24 Luglio 1974
Noi stiamo cercando nelle elementari riflessioni delle nostre Udienze generali alcuni punti di convergenza fra il pensiero della Chiesa e la mentalità caratteristica del nostro tempo, sia per rimuovere pretesti di polemiche superficiali e superflue e sia per confortare il progresso della verità nella maturazione culturale dell'uomo moderno.
In altri termini vorremmo rassicurare amici ed avversari che certe idee fortunate della moda speculativa e pratica non solo non sono avversate dall'insegnamento ecclesiale, sì bene sono professate e, spesso non da oggi, rivendicate nei confronti di altrui opinioni fino ad oggi comuni ed ora superate.
Vorremmo difendere il nostro pensiero come valido ed attuale, non anacronistico e superato, ma capace di consenso e di sviluppo per la coincidenza, almeno parziale, con la maniera di pensare e di vivere degli uomini d'oggi.
Uno di questi punti di convergenza riguarda l'importanza della coscienza personale nella determinazione della propria condotta, cioè la prevalenza del giudizio morale proprio sopra altri criteri d'azione, d'origine estrinseca.
L'uomo è libero; quindi deve poter scegliere liberamente ciò che gli conviene di fare.
Le interferenze estrinseche di altri criteri non solo diminuiscono la libertà del soggetto, ma possono guastarne la rettitudine.
Giustissimo: la coscienza interpreta ed impone la norma immediata all'azione umana ed onesta; perciò niente di meglio se la pedagogia moderna cerca di mettere in azione la coscienza, abituandola a pronunciarsi in forma autonoma, e a dare a questo pronunciamento un'importanza grande, qualificandolo come squisitamente personale e responsabile.
E sta bene.
Ma ecco dove la nostra scuola integra la nozione di coscienza, e con ciò descrive una completa disciplina dell'azione morale secondo coscienza, affermando che la coscienza si appella ad una norma, ch'è data dalla ragione obiettiva, o nei suoi primi intuitivi principii circa il bene ed il male ( sinderesi ), o nelle sue espressioni razionali più complesse ( legge naturale ), donde risulta che la coscienza non crea la sua norma morale, ma la deve accettare ed applicare ( Cfr. Rm 2,14-15; 2 Cor 1,12; S. TH. I, 79, 13 ).
La coscienza è un occhio interiore che vede; non è di per sé la luce, che fa vedere, o meglio: non è la cosa che dobbiamo fare.
Perciò la coscienza in tanto può comandare in quanto essa stessa obbedisce ( Cfr. Platone, Apol. di Socrate: la scienza come impegno morale ).
Questo può essere molto importante, se ben compreso, perché ciò ci avverte che la coscienza ha bisogno d'un governo, che la trascende; ed è la esigenza che scaturisce dalla ragione; la quale a sua volta ha bisogno d'essere istruita dall'insegnamento naturale, se pur questo basta, ovvero dalla fede e dal magistero che la propone ove la ragione non basta.
Con due conseguenti osservazioni;
la prima riguarda la necessità di distinguere la coscienza puramente psicologica e l'esperienza della nostra vita consueta dalla coscienza morale, che sola ci guida nella classifica del bene e del male, del lecito e dell'illecito, e sola ci sostiene nel pronunciamento della scelta libera, autonoma e responsabile;
l'altra osservazione ci mostra la ragion d'essere d'una virtù, della quale oggi non si vuole sentir parlare, e cioè dell'obbedienza, la quale non sopprime la libertà personale, ma la mette in esercizio, quando l'ordine delle cose giustifica che un'altra volontà, e cioè l'autorità, proponga alla nostra volontà il suo ragionevole comportamento ( Cfr. S. TH. II-IIæ, 104, 1 ).
Oggi è ancora possibile un discorso sull'obbedienza e sul suo ministro, ch'è l'autorità?
Quante grosse parole, e per di più sovente sacre parole, sembrano erigersi come insormontabili ostacoli contro questo binomio: obbedienza-autorità; e sono: libertà, liberazione, eguaglianza, diritto dell'uomo, democrazia, pluralismo, indipendenza, uomo adulto, autonomia, ecc.
Non dice S. Tommaso che tutti gli uomini sono naturalmente eguali, omnes homines natura sunt pares? ( Tert. Apol. 39 )
Perché dunque introdurre nei rapporti umani il dislivello dell'autorità e il meccanismo dell'obbedienza?
Noi avvertiamo la diffidenza dell'uomo moderno verso il principio dell'autorità e verso l'aspetto legale dell'obbedienza; ma, come si può facilmente pensare, noi crediamo che il discorso su questo osteggiato binomio autorità-obbedienza sia tuttora doveroso e benefico, se concepito nei termini corretti e dovuti, ai quali il linguaggio del Concilio ci ha richiamati, ed ai quali la Chiesa si sta volentieri uniformando, tanto più che proprio dalla sponda dei più astiosi avversari sia dell'autorità che dell'obbedienza sembra convertirsi in più grave abuso l'impiego dei due termini controversi.
L'autorità, non dominatrice, non egoistica, ma educatrice e moderatrice, posta al servizio d'ogni singolo uomo, e specialmente d'ogni ordinamento collettivo, è necessaria; e parimente lo è, delegata di quella divina ed elevata allo stile e alla funzione pastorale, nella Chiesa di Dio, col suffragio istituzionale di Cristo e collaudata dall'esperienza dei Santi e della storia.
Correlativa all'autorità è l'obbedienza, la quale non è mera passività, o supina acquiescenza dovuta all'interesse o alla paura, ma espressione di unità, di fedeltà e di carità, nella articolazione del Corpo mistico e sociale di Cristo, ch'è la sua Chiesa: sovrabbondano in tale campo i testi scritturali, le voci e gli esempi dei Santi, le prove sempre ricorrenti dei protagonisti del regno di Dio nella storia, il quale ha nell'obbedienza umile e generosa dei suoi promotori il cemento valido per la sua costruzione e il contrassegno eloquente della sua animatrice carità: Tertulliano ( tra il II e il III secolo ) ne trae motivo per il suo « Apologetico », attribuendo ai persecutori una caratteristica lode per i cristiani di quel tempo: Vide, inquiunt, ut invicem se diligant ( S. TH. II-IIæ, 104-5; cfr. Sir 15,14-15 ).
Citiamo la frase memorabile per i nostri Fratelli e per i nostri Figli; con affettuosa intenzione anche per quelli che oggi sembrano preferire le vie del dissenso, della contestazione, della disgregazione della nostra santa Chiesa, la quale attende anche da loro ben altre prove della loro asserita comunione: quelle appunto dell'obbedienza, della concordia e della carità.
A quanti accolgono questo voto sia la nostra Apostolica Benedizione.