insieme col consacrante, li baciano tutti i sacerdoti presenti, perché sono stati assunti nei sacri ordini di cui abbiamo detto …

L'avvicinarsi all'altare e l'inginocchiarsi suggeriscono simbolicamente a quanti vengono iniziati ai sacri ordini di assoggettare completamente la loro vita a Dio, fonte d'ogni consacrazione, e di offrire a lui, in somma purità e dedizione, tutta la pienezza delle proprie forze spirituali, conforme e degna, in quanto possibile, del divino e santissimo tempio e altare, che consacra gli spiriti deiformi alla dignità ieratica.

L'imposizione delle mani del vescovo mostra simbolicamente la protezione della fonte d'ogni consacrazione [ Dio ], dalla quale vengono trattati con cura paterna, come figli santi, protezione che dona loro l'essere e il potere sacerdotale cacciando da loro le potenze ostili.

Questa cerimonia insegna loro anche che devono esercitare le funzioni sacerdotali alle dipendenze di Dio, prendendo in tutto lui come guida del loro agire.

Il segno di croce designa la cessazione di tutte le cupidigie carnali e la vita di imitazione di Dio, la contemplazione incessante della divina vita umana di Gesù, che la passò in divinissima impeccabilità fino alla croce e alla morte, e che contrassegna come conformi all'immagine crocifissa della sua impeccabilità quelli che in tale modo vivono.

La solenne proclamazione dell'ordinazione e del nome degli ordinati, pronunciata dal vescovo a gran voce, è un sacro simbolo che manifesta come il consacrante, caro a Dio, rivela la divinissima elezione e promuove i candidati all'ordinazione sacerdotale non per grazia propria, ma mosso da Dio a tutti gli atti consacratori dell'ufficio gerarchico.

A questo modo Mosè, esecutore delle cerimonie dell'antica legge, non promosse al sacerdozio suo fratello Aronne, per quanto caro a Dio e degno del sacerdozio, prima di essere mosso divinamente da Dio, fonte di ogni consacrazione sacra, a celebrare pontificalmente la sua consacrazione sacerdotale.

Anche il nostro divinissimo e primo consacratore, Gesù amico degli uomini, non glorificò se stesso, come dicono i detti divini, ma lo fu da colui che gli disse: Tu sei sacerdote in eterno conforme all'ordine di Melchisedek ( Sal 110,4 ).

Per questo motivo anch'egli, promuovendo i suoi discepoli alla consacrazione sacerdotale, pur essendo come Dio fonte di ogni consacrazione, affidò al suo Padre santissimo e al divino Spirito il compimento della sacra consacrazione, comandando ai discepoli, come dicono i detti sacri di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di aspettare la promessa del Padre, che avete da me udito: cioè che sarete battezzati di Spirito Santo ( At 1,4 ).

Anche lo stesso capo degli apostoli, insieme con i dieci che avevano con lui lo stesso grado gerarchico, quando si venne alla consacrazione del dodicesimo apostolo, lasciò la scelta alla somma divinità dicendo: Mostra colui che tu hai scelto ( At 1,24 ) e accolse nel numero sacro dei dodici colui che la sorte divina aveva designato …

Il bacio di pace che ha luogo verso la fine della consacrazione sacerdotale ha un sacro significato simbolico.

Tutti i presenti, appartenenti ai vari ordini e anche lo stesso vescovo consacrante salutano il neo consacrato.

Infatti, quando per lo stato e i poteri sacerdotali e per la divina vocazione e santificazione un'anima santa è giunta alla consacrazione sacerdotale, è oggetto d'amore da parte dei membri degli ordini a lui pari o più sacri, perché elevata alla bellezza più simile a Dio, è piena d'amore per le anime a lei simili e da esse santamente amata.

Per questo motivo nella celebrazione ha luogo questo bacio reciproco, che simboleggia l'unione sacra delle anime ugualmente privilegiate e la gioia nel reciproco amore, che conserva integra la bellezza divina al carattere sacerdotale.

Pseudo-Dionigi Areopagita, La gerarchia ecclesiastica, 5,2-3.6

3. - Antica consacrazione episcopale

Venga costituito vescovo colui che viene scelto da tutto il popolo.

Quando è stato eletto e da tutti approvato, il popolo si raccolga di domenica insieme con i presbiteri e i vescovi presenti.

Tra l'approvazione di tutti, i vescovi gli impongano le mani e i presbiteri stiano in piedi, lì vicino.

Tutti in silenzio, tra sé e sé, supplichino la discesa dello Spirito.

Poi uno dei vescovi presenti, pregato da tutti, imponga le mani a colui che viene ordinato vescovo.

E preghi così: « Dio, padre del nostro Signore Gesù Cristo, padre della misericordia e Dio di ogni consolazione, che abiti nei cieli e riguardi ciò che è umile, che conosci tutte le cose prima che esistano, tu che hai fissato i confini della tua Chiesa e la parola della tua grazia, che hai predestinato da tutta l'eternità la stirpe dei giusti, discendenti di Abramo, che hai costituito prìncipi e sacerdoti, non hai lasciato il tuo santuario senza ministero e fin dalla fondazione del mondo hai posto il tuo compiacimento nel venire celebrato dai tuoi eletti.

Diffondi dunque la potenza, da te proveniente, del tuo spirito sovrano, che tu per mezzo del tuo amato servo Gesù Cristo hai donato ai tuoi santi apostoli, i quali hanno fondato la Chiesa al posto del tempio, a gloria e lode incessante del tuo nome.

Da', o scrutatore di tutti i cuori, a questo tuo servo, che tu hai scelto all'ufficio episcopale, il potere di pascere il tuo santo gregge e prestare a te l'alto servizio sacerdotale in modo irreprensibile, notte e giorno, riconciliare incessantemente il tuo volto e offrirti anche i doni sacri della Chiesa, esercitare i poteri sacerdotali nello spirito, perdonare i peccati secondo il tuo comando, distribuire le funzioni sacre secondo il tuo volere e sciogliere ogni vincolo in virtù del potere che concedesti agli apostoli, ed essere a te pienamente accetto per la sua dolcezza e purezza di cuore e offrirti odore di soavità per mezzo del tuo servo Gesù Cristo, nostro Signore, tramite il quale a te è onore, gloria e potenza con lo Spirito Santo, ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen ».

Poi tutti diano al neo ordinato il bacio di pace.

Ordinamento ecclesiastico di Ippolito, 31,1-2

4. - Preghiera per la consacrazione episcopale

O tu che esisti, padrone, signore, Dio, onnipotente, che solo non conosci origine o dominazione, che sei da sempre e rimani in eterno, che di nulla hai bisogno, superiore ad ogni causa e ad ogni divenire, il solo vero, il solo sapiente, il solo altissimo; invisibile per natura, la cui conoscenza non ha avuto inizio; l'unico buono, incomparabile, che conosci tutte le cose prima della loro esistenza, che scruti le realtà occulte, inaccessibile, indipendente, o Dio e Padre del tuo Figlio unigenito nostro Dio e Salvatore, tramite il quale tutto hai creato; tu che vedi e provvedi, o padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione ( 2 Cor 1,3 ), che abiti nei cieli e che abbassi quaggiù lo sguardo! ( Sal 113,5 ).

Tu che hai dato norme alla Chiesa per mezzo della venuta nella carne del tuo Cristo, sotto la testimonianza del Paraclito, e per mezzo dei tuoi apostoli e anche di noi, per tua grazia vescovi qui presenti; tu che dall'inizio hai predestinato ad essere sacerdoti a guida del tuo popolo anzitutto Abele, poi Set, Enos, Enoc, Noè, Melchisedek e Giobbe; che hai glorificato Abramo e gli altri patriarchi insieme con i tuoi servi fedeli Mosè, Aronne, Eleazaro e Finees; che tra essi hai scelto prìncipi e sacerdoti nella tenda della testimonianza; che hai eletto Samuele sacerdote e profeta, che non hai lasciato senza ministri il tuo tempio, che ti sei compiaciuto di farti glorificare da chi tu hai scelto!

Tu dunque, per intercessione del tuo Cristo, diffondi per mezzo nostro la potenza del tuo Spirito sovrano, che è al servizio del tuo Figlio amato Gesù Cristo ed è stato donato, per tuo consiglio, ai santi apostoli dell'eterno Iddio.

Concedi nel tuo nome, o Dio scrutatore dei cuori, a questo tuo servo, che hai prescelto come vescovo, di pascere il tuo santo gregge e di prestare a te il ministero pontificale, servendoti in modo irreprensibile notte e giorno, e di placare il tuo volto, di adunare il numero dei fedeli che si salveranno e offrirti i doni della tua Chiesa santa.

Concedigli, o padrone onnipotente, per il tuo Cristo, la partecipazione dello Spirito Santo, perché abbia il potere di rimettere i peccati secondo il tuo comando, di distribuire gli uffici sacri secondo la tua disposizione, sciogliere ogni legame in virtù del potere che hai dato ai tuoi apostoli; e di piacerti per la sua mansuetudine e purezza di cuore, offrendoti incessantemente, senza biasimo o riprensione, il sacrificio puro e incruento che tu hai disposto per mezzo di Cristo: il mistero del nuovo patto, in odore di soavità, per mezzo del tuo santo Figlio, Gesù Cristo, Dio e Salvatore nostro; per mezzo di lui a te onore e ossequio nello Spirito Santo, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.

Costituzioni apostoliche, 8,5,1-7

5. - Esortazione a un vescovo che accede al proprio ufficio pastorale

Vieni dunque, o pastore ottimo e perfetto, accogli con noi e prima di noi il tuo popolo, che lo Spirito Santo ti ha affidato, che gli angeli ti presentano, che viene commesso alla tua vita e alla tua condotta.

Che tu abbia ottenuto questo trono attraverso le tribolazioni e gli impedimenti, non meravigliartene: nulla di ciò che è grande va esente da disamina, va esente da pene.

É naturale che per le realtà umili tutto sia facile, per le realtà eccelse tutto sia arduo.

Hai udito Paolo che dice: Attraverso molte tribolazioni dobbiamo entrare nel regno dei cieli ( At 14,21 ).

Anche tu puoi dire: Siamo passati per il fuoco e per l'acqua, e ci hai condotti a refrigerio ( Sal 66,12 ).

Che meraviglia! Alla sera c'è stato pianto, e alla mattina letizia ( Sal 30,6 ).

Lascia che parlino a vanvera o stiano a bocca aperta quelli che cercano brighe, come cani che abbaiano invano: noi non cerchiamo brighe.

Insegna ad adorare Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, in tre persone, in una maestà e in uno splendore.

Ricerca la pecorella perduta, rinfranca quella debole e custodisci quella forte ( Ez 34,4 ).

Ci aspettiamo da te negli uffici spirituali tanto successo quanto sappiamo che ne hai ottenuto negli uffici terreni.

Ricevi dai condottieri che ti hanno preceduto l'armatura migliore, con cui potrai estinguere i dardi infuocati del Maligno ( Ef 6,16 ) e presentare al Signore un popolo suo, un popolo santo, un sacerdozio regale ( 1 Pt 2,9 ), in Cristo Gesù Signore nostro; a lui sia gloria nei secoli. Amen.

Gregorio di Nazianzo, Al vescovo Eulalio, per la consacrazione, 13,4

6. - L'ordinazione del clero

Vengo a sapere che un individuo è arrivato a un punto tale di pazzia da anteporre i diaconi ai presbiteri, vale a dire ai vescovi ( non ci dice chiaramente, l'Apostolo, che presbiteri e vescovi sono le stesse persone? ).

E cosa gli ha preso, a questo ministro addetto alle mense e alle vedove, da mettersi pieno di spocchia al di sopra di quelli che con le loro preghiere operano la consacrazione del corpo e del sangue di Cristo?

Vuoi sentire uno che fa testo? Ascolta questa dichiarazione: Paolo e Timoteo, schiavi di Gesù Cristo, a tutti i santi in Cristo Gesù che si trovano a Filippi insieme ai vescovi e ai diaconi ( Fil 1,1 ).

Vuoi ancora un altro esempio? Negli Atti degli apostoli, Paolo parla in questi termini ai sacerdoti di una medesima Chiesa: Occupatevi di voi stessi e di tutto quanto il gregge, sul quale lo Spirito Santo vi ha messi come vescovi, per governare la Chiesa del Signore, comprata da lui col suo proprio sangue ( At 20,28 ).

Ma per non dare modo a nessuno di polemizzare sostenendo che in un'unica Chiesa c'erano più vescovi, sta' a sentire quest'altro testo, dove la prova che non c'è differenza fra vescovo e presbitero è più che evidente: É per questo che ti ho lasciato a Creta, perché sistemassi quanto resta da fare e costituissi, secondo le istruzioni che ti ho dato, dei presbiteri in ciascuna città.

Devono essere persone incensurate e che abbiano preso moglie una sola volta; i loro figli devono essere loro fedeli e non devono aver fama di lussuriosi o di ribelli.

Perché è necessario che un vescovo sia incensurabile, quale economo di Dio ( Tt 1,5-7 ).

E a Timoteo: Non disprezzare la grazia della profezia che ti è stata data con l'imposizione delle mani dal collegio dei presbiteri ( 1 Tm 4,14 ).

Ma anche Pietro, nella sua prima lettera, dice: Esorto dunque i presbiteri che sono tra voi, io, presbitero come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della sua gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Cristo e assistetelo non come costrettivi a forza, ma spontaneamente, secondo lo Spirito di Dio ( 1 Pt 5,1-2 ) …

Ti sembrano poco importanti questi testi di persone così qualificate?

Ebbene, faccia squillare la sua tromba evangelica il « figlio del tuono » ( Mc 3,17 ), quello che Gesù amava intensamente e che poté bere le acque vive della dottrina sul petto del Salvatore: Il presbitero, alla signora Eletta e ai suoi figli che io amo nella verità ( 2 Gv 1,1 ), e nell'altra sua lettera: Il presbitero, al carissimo Gaio che amo nella verità ( 3 Gv 1,1 ).

Il fatto che in un secondo tempo sia stato scelto uno a presiedere sugli altri, lo si dovette alla necessità di evitare degli scismi; non doveva accadere che ognuno spezzasse la Chiesa di Cristo col farne una cosa sua personale.

Anche ad Alessandria, infatti, a partire da Marco evangelista fino ai vescovi Eracle [ 231-247 ] e Dionigi [ 247 fino a circa il 264 ], i presbiteri sceglievano sempre uno di mezzo a loro, lo ponevano su un grado più alto e lo chiamavano vescovo; era come se un esercito si nominasse un generale o come se dei diaconi scegliessero di mezzo a sé uno che sapevano essere qualificato e lo chiamavano arcidiacono.

In realtà, se non guardi alla carica ricevuta, che altro fa un vescovo che non possa fare un sacerdote?

La Chiesa della città di Roma, d'altra parte, non la si deve ritenere diversa da quella sparsa su tutta la terra.

Anche le Gallie e la Britannia, l'Africa e la Persia, l'Oriente e l'India e tutte le nazioni non romane non adorano che un medesimo Cristo, non osservano che un'unica regola di verità.

Se fai questione di autorità, la terra tutta assieme batte Roma.

Eppure un vescovo, dovunque si trovi, sia pure a Roma o a Gubbio o a Costantinopoli o a Reggio o ad Alessandria o a Tanis [ in Egitto ], ha sempre lo stesso grado, come pure lo stesso sacerdozio.

Ciò che rende un vescovo più o meno ragguardevole è, rispettivamente, l'essere povero e umile o ricco e potente; per il resto sono tutti successori degli apostoli.

Girolamo, Le Lettere, IV, 146,1 ( a Evangelo, sacerdote )

7. - La Chiesa è fondata sui vescovi

Nostro Signore, i cui precetti dobbiamo temere e osservare, disponendo l'onore episcopale e la struttura della sua Chiesa, dice nel Vangelo, rivolto a Pietro: E io ti dico che tu sei Pietro ( la roccia ), e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non la vinceranno; e a te darò le chiavi del regno dei cieli, e ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli, e tutto quello che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli ( Mt 16,18-19 ).

Da allora, attraverso i tempi e le varie successioni, decorre l'ordinazione episcopale e l'organizzazione ecclesiale, così che la Chiesa è fondata sui vescovi e tutte le sue attività vengono rette da costoro, che le sono posti a capo.

Essendo ciò dunque fondato su una legge divina, mi stupisco che alcuni abbiano avuto la temerità audace di scrivermi una lettera a nome della Chiesa, quando la Chiesa è fondata sul vescovo, sul clero e su tutti i cristiani fedeli.

Non sia mai, e non lo sopporti mai la misericordia del Signore e il suo potere invitto, che un gruppo di « caduti » possa chiamarsi Chiesa, poiché sta scritto: Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi ( Mt 22,32 ).

Certo, desideriamo che tutti tornino alla vita e con le nostre preghiere, con i nostri gemiti, supplichiamo che vengano restituiti al loro stato antecedente; ma se alcuni di loro pretendono di essere la Chiesa e se presso di loro, se in loro è la Chiesa, che manca ancora perché noi stessi li supplichiamo che si degnino loro di ammettere noi alla Chiesa?

É necessario dunque che siano sottomessi, quieti e verecondi coloro che, memori dei loro delitti, devono offrire soddisfazione a Dio, e non scrivano lettere a nome della Chiesa, bensì comprendano che devono invece scrivere alla Chiesa.

Cipriano, Le Lettere, 33,1 ( ad un caduto )

8. - Il vescovo, ambasciatore di Dio

Nelle stesse cariche terrene, anche se uno viene accusato di mille colpe, non viene condotto in giudizio prima che abbia deposto il proprio ufficio, perché con lui non subisca oltraggio la sua stessa carica.

Quanto più per un ufficio spirituale, di chiunque si tratti!

É la grazia di Dio che opera, altrimenti tutto andrebbe perduto.

Ma quando ha deposto la carica, sia perché defunto, sia ancora quaggiù, allora subirà il giudizio più severo.

Non crediate che questo sia detto da parte nostra: è la grazia di Dio che opera nel ministro indegno, non a nostro vantaggio, ma a vantaggio vostro …

Ma fino a quando sediamo su questo seggio, fino a quando abbiamo la dignità episcopale, abbiamo autorità e potere.

Se il trono di Mosè era tanto venerando che precisamente per esso si doveva obbedire ( Mt 23,2-3 ), quanto più lo è il trono del Cristo.

E noi lo abbiamo ottenuto, da esso parliamo e su di esso Cristo ha posto in noi il ministero di riconciliazione.

Gli ambasciatori, chiunque essi siano, meritano grande onore per la dignità del loro ufficio.

Osserva: giungono in mezzo a una regione barbarica, soli tra i nemici; ma poiché il diritto di legazione è molto importante, tutti li onorano, tutti li trattano con attenzione e vengono perciò inviati con sicurezza.

Anche noi abbiamo ricevuto l'ufficio di ambasciatori e veniamo da parte di Dio.

Questa è la dignità dell'ufficio episcopale.

Veniamo da voi come ambasciatori, chiedendo la cessazione della guerra, esponendo le nostre condizioni: non promettiamo di darvi città, neppure tanti o tanti moggi di frumento, né schiavi, né oro, ma il regno dei cieli, la vita eterna, l'unione con Cristo e tutti gli altri beni che noi non possiamo esprimere, e voi non potete udire fino a quando saremo in questa carne, in questa vita mortale.

Siamo ambasciatori, dunque: vogliamo che ci sia mostrato il debito onore; non per noi - non sia mai! conosciamo la nostra pochezza! -, ma per voi, perché possiate ascoltare con attenzione le nostre parole, perché ne abbiate giovamento, perché badiate a quello che diciamo senza accidia o negligenza.

Non vedete come tutti trattano con riguardo gli ambasciatori?

Noi siamo ambasciatori di Dio agli uomini.

Forse questo vi sembra troppo alto: non si tratta di noi, ma dell'ufficio episcopale; non di questo o quell'individuo, ma del vescovo.

Nessuno ascolti me, ma ascolti la mia dignità!

Compiamo dunque tutto come piace a Dio, per vivere a sua gloria e per essere un giorno ritenuti degni dei beni promessi a quelli che lo amano.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Colossesi, 3,5

9. - I vescovi sono costruttori e custodi della Chiesa

Il Signore costruisce la casa, il Signore Gesù Cristo costruisce la sua casa.

Molti faticano costruendo, ma se egli non edifica, « invano faticano i costruttori ».

Chi sono questi costruttori che faticano? Tutti coloro che nella Chiesa predicano la parola di Dio, i ministri dei misteri di Dio.

Tutti corriamo, tutti fatichiamo, tutti costruiamo; e prima di noi molti hanno corso, faticato, costruito ma « se il Signore non avrà edificato la casa, invano faticano i suoi costruttori » …

Noi dunque parliamo fuori, egli costruisce all'interno.

Noi notiamo che voi ascoltate; ma cosa pensiate, lo sa solo colui che vede i vostri pensieri.

Egli edifica, egli ammonisce, egli scuote, egli apre l'intelletto, egli applica alla fede il vostro intimo: e tuttavia anche noi lavoriamo come operai, ma se il Signore non avrà edificato la casa, invano faticano i suoi costruttori ( Sal 127,1 ) …

La Chiesa ha anche custodi: come ha costruttori che faticano per edificarla, così ha anche chi la custodisce.

É un custodire infatti ciò che dice l'Apostolo: Temo che, come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così anche i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati della loro purezza nei riguardi di Cristo ( 2 Cor 11,3 ).

Egli dunque custodiva ed era custode; vigilava quanto poteva su coloro a cui era preposto.

Anche i vescovi fanno ciò.

Per questo il posto dei vescovi è collocato in alto, perché essi sovrintendano e quasi custodiscano il popolo … ed è ben grave il resoconto che si dovrà dare per questo alto posto, se noi non vi sederemo col cuore pronto a soggiacere, per umiltà ai vostri piedi, e non pregheremo per voi che chi conosce le vostre menti, egli vi custodisca.

Noi infatti possiamo vedervi mentre entrate, mentre uscite, ma non possiamo certo vedere ciò che pensate nei vostri cuori, e neppure ciò che fate nelle vostre case.

Come dunque custodiamo? Come uomini: quanto possiamo, quanto ci è dato.

E giacché noi custodiamo come uomini e non possiamo custodire in modo perfetto, per questo resterete senza custode? Non sia mai.

Dove è infatti colui di cui si dice: « Se il Signore non avrà custodito la città, invano faticò chi la custodisce »?

Ci affatichiamo custodendo, ma vana è la nostra fatica se non vi custodisce colui che vede i vostri pensieri.

Egli vi custodisce quando vegliate, vi custodisce quando dormite …

Vi custodiamo dunque per compito del ministero sacro, ma vogliamo essere custoditi con voi.

Siamo come pastori per voi, ma sotto quel Pastore siamo con voi pecore.

Siamo per voi da questo luogo come maestri, ma sotto quell'unico Maestro in questa scuola siamo con voi condiscepoli.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 127,2-3

EMP O-23. - Il vescovo è per gli altri

Da quando mi è stato messo sulle spalle questo peso, di cui è duro rendere conto, la preoccupazione per il mio ministero di vescovo non mi dà tregua …

Che cosa c'è dunque da temere in questa carica?

É il fatto che la dignità episcopale può favorire la vanità, mentre tutta la mia gioia dovrebbe essere nel lavorare per la vostra salvezza.

Aiutatemi dunque con le vostre preghiere, perché il Signore che ha voluto impormi questo peso, nella sua misericordia mi aiuti a portarlo.

Quando chiedete questo, la preghiera che fate è anche in vostro favore: il peso di cui parlo non siete forse voi?

Pregate perché io sia forte, come io prego perché il vostro peso non sia eccessivo.

Il Signore Gesù non avrebbe mai detto che il peso è suo ( Mt 11,30 ), se non lo portasse insieme con chi ne è gravato.

E voi sostenetemi, perché, secondo il comandamento dell'Apostolo, possiamo portare i pesi gli uni degli altri, compiendo così la legge di Cristo ( Gal 6,2 ).

Se lui non ci aiuta a portare, cadiamo; se non porta noi, veniamo meno.

Se mi spaventa il fatto di essere per voi, l'essere con voi mi consola.

Per voi, infatti, io sono vescovo; con voi sono cristiano.

Uno è il nome del ministero che si assume, l'altro della grazia che ci viene data.

Il primo si riferisce al rischio, il secondo ci parla della salvezza.

E così siamo agitati nel turbine di questa attività come in un mare immenso; ma il pensiero che siamo stati redenti col sangue di Cristo ci riempie di pace, ed è come se entrassimo in un porto sicuro.

Affaticandoci in un ministero riservato alla nostra persona, troviamo riposo nella grazia che è concessa a tutti.

Se dunque trovo più gioia nell'essere stato redento con voi che nell'esercitare per voi la funzione di capo, sarò più pienamente vostro servo, come vuole il Signore.

Solo così mostrerò la mia riconoscenza a colui che mi ha dato di essere vostro compagno nel servizio.

Lo devo amare davvero, il mio Redentore.

So che cosa ha detto a Pietro: Pietro, mi ami? Pasci le mie pecore ( Gv 21,17 ).

E lo ripete una, due, tre volte.

Lo interroga sull'amore, e ordina un'opera da compiere, perché dove l'amore è più grande, la fatica è minore.

Che cosa renderò al Signore per tutto quello che mi ha dato? ( Sal 116,12 ).

Dirò che contraccambio il suo dono governando le sue pecore?

Sì, lo faccio: anche questo non io però, ma la grazia di Dio con me ( 1 Cor 15,10 ).

Come posso dunque restituire, se Dio mi previene da tutte le parti?

Agostino, Discorso 340,1 ( per l'anniversario della sua consacrazione episcopale )

EMP R-19. - Il vescovo, amministratore del Signore, dà a ciascuno la sua razione di grano

Per definire il ruolo dei ministri che egli ha posto a capo del suo popolo, il Signore dice questa frase riportata dal Vangelo: Qual è l'economo fedele e prudente, che il padrone metterà a capo dei suoi domestici, per dar loro, nel tempo stabilito, la porzione di cibo?

Beato quel servo, che il padrone, al suo ritorno, troverà agire in tal modo! ( Lc 12,42-43 ).

Chi è questo padrone, fratelli miei?

É senza alcun dubbio il Cristo, che disse ai suoi discepoli: Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono ( Gv 13,13 ).

E qual è la famiglia di questo maestro?

É evidentemente quella che il Signore ha riscattato dalle mani del nemico e che ha fatto propria.

Questa famiglia è la Chiesa santa e universale che si diffonde con meravigliosa fecondità in mezzo al mondo e si vanta d'essere stata redenta a prezzo del sangue del Signore.

Poiché il Figlio dell'Uomo - come egli stesso dice - è venuto non per essere servito, ma a servire e a dare la sua vita in redenzione di molti ( Mt 20,28 ).

É il buon Pastore che ha sacrificato la vita per le sue pecore.

Il gregge del buon Pastore è pure la famiglia del Redentore.

Ma chi è il ministro fedele e saggio?

L'apostolo Paolo ce lo indica allorché dice, parlando di se stesso e dei suoi compagni: Così, ognuno ci consideri come servi di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio.

Orbene, quel che si richiede ai dispensatori, è che ciascuno sia trovato fedele ( 1 Cor 4,1-2 ).

E perché nessuno tra di noi possa pensare che solo gli apostoli sono divenuti ministri o che un servitore neghittoso e infedele abbandoni il combattimento spirituale e si lasci andare al sonno, il santo Apostolo dimostra chiaramente che anche i vescovi sono dei ministri: Perché è necessario che il vescovo sia incensurabile quale economo di Dio ( Tt 1,7 ).

Noi siamo dunque i servi del Padre di famiglia, gli amministratori del Signore, e abbiamo ricevuto la razione di grano da distribuirvi.

Se domandiamo a noi stessi qual è questa misura di grano, san Paolo ce lo indica: Ciascuno secondo la misura della fede che Dio gli ha dispensato ( Rm 12,3 ).

Ciò che il Cristo chiama razione di grano, Paolo la definisce misura di fede, per farci comprendere che non vi è altro frumento spirituale se non il santo mistero della fede cristiana.

Questa misura di frumento, noi ve la diamo nel nome del Signore ogni volta che, illuminati dal dono spirituale della grazia, vi parliamo secondo la norma della vera fede.

Questa misura voi la ricevete dai ministri del Signore ogni giorno in cui ascoltate dalle labbra dei servitori di Dio la parola di verità.

Sia essa il nostro cibo, questa misura di grano che Dio ci dà in sorte.

Sappiamone trarre il sostentamento dell'onesta condotta per poter pervenire alla ricompensa della vita eterna.

Crediamo in colui che dona se stesso a noi come cibo, affinché non veniamo meno lungo il cammino, e che si riserva come nostra ricompensa affinché possiamo trovare la gioia nella patria celeste.

Crediamo e speriamo in lui; amiamolo al di sopra di tutto e in tutto, poiché Cristo è nostro cibo e sarà nostra ricompensa.

Cristo è l'alimento e il sostegno dei pellegrini in cammino, è il ristoro e l'esultanza dei beati nel loro riposo.

Fulgenzio di Ruspe, Discorsi, 1,2-3

EMP R-9. - Il vescovo che attinge l'acqua della Scrittura irriga la terra della Chiesa

Ambrogio a Costanzo, suo fratello nell'episcopato.

Hai ricevuto il ministero del sacerdozio: stando sulla barca della Chiesa, ne guidi il corso in mezzo alle onde.

Tieni diritto il timone della fede, perché la navigazione non sia turbata dalle gravi tempeste del mondo.

Il mare è grande, immenso, ma non temere, perché chi ha posato la terra sulle acque e l'ha stabilita sopra le correnti è il Signore ( Sal 24,2 ).

Non dobbiamo dunque stupirci se in mezzo all'infuriare delle onde la Chiesa del Signore, fondata sulla roccia degli apostoli, rimane stabile e continua a resistere sul suo incrollabile fondamento contro gli assalti furiosi del mare.

É battuta dalle onde, ma non squassata; gli elementi sconvolti del mondo la assaltano spesso con grande fragore, ma essa è, per coloro che soffrono, il porto sicuro della salvezza.

Ma se è sballottata sul mare, la Chiesa corre sui fiumi, e forse soprattutto su quelli di cui la Scrittura dice: Levano i fiumi la loro voce ( Sal 93,3 ).

Sono i fiumi che scaturiranno dal seno di colui che si è dissetato al Cristo e ha ricevuto lo Spirito.

Questi fiumi, quando traboccano della grazia dello Spirito, levano la loro voce.

C'è anche un fiume che si riversa negli uomini di Dio come un torrente ( Is 66,12 ); la sua impetuosità allieta l'anima pacifica e tranquilla.

Colui che riceve dell'abbondanza di questo fiume, come Giovanni l'evangelista, o come Pietro e Paolo, leva la sua voce; e come gli apostoli con la loro predicazione hanno diffuso la parola del Vangelo fino alle estremità della terra, anch'egli comincia ad annunciare il Signore Gesù.

Raccogli dunque l'acqua di Cristo, l'acqua che loda il Signore.

Raccogli l'acqua che viene da diverse fonti, che scende dalle nubi dei profeti.

Colui che raccoglie in se stesso l'acqua dei monti, o attinge quella delle sorgenti, diventa a sua volta capace di diffonderla come una nube.

Riempi dunque di quest'acqua il tuo spirito, perché la tua terra ne sia irrorata, vivificata dalle proprie sorgenti.

E lo spirito è colmato da una lettura assidua e intelligente; colui che è colmato, poi, può irrigare gli altri.

Ecco perché la Scrittura dice: Se le nubi sono cariche di pioggia, la riversano sulla terra ( Qo 11,3 ).

La tua parola scorra dunque abbondante, pura, trasparente.

Così farai giungere alle orecchie del tuo popolo un insegnamento spirituale pieno di dolcezza: conquistato dalla grazia delle tue parole, sarà disposto a seguirti dove lo conduci …

Il tuo parlare sia pieno di sapienza.

Lo dice Salomone: Le labbra del sapiente sono l'arma dello spirito ( Pr 14,3 ); e altrove: Le tue labbra rispettino la sapienza ( Pr 15,7 ).

Quando parli, il tuo modo di esporre sia dunque limpido e i concetti chiari; la tua eloquenza non si valga di argomentazioni estranee, ma sia forte delle proprie armi.

Dalla tua bocca non esca mai nessuna parola priva di senso.

Ambrogio, Lettere, 2,1-2.4-5.7

10. - Le doti necessarie al vescovo

Se tratteggio la figura ideale del vescovo e spiego i testi della Scrittura a questo proposito, è proprio solo per offrire un modello che serva da specchio al sacerdozio.

Ognuno, individualmente, ha la possibilità - e dipende dalla sua coscienza - di vedercisi così come è.

Uno è brutto? Potrà almeno provarne dolore. É bello? Se ne rallegri!

Se uno desidera l'episcopato, desidera una carica buona ( 1 Tm 3,1 ): è una carica, non una dignità; è una fatica, non un piacere; è una carica che lo dovrebbe portare ad abbassarsi umilmente, non a gonfiarsi per aver raggiunto una vetta.

Bisogna dunque che il vescovo sia irreprensibile ( 1 Tm 3,2 ); è lo stesso concetto della lettera a Tito: Se uno è esente da colpe ( Tt 1,6 ), e include in una sola parola tutte le virtù; anzi, quello che esige è quasi contro natura, perché se qualunque peccato, fosse anche una parola inutile, merita un rimprovero, esiste una persona sola, al mondo, che è senza peccato o - in altre parole - irreprensibile?

Eppure il futuro pastore della Chiesa viene scelto soltanto se ha tali qualità, che al suo confronto tutti gli altri sono chiamati giustamente gregge.

I retori danno dell'oratore questa definizione: « Un uomo onesto che possiede l'arte della parola ».

Si vuole accettare un vescovo in piena regola?

Si veda anzitutto se la sua condotta è irreprensibile, poi la lingua.

Se uno, infatti, razzola in modo da distruggere quello che dice, perde tutta l'autorità di maestro.

Marito di una sola moglie ( 1 Tm 3,2 ); di questo ho già parlato sopra.

Qui mi permetto solo di metterti in guardia su questo punto: se si richiede che sia marito di una sola moglie considerando anche il tempo prima del battesimo, bisogna esigere che anche tutte le altre qualità richieste esistano fin da prima del battesimo.

Perché non è logico, dopotutto, che per tutte quante le altre qualità si tenga conto solo del tempo successivo al battesimo, e che per questa sola norma si tenga conto di quello che precede il battesimo.

Sobrio … prudente, distinto, ospitale, capace di insegnare ( 1 Tm 3,2 ).

I sacerdoti che svolgono il ministero nel tempio di Dio hanno l'obbligo di non bere né vino né birra ( Lv 10,9-10; Lc 20,34 ); si vuole evitare che i loro cuori vengano appesantiti dai bagordi e dall'ubriachezza, mentre la loro mente, che deve presentare a Dio gli atti di culto, deve essere sempre vigile e limpida.

Se ci mette dentro anche l'aggettivo « prudente », è proprio per escludere dal sacerdozio coloro che vorrebbero scusare la propria ignoranza di sacerdoti col pretesto della semplicità.

Ora si sa che, se il cervello non è sano, tutte le membra funzionano in modo anormale.

« Distinto » è complementare del primo attributo, cioè irreprensibile.

Chi non ha difetti, lo si dice irreprensibile; chi ha una buona dose di virtù, è distinto.

Da questo vocabolo possiamo pure trarre un altro significato, in base al detto di Cicerone: « La perfezione dell'arte consiste nell'essere distinto in quello che fai » [ De oratione, I,132 ].

Esistono persone che non hanno il senso del proprio limite; sono talmente stupidi ed esaltati, che con il loro modo abituale di muoversi, di camminare, di vestirsi, di parlare, fanno sganasciare dalle risa quelli che li vedono.

Come se fossero i soli a intuire in che consista la distinzione, si agghindano con cura, sono dei raffinati nella toletta personale, imbandiscono pranzi con portate abbondanti anziché no, mentre tutta questa messinscena e questa cura cerimoniosa di sé è più sporca di ogni sozzura.

Dai vescovi, inoltre, si esige anche la scienza - questa è una norma, già della legge antica, ma viene trattata più diffusamente nella lettera a Tito.

Ed effettivamente, una condotta su cui non c'è nulla da ridire, ma è muta, se è di qualche utilità per l'esempio che dà, non è meno dannosa per il silenzio.

La rabbia furiosa dei lupi deve essere messa a tacere dai latrati dei cani e dal bastone del pastore.

Non dedito al vino, non brutale ( 1 Tm 3,3 ): qui al posto della virtù nomina i vizi contrari da escludere.

Ora sappiamo come devono essere i vescovi; cerchiamo di vedere, ancora, come non dovrebbero essere.

L'ubriachezza è roba da buffoni e da crapuloni; uno stomaco che brucia di vino ne trasforma i fumi in libidine.

Nel vino c'è lussuria, nella lussuria c'è voluttà, nella voluttà c'è impudicizia.

Il lussurioso per quanto vivo è già morto; di conseguenza, chi si ubriaca è morto e sepolto …

La condanna su un vescovo brutale la sancisce proprio colui che ha piegato il suo dorso ai flagelli, colui che maledetto non ha risposto maledicendo.

« Ma temperante »: a due mali viene contrapposto un solo bene, dato che l'ebbrezza e l'ira possono essere messe a freno dalla temperanza.

« Non attaccabrighe, non avaro »: non c'è nulla di più inefficace dell'arroganza degli ignoranti; credono di farsi valere parlando a vanvera, sono sempre pronti a litigare, fanno la voce grossa con tutti i loro sudditi.

Che un vescovo debba guardarsi dall'avarizia, lo confermano questi fatti: Samuele ha dato prova pubblica di non aver mai estorto nulla a nessuno; gli apostoli sono stati poveri: essi accettavano dai fratelli aiuti per le spese, ma si gloriavano di non possedere e di non desiderare altre cose all'infuori del vitto e dei vestiti.

Quell'avarizia di cui parla a Timoteo, nella lettera a Tito la designa senza reticenze: desiderio sfrenato di turpe guadagno.

Deve saper governare la sua casa ( 1 Tm 3,4 ): non per aumentare il patrimonio, non per fare dei pranzi da re, non per farsi delle pile di piatti cesellati; e neppure per poter cuocere fagiani a lento vapore, ottenendo che questo penetri fino alle ossa senza disfare ( è tutta questione di abilità nel regolarlo ) la pelle che ricopre la polpa carnosa.

Niente di tutto questo. Dovrà predicare le virtù alla gente? Le esiga anzitutto dai suoi familiari …

Non deve essere un neofita, per evitare che gonfiandosi di orgoglio abbia a incorrere nella stessa condanna del diavolo ( 1 Tm 3,6 ) …

Un tale che diventa vescovo di punto in bianco, ignora l'umiltà e la dolcezza necessarie con le persone semplici, non sa neppure disprezzare se stesso e si lascia trasportare avidamente da una carica a un'altra; non s'è abituato al digiuno, al pianto, ad esaminarsi spesso con occhio critico nella propria condotta e a correggerla mediante un'assidua riflessione; i suoi averi non li ha distribuiti ai poveri.

Non pensa che a passare, insomma, da una cattedra a un'altra, come si dice, vale a dire di orgoglio in orgoglio.

Ora tutti sono ben certi che il motivo della condanna e della caduta del diavolo è stato una pretesa orgogliosa.

E quivi cadono per l'appunto coloro che così, su due piedi, si impancano a maestri senza essere mai stati a scuola!

Bisogna pure che goda buona stima presso coloro che sono ancora fuori ( 1 Tm 3,7 ); come aveva cominciato, allo stesso modo chiude questo brano.

Chi è irreprensibile non strappa lodi solo ai propri familiari, ma anche agli estranei, che si trovano in questo perfettamente d'accordo.

Gli estranei, quelli che non fanno parte della Chiesa, sono i giudei, gli eretici e i pagani.

Ebbene, un pontefice di Cristo deve possedere tali qualità che nessuno possa avanzare una critica sulla sua condotta, neppure quelli che parlano male della religione …

Tutto questo che ho detto è proprio quanto le Chiese dovrebbero soprattutto cercare di raggiungere con ansia non disgiunta da timore, e poi praticare abitualmente; sono queste le norme da seguire nell'elezione dei vescovi, e non ritenere legge di Cristo i propri odi personali, le rivalità private o quell'invidia che finisce sempre col divorare chi la cova in seno.

Girolamo, Le Lettere, II, 69,8-10 ( a Oceano )

11. - Il vescovo deve essere sacerdote senza macchia e dotto nella scienza di Dio

Il beato apostolo Paolo, tracciando l'immagine di chi deve essere creato vescovo - e creando quasi, con i suoi precetti, un uomo nuovo nella Chiesa - asserì che deve possedere il culmine delle virtù più perfette, dicendo: Attaccato alla parola della fede, nella dottrina, onde sia capace di esortare con sana dottrina e di confutare i contraddittori.

Vi sono infatti molti ancora disobbedienti, chiacchieroni, seduttori ( Tt 1,9-10 ).

In questo modo egli mostra che l'osservanza e le virtù morali sono un vero merito del sacerdote, se però non gli manca anche la scienza necessaria a insegnare e difendere la fede.

Non basta infatti a un sacerdote, buono e ricco di frutti, o solo vivere in innocenza, o solo predicare con scienza: chi vive nell'innocenza ne approfitta solo lui, se non è dotto; e il dotto non fa valere la sua dottrina, se non vive in innocenza.

Infatti la parola dell'Apostolo non solo, con i precetti di probità e onestà, dirige l'uomo alla vita in questo secolo, né solo per mezzo della scienza e la dottrina forma lo scriba alla predicazione della legge nella sinagoga; forma invece il perfetto principe della Chiesa con i beni sommi delle virtù più eccelse, così che la sua vita sia ornata dalla dottrina e la dottrina dalla vita.

Infine, proprio colui a cui dirige la parola, cioè Tito, egli istruisce con questa norma di perfetta religiosità: In tutto mostra te stesso esempio di azioni buone e insegna con venerazione, la parola sana, irreprensibile, tanto che anche il nemico abbia rispetto e non osi dire nulla di turpe e malvagio sul nostro conto ( Tt 2,7-8 ).

Non ignorava il dottore delle genti, il maestro eletto della Chiesa - per la coscienza di Cristo che abitava e parlava in lui - che il contagio della dottrina pestilenziale avrebbe fatto strage e che la contaminazione di un insegnamento pestifero avrebbe contagiato la mentalità sana dei fedeli, e che il veleno della sua empia interpretazione sarebbe penetrato fino nell'intima sede delle anime, serpeggiando come male profondo.

Parlando di essi dice infatti: La parola dei quali serpeggia come un cancro ( 2 Tm 2,17 ), e come contagio occulto e strisciante intacca la salute della mente che pervade.

Perciò volle che nel vescovo vi sia la dottrina per una sana predicazione, la coscienza della fede, la scienza per esortare, le confutazioni pronte contro le obiezioni empie, menzognere e folli.

Vi sono infatti molti che fingono di aver la fede, ma non si assoggettano alla fede, che creano a se stessi la fede, piuttosto che accettarla, gonfi per un senso di umana vanità, conoscono solo ciò che vogliono e non vogliono conoscere la verità, mentre è saggezza vera conoscere anche quello che non vorresti.

Da questa saggezza della propria volontà scaturiscono i discorsi stolti, perché necessariamente ciò che si conosce stoltamente, stoltamente si predica.

Ilario di Poitiers, La Trinità, 8,1

12. - Chi desidera l'ufficio pastorale rifletta con timore alle responsabilità

Per lo più coloro che desiderano comandare si richiamano, per soddisfare la loro brama, al detto dell'Apostolo: Se qualcuno desidera l'episcopato, desidera un'opera buona ( 1 Tm 3,1 ).

Ma chi loda questo desiderio, cerca subito di convertire in timore quello che loda, soggiungendo immediatamente: É necessario però che il vescovo sia irreprensibile ( 1 Tm 3,2 ).

Ed elencando di seguito le virtù necessarie, spiega in che consista questa irreprensibilità.

É favorevole al desiderio, ma atterrisce col comando, come se dicesse apertamente: « Lodo ciò che desiderate, ma prima sappiate bene quello che volete, perché non succeda che, trascurando di misurare voi stessi, tanto più perniciosa appaia la vostra responsabilità, quanto vi affrettate a raggiungere il culmine dell'onore, davanti agli occhi di tutti ».

Questo grande maestro di guida spirituale spinge con le lodi e trattiene con il timore i suoi uditori, per difenderli dalla superbia, descrivendo tale vetta di irreprensibilità, e per stimolarli a una tale vita, lodando l'ufficio che essi desiderano.

Tuttavia è da notare che quelle parole venivano dette in un tempo in cui chi desiderava comandare al popolo, veniva condotto per primo ai tormenti del martirio.

A quei tempi, perciò, era davvero un sentimento degno di lode desiderare l'episcopato, quando ben si sapeva che, per esso, si veniva condotti ai supplizi più gravi.

Ragion per cui lo stesso episcopato veniva definito con l'espressione di « opera buona »; si dice infatti: « Se qualcuno desidera l'episcopato, desidera un'opera buona ».

Attesta dunque a se stesso di non desiderare l'episcopato come tale, chi lo ricerca non per compiere tale buona opera, ma per vanagloria.

E non solo non ama affatto questo sacro ufficio, ma neppure lo conosce chi, anelando alla vetta dell'ufficio pastorale, già si pasce, nel suo pensiero nascosto, della soggezione dei suoi sudditi, già si allieta per il proprio onore, innalza il cuore nella superbia ed esulta per l'abbondanza di beni.

Dunque, si cerca il guadagno di questo mondo col pretesto di quell'onore che dovrebbe distruggere i guadagni di questo mondo!

E mentre la mente pensa di raggiungere, per vanagloria, questa vetta di umiltà, snatura in cuor suo l'ufficio cui aspira.

Ma per lo più coloro che bramano di addossarsi il ministero pastorale si propongono in cuor loro alcune opere buone; e quantunque lo desiderino con intenzione di superbia, fantasticano di compiere grandi opere; avviene così che la vera intenzione si cela nel profondo, mentre alla superficie dell'animo si mostrano altri intendimenti.

Ma spesso il cuore mente a se stesso, e finge di amare le opere buone che non ama, e non amare la gloria del mondo che ama.

Quando uno desidera comandare, è timido mentre cerca, audace quando vi perviene.

Mentre vi tende, teme di non pervenire; ma appena vi è pervenuto, ritiene giustamente dovuto a sé ciò che ha raggiunto.

E quando ha cominciato a godere, in senso mondano, del principato raggiunto, dimentica volentieri ciò che aveva pensato con senso religioso.

Perciò, quando il pensiero esce fuori dalla via consueta, è necessario che subito l'occhio della mente si rivolga alle opere compiute, e ciascuno pensi ciò che ha fatto da inferiore, rendendosi conto se, da superiore, riuscirà a compiere ciò che si è proposto.

Infatti, non riuscirà certo a imparare l'umiltà al culmine degli onori colui che, stando in basso, è stato sempre pieno di superbia.

Non saprà fuggire la lode, quando gli viene tribuita, chi non faceva altro che anelare ad essa, quando ne era privo.

Non potrà certo vincere l'avarizia, quando deve preoccuparsi del sostentamento di molti, colui a cui i propri beni non bastavano neppure quando era solo.

Dalla sua vita passata, dunque, ciascuno può imparare, per non farsi ingannare da false idee, desiderando questo sommo onore.

Per di più potrebbe capitare di perdere nelle preoccupazioni del governo pastorale l'abitudine stessa alle opere buone, cui si era fedeli nella tranquillità.

Quando il mare è quieto, infatti, anche l'inesperto dirige bene la nave, ma quando è sconvolto dai marosi della burrasca, anche il nocchiero esperto è disorientato.

E che cosa è questo supremo potere pastorale, se non una tempesta dell'animo?

In essa la navicella del cuore viene continuamente sconquassata dalle procelle delle preoccupazioni, viene spinta incessantemente in qua e in là, come per sfracellarsi contro gli scogli per gli improvvisi e imprevisti eccessi di parole e di opere.

Stando così le cose, che regola mai seguire, che norma tenere, se non questa?

Chi è ricco di virtù venga a questo posto di governo, solo se spinto; chi non ha virtù, neppure se spinto vi acceda.

Il primo, se assolutamente si rifiuta, badi che, celando la moneta ricevuta nel sudario, verrà giudicato per averla nascosta.

Infatti celare il denaro nel sudario è nascondere nell'ozio e nel torpore i doni ricevuti.

Il secondo, al contrario, se desidera il governo pastorale, stia attento che, dando esempio di opere prave, può essere di ostacolo a chi cerca di entrare nel regno, come i farisei: essi, secondo la parola del Maestro, non vi entrano loro, né permettono che vi entrino gli altri ( Mt 23,13 ).

Deve anche considerare che, se viene eletto presule, si addossa la causa del popolo, ed è quasi un medico che visita l'ammalato.

Ma in lui vivono ancora le passioni: con che presunzione si reca a medicare il ferito, colui che ne porta le ferite in volto?

Gregorio Magno, Regola pastorale, 1,8-9

13. - Unità della comunità col vescovo

Siccome l'amore non mi permette di tacere con voi, per questo ho cominciato per primo a esortarvi, perché viviate secondo il pensiero di Dio.

E il pensiero del Padre è Gesù Cristo, vita nostra inseparabile, mentre i vescovi, stabiliti fino ai confini della terra, sono nel pensiero di Gesù Cristo.

É per questo che dovete essere tutt'uno col pensiero del vescovo, come già lo siete.

Infatti il vostro collegio presbiterale, degno del suo nome, degno di Dio, è unito al vescovo come le corde alla cetra; e dalla vostra unità, dal vostro amore concorde si innalza un canto a Gesù Cristo.

Ma anche voi laici, dovete formare un solo coro, prendendo tutti la nota da Dio, concertando nella più stretta armonia, per inneggiare a una voce al Padre per mezzo di Gesù Cristo; egli vi ascolterà e riconoscerà, dalle vostre opere, che voi siete il canto del suo Figlio.

É bene per voi restare nell'unità più indiscussa, per essere così sempre uniti a Dio.

In poco tempo ho potuto godere tanto la familiarità non umana, ma spirituale, del vostro vescovo; perciò ora vi stimo beati, perché siete tanto congiunti a lui, nella più completa armonia, come lo è la Chiesa a Gesù Cristo, e Gesù Cristo al Padre.

Nessuno si inganni: chi non è vicino all'altare, si priva del pane di Dio.

Se le orazioni di uno o di due hanno tanta forza, tanto più quella del vescovo unito a tutta la Chiesa!

Così, dunque, se qualcuno non partecipa alle riunioni dei fedeli, è un superbo, che si è già giudicato da se stesso, perché sta scritto: Dio si oppone ai superbi ( Pr 3,34 ).

Non opponiamoci dunque al vescovo, stiamone attenti, perché Iddio non si opponga a noi.

Quanto più ci si accorge che il vescovo tace, tanto più bisogna rispettarlo.

Infatti, chiunque il padre di famiglia abbia mandato ad amministrare la sua casa, deve essere accolto come colui stesso che lo invia.

Perciò è evidente che dobbiamo venerare il vescovo come il Signore in persona.

Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, 3-6

14. - Il corpo episcopale e i suoi doveri

Il copioso corpo episcopale è unito dalla mutua concordia e stretto dal vincolo dell'unità, così che se qualcuno del nostro collegio tenta di creare eresie, e in tal modo lacerare e devastare il gregge di Cristo, possono subentrare gli altri, raccogliendo nel gregge, come pastori solerti e misericordiosi, le pecore del Signore.

Che dunque? Se un porto di mare, per la rottura delle difese portuali, diventa infido e pericoloso per le navi, forse che i naviganti non dirigono i loro natanti al porto vicino, ove vi sia accesso sicuro, entrata facile e permanenza tranquilla?

O se, lungo la strada, una locanda è stata occupata dai briganti, tanto che chi vi entra diventa preda delle loro insidie, forse che i viaggiatori, saputa la cosa, non cercano lungo il viaggio un'altra locanda tranquilla, ove l'ospitalità sia fidata e l'accoglienza ai viaggiatori sicura?

Ciò è necessario che si verifichi anche da noi, fratello carissimo: che cioè accogliamo tra di noi, con pronta e benigna umanità, i nostri fratelli che cercano i porti sicuri della Chiesa, e che offriamo ai viaggiatori una locanda simile a quella del Vangelo, in cui coloro che sono stati colpiti e feriti dai ladroni possano essere accolti, curati e protetti dal locandiere.

Cipriano, Le Lettere, 68,3 ( a Stefano, vescovo di Roma )

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