Gli Istituti secolari

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13. Incorporazione e consacrazione

Si sarebbe preferito vedere il testo del c. 723 parlare, come fanno la maggior parte degli istituti, della consacrazione di vita che assumono i loro membri alla fine del periodo di prova, e che essi rinnovano regolarmente fino alla consacrazione perpetua, o che continuano a rinnovare, anche quando tali impegni regolarmente ripetuti diventano " definitivi " e assimilano il consacrato al consacrato perpetuo.

Al termine della prova iniziale, il candidato è ritenuto in grado di fare la sua consacrazione, o deve abbandonare l'istituto in cui era entrato.

Il rilievo del c. 653 § 1 deve essere tenuto presente: « lascerà l'istituto »; esso è del resto supposto nella formula: « con questa pro-va si inizia la vita nell'istituto » ( c. 646 ).

Si sarebbe potuto dire la vita consacrata nell'istituto, poiché senza vocazione divina non vi sarebbe consacrazione da parte di Dio alla quale risponde la consacrazione del membro che assume come regola di vita i consigli evangelici.

È forse a causa di questa realtà profonda della consacrazione che si è preferito parlare di « incorporazione ».

Come vedremo, la vita religiosa soggiace alla stessa difficoltà di terminologia.

I tre consigli sono quelli di povertà, di castità e di obbedienza; essi sono assunti e confermati mediante un vincolo sacro.

Assunti è divenuto il termine più adatto per spiegare il senso dell'obbligo che comporta la consacrazione.

Il termine " professione ", proprio dei religiosi, non si adatta alla vita consacrata secolare, anche se esso fu usato dal Concilio, e anche dall'ultimo titolo previsto per questa parte del Codice, intitolata, come il gruppo di esperti di allora: « La vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici ».

Titolo e denominazione oggi felicemente abbreviati, poiché si parla degli « istituti di vita consacrata », non solo nel linguaggio canonico, ma nella vita corrente della Chiesa.

Ciò induce a distinguere diversi aspetti dell'atto posto dal candidato ammesso all'incorporazione.

È certo che l'insieme dell'atto posto dal candidato è la sua consacrazione di vita, consacrazione fatta a Dio in risposta alla chiamata divina con la quale Dio consacra a sé colui che si è scelto ed ha unito a sé.

Tutti gli altri elementi sono contenuti in questo aspetto globale dell'atto posto in tal modo.

Questi elementi sono anzitutto i consigli evangelici assunti come regola di vita nell'istituto, secondo il suo carisma che ne determina la pratica concreta.

La consacrazione si fa proprio assumendo i consigli; così essa diviene, per parte di colui che si consacra, un atto filiale che riprende l'atteggiamento di Cristo verso il Padre e verso gli uomini.

Atto filiale che è prima di tutto un atto di amore e che trova il suo centro e il suo ambiente vitale nella vita trinitaria nella quale è vissuto e nella quale deve collocarsi.

Bisogna rilevare la prevalenza dei consigli sui vincoli sacri mediante i quali viene confermato l'obbligo di viverli.

Di più, la materia di tali vincoli è ordinariamente ben determinata, allo scopo di evitare nell'attuazione di questi impegni ogni dubbio e ogni scrupolo.

Bisogna dunque notare che l'oggetto dei vincoli sacri non adegua l'ampiezza di ciascun consiglio di fronte a Dio; questa apertura del consiglio a una chiamata sempre più esigente nell'amore, permette di situare nella stessa vita consacrata le vocazioni personali, i doni particolari e i carismi individuali.

I vincoli rafforzano in una certa maniera la volontà di seguire i tre consigli ad imitazione di Cristo.

Questi vincoli sono " sacri ", poiché fanno parte integrante della consacrazione a Dio che è la sua chiamata, come della consacrazione a Dio che è risposta d'amore alla vocazione divina.

I vincoli possono essere diversi secondo gli istituti: sono il voto, la promessa, il giuramento.

Si è aggiunta a queste tre specie di vincoli sacri, e senza ben definirne la natura, la " consacrazione ", che sarebbe l'equivalente di una promessa fatta a Dio.

 Sarebbe meglio non parlare più di questa quarta possibilità, che può suscitare confusione, poiché lo stesso termine designa la consacrazione di vita come impegno globale.

Il voto è una promessa fatta a Dio.

La promessa non è un voto, ma non è mai una semplice promessa, poiché è fatta " a causa di Dio " che chiama: propter Deum, per Dio che si onora accogliendo la vocazione e al quale si testimonia il proprio amore.

Dire che voto e promessa sono una stessa cosa è falso!

È vero che l'essenziale è la promessa fatta a conferma del consiglio evangelico, preso come mezzo di consacrazione e regola di vita secondo il carisma dell'istituto, quale è dichiarato negli statuti dell'istituto stesso.

Il giuramento è una conferma della promessa, e chiama Dio come testimone della sua verità e della fedeltà promessa.

Vedendo così le cose, si può dire che tale voto non comporta la qualifica di " religioso ", come è vissuto nella vita religiosa.

Assai giustamente il c. 731, per liberare le società di vita apostolica, parla di « voto non-religioso », e questo anche per le società i cui membri pronunciano voti.

Per gli istituti secolari si dovrebbe dire che, se hanno voti, questi sono " secolari ", vissuti in una vita secolare, vita consacrata in pieno mondo.

Si può e si deve dunque dire che non è più perfetto promettere la pratica dei consigli con voto.

Si comprende come certi istituti, per evitare dubbi e scrupoli, abbiano preferito la promessa al voto.

Il voto occasiona un doppio peccato, uno contro la materia del voto, l'altro contro la virtù di religione.

Ciò rende spesso la pratica del voto difficile per alcuni religiosi che non arrivano a vivere fedelmente i consigli, e farebbero meglio a non restare nel loro istituto, in cui l'osservanza dei voti diventa per essi troppo pesante e così penosa, a meno che si possa, in materia di castità, scoprirvi una responsabilità attenuata, una difficoltà più fisica che morale.

Il Codice non ha ripreso l'esigenza posta dalla Lex peculiari! promulgata dalla costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia del 1947, dove si richiedeva il voto per obbligarsi alla castità consacrata.

Questa esigenza non aveva alcun fondamento dottrinale serio; appariva come una garanzia di fedeltà e di serietà.

La castità perfetta è un consiglio come gli altri due: tutti e tre formano un unico atteggiamento di amore filiale verso il Padre di Gesù, atteggiamento vissuto in unione con lui, nella e attraverso la sua consacrazione a Dio per la salvezza del mondo.

Un errore si dovrà evitare: quello che consisterebbe nel ritenere che la promessa, mentre è un obbligo di fedeltà, non imponga mai un obbligo grave.

Se è vero che una colpa grave contro uno dei consigli non è per sé un peccato grave contro la fedeltà promessa, come vi è peccato grave in forza del voto contro la virtù di religione, è certo che può essere colpa grave una infedeltà nel vivere la promessa, che avrebbe messo o metterebbe in pericolo la vocazione divina che si è ricevuta e voluto vivere.

Tutto questo ci permette di enumerare i diversi elementi della consacrazione di vita mediante i consigli evangelici assunti come regola o norma di vita, secondo il carisma dell'istituto, quale lo comprendono gli statuti approvati dall'autorità della Chiesa.

L'atto centrale e globale è la consacrazione della vita per mezzo dei consigli evangelici.

Questi consigli sono vissuti secondo il carisma dell'istituto.

Vi è dunque in questa consacrazione di vita una consacrazione divina operata da Dio, una consacrazione a Dio come risposta alla sua chiamata, una fedeltà ai carisma come dono fatto da Dio alla Chiesa nell'istituto.

Ciò giustifica e fonda l'incorporazione nell'istituto, che avviene gradualmente attraverso vincoli sacri di durata temporanea, ma sempre da rinnovare, fino a diventare definitiva dopo un certo numero di anni, o per incorporazione perpetua fino alla morte, che permetterà un dono di amore totale ed eterno a Dio.

L'incorporazione è inserimento nella vita dell'istituto: essa rende ciascun membro responsabile della vita, della missione, della fedeltà dell'istituto; è partecipazione alla sua vita, atto di unione che stabilizza i mèmbri nella loro vocazione e nella vita dell'istituto, nella sua consacrazione e nella sua missione particolari.

Resta da chiarire come si concepiscono le tre forme di incorporazione di cui parla il c. 723, che distingue una prima incorporazione, una incorporazione perpetua, una incorporazione definitiva con impegni temporanei ma da rinnovarsi.

La prima incorporazione si fa con la consacrazione di vita che segue la prova iniziale, o la seconda prova.

Essa ha come durata richiesta dal Codice cinque anni almeno.

Ciò non significa che la consacrazione si faccia direttamente per cinque anni: può essere annuale, per cinque anni, il che permette un approfondimento dell'atto posto; può anche essere annuale per due o tre anni, e poi triennale o biennale, fino al momento in cui si fa l'impegno perpetuo.

Certi istituti hanno previsto più di cinque anni di impegno temporaneo, e prolungano questi impegni fino a una certa età, 40 o 45 anni, sperando così una maggiore stabilità di vita e di azione in pieno mondo.

L'incorporazione perpetua è fatta una volta per sempre, per tutta la vita; essa vincola fino alla morte, che permetterà di entrare nell'eternità di Dio.

Abbiamo già considerato il carattere escatologico di questo atto di consacrazione.

L'incorporazione è definitiva dopo un certo numero di anni o di rinnovamento degli impegni temporanei.

Può essere definitiva dopo 10 o 15 anni di incorporazione; può essere determinata dal rinnovamento portato a 15 o anche a 20 rinnovamenti annuali.

Questa incorporazione definitiva comporta il riconoscimento di certi diritti e doveri, di certi effetti o capacità canoniche, come la possibilità di esser designato responsabile dell'istituto o responsabile della formazione: tali effetti giuridici devono essere previsti e definiti nelle costituzioni o statuti dell'istituto.

L'incorporazione definitiva è richiesta dal c. 717 § 2 per l'elezione del responsabile generale; esigenza simile a quelle dei cc. 623 e 735.

Questi canoni esigono tuttavia un'età più avanzata, o almeno più anni di professione perpetua o di impegno definitivo, cosa che non si esige dagli istituti secolari.

La ragione di questo silenzio si trova nell'età più tardiva richiesta per l'ammissione nell'istituto, come nella durata più protratta degli impegni temporanei che precedono la consacrazione perpetua, o quella che è considerata come definitiva.

Notiamo ancora che parlando di consacrazione temporanea, definitiva e perpetua, si rischia di perdere il senso profondo del dono di Dio nella chiamata, dono al quale si risponde accettando tale chiamata ed entrando nell'istituto, e che si riprende e si conferma negli impegni successivi.

Tuttavia, rispondendo a Dio, anche prima dell'ingresso nell'istituto, ci si può considerare in coscienza consacrati a Dio per sempre, forti della sua grazia e del suo amore.

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