9 Novembre 1994
Oggi ho l’onore e la gioia di avere accanto a me un ospite di riguardo, che viene da lontano.
Egli è un fratello che accolgo nella carità di Cristo: il Patriarca della Chiesa assira dell’Oriente, Sua Santità Mar Dinkha IV, accompagnato da tre Vescovi, membri del Santo Sinodo della sua Chiesa.
Egli è alla guida di una delle più antiche e venerabili Chiese dell’Oriente.
La lingua da essa adoperata nella liturgia è la più vicina alla lingua nella quale si esprimeva Gesù.
Il Patriarca è venuto a Roma anche per firmare con la Chiesa Cattolica una Dichiarazione cristologica comune, che permetterà di risolvere la separazione intervenuta a seguito del Concilio di Efeso dell’anno 431.
Si porrà così termine a più di quindici secoli di malintesi che riguardano la nostra fede in Cristo, vero Dio e vero Uomo, concepito nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo.
Potete ben comprendere, allora, come io sia lieto di questa circostanza e con quali sentimenti di stima e di fraterna comunione accolga Sua Santità Mar Dinkha.
In questo clima ecumenico così intenso e significativo continuiamo le nostre riflessioni sulla vita consacrata.
1. La via dei consigli evangelici è stata spesso chiamata: “via della perfezione”; e lo stato di vita consacrata: “stato di perfezione”.
Questi termini si trovano anche nella Costituzione conciliare Lumen gentium ( cf. Lumen gentium, n. 45 ), mentre il Decreto sul rinnovamento della vita religiosa porta il titolo Perfectae caritatis e ha come argomento il “raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici” ( Perfectae Caritatis, 1 ).
Via di perfezione significa evidentemente via di una perfezione da acquistare, e non di una perfezione già acquisita, come spiega chiaramente san Tommaso d’Aquino ( cf. Summa theologiae, II-II, q. 184, aa. 5,7 ).
Coloro che sono impegnati nella pratica dei consigli evangelici non pretendono affatto di possedere la perfezione.
Essi si riconoscono peccatori come tutti gli uomini, peccatori salvati.
Ma si sentono e sono chiamati più espressamente a tendere verso la perfezione, che consiste essenzialmente nella carità ( cf. Ivi, q. 184, aa. 1,3 ).
2. Non si può certo dimenticare che tutti i cristiani sono chiamati alla perfezione.
A questa vocazione fa cenno lo stesso Gesù Cristo: “Siate voi perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” ( Mt 5,48 ).
Il Concilio Vaticano II, trattando dell’universale vocazione della Chiesa alla santità, dice che tale santità “si esprime in varie forme presso i singoli, i quali nel loro grado di vita tendono alla perfezione della carità ed edificano gli altri” ( Lumen Gentium, 39; cf. 40 ).
Tuttavia questa universalità della vocazione non esclude che alcuni siano chiamati in modo più particolare ad una via di perfezione.
Secondo il racconto di Matteo, Gesù rivolge il suo appello al giovane ricco con le parole: “Se vuoi essere perfetto …” ( Mt 19,21 ).
È la fonte evangelica del concetto di “via della perfezione”: il giovane ricco aveva interrogato Gesù su “ciò che è buono”, e in risposta aveva ricevuto l’enumerazione dei comandamenti; ma, al momento della chiamata, egli è invitato ad una perfezione che va al di là dei comandamenti: è chiamato a rinunciare a tutto per seguire Gesù.
La perfezione consiste nel dono più completo di se stesso a Cristo.
È in questo senso che la via dei consigli evangelici è “via di perfezione” per coloro che vi sono chiamati.
3. Si noti ancora che la perfezione proposta da Gesù al giovane ricco significa non una lesione ma un arricchimento della persona.
Gesù invita il suo interlocutore a rinunciare a un programma di vita nel quale la preoccupazione dell’avere tiene un grande posto, per fargli scoprire il vero valore della persona, che si attua nel dono di sé alle altre persone e particolarmente nell’adesione generosa al Salvatore.
Così possiamo dire che le rinunce - reali e notevoli - reclamate dai consigli evangelici non hanno un effetto “spersonalizzante”; ma sono destinate a perfezionare la vita personale, come effetto di una grazia soprannaturale, rispondente alle aspirazioni più nobili e profonde dell’essere umano.
San Tommaso, a questo riguardo, parla di “spiritualis libertas” e di “augmentum spirituale”: libertà e crescita dello spirito ( Sant Tommaso, Summa theologiae, II-II, q. 184, a. 4 ).
4. Quali sono i principali elementi di liberazione e di crescita che i consigli evangelici comportano in chi li professa?
Innanzitutto una consapevole tendenza alla perfezione della fede.
La risposta all’appello: “Seguimi”, con le rinunce che ne derivano, richiede una fede ardente nella persona divina di Cristo e una fiducia assoluta nel suo amore: l’una e l’altra, per non soccombere alle difficoltà, dovranno crescere e irrobustirsi lungo il cammino.
Né potrà mancare una consapevole tendenza alla perfezione della speranza.
La richiesta di Cristo si situa nella prospettiva della vita eterna.
Coloro che vi si impegnano sono chiamati ad una solida e ferma speranza sia nell’ora della professione, sia in tutto il seguito della loro vita.
Ciò consentirà loro di testimoniare, in mezzo ai beni relativi e caduchi di questo mondo, il valore imperituro dei beni del Cielo.
La professione dei consigli evangelici sviluppa soprattutto una consapevole tendenza alla perfezione dell’amore verso Dio.
Il Concilio Vaticano II parla della consacrazione operata dai consigli evangelici come del dono di sé a Dio “sommamente amato” ( Lumen Gentium, 44 ).
È il compimento del primo comandamento: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” ( Dt 6,5; cf. Mc 12,30 ).
La vita consacrata si sviluppa in modo autentico con il continuo approfondimento di questo dono fatto fin dall’inizio, e con un amore sempre più sincero e forte in dimensione trinitaria: è amore al Cristo che chiama alla sua intimità, allo Spirito Santo che chiede e aiuta a realizzare una completa apertura alle sue ispirazioni, al Padre, prima origine e scopo supremo della vita consacrata.
Ciò avviene specialmente nella preghiera, ma anche in tutto il comportamento, che riceve dalla virtù infusa di religione una dimensione decisamente verticale.
Ovviamente la fede, la speranza e la carità suscitano e accentuano sempre più la tendenza alla perfezione dell’amore verso il prossimo, come espansione dell’amore verso Dio.
Il “dono di sé a Dio, sommamente amato” implica un intenso amore per il prossimo: amore che tende ad essere il più perfetto possibile, ad imitazione della carità del Salvatore.
5. La verità della vita consacrata come unione con Cristo nella carità divina s’esprime in alcuni atteggiamenti di fondo, che devono crescere in tutto il seguito della esistenza.
Per grandi linee, possono essere così indicati:
il desiderio di trasmettere a tutti l’amore che viene da Dio per mezzo del cuore di Cristo, e quindi l’universalità di un amore che non si lascia fermare dalle barriere che l’umano egoismo crea nel nome di razza, nazione, tradizione culturale, condizione sociale o religiosa, ecc.;
uno sforzo di benevolenza e di stima verso tutti, più particolarmente verso coloro che umanamente si tende a maggiormente trascurare o disprezzare;
la manifestazione di una speciale solidarietà nei riguardi dei poveri e di coloro che sono perseguitati o vittime di ingiustizie;
la sollecitudine nel soccorrere coloro che più soffrono, come oggi i numerosi handicappati, gli abbandonati, gli esuli, ecc.;
la testimonianza di un cuore umile e mite, che si astiene dal condannare, rinuncia ad ogni violenza e ad ogni vendetta, e perdona con gioia;
la volontà di favorire ovunque la riconciliazione e di far accogliere il dono evangelico della pace;
la dedizione generosa ad ogni iniziativa di apostolato che tenda a diffondere la luce di Cristo e a portare la salvezza nell’umanità;
la preghiera assidua secondo le grandi intenzioni del Santo Padre e della Chiesa.
6. Sono numerosi e immensi i campi dove si richiede, oggi più che mai, l’opera dei “consacrati”, come traduzione della carità divina in forme concrete di solidarietà umana.
Può darsi che in molti casi essi possano compiere solo delle cose, umanamente parlando, molto piccole, o almeno non vistose, non clamorose.
Ma anche i piccoli apporti sono efficaci, se carichi di vero amore ( la “cosa” veramente grande e potente ), soprattutto se è lo stesso amore trinitario effuso nella Chiesa e nel mondo.
I “consacrati” sono chiamati a essere questi umili e fedeli cooperatori dell’avanzamento della Chiesa nel mondo, sulla via della carità.