Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se la legge abbia l'effetto di rendere buoni gli uomini

C. G., III, c. 116; In 10 Ethic., lect. 14

Pare che non sia compito della legge rendere buoni gli uomini.

Infatti:

1. Gli uomini sono buoni in grazia della virtù: poiché, come dice Aristotele [ Ethic. 2,6 ], « la virtù rende buono chi la possiede ».

Ma l'uomo può ricevere la virtù solo da Dio: poiché, come si è detto sopra [ q. 55, a. 4 ] riportando la definizione della virtù, egli « la produce in noi senza di noi ».

Quindi la legge non ha il compito di rendere buoni gli uomini.

2. La legge giova all'uomo solo se egli ubbidisce.

Ma questa obbedienza alla legge proviene dall'onestà.

Quindi la bontà è prerequisita alla legge.

Perciò non è la legge a rendere gli uomini onesti.

3. Come si è visto [ q. 90, a. 2 ], la legge è ordinata al bene comune.

Ora, ci sono alcuni che si comportano onestamente per quanto riguarda il bene comune, e tuttavia non sono onesti nelle faccende private.

Quindi non è compito della legge rendere buoni gli uomini.

4. Come nota il Filosofo [ Polit. 3,6 ], certe leggi sono tiranniche.

Ora, il tiranno non mira all'onestà dei sudditi, ma solo alla propria utilità.

Quindi non spetta alla legge rendere onesti gli uomini.

In contrario:

Aristotele [ Ethic. 2,1 ] scrive che « questo è il volere di ogni legislatore, di rendere onesti i cittadini ».

Dimostrazione:

Come si è già spiegato [ q. 90, a. 1, ad 2; aa. 3,4 ], la legge non è altro che il dettame della ragione in colui che comanda, e che governa dei sudditi.

Ora, la virtù di un suddito consiste nel ben sottostare a colui che lo governa: la virtù dell'irascibile e del concupiscibile, p. es., consiste precisamente nel loro obbedire alla ragione.

E allo stesso modo, secondo il Filosofo [ Polit. 1,5 ], « la virtù di qualsiasi suddito sta nell'essere ben sottomesso al suo superiore ».

Ma qualsiasi legge è fatta per essere osservata da chi vi è soggetto.

Perciò è evidente che è compito peculiare della legge l'indurre i sudditi alla virtù.

E poiché la virtù consiste « nel rendere buono chi la possiede » [ cf. ob. 1 ], ne segue che è un effetto diretto della legge rendere buoni, in senso assoluto o relativo, coloro ai quali essa è imposta.

Se infatti il legislatore ha di mira il vero bene, cioè il bene comune regolato secondo la divina giustizia, allora gli uomini con le leggi diventano buoni in senso assoluto.

Se invece l'intenzione del legislatore non ha di mira il vero bene, ma il proprio bene, utile o dilettevole, contrario alla divina giustizia, allora la legge non rende gli uomini buoni in senso assoluto, ma buoni in senso relativo, cioè buoni per un tale regime.

E in questo senso si trova il bene anche in realtà essenzialmente cattive: come si parla di un buon ladro, nel senso che sa agire bene per i suoi fini.

Analisi delle obiezioni:

1. Come già si è visto [ q. 63, a. 2 ], ci sono due tipi di virtù: acquisite e infuse.

E su entrambe influisce l'abitudine, ma in grado diverso: essa infatti causa le virtù acquisite, mentre predispone soltanto alle virtù infuse, conservandole e accrescendole se uno già le possiede.

Ora, essendo la legge data per dirigere gli atti umani, nella misura in cui tali atti contribuiscono alla virtù, la legge rende gli uomini buoni.

Per cui anche il Filosofo [ Ethic. 2,1 ] scrive che « i legislatori rendono buoni creando delle abitudini ».

2. Non sempre si ubbidisce alla legge con le perfette disposizioni della virtù, ma talora lo si fa per paura della pena; altre volte invece lo si fa mossi esclusivamente dal dettame della ragione, che è solo un principio di virtù, come sopra [ q. 63, a. 1 ] si è notato.

3. La bontà di una parte qualsiasi non può essere concepita che in rapporto al tutto: per cui anche S. Agostino [ Conf. 3,8.15 ] ha scritto che « è deforme quella parte che non si armonizza con il tutto ».

Essendo quindi ogni uomo parte di uno stato, è impossibile che egli sia buono se non contribuisce al bene comune: e d'altra parte il tutto non può constare che di parti tra loro proporzionate.

Quindi è impossibile che il bene comune di una città possa essere raggiunto se i cittadini non sono virtuosi, almeno quelli a cui spetta governare.

Tuttavia per il bene comune è sufficiente che gli altri siano virtuosi almeno fino al punto di ubbidire ai loro governanti.

Per cui il Filosofo [ Polit. 3,2 ] scrive che « identica è la virtù del principe e dell'uomo onesto, mentre non è identica la virtù di un cittadino qualsiasi e quella dell'uomo onesto ».

4. Una legge tirannica, essendo difforme dalla ragione, non è una legge in senso assoluto, ma è piuttosto una perversione della legge.

Tuttavia nella misura in cui è legge tende a far sì che i cittadini siano buoni.

Infatti essa ha natura di legge solo in quanto è il dettame di un governante riguardo ai propri sudditi, e tende a renderli fedeli alla legge; e ciò equivale a renderli buoni, non però in senso assoluto, ma in rapporto a quel regime.

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