Summa Teologica - II-II

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Articolo 6 - Se il giudizio sia reso perverso dall'usurpazione

Infra, q. 67, a. 1; In Rom., c. 14, lect. 1

Pare che il giudizio non venga pervertito dall'usurpazione.

Infatti:

1. La giustizia è una certa rettitudine nell'agire.

Ora, la verità non è mai compromessa da chi la dice, ma va accettata da chiunque.

Quindi anche la giustizia non viene compromessa da chi determina un diritto, vale a dire da chi giudica.

2. Punire i peccati rientra nel giudizio.

Ora, nella Scrittura alcuni vengono elogiati perché punirono dei peccati pur senza avere autorità su quelli che punivano: come si fa per Mosè, che ucciso l'egiziano [ Es 2,11ss ], e per Finees figlio di Eleazaro, che uccise Zambri figlio di Salu [ Nm 25,7ss ], di cui si dice nel Salmo [ Sal 106,31 ]: « E gli fu computato a giustizia ».

Quindi l'usurpazione del giudizio non pregiudica la giustizia.

3. Il potere spirituale è distinto da quello temporale.

Ma talora i prelati che sono investiti di un potere spirituale si intromettono in affari che riguardano il potere temporale.

Quindi il giudizio usurpato non è illecito.

4. Per giudicare rettamente si richiede, in chi giudica, l'autorità, la giustizia e la scienza, come si è detto [ a. 1, ad 1,3; a. 2 ].

Ma nessuno contesta la validità del giudizio per il solo fatto che uno giudica senza l'abito della giustizia, o senza la scienza del diritto.

Perciò anche il giudizio usurpato per una carenza di autorità non sempre è ingiusto.

In contrario:

Sta scritto [ Rm 14,4 ]: « Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? ».

Dimostrazione:

Il giudizio, come si è spiegato [ a. prec. ], deve conformarsi alla legge scritta: quindi chi lo pronunzia interpreta in qualche modo la formula della legge applicandola a un caso particolare.

Ora, siccome per interpretare la legge si richiede la medesima autorità che è richiesta per istituirla, e non potendo d'altra parte una legge essere istituita se non dall'autorità pubblica, non si può pronunziare un giudizio se non si è investiti dell'autorità pubblica, che si estende a tutti i sudditi di una data collettività.

Come quindi sarebbe un'ingiustizia costringere una persona a osservare norme non sancite dall'autorità pubblica, così è un'ingiustizia costringerla ad accettare un giudizio che non emana dalla pubblica autorità.

Analisi delle obiezioni:

1. L'enunciazione di una verità non implica la costrizione ad accettarla, ma ognuno rimane libero di accettarla o di non accettarla.

Un giudizio invece implica una costrizione.

È quindi ingiusto che uno sia giudicato da chi non è rivestito di pubblica autorità.

2. Pare che Mosè abbia ucciso l'egiziano dopo aver ricevuto l'autorità, in qualche modo, da un'ispirazione di Dio, come si rileva dalle parole della Scrittura [ At 7,25 ]: « Avendo ucciso l'egiziano, Mosè pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro la salvezza per mezzo suo ».

- Oppure si può rispondere che Mosè uccise l'egiziano difendendo, entro i limiti della legittima difesa, colui che ne subiva l'ingiuria.

Per cui S. Ambrogio [ De off. 1,36 ] afferma che « chi avendone la possibilità non allontana l'ingiuria da un compagno, è in peccato come chi la commette »; e porta l'esempio di Mosè.

- Oppure si può rispondere con S. Agostino [ Quaest. Ex. 2 ] che « come la terra viene lodata per la sua fertilità nel produrre erbe inutili prima delle piante utili, così quel gesto di Mosè era certamente peccaminoso, ma era il segno di una grande fertilità », essendo il segno del coraggio col quale avrebbe salvato il popolo.

Quanto poi a Finees si deve pensare che abbia agito per ispirazione divina, mosso dallo zelo di Dio.

- Oppure si può rispondere che, sebbene non fosse ancora sommo sacerdote, tuttavia era figlio del sommo sacerdote, per cui tale giudizio gli spettava, come spettava anche agli altri giudici ai quali era stato demandato [ Es 22,20; Lv 20; Dt cc. 13,17 ].

3. Il potere civile è sottoposto a quello spirituale come il corpo all'anima.

Perciò non vi è usurpazione di giudizio se un prelato si intromette in affari temporali in cui il potere civile è a lui soggetto, oppure in cose lasciate al suo arbitrio dal potere civile.

4. Gli abiti della scienza e della giustizia sono doti della persona privata: quindi la loro mancanza non rende usurpato il giudizio come invece lo rende la mancanza di autorità pubblica, dalla quale esso riceve la sua forza coattiva.

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