Teologia dei Padri

Indice

Il sacerdozio

1. - « Siete una stirpe sacerdotale»

Tutti coloro che hanno ricevuto l'unzione del sacro crisma [ battesimale ] sono diventati sacerdoti, come dice Pietro a tutta la Chiesa: Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, un popolo santo ( 1 Pt 2,9 ).

Siete dunque una stirpe sacerdotale: per questo vi avvicinate al santuario.

Ma anche ciascuno di noi ha in sé il proprio olocausto, ed egli accende l'altare di questo olocausto perché arda continuamente.

Se « rinunzio a tutto ciò che possiedo » e « prendo la mia croce e seguo Cristo », ho offerto un olocausto all'altare di Dio; oppure, se « sacrifico il mio corpo alle fiamme » e « ho la carità » e conseguo la gloria del martirio, ho consacrato me stesso in olocausto all'altare di Dio.

Se amo i miei fratelli tanto da « dare per loro la mia anima », se per la giustizia, per la verità combatto fino alla morte, ho offerto un olocausto all'altare di Dio.

Se « mortifico le mie membra da ogni concupiscenza carnale », se « il mondo è crocifisso a me e io al mondo », ho offerto un olocausto all'altare di Dio e sono diventato il sacerdote del mio sacrificio.

Origene, Omelie sul Levitico, 9,9

2. - Il dovere di esaminarsi profondamente

Perché quando si tratta di decidere riguardo alla vita militare, il commercio marittimo, l'agricoltura e gli altri impegni terreni, mai un agricoltore sceglie di navigare, un soldato di coltivare i campi o un nocchiero di esercitare la milizia, anche se addirittura li minacci di morte?

Perché ciascuno vede chiaramente i pericoli che derivano dalla sua inesperienza.

Dunque, quando il danno riguarda faccende di poco conto, ci diamo tanta cura e non cediamo alla forza di chi vorrebbe costringerci; dove invece la pena è eterna per quelli che non sanno esercitare il proprio sacerdozio, ci addossiamo con tutta facilità un tale pericolo, prendendo a pretesto la costrizione d'altri?

Ma il nostro giudice non accetterà la nostra scusa: per le realtà spirituali avremmo dovuto metterci al sicuro molto più che per quelle terrene; ed è chiaro invece che non ci siamo neppure ugualmente cautelati.

Dimmi: se credendo che qualcuno sia un architetto, mentre non lo è, noi lo avessimo chiamato per una costruzione e succedesse che, mettendo mano al materiale pronto per il lavoro, rovinasse il legname, rovinasse le pietre e costruisse una casa che subito crolla, gli basterebbe addurre per scusa di non essere venuto da noi di propria iniziativa, ma costretto dagli altri?

No certo: ed è ovvio e giusto: anche chiamato dagli altri, avrebbe dovuto sottrarsi.

Dunque, chi rovina legname e pietre non può sfuggire la giusta pena, mentre chi manda in perdizione le anime trascurando di edificarle è invece convinto che la costrizione esercitata dagli altri su di lui gli farà fuggire la pena? Non è una sciocchezza?

Non aggiungo che nessuno può esservi costretto contro voglia.

Ma ammetti pure mille pressioni e molteplici macchinazioni, tanto da farlo cedere: forse così si sottrarrà al castigo? No, vi prego!

Non inganniamo noi stessi fino a questo punto, non fingiamo di ignorare ciò che è chiaro anche per i fanciulli!

Certamente, quando si dovrà rendere conto, il pretesto di non aver saputo non potrà giovarci.

Non sei stato tu a impegnarti per ottenere tanto ufficio, conscio della tua incapacità?

Ma bene! Proprio per questa tua coscienza dovevi sottrartene anche quando gli altri ti ci chiamavano!

O forse quando nessuno ti invitava, eri debole e inetto; quando sono venuti fuori quelli che ti avrebbero concesso tanto onore, all'improvviso sei diventato forte e idoneo?

C'è da riderne; è una favola; ma è degna del castigo più duro.

Proprio per questo motivo anche il Signore esorta chi vuole edificare una torre di non gettarne le fondamenta prima di aver esaminato le proprie possibilità, per non dare ai passanti mille occasioni di riderci sopra.

Ma per costui il danno consisterebbe solo nella derisione; nel nostro caso il castigo è il fuoco inestinguibile, il verme che non muore, le tenebre esterne, battere i denti, venire squartati, venire conficcati tra gli ipocriti.

Ma nulla di tutto ciò vogliono vedere i nostri accusatori, altrimenti cesserebbero di biasimare uno che non vuole perdersi inutilmente.

Per noi non si tratta di procurare frumento e orzo, di interessarci di buoi e greggi o qualsiasi altra cosa del genere, ma dello stesso corpo di Gesù.

Infatti la Chiesa del Cristo, secondo san Paolo, è corpo del Cristo, e colui cui è stato affidato deve curarne la piena salute, l'immensa beltà, osservando ovunque che né una macchia né una ruga né qualche altro difetto simile ne turbi la bellezza e il decoro ( Ef 5,27 ).

E che altro deve fare se non far sì, con tutte le proprie forze umane, che essa si mostri degna del Capo immortale e beato cui è unita?

Quelli che curano la propria corporatura atletica, hanno bisogno di medici e di allenatori, di una dieta regolata, di allenamento incessante e di mille precauzioni, perché la minima trascuratezza potrebbe pregiudicare e rovinare tutto in loro.

Quelli che hanno avuto in sorte la cura del corpo di Cristo, la cui lotta non è contro altri corpi, ma contro le potestà invisibili, come potranno conservarlo integro e sano, se non oltrepassando di molto l'abilità umana e conoscendo tutte le cure che sono efficaci per l'anima?

Giovanni Crisostomo, Il sacerdozio, 4,2

3. - Il peso del sacerdozio

Grave è il peso del sacerdozio.

Anzitutto il sacerdote deve essere come un esempio vivente per gli altri, e deve inoltre stare attento di non perdere la propria anima per la vanità, dovuta a questo buon esempio che egli dà.

Sempre il predicatore deve riflettere e soppesare con vero timore che il Signore, partito per prendere possesso del suo regno, disse ai suoi servi, distribuendo loro i talenti: Fateli fruttare fino al mio ritorno ( Lc 19,13 ).

Li facciamo fruttare rettamente se con la nostra vita e con la nostra parola guadagniamo anime, se rinforziamo i deboli nell'amore celeste mettendo di fronte ai loro occhi le gioie del cielo, se scuotiamo con la minaccia tremenda delle pene infernali i malvagi e i superbi, se con nessuno usiamo un'indulgenza incompatibile con la verità, se manteniamo l'amicizia con Dio e non temiamo l'inimicizia con l'uomo.

Gregorio Magno, Lettera al vescovo Domenico di Cartagine

4. - Gli altissimi doveri del sacerdote

Poni che qualcuno si sia preservato puro da ogni peccato, anche in grado sommo, non credo che ciò sia sufficiente per chi deve educare gli altri alla virtù.

A chi viene affidato questo compito, non basta solo il non essere cattivo - questo è vergognoso anche per la massa -, ma deve eccellere nella virtù, in forza del comando: Sta' lontano dal male e compi il bene ( Sal 37,27 ).

Non basta solo che cancelli dall'anima le immagini scorrette, ma deve scrivervi quelle giuste, tanto da eccellere in virtù più di quanto è preminente in dignità.

Non deve conoscere misura nel bene e nell'ascesa spirituale.

Non deve considerare tanto ciò che ha ottenuto come un guadagno quanto ciò che ancora gli manca come un danno.

Quanto egli ha guadagnato lo sfrutti sempre come mezzo per andare più avanti.

Se siamo migliori della massa non siamone superbi; piuttosto umiliamoci se siamo ancora inferiori ai doveri del nostro ufficio.

Commisuri i propri progressi alla luce della legge, non del comportamento degli altri, tanto se cattivi quanto se avanzati in virtù.

Non misuri cioè su una ben misera bilancia la virtù che dobbiamo a Dio altissimo dal quale e per il quale tutto esiste ( 1 Cor 8,6 ).

Non creda che per tutti vada bene lo stesso: l'età, non è uguale per tutti, né i tratti del volto, né la natura degli animali, la qualità dei terreni, la bellezza e la grandezza delle stelle; ma sia convinto che per la gente comune è male compiere azioni perverse, degne di castigo, che sono sotto il duro potere della legge; ma per chi ha un ufficio o una dignità è male non essere eccellente e non progredire continuamente nella virtù, tanto da ottenere di attrarre la massa a virtù sufficiente, non dominandola con la forza, ma guadagnandola con la persuasione.

Gregorio di Nazianzo, Il sacerdozio, 2,14-15

5. - Fiducia nell'aiuto divino

Davanti al timore per la responsabilità del comando, può essere d'aiuto quello che nell'obbedienza è la norma: Dio, per sua bontà, ricompensa la fiducia e rende un superiore perfetto, che ha avuto fiducia in lui e in lui ha riposto tutta la sua speranza, ma se ci si mette nel pericolo della disobbedienza, non so chi mai ci aiuterà o quale motivo potrà indurci ad avere fiducia.

Corriamo il pericolo di sentirci dire, con riferimento alle persone a noi affidate: Domanderò conto delle loro anime alle vostre mani ( Ez 3,18 ) e: Come avete disdegnato di essere capi e condottieri del mio popolo, così io disdegnerò di essere il vostro re ( Os 4,6 ) e ancora: Non avete ascoltato la mia voce, ma mi avete voltato violentemente le spalle e non mi avete obbedito; così avverrà che quando mi invocherete io non baderò alla vostra preghiera, non la esaudirò ( Pr 1,24.28 ).

Non sia mai che queste parole vengano a noi rivolte dal giusto giudice, perché se noi inneggiamo alla sua misericordia, dobbiamo anche ugualmente inneggiare alla sua giustizia.

Gregorio di Nazianzo, Apologia, 2,113

6. - La forza invisibile e la grazia del sacerdote

La forza della parola [ che santifica l'acqua battesimale ] rende anche santo e augusto il sacerdote, distinto e separato con una nuova benedizione dal resto della massa.

Ieri e l'altro ieri era uno del popolo; all'improvviso appare come guida, precettore, maestro di pietà, ministro dei misteri nascosti; e questo egli compie senza aver nulla cambiato nell'aspetto del corpo o nella presenza esteriore: nelle apparenze resta quello che era, ma per una forza invisibile, per una particolare grazia, viene mutato in meglio nell'anima.

Gregorio di Nissa, Omelia sul battesimo di Cristo

7. - Significato del bacio di pace

Il bacio di pace che ha luogo verso la fine della consacrazione sacerdotale, ha un sacro significato simbolico.

Tutti i presenti appartenenti ai vari ordini e anche lo stesso vescovo consacrante salutano il neo-consacrato.

Infatti, quando per lo stato e i poteri sacerdotali e per la divina vocazione e santificazione un'anima santa è giunta alla consacrazione sacerdotale, è oggetto d'amore da parte dei membri degli ordini a lui pari o più sacri perché è elevata alla bellezza più simile a Dio, è piena d'amore per le anime a lei simili e da esse santamente amata.

Per tale motivo nella celebrazione ha luogo questo bacio reciproco, che simboleggia l'unione sacra delle anime ugualmente privilegiate e la gioia nel reciproco amore, che conserva integra la bellezza divina al carattere sacerdotale.

Pseudo-Dionigi Areopagita, La gerarchia ecclesiastica, 5,6

8. - Accettazione dell'ufficio sacerdotale

Eccomi, o pastori e colleghi; eccomi, o gregge sacro, degno di Cristo principe dei pastori; eccomi, o padre mio, completamente vinto e soggetto più alla legge di Cristo che alla legge terrena.

Hai la mia obbedienza: dammi la benedizione.

Guidami con le preghiere, conducimi con la parola, rafforzami con lo spirito: La benedizione del padre rafforza le case dei figli ( Sir 3,11 ).

E sia rafforzato io e questa casa spirituale che ho scelto e che prego sia la mia dimora di pace nei secoli dei secoli ( Sal 132,14 ), quando da questa Chiesa trasmigrerò alla Chiesa di lassù, solenne raduno di primogeniti registrati in cielo ( Eb 12,23 ).

Questa è la mia supplica che ritengo ragionevole; e il Dio della pace, che fece dei due uno ( Ef 2,14 ), che fa di noi un dono agli altri, che colloca i re sul trono ed erige da terra il povero, solleva dallo sterco il miserabile ( Sal 113,7 ), che scelse Davide come suo servo, quando, come l'ultimo e il più piccolo dei figli di Iesse, pascolava le greggi, e dà agli annunciatori del Vangelo la parola e molto potere per compiere la loro missione, Dio dunque sorregga con la sua mano la nostra mano, ci guidi con la sua volontà e ci accolga con onore, pascendo i pastori e guidando le guide; perché ci sia dato così di condurre con intelligenza il suo gregge, e non con gli attrezzi del pastore malvagio ( Zc 11,15 ) - il primo modo era considerato benedizione, mentre quest'ultimo maledizione, dagli antichi -; egli dia forza e potere al suo popolo ( Sal 68,36 ) e presenti a se stesso un gregge splendido e immacolato, degno dei recinti del cielo, nella dimora degli esultanti ( Sal 87,7 ), nello splendore dei santi ( Sal 110,3 ) affinché nel suo tempio noi tutti, sia gregge che pastori, inneggiamo lode ( Sal 29,9 ) in Cristo Gesù nostro Signore.

A lui gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Gregorio di Nazianzo, Apologia, 116-117

9. - I pieni poteri del sacerdote

L'ufficio sacerdotale si svolge in terra, ma è dell'ordine delle realtà celesti. Ed è giusto.

Non un uomo, infatti, né un angelo né un arcangelo né qualche altro potere creato, ma lo stesso Paraclito ha ordinato questo ministero e ha indotto uomini, viventi ancora nella carne, a mostrarsi in questo servizio angelico.

Perciò chi compie l'ufficio sacerdotale deve essere puro come se fosse su nei cieli, tra le celesti potenze.

Era sacro e terribile ciò che concerneva il sacerdozio precedente alla grazia, come i campanelli, le piccole melagrane, le pietre preziose poste sul petto o sulle spalle, la mitra, le bende, l'abito talare, la lamina d'oro, il santo dei santi, il silenzio profondo; ma se qualcuno le paragona con ciò che concerne il sacerdozio della grazia, vedrà che quelle cose sacre e terribili erano ben piccole ed è vero anche qui ciò che è detto della legge: Ciò che era glorioso in quell'ambito, non è più glorioso in confronto di quest'altra gloria sovreminente ( 2 Cor 3,10 ).

Quando vedi il Signore giacere immolato, il sacerdote pregare in piedi davanti al sacrificio e tutti aspersi di quel sacro sangue, credi ancora di essere tra gli uomini, di stare sulla terra, o piuttosto non ti senti trasportato improvvisamente nei cieli?

Non cacci dall'intimo ogni pensiero carnale e con l'anima nuda, con la mente pura contempli le realtà celesti?

O miracolo! O benignità di Dio!

Colui che siede lassù, col Padre, viene preso da tutti tra le mani e si dà a tutti quelli che vogliono abbracciarlo e riceverlo.

E tutti fanno questo, agli occhi della fede!

Ti sembra qualcosa da disprezzare questo?

O che vi possa essere chi davanti a ciò insuperbisca?

Vuoi vedere anche in un altro prodigio l'eccesso di questa sacralità?

Figurati davanti agli occhi Elia: una folla immensa lo circonda, il sacrificio è posto sull'altare e tra la quiete di tutti e il silenzio profondo solo il profeta prega; ecco all'improvviso dal cielo scende il fuoco sulla vittima ( 1 Re 18,38 ).

Sono fatti mirabili, che riempiono di stupore.

Trasferisciti ora da là a quello che succede adesso: vedrai cose non solo mirabili, ma superiori a ogni stupore.

Il sacerdote sta in piedi: non porta il fuoco ma lo Spirito Santo; prega a lungo non perché una fiaccola, discesa dall'alto, bruci le offerte, ma perché la grazia, scendendo sul sacrificio, infiammi tutte le anime e le renda più splendide dell'argento purificato nel fuoco.

Chi potrebbe dunque disprezzare questo mistero veramente tremendo senza essere del tutto pazzo o fuori di sé?

Non sai che l'anima umana non poté mai sostenere questa fiamma sacrificale e non esserne del tutto annientata, senza l'aiuto possente della grazia di Dio?

Se qualcuno riflettesse cosa è mai per chi è ancor uomo e circondato di carne e sangue poter star così vicino a quella natura beata e illibata, potrebbe vedere bene quale onore la grazia dello Spirito ha fatto ai sacerdoti.

Per opera loro, infatti, si compiono questi misteri - e altri non inferiori -: per la loro dignità e la nostra salvezza.

Ad uomini che vivono sulla terra, che hanno quaggiù la loro dimora, è stata affidata l'amministrazione dei tesori celesti ed è stato dato un potere che Dio non ha concesso né agli angeli né agli arcangeli.

Mai infatti ha detto loro: Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo; e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo ( Mt 18,18 ).

Certo, anche i dominatori sulla terra hanno il potere di legare, ma solo i corpi; quest'altro vincolo invece tocca l'anima stessa e trascende i cieli: quello che i sacerdoti compiono quaggiù, Iddio lo conferma lassù.

Il Padrone convalida la decisione dello schiavo.

Che altro infatti gli ha dato se non tutto il potere del cielo?

Infatti: A coloro cui rimetterete i peccati, saranno rimessi; e a coloro cui non li rimetterete, non saranno rimessi ( Gv 20,23 ).

Quale potere sarà maggiore di questo?

Il Padre ha dato al Figlio ogni decisione ( Gv 5,22 ): ma vedo che il Figlio l'ha concessa ai sacerdoti.

Come se già fossero stati accolti nel cielo e avessero superata l'umana natura e fossero liberati dalle nostre passioni, a tanto potere sono stati elevati.

Inoltre, se un imperatore concedesse a qualcuno dei suoi sudditi questo onore; cacciare in prigione chi vuole o di liberarne chi vuole, tutti ammirerebbero e rispetterebbero quel tale; ma colui che ha ricevuto da Dio un potere tanto maggiore, quanto il cielo è più augusto della terra e quanto l'anima lo è del corpo, sembrerà forse ad alcuni che abbia ricevuto un piccolo onore, tanto da ritenere di poter disprezzare lui, cui è stato affidato questo dono?

Ma è una pazzia! É una pazzia conclamata disprezzare questa autorità, senza di cui non ci è possibile raggiungere né la salvezza né i beni promessi.

Infatti, se nessuno può entrare nel regno dei cieli se non è stato rigenerato per mezzo dell'acqua e dello Spirito ( Gv 3,5 ) e chi non mangia la carne del Signore e non beve il suo sangue viene privato della vita eterna ( Gv 6,54 ), e se tutto ciò non si attua se non per mezzo di quelle mani sante, le mani cioè dei sacerdoti, chi senza di loro potrà sfuggire il fuoco dell'inferno o raggiungere la corona per lui riposta?

Giovanni Crisostomo, Il sacerdozio, 3,4-5

10. - Il sacerdote sta molto più in alto del re

Se vuoi vedere la differenza fra re e sacerdote, pensa alla differenza del potere che è stato affidato loro, e comprenderai che il sacerdote sta molto più in alto del re.

Anche il trono regale, per l'oro e le gemme di cui è adorno, desta in noi timore; ma il re ha potere solo sulle cose terrene; oltre ad esse, la sua potestà non si estende.

Ma il trono del sacerdozio è eretto nel cielo: a lui è stato affidato ciò che è proprio del cielo.

Quello che il sacerdote compie sulla terra, Dio lo ratifica in cielo.

Per questo, anche la persona del re è stata soggetta al potere del sacerdote, per insegnarci che del re stesso egli è più grande.

Chi è inferiore riceve la benedizione da chi è superiore.

Compito del re è governare le realtà terrene, l'autorità del sacerdozio invece scende dal cielo.

Al re è stato affidato quello che è di quaggiù; al sacerdote quello che è di lassù.

Al re sono stati assoggettati i corpi, al sacerdote le anime.

Il re assolve dai debiti fiscali; il sacerdote dai debiti di peccato.

Il re usa la forza, il sacerdote solamente esorta; quello opera col potere, questi con la convinzione.

Il re ha armi materiali, il sacerdote le ha spirituali.

Quello combatte contro i barbari, questo contro i demoni.

Perciò il dominio del sacerdote è più eccelso.

Giovanni Crisostomo, Omelia "Io visto il Signore", 4-5

11. - Il dovere sacerdotale dell'intercessione

Mi chiedi perché mai affermiamo ch'è dovere della nostra cura pastorale d'intervenire in favore dei colpevoli e ci offendiamo quando non otteniamo lo scopo, come se avessimo fatto fiasco in pratiche pertinenti al nostro ufficio.

Tu affermi che hai forti dubbi che questo dovere derivi dalla religione e aggiungi il motivo col dire: « Se i peccati sono proibiti dal Signore tanto severamente che non si dà la possibilità d'una seconda penitenza dopo la prima, come si può sostenere che la religione permette di condonare qualsiasi specie di colpa? ».

Insisti poi con un argomento ancora più grave dicendo che « se si vuole che una colpa rimanga impunita, vuol dire che la si approva; se è ammesso da tutti ch'è complice d'una colpa tanto chi la commette quanto chi l'approva, è certo pure che si è accomunati nella stessa colpa ogniqualvolta si vuole resti impunito chi s'è macchiato d'una colpa ».

Chi non si spaventerebbe a sentire queste tue parole, se non conoscesse la tua mitezza e amabilità?

Ma io che ti conosco e non dubito affatto che le hai scritte non per pronunciare un giudizio decisivo, ma solo per avanzare un quesito, mi affretto a risponderti con altre tue affermazioni.

In effetti, come se tu avessi voluto eliminare ogni mio dubbio su questo punto o prevedessi la mia risposta oppure me l'avessi voluta suggerire, hai soggiunto: « A questa s'aggiunge una considerazione più grave.

Poiché ogni peccato parrà più degno di perdono quando il colpevole promette di emendarsi ».

Prima dunque di discutere questa considerazione più grave che tu hai soggiunta nella tua lettera, l'ammetto anch'io e me ne servirò per eliminare la difficoltà con cui ti pareva di poterti opporre ai nostri interventi.

In realtà noi intercediamo per tutte le colpe secondo le nostre possibilità proprio perché tutte le colpe sembrano più degne di perdono, quando il colpevole promette d'emendarsi.

Questa è la tua opinione e questa è pure la mia.

Noi dunque non approviamo affatto le colpe che vogliamo siano emendate né le azioni compiute contro la legge morale o civile; vogliamo che restino impunite perché ce ne compiacciamo ma, pur avendo compassione del peccatore, ne detestiamo le colpe o le turpitudini; inoltre quanto più ci dispiace il peccato, tanto più desideriamo che il peccatore non muoia senza essersi emendato.

É facile ed è anche inclinazione naturale odiare i malvagi perché sono tali, ma è raro e consono al sentimento religioso amarli perché sono persone umane, in modo da biasimare la colpa e nello stesso tempo riconoscere la bontà della natura; allora l'odio per la colpa sarà più ragionevole poiché è proprio essa a macchiare la natura che si ama.

Non ha quindi alcun legame con l'iniquità ma piuttosto con l'umanità chi è persecutore del peccato, per essere salvatore dell'uomo.

Solo in questa vita c'è la possibilità di correggere la propria condotta, poiché nell'altra ognuno riceverà ciò che avrà meritato per se stesso.

Noi quindi nell'intercedere per i colpevoli siamo spinti dall'amore per il genere umano affinché la loro vita terrena non finisca con un supplizio, che dopo la fine della vita non avrà mai fine.

Non aver dunque nessun dubbio che questo nostro dovere non derivi dalla religione stessa dal momento che Dio, in cui non v'è ombra d'iniquità, la cui potenza è sovrana, il quale non solo vede come ciascuno è presentemente ma prevede pure come sarà nel futuro, il quale è il solo che sia infallibile nel giudicare, perché nel conoscere non può ingannarsi, tuttavia come dice il Vangelo fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sui peccatori ( Mt 5,45 ).

Gesù Cristo, esortandoci a imitare questa mirabile bontà: Amate - dice - i vostri nemici, fate del bene a quanti vi odiano e pregate per i vostri persecutori, affinché siate figli del Padre vostro celeste che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sui peccatori ( Mt 5,44-45 ).

Chi ignora che molti abusano di questa indulgenza e bontà divina per la propria perdizione?

Ma san Paolo li deplora e li biasima severamente dicendo: Ma pensi tu, forse, o uomo, che condanni chi fa tali azioni e poi le fai tu stesso, di sfuggire alla condanna di Dio?

Ti burli forse dell'immensa bontà, pazienza e tolleranza di lui?

Ignori forse che la pazienza di Dio t'invita al pentimento?

Tu invece con la tua durezza di cuore impenitente ti ammassi sul capo un cumulo di punizioni per il giorno della collera e del giudizio finale, in cui Dio, rendendo pubblico il suo verdetto, darà a ciascuno secondo quello che avrà fatto in vita ( Rm 2,3-6 ).

Forse che Dio non continua ad essere paziente perché i malvagi persistono nella loro iniquità?

Egli invece punisce in questa vita solo ben pochi peccati, perché nessuno ignori ch'esiste la sua Provvidenza, ma riserva la maggior parte dei peccati all'ultimo giudizio, per dare a questo un risalto maggiore.

Non penso che il divino Maestro ci ordini d'amare la malvagità ordinandoci d'amare i nostri nemici, di far del bene a chi ci odia, di pregare per chi ci perseguita.

Se noi prestiamo a Dio un culto di pietà filiale, potranno essere nostri nemici e persecutori unicamente gli empi aizzati contro di noi con odio accanito.

Dobbiamo quindi forse amare gli empi?

Dobbiamo forse fare loro del bene e pregare per loro?

Sicuro, senza dubbio: è Dio stesso a comandarcelo; ma con tutto ciò non ci associa agli empi, ai quali egli stesso non si associa affatto, pur perdonando loro e donando loro la vita e la salute.

L'Apostolo espone questa volontà di Dio, per quanto può conoscerla un santo, dicendo: Non sai forse che la pazienza di Dio t'invita al pentimento? ( Rm 2,4 ).

Non ad altro che al pentimento vogliamo noi stessi che siano indotti coloro per i quali intercediamo, senza con ciò indulgere o essere favorevoli ai loro peccati.

Agostino, Le Lettere, II, 153,1-5 ( a Macedonio )

12. - Dio opera per mezzo di tutti i sacerdoti

Non sai cos'è il sacerdote? É il messaggero del Signore.

Annuncia forse le proprie cose? Se lo disprezzi, non disprezzi lui, ma Dio, che l'ha consacrato sacerdote.

« E come mi risulta che è stato Dio a consacrarlo? », si dice.

Bene: se non hai fiducia in ciò, tutta la tua speranza è vana.

Se Dio non opera per mezzo di lui, tu non sei stato battezzato, non partecipi ai misteri, non hai benedizione: dunque non sei cristiano.

« Ma, allora, Dio ha consacrato tutti i sacerdoti, anche quelli indegni? ».

Non tutti Dio ha consacrato, ma per mezzo di tutti opera - anche degli indegni - per salvare il popolo.

Se per il popolo egli parlò per mezzo di un'asina, per mezzo di Balaam, per mezzo di un uomo impuro, tanto più lo fa per mezzo del sacerdote.

Cosa non fa Dio per la nostra salvezza, cosa non dice?

E per mezzo di chi non può operare?

Se per mezzo di Giuda, per mezzo dei falsi profeti ai quali dirà: Non vi ho mai conosciuti; via da me, voi operatori di iniquità! ( Mt 7,23 ), tanto più opera per mezzo dei sacerdoti.

Se volessimo mettere alla prova la condotta dei superiori, se volessimo approvare o meno l'insegnamento dei maestri, tutto andrebbe sottosopra: su i piedi e sotto la testa.

Ascolta Paolo che ci dice: A me importa ben poco di essere giudicato da voi, o da qualche tribunale terreno ( 1 Cor 4,3 ), e ancora: Tu, perché giudichi tuo fratello? ( Rm 14,10 ).

Se, dunque, non è lecito giudicare neppure il fratello, tanto meno il maestro.

Se Dio te l'avesse ordinato, agiresti bene e peccheresti a non farlo; ma se è proprio il contrario, non osare tanto, perché non sia costretto a uscire di pista.

Dopo che ebbero costruito il vitello d'oro, insorsero contro Aronne i seguaci di Core, di Datan e Abiron.

Che avvenne? Non andarono forse in rovina? ( Nm 16 ).

Ciascuno curi i propri affari.

Se qualcuno propone un dogma perverso, anche fosse un angelo, non seguirlo; ma se il suo insegnamento è retto, non badare alla sua vita, ma alle sue parole.

Hai Paolo, che con le parole e le opere ti indirizza a ciò che devi fare.

« Ma quel sacerdote non dà nulla ai poveri - si dice - e non è un buon amministratore ».

Ma tu, come lo sai? Prima di conoscere bene le cose, non biasimare: abbi paura del rendiconto!

Molti giudizi si basano su semplici sospetti.

Imita il Padrone, ascolta le sue parole: Voglio scendere e vedere se hanno operato secondo il grido a me giunto; se no, voglio saperlo ( Gen 18,21 ).

E se pur ti sei informato, hai esaminato, hai constatato, attendi tuttavia il giudice, non voler precedere Cristo!

Lui deve giudicare non tu: tu sei l'ultimo schiavo, non sei il padrone.

Tu sei solo una pecorella: non impicciarti delle cose del pastore, che tu non debba rendere conto delle accuse che contro lui muovi.

« Ma come può comandarmi ciò che non fa? », si dice.

Ma non è lui che ti comanda: se badi a lui, non avrai premio; è il Cristo che a ciò ti esorta.

Ma che dico? Neppure Paolo si dovrebbe ascoltare se dicesse qualcosa di suo, qualcosa di umano; si deve prestare orecchio all'Apostolo che parla del Cristo che ha in sé.

Non giudichiamo dunque le cose degli altri, ma ciascuno le proprie: la tua vita esamina!

« Ma il sacerdote dovrebbe essere migliore di me », si dice.

Perché? « Proprio perché è sacerdote ».

E non ha già più di te? Più fatiche, più pericoli, più lotte, più sofferenze?

Se ha questo, non è forse migliore di te?

Se poi non è migliore di te come dovrebbe, tu perché vuoi perderti?

Il tuo è un discorso temerario.

Per quale motivo, infatti, non è migliore di te?

Forse ruba, forse spoglia la minuscola Chiesa; ma tu, come lo sai, o uomo?

Perché spingi te stesso nel baratro?

Se uno dice: « Ha un vestito di porpora », e tu ne sei al corrente, tendi l'orecchio, e pur potendo prenderne le difese, fai finta di non saperne nulla, non volendo esporti a un pericolo inutile.

Ma così non te ne sottrai, ma precisamente ti esponi a un pericolo inutile.

Sono discorsi di cui si deve render conto: odi infatti le parole del Cristo: A voi dico invece che di qualsiasi parola oziosa pronunciata dagli uomini, ne renderanno conto il giorno del giudizio ( Mt 12,36 ).

Ritieni dunque di essere migliore di qualche altro? e non gemi, non ti batti il petto, non pieghi il capo, non imiti il pubblicano del Vangelo?

Ma così ti rovini, anche se realmente tu fossi migliore.

Sei migliore? Sta' zitto, per restare tale; se lo dici, rovini tutto.

Se pensi di essere migliore, non lo sei; se non lo pensi, stai progredendo non poco …

Dimmi: se vai dal medico per una ferita, tu, invece di farti mettere un farmaco e curare il tuo male, investighi forse se il medico stesso abbia o non abbia lui una ferita?

E se lui l'avesse, tu ti preoccuperesti?

Eviteresti forse di curare la tua, dicendogli: « Dovresti esser sano, tu che sei medico; ma poiché tu non lo sei, non voglio curare il mio male ».

Se il sacerdote fosse cattivo, il laico potrà consolarsi?

No certo: lui sconterà la sua pena, e tu sconterai quella che tu meriti: maestro e discepolo stanno sullo stesso piano.

Infatti saranno tutti ammaestrati da Dio ( Gv 6,45; Is 54,13 ) e non diranno: Conosci il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande ( Ger 31,34 ).

« Ma per quale motivo allora lui è posto in autorità? Perché occupa questo posto? », si dice.

Vi prego: non oltraggiamo i nostri maestri, non indaghiamo troppo sul loro conto, per non danneggiare noi stessi.

Indaghiamo sulle nostre cose e non parliamo male di nessuno.

Onoriamo quel giorno in cui il sacerdote ci ha illuminati.

Se qualcuno ha un padre che fosse carico anche di mille delitti, egli tutto coprirebbe: Non gloriarti della vergogna di tuo padre: non è gloria per te, ma obbrobrio ( Sir 3,12 ).

Anche se non avesse giudizio, sappigli perdonare.

Se si deve dire questo dei padri terreni, tanto più dei padri spirituali.

Sii pieno di rispetto perché ogni giorno compie per te il sacro ministero: ti fa conoscere le Scritture, adorna per te la casa di Dio, rinuncia per te al sonno, per te prega, per te sta supplice davanti a Dio, per te intercede, per te svolge tutto il suo culto.

utto ciò rispetta, a tutto ciò rifletti: avvicinalo con grande devozione.

Dimmi: è cattivo? E che importa?

Solo chi non è cattivo ti elargisce i grandi doni sacerdotali?

No davvero: tutta la sua opera dipende dalla tua fede.

Né un buon sacerdote ti può aiutare se tu non hai fede, né un sacerdote cattivo ti può danneggiare se tu ne hai molta.

Per mezzo di alcune vacche Dio guidò prodigiosamente l'arca, quando volle salvare il popolo ( 1 Sam 6 ).

Il tenore di vita del sacerdote, la sua virtù, recherebbero dunque un tale apporto?

I doni di Dio non hanno bisogno della virtù del sacerdote per andare ad effetto: tutto è opera della grazia divina; egli deve solo aprire la bocca e Dio opera tutto.

Il sacerdote compie solo un'azione simbolica.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera a Timoteo, 2,2-4

13. - La denigrazione contro le persone ecclesiastiche

Perché non abbiate a scoraggiarvi a causa delle lingue dei denigratori, così dice per bocca del Profeta: Ascoltatemi, voi che conoscete la giustizia, o mio popolo, nel cui cuore abita la mia legge; non temete gli insulti della gente, non lasciatevi sopraffare dalla loro maldicenza né fate gran conto che vi disprezzino, poiché saranno divorati dal tempo come un vestito, e come lana saranno rosi dalla tignola, mentre la mia giustizia dura in eterno ( Is 51,7-8 ).

Infine perché non vi perdiate facendo sospetti temerari per malanimo contro i servi di Dio, ricordatevi dell'ammonimento dell'Apostolo: Non giudicate nulla prima del tempo, finché non venga il Signore, il quale metterà in luce ciò che è nascosto nelle tenebre e renderà palesi i disegni del cuore; allora ciascuno avrà da Dio la lode che si merita ( 1 Cor 4,5 ).

Così pure sta scritto: Le cose manifeste lo sono per voi; quelle occulte invece sono tali per il Signore Dio vostro ( Dt 29,28 ).

É  chiaro che simili fatti accadono nella Chiesa non senza grande dispiacere dei santi e dei fedeli; ci consoli tuttavia Colui che ha predetto ogni avvenimento e ci ha esortato a non raffreddarci per l'aumento dell'iniquità, ma di perseverare fino alla fine per poterci salvare.

Poiché, per quel che mi riguarda, se vi è in me anche solo un briciolo della carità di Cristo, chi di voi è ammalato senza che lo sia anch'io, chi subisce scandali senza ch'io ne arda? ( 2 Cor 11,29 ).

Non accrescete dunque i miei tormenti lasciandovi abbattere o dai falsi sospetti o dai peccati altrui; no, non accresceteli, ve ne scongiuro, perché non mi veda costretto a dire di voi: Aggiunsero dolore al dolore delle mie piaghe ( Sal 69,27 ).

Coloro infatti che godono di questi nostri dispiaceri, già predetti tanto prima nella persona di Cristo dal salmo che dice: Parlavano contro di me quelli che stavano seduti presso la porta, contro di me cantavano canzoni i beoni ( Sal 69,13 ), noi li sopportiamo con più rassegnazione, sapendo però bene che abbiamo il dovere di pregare anche per essi e di voler bene anche a loro.

Cos'altro infatti stanno aspettando costoro, cos'altro stanno spiando se non che appena un vescovo o un membro del clero o un monaco o una vergine cadono, lo facciano credere e lo mettano in piazza e sostengano che tutte le persone sacre sono tali, sebbene non tutti si possano scoprire?

Eppure essi stessi, quando una donna sposata viene trovata adultera, non ripudiano affatto la propria moglie né permettono d'accusare la propria madre.

Quando invece sentono parlare di qualche colpa anche se falsa o se ne scopre qualcuna vera, che riguardi persone consacrate a Dio, eccoli insorgere contro di noi, darsi da fare, andare attorno perché quella colpa venga creduta comune a tutti.

Cotali cialtroni, che provano piacere nel malignare a proposito delle nostre sofferenze, possono esser paragonati ai cani ricordati nel Vangelo - qualora questi debbano intendersi come simbolo delle persone perverse - a quei cani che lambivano le ulcere del povero Lazzaro che giaceva davanti alla porta del ricco e che tollerava ogni sorta di pene e di ingiurie in attesa di giungere al riposo nel seno di Abramo ( Lc 16,20-22 ).

Quanto poi a voi, non datemi altre molestie, proprio voi che avete un po' di speranza in Dio non moltiplicate le stesse piaghe ch'essi lambiscono; per causa loro io corro continui pericoli e sono esposto a lotte esterne, a timori intimi, a pericoli nelle città, a pericoli nel deserto, a pericoli da parte dei pagani, a pericoli da parte dei falsi fratelli ( 2 Cor 7,5; 2 Cor 11,26 ).

Voi - lo so bene - ne provate dolore, ma forse che il vostro è più acuto del mio?

So bene che ne siete turbati, ma temo che sentendo gli insulti dei maldicenti, si perda di coraggio e perisca il debole per il quale è morto Cristo ( 1 Cor 8,11 ).

Non aumenti proprio per causa vostra il mio dolore, poiché non sono stato io a causare il vostro.

Mi sono infatti sforzato di prendere tutte le precauzioni affinché, nei limiti del possibile, non si trascurasse di scongiurare questa sventura, per non arrecare infruttuoso rincrescimento agli spiriti forti e pericoloso turbamento a quelli deboli.

Ad ogni modo, colui che ha permesso che foste messi alla prova, speriamo che vi dia pure la forza di sostenerla.

Agostino, Le Lettere, I, 78,5-7 ( al clero di Ippona )

14. - Invito ai sacerdoti a non rivolgersi alle attività temporali

Ora, la Chiesa possiede terre, case, affittanze, carri, muli e molti altri simili beni materiali, costretta a ciò dalla vostra crudeltà.

Converrebbe, infatti, che questo tesoro della Chiesa fosse nelle vostre mani e che essa ne ricevesse il frutto dalla vostra buona volontà e generosità.

Ora, invece, dal possesso di tali beni derivano due assurdi inconvenienti: voi rimanete senza frutti, e i sacerdoti di Dio trattano cose che non sono di loro competenza.

Non era forse possibile che case e campi rimanessero in possesso degli apostoli?

Perché allora essi li vendevano, e distribuivano il ricavato?

Perché ciò era la cosa migliore.

Ora, al contrario, un grave timore ha preso i vostri padri.

Essendo voi dominati da un furioso e smodato desiderio dei beni temporali e occupati a raccogliere senza seminare, la moltitudine delle vedove, degli orfani e delle vergini finiva col morire di fame: perciò essi sono stati costretti ad avere dei beni.

Essi non volevano darsi a questi traffici poco onorevoli, ma desideravano che la vostra buona volontà costituisse un capitale, da cui poter raccogliere i frutti, mentre essi si sarebbero dedicati esclusivamente alla preghiera.

Voi, invece, li avete obbligati a imitare coloro che si occupano di uffici pubblici e di affari privati: di qui si è prodotta una confusione senza limiti.

Se, infatti, anche noi come voi ci occupiamo degli stessi affari terreni, chi placherà Dio?

Per questo non possiamo aprire bocca: gli ecclesiastici, in pratica, non sono per nulla migliori degli uomini di mondo.

Non avete sentito che gli apostoli non accettarono neppure di distribuire essi stessi il denaro raccolto senza tanti traffici?

Oggi, invece, i vescovi sono schiacciati dalle preoccupazioni materiali ancor più degli amministratori, degli economi, dei commercianti e, mentre dovrebbero occuparsi ed essere solleciti unicamente delle vostre anime, sono presi dalle stesse attività e dagli stessi affanni per cui si agitano gli esattori delle imposte, gli agenti del fisco, i ragionieri, i sovrintendenti alle finanze: per queste cose ogni giorno si rompono la testa.

Non dico ciò semplicemente per lamentarmi, ma perché avvenga qualche cambiamento in meglio e s'introduca qualche rimedio; perché noi, sottoposti come ora siamo a così dura schiavitù, riusciamo a ottenere un po' di misericordia e voi siate per la Chiesa la sua rendita e il tesoro.

Se voi non volete, ecco i poveri dinanzi ai vostri occhi: quanti noi potremo soddisfare, non tralasceremo di nutrire; ma quelli che non riusciremo ad assistere, li invieremo a voi, onde evitarvi di udire in quel tremendo giorno le parole rivolte a quanti non hanno avuto misericordia e si sono comportati con crudeltà: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare ( Mt 25,42 ).

Certo, questa disumanità rende anche noi ridicoli insieme a voi.

Trascurando infatti le preghiere, l'insegnamento e ogni altra attività sacra, alcuni uomini della Chiesa passano tutto il tempo in discussioni coi mercanti di grano, con i commercianti di vino, e con i venditori di altre derrate.

Di qui sorgono liti e contrasti, e s'intrecciano ogni giorno le più varie e grossolane ingiurie.

Ecco donde provengono quei nomi attribuiti a ciascun sacerdote, nomi che si addicono piuttosto agli affari mondani che essi trattano.

Dovrebbero, al contrario, essere chiamati solo con i nomi derivanti da quelle attività stabilite dagli apostoli: cioè dal sostentamento dei poveri, dal patrocinio degli offesi, il ricovero dei pellegrini e degli stranieri, l'aiuto agli oppressi, l'assistenza agli orfani, la difesa delle vedove, la protezione delle vergini.

Ecco gli uffici che dovrebbero essere assegnati ai sacerdoti, in luogo dei preoccupanti impegni relativi a terreni e a costruzioni.

Questi sono i cimeli della Chiesa; questi i tesori che più le si addicono e che a noi procurano grande facilità nell'assistenza, a voi vantaggio, anzi facilità e vantaggio insieme.

Per la grazia di Dio io calcolo infatti che le persone che si riuniscono qui siano circa centomila; orbene, se ciascuno desse un pane a ogni povero, tutti sarebbero nell'abbondanza, e se ciascuno si privasse soltanto di un obolo, nessuno sarebbe povero, e noi sacerdoti non saremmo più esposti a tanti biasimi e scherni che ci tiriamo addosso per il nostro attaccamento ai beni materiali.

Sarebbe opportuno ripetere oggi ai sacerdoti, riguardo ai beni della Chiesa, ciò che il Signore disse un giorno: Vendi le tue ricchezze, e dalle ai poveri, e seguimi ( Mt 19,21 ).

Non è possibile altrimenti seguire il Signore come si deve, se non siamo liberi da ogni preoccupazione troppo grossolana e terrena.

Ora, invece, i sacerdoti di Dio assistono alla vendemmia e alla mietitura e si danno un gran da fare per l'acquisto e la vendita dei prodotti.

I sacerdoti giudei, il cui servizio di culto era rivolto semplicemente all'immagine delle realtà attuali, erano esenti da tutte queste attività, nonostante si dedicassero a una liturgia alquanto carnale.

Noi che siamo chiamati invece a entrare nello stesso santuario dei cieli e penetriamo nel vero Sancta sanctorum, ci sobbarchiamo alle preoccupazioni e agli affanni dei commercianti e degli uomini d'affari.

Ecco donde derivano la grave trascuratezza delle Scritture, la tiepidezza dello spirito d'orazione, l'atrofia di tutta la vita spirituale.

É impossibile, infatti, che l'uomo si divida tra le cure terrene e gli impegni spirituali, dedicandosi a entrambi con adeguato impegno.

Ecco perché vi prego e vi scongiuro di far scaturire sempre e ovunque per noi abbondanti sorgenti e di far diventare la vostra aia e il vostro torchio uno stimolo per noi: così i poveri saranno più facilmente nutriti, Dio sarà glorificato, e voi, progredendo sempre più nelle opere di misericordia, otterrete anche i beni eterni, che io auguro a noi tutti di possedere un giorno per la grazia e l'amore di Gesù Cristo, nostro Signore.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 85,3-4

15. - Il sacerdote non intervenga in questioni pecuniarie

Nulla è meno bello che abbandonare l'amore dell'onestà e dedicarsi continuamente ad affari degeneri, spinti dal guadagno ignobile, ardere nell'intimo di avarizia, bramare giorno e notte la rovina del patrimonio altrui, non elevare l'animo allo splendore dell'onestà, non considerare la bellezza della gloria vera.

Da qui nasce la brama di conquistare eredità, simulando purezza e gravità: cosa che contrasta con la mentalità di un uomo cristiano, perché tutto ciò che è prodotto ad arte, che è messo insieme con la frode, non ha certo il merito della semplicità.

Per quelli stessi che non hanno ricevuto nessun ordine e ufficio ecclesiastico, la ricerca smodata delle eredità è considerata sconveniente.

A chi è in fine di vita bisogna lasciare libertà di giudizio perché faccia testamento come crede, in modo poi da non cambiarlo.

Non è onesto togliere agli altri l'eredità loro preparata, o perché dovuta, o perché stabilita: il sacerdote, il ministro sacro devono giovare a tutti, se è possibile, e non danneggiare nessuno.

Se poi non è possibile favorire uno senza danneggiare l'altro, è meglio non aiutare nessuno che nuocere a uno.

Il sacerdote dunque non deve intervenire in cause pecuniarie, perché non si può evitare che spesso la parte perdente ne abbia danno spirituale, pensando di aver perso per l'opera mediatrice del sacerdote.

Il sacerdote non deve nuocere a nessuno, deve desiderare di giovare a tutti; farlo poi lo può solo Iddio.

Quando c'è in gioco la vita, nuocere a chi dovresti giovare è certo peccato grave; ma tirarsi addosso l'odio per cause pecuniarie è una stoltezza.

Per la salvezza dell'uomo, invece, spesso ci si addossano gravi molestie, e mettersi in pericolo a questo scopo è vera gloria.

Si mantenga dunque nell'ufficio sacerdotale questa condotta, come modello: il sacerdote non nuoccia a nessuno, neppure se spinto o se offeso da qualche ingiuria.

Ambrogio, I doveri, 3,57-59

16. - Servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio

La parola di Dio, che noi tutti dobbiamo ascoltare non solo con attenzione, ma anche con intelligenza, alla quale dobbiamo obbedire con umiltà e gioia, che col suo equilibrio ottiene ovunque che né alle pecore manchi pascolo, né ai pastori alimento, dà alcuni precetti speciali a noi solo, altri invece generali a voi e a noi.

A noi dunque, cioè ai servi che il padre di famiglia, padrone di tutte le cose, ha posto in questa sua grande casa con l'incarico di amministrare al suo popolo la parola di grazia, ingiunge in modo speciale il compito della santa predicazione; in generale, invece, a noi e a voi, viene comandata l'obbedienza salvifica ai comandamenti.

E in questi comandamenti, come in cibi ricchissimi, è tanto esuberante l'abbondanza spirituale delle delizie celesti, che nella parola di Dio abbonda ciò che può mangiare l'uomo perfetto e abbonda anche ciò che può succhiare il bimbo.

Giacché vi è insieme la bevanda lattea di cui si nutre la tenera infanzia dei fedeli, e il cibo solido, con cui si accresce spiritualmente di santa virtù la robusta giovinezza dei perfetti.

Ivi si cura la salvezza di tutti coloro che il Signore si degna salvare; ivi è ciò che conviene a ogni età, che si addice a ogni professione; ivi udiamo i precetti che dobbiamo compiere, ivi conosciamo i premi che dobbiamo sperare; ivi è il comando che, per mezzo della lettera, ci ammaestra e ci istruisce nella scienza, ivi è la promessa che, per mezzo della grazia, ci attrae e ci conduce alla gloria.

Volendo dunque il Signore mostrare ai suoi servi, preposti al suo popolo, il loro compito speciale, disse le parole che abbiamo appena udito dal Vangelo: Chi pensi che sia l'amministratore fedele e prudente, che il Signore ha costituito sulla sua famiglia, perché dia loro, a suo tempo, la misura di frumento?

Beato quel servo che il Signore, quando verrà, troverà agire in questo modo ( Lc 12,42 ).

Chi è questo Signore, fratelli?

Cristo, senza dubbio, il quale disse ai suoi discepoli: Voi mi chiamate maestro e signore, e dite bene: lo sono infatti ( Gv 13,13 ).

E quale è questa famiglia del Signore?

Certo è quella che il Signore stesso ha redento dalla mano del nemico e ha preso sotto il suo dominio.

Questa famiglia santa è la Chiesa cattolica, che si diffonde per tutto l'orbe con abbondante fertilità e si gloria di essere stata redenta dal suo sangue prezioso.

Il figlio dell'uomo infatti - come dice egli stesso - è venuto non a essere servito ma a servire, e a dare la sua vita in riscatto per molti ( Mt 20,28 ).

Egli è anche il pastore buono che ha dato la sua anima per le sue pecore.

Il gregge del buon pastore è dunque la stessa famiglia del Redentore.

Chi sia invece l'amministratore, che deve essere insieme fedele e prudente, ce lo mostra l'apostolo Paolo, il quale, parlando di sé e dei suoi compagni, dice: Ogni uomo dunque ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio.

E questo si chiede dagli amministratori: che ciascuno di loro sia fedele ( 1 Cor 4,1-2 ).

Fulgenzio di Ruspe, Predica sugli amministratori del Signore, 1-2

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