Claudio Brusa

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Claudio Brusa e la Casa di Carità

Il futuro Vice-Direttore inizia la sua attività didattica come insegnante di disegno e istruttore di laboratorio nei corsi preserali del 1947-48.

Riserva una grandissima attenzione al metodo d'insegnamento: la didattica, la pedagogia e la programmazione sono curate nei minimi particolari.

Presto diventa un punto di riferimento per tutti i colleghi al punto che l'espressione "Ah, l'ha detto lui!" equivale ad una garanzia di qualità, quasi come l'antico "ipse dixit".

Brusa, infatti, è considerato tra i maggiori fautori di quel profondo rinnovamento che. investe la Casa di Carità all'inizio degli anni'60.

Per inquadrare meglio questo evento è necessario risalire al secondo dopoguerra.

I progressi della Casa di Carità ( 1947-1963 ).

Durante la progettazione della nuova sede di Corso Brin i Catechisti si interrogarono circa l'eventualità di organizzare solo corsi serali ovvero di estendere le ore di lezione ai corsi diurni.

Diversamente, la scuola sarebbe rimasta inattiva per quasi tutto il giorno ( fino a quel momento, infatti, in via Feletto si erano svolti solo corsi serali e festivi ).

Provvidenzialmente, proprio in quel periodo, tra il 1947 ed il 1948, la Michelin, che aveva individuato negli ex allievi della Casa di Carità delle figure professionali molto affidabili, propose ai Catechisti di Via Feletto di avviare dei corsi triennali diurni per la formazione dei figli dei dipendenti ai quali veniva offerto l'accesso alle qualifiche di meccanico ed elettromeccanico nei settori di manutenzione e attrezzatura ( era esclusa la produzione ).

La cosa andò in porto: periodicamente la Casa di Carità inviava i dati sul rendimento degli allievi alla Michelin, mentre quest'ultima forniva ai Catechisti un patrimonio davvero notevole di esperienze e conoscenze.

Si era creato, insomma, tra la nota ditta di pneumatici e la Casa di Carità un proficuo clima di collaborazione che avvantaggiava entrambi.

I responsabili della fabbrica seguivano l'andamento delle cose con grande scrupolo: ogni due o tre mesi, infatti, un incaricato Michelin visitava i laboratori e provvedeva a controllare personalmente il livello d'apprendimento.

Infine, venivano conferiti dei premi in denaro agli allievi più meritevoli.

Nei primi tempi, i Catechisti non avendo alcun punto di riferimento si ispirarono ai corsi diurni tenuti dall'Istituto Arti e Mestieri dei F.S.C., adottando un modello didattico sostanzialmente affine a quello delle scuole per periti industriali.

In seguito, però, l'appoggio prolungato e costante prestato dalla Michelin avrebbe condizionato la Casa di Carità in tre momenti chiave del suo sviluppo: nel 1963, con l'adozione del metodo simultaneo per gli apprendisti ( operazioni di base ), nel 1964 con l'estensione del metodo simultaneo alle qualifiche ( operazioni più complesse ), negli anni successivi con la graduale definizione del "ciclo di lavoro" ( esigenza tipica della qualifica ).

Alla fine, insomma, la Casa di Carità, grazie soprattutto all'interessamento dei dirigenti Michelin, acquisì tutte le caratteristiche di una vera scuola professionale.2

Ma torniamo a Claudio Brusa.

Terminato il servizio militare, riprende il suo posto alla Casa di Carità ma, essendosi iscritto al Liceo Artistico per conseguire il diploma di disegno, ottiene una riduzione temporanea dell'orario di lavoro.

Intanto, però, forte dell'esperienza accumulata nel '47-'48 - quando, appena conclusi gli studi all'Istituto Arti e Mestieri e dopo aver lavorato presso la ditta Fonti, aveva prestato il suo primissimo anno di servizio presso la Casa di Carità - ha modo di scoprire le effettive esigenze didattiche dell'allievo-operaio e decide, per questo motivo, di sostenere attivamente l'impostazione più razionale derivata dalla Michelin.

I primi manuali ispirati al metodo Carrar erano pervenuti alla Casa di Carità fin dal 1947.

A partire dal 1949 Brusa ne ricava i lucidi dei disegni ( in copia eliografica ) e li distribuisce ai colleghi.

Comprende molto bene l'impostazione del metodo e perciò ne diventa uno dei più qualificati promotori.

Inoltre, nell'ambito di quello che verrà poi definito "ciclo di lavoro"3, il Catechista ha la felice idea di inserire uno schizzo a mano libera, indirizzato alla comprensione rapida di quelle forme e caratteristiche del manufatto che, fin dal 1947, aveva introdotto nelle sue lezioni di disegno.

Brusa insegna, così, a ricavare dal disegno tecnico l'assonometria con le quote caratteristiche necessario per effettuare la lavorazione del pezzo in officina.

Vengono tralasciati tutti quei fattori che, pur essendo indispensabili nella progettazione, risultano secondari se non fuorvianti per l'esecuzione.

Durante le lezioni di disegno, disciplina nella quale era unanimemente considerato una mano "formidabile", Brusa fa ampio uso di materiale didattico elaborato personalmente; sono schede per esercitazioni di breve durata, modellini in legno, cartelloni ecc..

Questo materiale viene messo a disposizione dei colleghi ( Giovanni Fonti, Pizzomi, Davico, Pintonello ) che, a loro volta, contribuiscono al suo perfezionamento.

Le modifiche apportate da Brusa ai vecchi programmi non sono velleità sperimentali, ma miglioramenti sostanziali attuati sempre in funzione degli interessi dell'allievo, anche a costo di smentire le tradizionali convinzioni dei maestri di disegno.

Un altro settore nel quale le sue idee avanzate incidono profondamente è rappresentato dalle esercitazioni pratiche svolte in officina, dove Brusa anticipa, per molti aspetti, la grande svolta del '63 ( metodo simultaneo, "ciclo di lavoro", uniformità dei macchinari ).

Entra così nell'ordine di idee della psicotecnica ( la disciplina che, unendo la psicologia alla programmazione tecnica, spezza e definisce ogni singola fase della lavorazione ) mettendo a punto una serie imponente di schede ( ancora oggi custodita dalla Casa di Carità ) in grado di riordinare organicamente tutta la didattica del laboratorio.

Questo ripensamento complessivo dei metodi educativi affonda le sue radici nella grande tradizione della pedagogia lasalliana, ma viene di volta in volta sollecitato e perfezionato mediante i contributi provenienti dal mondo della professionalità tecnica.

Riassumendo, possiamo dire che Brusa possiede, fin dall'inizio, un'idea chiara e distinta circa le funzioni che avrebbe dovuto svolgere la Casa di Carità, sotto il profilo sia morale che pedagogico-didattico, a favore dei giovani destinati a diventare operai qualificati.

Egli ha pure l'indubbio merito di conservare intatta questa lucidità d'indirizzo nei momenti piuttosto difficili che caratterizzano il periodo caotico del secondo dopoguerra, quando, cioè, le defezioni di alcuni Catechisti e le perplessità avanzate, persino nei confronti dello stesso Brusa, da quelli rimasti, aumentano le incertezze sulle reali finalità della scuola.

I suoi colleghi ricordano con grande ammirazione il patrimonio che, in termini di materiale didattico, ha lasciato loro in eredità e che è stato proficuamente utilizzato per molti anni dopo la sua morte.

L'innato pragmatismo, infatti, lo spingeva a non subire passivamente la programmazione, ma a mettersi sempre dal punto di vista dei ragazzi che, ultimati gli studi, si sarebbero ritrovati di punto in bianco nel bei mezzo di una fabbrica.

Per questo motivo non lasciava nulla al caso e all'improvvisazione: l'allievo della Casa di Carità, una volta giunto sul posto di lavoro, doveva essere nelle condizioni di sapere cosa fare, fin nei minimi particolari.

Questa impostazione, le cui potenzialità erano state da lui individuate e promosse con tanto vigore, saltava agli occhi degli osservatori provenienti dal mondo del lavoro, tutta gente molto concreta e poco propensa agli elogi sperticati.

Tra i ricordi dei colleghi spicca un episodio molto eloquente, al quale assistettero lo stesso Brusa e il dirigente di una ditta in cerca di manodopera qualificata.

Era in corso una prova d'abilità che consisteva nell'esecuzione del cosiddetto "capolavoro", la lavorazione di un manufatto che precede l'assunzione in fabbrica.

Il ragazzo della Casa di Carità si era piazzato subito al suo posto, posizionando gli strumenti secondo una precisa logica di lavoro, mentre gli altri apprendisti si guardavano intorno smarriti, non sapendo da che parte cominciare.

Il primo approccio alla professione manifestava un divario, in termini di addestramento e cultura tecnica, fin troppo evidente.

La chiarezza d'idee ed il senso pratico dimostrati dal giovane sorpresero piacevolmente perfino Brusa e fecero esclamare al dirigente: "I vostri giovani hanno qualcosa in più rispetto agli altri!" ( citato da Leonardo Rollino )

Questo giudizio, uno dei più lusinghieri al quale possa aspirare l'insegnante di una scuola professionale, ancora oggi è ricordato per qualificare lo "stile" formativo della Casa di Carità, che, in gran parte, deve la sua fortuna all'impegno profuso da Brusa.

La sua presenza ha lasciato profonde tracce nella metodologia seguita dai colleghi che gli riconoscono un ruolo decisivo nella storia della scuola di Corso Brin: negli anni del cosiddetto boom economico egli era, infatti, un vero punto di riferimento per tutti gli altri docenti.

"Come insegnante era metodico, aveva il culto della didattica, della pedagogia, della programmazione.

Nella sua visione l'insegnante aveva un ruolo fondamentale nel processo educativo del ragazzo: dal suo punto di vista il lavoro didattico era un vero "servizio " e, in questo, era favorito da una capacità comunicativa molto apprezzata, in quanto era rispettoso, mai indiscreto e non metteva a disagio gli interlocutori.

È vero come vice-direttore adottò il metodo autoritario, ma dopo l'incidente fu capace di leggere i segni dei tempi, riconoscendo più importanza all'autorevolezza che non all'autorità.

In campo didattico adottava la tecnica del "brainstorming": voleva mettere i ragazzi nelle condizioni di cercare le parole chiave e i contenuti, ma favoriva anche l'interazione.

Lui voleva che la religione fosse appresa e approfondita in modo critico non mnemonico.

Doveva servire a produrre un cambiamento nel vissuto, valorizzare la personalità, avvicinare alla fede.

Lui è stato anche uno dei fautori del metodo Carrar per quanto riguarda le metodologie d'insegnamento in officina.

L'aveva approfondito e adattato alle nostre esigenze.

A mio avviso è stato uno dei pionieri del cosiddetto "metodo simultaneo ": le conoscenze venivano apprese durante la lavorazione e sotto la stretta osservanza dell'istruttore.

Se non ricordo male lui stesso ha contribuito all'addestramento degli istruttori.

In collaborazione con i "coordinatori" ha redatto dei piccoli manuali per l'utilizzo dei principali attrezzi disponibili sul banco di lavorazione.

Ha creduto molto nei metodi di controllo e misura per i meccanici e si impegnò per la messa a punto di un laboratorio metodologico a cui accedevano gli allievi del triennio per l'esercizio di misura" ( Bruno Girando ).

Detto questo, non possiamo dimenticare che l'impianto educativo dal quale nascono le scelte del Catechista si è sempre articolato su un duplice fronte: da una parte la preparazione all'ingresso nel mondo del lavoro, dall'altra, mai disgiunta ma anzi intimamente connessa, la crescita morale e spirituale dell'uomo nuovo.

Questo intreccio di motivazioni non era un ossequio scontato al carisma di Fr. Teodoreto, giusto per assecondare qualche scrupolo di coscienza, ma una convinzione molto radicata in Brusa: l'apprendimento, pratico o teorico che fosse, era solo il canale attraverso il quale infondere i valori della charitas cristiana.

Potevano cambiare i modi, i mezzi, gli strumenti, non i contenuti di verità che era necessario privilegiare rispetto a qualsiasi altra esigenza professionale, pena il naufragio della Casa di Carità.

Questa gerarchia di priorità era più volte ribadita nel Diario di Fra Leopoldo e Brusa, che per molti allievi della scuola rappresentava una figura di riferimento, se non addirittura un "secondo padre", avvertiva con lucidità pari a quella impiegata nella stesura del materiale didattico, che l'invito a "rialzare la Croce" in mezzo al mondo fondava e indirizzava ogni attività della Casa di Carità.

Questa precisazione è indispensabile per inquadrare l'atteggiamento col quale il Catechista torinese affrontava la selezione dei docenti e le questioni disciplinari.

Brusa diventa Vice-direttore della Casa di Carità a soli 33 anni: è giovane, ma ha già accumulato molte esperienze.

Ha un'idea precisa sull'avvicendamento necessario all'interno della scuola: Brusa amava dire: "Per formare un istruttore ci vogliono sette-otto anni": si consideri il fatto che l'istruttore che iniziava l'addestramento era già, di suo, un ex allievo.

Dopo un periodo di affiancamento ad un insegnante più anziano, seguiva l'affidamento delle prime classi.

Gli stessi esercizi di base, concepiti per il periodo di addestramento, erano stati messi a punto da Brusa" ( Renato Ordazzo )

Come Vice-Direttore si occupa delle iscrizioni degli allievi, dei rapporti coi parenti e della disciplina dei corsi diurni, ma continua a restare per tutti gli insegnanti un punto di riferimento essenziale.

In campo disciplinare è poco incline sia alla trattativa, che all'urlo intimidatorio preferendo i silenzi eloquenti e i gesti autorevoli che, senza eccessivo clamore, impressionano anche i ragazzi più irrequieti: riesce, perciò, a tenere in pugno la situazione con poche parole e molto rigore.

Ovviamente, la rinuncia agli atteggiamenti da "amicone" o, all'opposto, da "aguzzino", non fanno che aumentare il prestigio e il rispetto di cui già gode presso i ragazzi, anche se l'impressione suscitata in quelli più timidi poteva essere di grande severità.

"Il primo impatto con Brusa incuteva un "terrore " non indifferente.

Bastava che passasse lungo i corridoi e si affacciasse ad un vetro.

Se qualcuno disturbava si limitava a battere tre volte sul vetro e ad indicare il ragazzo: con quei segni invitava il ragazzo ad uscire fuori, diario alla mano, per ricevere una nota di demerito da far firmare ai genitori.

Le classi dovevano uscire inquadrale e solo dopo il suo permesso si poteva uscire.

Se una classe non era perfettamente in riga faceva ritorno in classe e ripeteva l'uscita " ( Buo Mario )

"Gli allievi, appena lo vedevano in corridoio attraverso i vetri dell'aula, stavano in completo silenzio, avevano una grande soggezione.

Quelli che portava in Direzione era capace di farli aspettare anche 3,4 ore prima di effettuare il richiamo disciplinare'' ( Giovanni Tarulli )

C'è da considerare il lato pratico: queste lunghe "anticamere" sottraggono alle classi gli elementi più turbolenti permettendo ai docenti di concludere le lezioni nei tempi previsti e, inoltre, costituiscono un grave monito per il resto della scolaresca; ma c'è anche l'intenzione di creare le giuste condizioni di "ascolto" per un accurato esame di coscienza.

Come si può intuire scorrendo le testimonianze che riguardano i tempi della Vice-Direzione, le "punizioni" comminate in quegli anni possono essere anche molto costruttive: invece di schiacciare il ragazzo ribelle col peso di un lavoro estenuante e ripetitivo ( come scrivere cento volte alla lavagna "io non devo …" e cose del genere ), Brusa spinge l'allievo a riflettere in silenzio sulla vanità di tanta irrequietezza e poi a prendere in considerazione una visione della vita più austera e responsabile.

Se per gli antichi romani "la vita è cosa seria", per Brusa l'educazione alla vita consiste principalmente nell'aiutare i ragazzi a vincere le proprie debolezze.

"Mi ricordo di un fatto accaduto a San Mauro Torinese, quando andavamo in ritiro a Villa Santa Croce.

Io ero un allievo turbolento e il professar Brusa mi ha strigliato.

Poi mi ha dato da leggere la "Vita di Padre Massimiliano Kolbe ".4

Un 'altra volta mi sono preso mezza giornata di sospensione perché fischiettavo per le scale.

Lui ragionava così: "Hai sbagliato. Stai a casa e rifletti. Poi parliamo " ( Renato Ordazzo ).

Questi metodi oggi sono decisamente fuori moda.

Certo è che lo spreco di energie che ai giorni nostri viene impiegato per zittire le classi vocianti, un tempo era più proficuamente speso al servizio dell'insegnamento.

Brusa era capace di unire al rigore disciplinare, condizionato certamente dalla sua esperienza militare, una grande umanità che traspariva soprattutto nelle attività collaterali gestite per conto dell'Unione Catechisti.

Come confermato da molti testimoni, il tono rigido della sua conduzione scolastica si stemperava nei campi estivi o alla Sorgente, dove sapeva prendere per il verso giusto anche i ragazzi più difficili.

L'umanità del Catechista emergeva anche in frangenti, diciamo così, più delicati.

È noto che le crisi familiari minano sia il rendimento scolastico che la serenità dei ragazzi: ne derivano spesso quegli atteggiamenti ribelli e aggressivi che oggi tanto deliziano gli psicologi dell'età evolutiva.

Nel suo piccolo, Brusa prestava molta attenzione a questi aspetti estremamente delicati dell'infanzia e dell'adolescenza.

"Quando è mancato mio padre, i miei nonni decisero di sottrarmi a mia madre.

Un giorno si presentarono alla scuola per prendermi e portarmi via: qui discussero col Direttore Pietro Fonti che, non vedendo di buon occhio la cosa, chiamò Brusa.

Io dissi: "non vi preoccupate è solo mia nonna", ma, una volta a casa, la vicenda prese una brutta piega: mia madre voleva rivolgersi alla polizia.

Saputo il fatto, Brusa, da quel giorno, prese l'impegno di accompagnarmi personalmente a casa.

Ero uno fra mille, frequentavo il primo anno e quindi mi conosceva appena, eppure non esitò un attimo ad aiutarmi " ( un ex allievo ).

Il primo anno, per diverso tempo, a causa di una pleurite, sono stato costretto a saltare la scuola: ebbene Brusa mi portava in macchina a fare le visite mediche.

Ma c'era un altro compagno con problemi polmonari peggiori dei miei e che rimase confinato in casa più a lungo: Brusa gli portava a casa i compiti e lo affiancò a me e ad un altro ragazzo.

Del resto tutto lo stipendio di Brusa, a parte le spese per il mantenimento della madre, veniva completamente speso per la formazione dei ragazzi" ( Luca Pacella ).

I ragazzi, aldilà della posa austera ( si diceva che incedesse con un passo molto "autorevole" ), notano in lui un'attenzione maggiore alla psicologia degli allievi.

Innanzitutto Brusa prende sul serio le loro parole, li tratta da persone mature e responsabili, senza scadere in quelle forme di velato disprezzo che una cattiva concezione dell'autorità certe volte promuove.

Inoltre, dedica una cura speciale a seguire la crescita dei ragazzi, verificandone punti di forza e debolezze, quasi volesse leggerne i pensieri e le reali preoccupazioni.

Questo approccio "psicologico" funziona molto bene con gli adolescenti, sui quali il Catechista esercita un vero e proprio carisma, ma coi ragazzi più maturi la sua introspezione incontra maggiori difficoltà.

"Per aiutarti, ti studiava molto: l'ho sorpreso molte volte a guardarmi e a studiarmi.

Nei momenti di crisi avevo qualcuno su cui fare affidamento " ( Antonio Barello )

La sensibilità ai segnali di "crisi" e/o di "crescita" che provengono dai ragazzi, talvolta non è sufficiente a sgretolare il muro di diffidenza che separa insegnanti e allievi.

Così, Brusa, adottando uno stratagemma che ricorda il funambolismo del giovane Don Bosco, si produce in qualche dimostrazione "pratica" di sicurezza e autocontrollo, nell'intento evidente di ottenere quella forma un po' ingenua di ammirazione e rispetto che gli adolescenti nutrono verso le persone dotate di "coraggio fisico".

La celebre esibizione del salto a piedi uniti che, anche in presenza di ospiti illustri, era solito compiere sul parapetto del davanzale, al terzo piano della Casa di Carità - versione metropolitana di quello effettuato sulle barriere dei ponti alpini - è un'acrobazia che rimane nella memoria di molti come una prova di sana "follia" nel grigiore della città: e forse è così che va ricordata.

Anche nelle cose più discutibili, tutto si poteva dire di Brusa, tranne che fosse un tipo mediocre, sbiadito, privo di temperamento.

In genere le persone puntigliose sono anche noiose e prevedibili.

Invece, la curiosa miscela di arditezza "sportiva" e amore per la precisione che animava il Catechista sembrava fatta apposta per smentire questi luoghi comuni.

Se le prodezze atletiche potevano servire a risvegliare una minima scintilla di simpatia nei ragazzi più ostili, la meticolosità che, durante le gite scolastiche, caratterizzava la sua attività di organizzatore e cicerone, mirava, sempre e comunque, a suscitare il medesimo livello d'attenzione su due aspetti chiave della Casa di Carità: le radici cristiane della scuola e il contatto diretto col mondo dell'industria.

"In occasione del pellegrinaggio a San Tommaso, passava di classe in classe col suo materiale per spiegare tutti gli aspetti della visita, dalla cosa più piccola a quella più grande.

Affrontava ogni problema con grande metodo.

Nel corso dell'abituale visita agli stabilimenti metallurgici di Gogne, guidava le prime classi a visitare tutto il complesso, dall'alto forno ai laminati: Brusa organizzava le cose in modo che i ragazzi ricavassero una conoscenza diretta di una realtà produttiva. " ( Prof. Girando )

Dopo l'incidente e la lunga convalescenza, il suo rapporto con la scuola si complica.

È passato il vento della contestazione e molte cose un tempo date per scontate, come il principio d'autorità e il timor di Dio, ora vengono criticate se non apertamente ridicolizzate.

Si discute su tutto e talvolta si conclude poco.

Sospesi tra i rischi opposti di irrigidirsi in maniera sclerotica o cedere agli eccessi del permissivismo, molti insegnanti entrano in crisi d'identità.

Quando Ordazzo, un suo ex allievo, ora docente, gli chiede consiglio in merito al rapporto con le nuova generazioni, Brusa, con una nota di sconforto davvero insolita per il suo carattere ferreo, ammette: "I tempi sono cambiati. Anch'io incontro molte difficoltà".

Tra i Catechisti, però, nonostante i dispiaceri che la rivoluzione dei costumi gli procura, continua ad essere il più sensibile alle esigenze dei giovani.

"Quando ha ripreso l'attività ha attraversato un periodo davvero travagliato.

Soffriva molto, ma ha ricominciato a lavorare.

Io lo affiancavo, così da divenire il suo collaboratore di fiducia.

La precisione con cui aveva catalogato schede e documenti di vario genere mi aveva impressionato.

Conservava un curriculum dettagliatissimo su ogni singolo allievo " ( Luigi Verrua )

Il trauma è duplice: fisico e morale.

Brusa sa di non essere più "l'alpino" tutto d'un pezzo di qualche anno prima, ma è pure convinto che il "Catechista del Crocifisso" debba dar prova di coraggio morale proprio in simili frangenti.

Non è più tempo di acrobazie, la prestanza fisica è un ricordo lontano che contrasta dolorosamente con la condizione presente.

Ora si muove a stento e per salire ai piani superiori, in assenza di ascensori, deve ricorrere all'aiuto di almeno due persone che si prestino a portarlo di peso, su una sedia, lungo le scale.

Col giudizio del mondo potremmo dire: "che beffa atroce!", ma Gesù non ragiona secondo gli uomini.

L'ultima scalata alla vetta, quella della santità, dura quasi tre lustri.

Quattordici anni di sofferenze consacrati alle nuove vocazioni.

Questo sacrificio, per chi legge le cose con gli occhi della Croce, è uno dei più grandi tesori che l'Unione Catechisti possa vantare.

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2 La ditta francese ha sempre fatto riferimento alla Casa Madre di Clermont Ferrand, la città dove sorgono le sue scuole aziendali che gestiscono corsi di formazione rapida per il personale del settore di produzione.
Dopo la Grande Guerra gran parte della loro impostazione didattica era stata incentrata sul metodo messo a punto dallo studioso svizzero Carrar, un metodo che nel secondo dopoguerra, grazie alla disponibilità dei dirigenti Michelin, era approdato anche alla Casa di Carità.
Con tale innovazione, la verifica dei progressi compiuti dagli allievi divenne più sistematica.
Più in generale, poi, si passò da un modello di istruzione vagamente ispirato ai corsi dei periti industriali ( con tutti gli adattamenti del caso ) ad un insegnamento fecalizzato specificamente sulle competenze richieste agli operai qualificati.
L'Ing. De Matteis e gli altri eccellenti pionieri della Casa di Carità, negli anni '20, proponevano un'istruzione piuttosto teorica, fornendo una serie di nozioni di matematica e disegno tecnico sicuramente preziose, ma poco funzionali al lavoro d'officina.
Quando, in Corso Brin, vennero finalmente realizzati i grandi laboratori ( assenti nella scuola di Via Feletto ), occorreva ancora ovviare alla scarsa omogeneità di macchinari e utensili che impediva di uniformare il livello di istruzione.
Finalmente, con la grande campagna acquisti del 1963, si intervenne in questo senso.
3 Il "ciclo di lavoro" precedeva la lavorazione del manufatto.
Esso consisteva nella definizione di una sequenza di esecuzione (scelta degli utensili, della macchina ecc.) che l'insegnante era tenuto a verificare.
Questo perché nulla poteva essere lasciato al caso o all'arbitrio personale: si eseguiva così un disegno, la messa in evidenza delle parti fondamentali con apposite quote di lavorazione, la stesura scritta con la progressione del lavoro.
4 Brusa possedeva una biblioteca piuttosto fornita di guide alla preghiera e di libri per ragazzi che distribuiva volentieri agli allievi più difficili coll'intento evidente di rieducarli anche con gli strumenti classici della cultura.