Patris instar

B157-A1

S. Giovanni Battista de la Salle e Fratel Teodoreto F. S. C.

( continuazione numero precedente )

Una santità

La sorprendente, eminente uniformità dello spirito interiore di S. Giovanni Battista de La Salle e di Fr. Teodoreto si manifesta però non meno nelle opere che nella caratterizzazione della singola forma di santità.

Il Santo fondatore delle Scuole Cristiane è estremamente schivo di confessioni autobiografiche; tuttavia ci pare di non errare se attribuiamo alla sua esperienza vissuta un tratto delle meditazioni, che vogliamo citare come calzante a pennello anche per l'infanzia di Fr. Teodoreto ( che certo, le buone e cattive abitudini, contratte nell'infanzia, si fan, per l'ordinario, natura ): « Come si è felici quando s'è cominciato di buon'ora a servir Dio!

Che, avendo succhiato, per così dire, la pietà con il latte materno, desso possiede talmente il cuore, da essere pressoché impossibile perderla.

Talvolta sembra bensì che per qualche tempo, sia come smarrita, ma poiché i suoi principi rimangono sempre nell'anima, essa rinasce insensibilmente e porta nuovi frutti ». ( Med. CLXXXVI,1 ).

Non è tutta l'infanzia dell'uno e dell'altro? Ma bisognerà ancora sottolineare che nessuno dei due conobbe questo « rilassarsi » della pietà, che anzi, essa andò crescendo con gli anni.

Importava, crediamo, notare questo cammino verso la santità, d'un solo slancio, senza ritorni, né debolezze: se esso ispessisce maggiormente il mistero della loro vita interiore, è tuttavia il segno più indubbio d'una singolare elezione divina.

Non reca maraviglia che in nature così disposte dalla grazia, le massime della perfezione evangelica trovino un terreno fecondissimo e che la pratica di virtù anche eroiche, ci si presenti come lo sviluppo normale o meglio come l'esercizio stesso d'una santità senza « tempo » perché già al di là d'ogni sforzo umano, almeno percettibile dai più, e che la loro vita sembri e in realtà sia così « consumata » nelle vie dello spirito da non pensarsi maggiore né più piena: S. Giovanni Battista de La Salle, a Saint-Sulpice, per la preparazione al Sacerdozio,1 Fr. Teodoreto al noviziato della Congregazione ( 11 ottobre 1887 ) per iniziarsi alla vita regolare, hanno lo stesso volto: « … carattere, - è stato scritto - inalterabile, uguale, sincero, sereno, affabile, sorridente, pieno di bontà verso tutti e in ogni cosa, Fr. Teodoreto testimoniava con i suoi tratti ascetici, con lo sguardo estremamente dolce, la continua presenza di Dio nella sua anima ».

E cogliendo un sospiro lasalliano: « Rassomigliare agli angeli nella purezza interiore ed esteriore; come loro esser interamente liberi dal corpo e dai piaceri dei sensi, in maniera che sembri non esservi più in noi se non l'anima … » ( Med. II,1 ).

È stato notato come i Santi, che più hanno comunione con Dio, e non smarriscono un solo istante la sua presenza, sono perfettamente sottomessi ai loro Superiori, quali ch'essi siano, ed obbedientissimi ai loro direttori di spirito.

« È il mezzo di porsi, con una condotto irreprensibile, nello stato in cui il Figlio di Dio possa fare, in ciascuno di noi, quello che nell'Incarnazione s'è proposto per tutti gli uomini, ch'è di distruggere interamente il peccato ».

C'è sempre in noi, qualcosa del nostro io ad insidiarci: per questo è necessario l'« altro », irrecusabile rappresentante di Dio, che ci garantisca da noi stessi.

Ed ecco le tappe « comuni » ad entrambi:2 « privarsi » delle menarne cose che dispiacciono a Dio, delle ricerche della natura, delle conversazioni umane, delle soddisfazioni dello spirito, della propria volontà, del proprio giudizio …

S. Giovanni Battista de La Salle scongiura i suoi Fratelli di obbedire al Vicario che lo depone da superiore; di accettare estranei come capi ecclesiastici delle loro comunità.

Ma è la « trovino » del suo Istituto! No: « È la volontà di Dio, ch'io adoro in tutte le cose, che mi riguardano ».

Fr. Teodoreto lascia che gli disfacciano quel che ha fatto, che le piccole « Unioni » nate qua e là, vengano sciolte perché non contrastino altre opere preesistenti o siano assorbite o sostituite dall'A.C.

Ma non è latore d'un messaggio divino? Dubita forse, egli stesso, - lo si disse, - del primitivo generoso impulso?

No: « Lasciamo fare al Signore: Dio fa bene tutto quello che fa. Noi non possiamo che guastare l'opera sua ».

Altre tappe dell'ascesa dovuta secondo gli stessi anonimi insegnamenti del Servo di Dio, alla direziono spirituale ( e piace qui con gratitudine ricordare l'eminente religioso, padre Arturo Maria Piombino, barnabita, testimone discreto, confidente illuminato, guida consumata, profondo ed attentissimo amico del Servo di Dio e della sua opera ): rendersi onninamente fedeli alle regole ( nessuno mai ha potuto notare che Fr. Teodoreto si sia discostato da una sola prescrizione regolare anche minima ); all'obbedienza alle ispirazioni e ai movimenti interni; alla confidenza filiale verso il Superiore; alla pronta e cordiale approvazione del bene che altri compiva intorno a noi ( « bene non è mai nemico del bene » ) e a lodarne Iddio …

È sempre il culmine, e non l'avvio stento e faticato nella virtù a riportarci all'« altro », al termine necessario per la nostra comunione con Dio: « Se noi abbiamo dal Signore grazie abbondanti per salvarci e farci santi, lo dobbiamo all'obbedienza di Gesù Cristo …

Siamogli dunque riconoscenti, con l'uso che ne facciamo ».

Ora il primo segno della nostra gratitudine è quello di farci obbedienti a chi Dio ci ha dato per guida.

Donde concludeva che a Dio non si va mai da soli; che spesso, a volersi ostinare a fare da se, non fosse altro che per pudore, è metterci a rischio di smarrirci; che il nostro progresso nella virtù comincia dal punto in cui ci sentiamo bene ancorati nella direzione spirituale.

Non diversamente il de La Salle; e per entrambi, va ancora notato che la direzione esterna si adattò sempre meravigliosamente all'interna illustrazione; e che per l'uno e l'altro, il momento cruciale ed eroico fu sempre risolto dal consiglio altrui.

Così il S. Fondatore dalla Certosa e dalla solitudine di Parménie, torna a capo del suo Istituto; così Fr. Teodoreto accetta di farsi « come un corpo morto » riguardo a tutto ciò che Dio disporrà di lui e della sua opera.

Eppure camminavano entrambi nella luce di Dio, con un'applicazione intensa alla sua presenza, sempre più raccolti all'esterno, sempre più ritirati nell'interno; ogni loro atto di altro non si sostanziava che di fede; non c'era cosa alcuna che non passasse attraverso la loro orazione ( e s'indovinava che la loro « conversazione » era nei cieli, dove le tenebre, in cui Dio si cela, lo fanno altrettanto e più presente alle nostre anime che lo spiraglio estatico della sua luce ) e s'abbandonano all'uomo senza diffidenza, con la docilità, la semplicità d'un fanciullo.

L'aspirazione d'entrambi è ben espressa da quell'altro testo delle meditazioni: esser pronti « ad attaccare il proprio corpo mortale, con tutte le sue affezioni, alla Croce di Gesù Cristo, per renderlo, per quanto è possibile, fin d'ora, partecipe dell'incorruttibilità di Lui, preservandolo dal peccato, principio d'ogni corruzione … », supplicando, come sommo favore che « il corpo partecipando alla vita dell'anima con la mortificazione dei sensi, non gusti più nulla di ciò ch'è sulla terra … » ( Med. CLVI,3 ).

Ma l'austerità, vorrei dire il lato crocifiggente della natura, non è ricercato per se stesso: non è che preparazione all'amore.

Solo l'amore infatti, sale fino a Dio: nella carità è la perfezione evangelica.

Ora, l'anima innamorata, non piange, canta; non chiede, dona; non ricusa, gode.

Tutta la creazione, e quel « mondo » che più ci è sottomano, rappresentato dalla nostra natura, è, nell'amore, innanzi tutto un valore eterno, perché è il « dono » di Dio ed è il nostro « contraccambio ».

La penetrazione del valore spirituale delle cose; le libera tutte, da ciò ch'è creato, per riempirle di Dio.

Così si spiega la straordinaria libertà, il dominio pieno dei Santi sulle cose, oltre a quello di sé medesimi.

Le vedono nelle loro reali dimensioni, « per quello cioè che esse a Dio si riportano », ciascuna a suo luogo e tempo.

Non hanno fretta. Non si smarriscono. Non si sovrappongono.

Neppure le improntano d'un segno diverso da quello che l'opera di per sé richieda.

È la « perfezione » di Fr. Teodoreto,3 quella che ti lascia « senza ricordi » perché ogni cosa di Lui era « comune », cioè, uguale, compiuta, naturale, facile ed armoniosa, concreta nella sua realtà materiale e come circonfusa dallo spirito che l'animava

… Ma Lui, non c'era: c'era la perfezione dell'opera.

Quella di chi non si nasconde, ma agisce come l'azione richiede e l'opera comporta; come Dio la vuole, nella sua integrità, nella sua struttura umana e divina di collaborazione alla grazia …

Al tavolo, alle prese con lo scritto e l'impaccio delle parole, nella biografia di Fra Leopoldo Maria Musso, o.f.m., « il Segretario di Gesù Crocifisso »,4 com'ebbe a chiamarlo, dal quale ricevette la « devozione » e molte « comunicazioni » soprannaturali sulla medesima, deve sfiorare le soglie misteriose del divino, che non ha le nostre voci.

Il dettato, scialbo di mezzi stilistici, ti dice quel che uno scaltrito uso della penna non sa esprimere: il messaggio d'un amore grande, immenso, che vuoi salvi tutti gli uomini, con un mezzo tanto facile che non cerca se non un po' di buon volere e tanta tanta fiducia …

Un santo si china sull'anima di un altro santo: t'aspetti il miracolo d'una rivelazione, il « segno » misterioso d'una realtà sovrumana …

No: tutto è semplice, la curiosità è assente.

Non c'è reticenza di chi dice e non dice; c'è il pudore sacro e divino delle cose di Dio, la verginità inviolata del « segreto del Re ».

Viene spontaneo il raffronto con la pagina lasalliana dove il Fondatore, per innamorare i suoi discepoli alla loro missione, riallacciandosi ai Padri del deserto e al primitivo monachesimo, parla loro dello « spirito di martirio », poiché « ciò che v'è di più notevole, nella loro professione religiosa e nel loro impiego di maestri », è appunto « il risolversi ad essere abietti, come il Figlio di Dio, quando si fece uomo ».

« La nostra vita, così com'è, se noi la mettiamo in confronto con Chi ne è l'autore, non merita da parte nostra considerazione alcuna.

Non la vorrete dunque offrire volentieri e farne un intero olocausto a Dio?

Vero sacrificio è difatti, il non impiegare la vostra vita che per Lui, senza pensiero del tempo che vi sarà dato, fossero pure pochi anni, purché nella vostra vocazione vi salviate e in essa guadagnate molte anime a Dio ».

La stessa semplicità, dove l'eroico non ha altri toni o colori di quelli quotidiani.

Ricercando un'opera di perseveranza per lai gioventù che lasciava troppo presto la scuola cristiana per affrontare la vita dell'officina e dell'impiego, o altri studi, fuori dell'ambiente religioso; consapevole che la famiglia era ormai assai debole riparo contro l'impeto anticristiano del mondo, e la Chiesa di giorno in giorno più contradetta ed allontanata dalla vita sociale - si vedeva, invece, nascere tra le mani, non una associazione giovanile o postscolastica, ma una vera e propria « comunità » religiosa, come base d'un « grande ordine, che sarebbe venuto », un ordine « nuovo » …

S. Giovanni Battista de La Salle ( P. Léger pinxit, Rouen 1734 )

Fratel Teodoreto fu subito tutto a disposizione di Dio.

Non si preoccupò della « novità ». Egli ripeteva un messaggio antico, l'appello alla santità eminente, che s. G. B. de La Salle già aveva proposto e voluto, pur nella vita laicale e mondana, per i discepoli de suoi figli.

Chi può sperare dagli uomini, non dico la giustizia, l'onestà, la bontà, che non tutti ne abitualmente si è ingiusti, disonesti, cattivi, ma l'eroismo che comporta la santità, della virtù che da a ciascuno il suo e non ignora che se stessa; che non si concede nulla, in nessuna occasione di men che onesto; che, in ogni momento, si presenta così da poter essere amata, perché non cessa un solo istante di amare tutto e tutti, con quella « umana » simpatia, che sola ci affratella sotto gli occhi del Padre « che fa sorgere il suo sole sul buono e sul malvagio » ( Mt 5,45 ), deve conoscere anche la stima che ne fa Dio; deve, in qualche modo vedere il « potenziale » divino, che sonnecchia, forse, in ciascuno di noi.

Fratel Teodoreto non ci ha aperto il suo segreto: di sé era così schivo!

Ma noi vediamo che, per quanto la santità sia una cosa tremenda, egli l'ha chiesta: ed ottenuta dai suoi primi giovanissimi discepoli, raccolti nello stato libero e laicale dell'Unione prima ancora che nell'Istituto secolare.

Dal Blain, sappiamo quale fioritura di santità, il de La Salle ottenesse fra i primi suoi discepoli.

Ma qui il parallelo è ovvio: sempre la santità ha generato dei santi, ed ogni Ordine o Congregazione religiosa ha, alle origini, una splendida fiorita di altissime virtù.

È il dito di Dio che scrive la storia, - quella vera, - del mondo; la lettera di Dio, sono i Santi ( 2 Cor 2,3 ).

Fratel Teodoreto aveva gli occhi fissi al De La Salle, suo Padre e Fondatore, ma gli appunti che la sua mano tracciava di quello e da quello, avevano già i caratteri incandescenti del nuovo messaggio divino.

È naturale che la perfetta conformità del Figlio con il Padre,- e qui conformità è ben altra cosa dell'aderenza a schemi astratti e precludenti, ma è ricchezza d'impulsi nella grazia originaria, che s'apre in sempre nuove rispondenze, - dovesse portare il Nostro, a cogliere del pensiero e dell'opera lasalliana, il dato più profondo e genuino.

Pertanto vediamo Fratel Teodoreto far sua l'« formazione lasalliana » dove, i Fratelli, in virtù della loro vocazione e per espressa designazione del loro Istituto, tenersi assai più legati con i poveri, gli artigiani, gli operai, che non con i ricchi ( Règl. corre., VII, 13 ); e per lavorare all'educazione cristiana dei non abbienti, viverne la povertà ( Med, CXLIII,2 ).

Partendo da quest'ultima, che fu perfetta e pure senza apparire, spinta fino all'estremo dello spogliamento compatibile con il decoro ed il rispetto religioso della persona e dell'ufficio ( era sempre così lindo, semplice, senza ricercatezze ma senza sciatteria negli abiti come nella persona ), possiamo risalire al suo amore per i poveri.

Non fa specie che quest'amore, gli abbia dato insospettate chiaroveggenze e l'abbia guidato di esperienza in esperienza, fino a fargli riporre la mano alla trama interrotta dal suo santo Fondatore sui telai parigini, applicandosi con tutto l'impegno alle scuole di arti e mestieri, con una concezione nuova: corrispondere, esse, all'età nostra, e con la medesima urgenza e per gli stessi motivi alle « piccole scuole » delle origini; e come allora richiedersi chi viva in esse, e per esse, la vera vita dell'operaio, del tecnico, dell'impiegato, che neppure la cattedra sarebbe servita al tempo del s. Fondatore, senza la comunanza di « stato » dei Fratelli con i loro alunni; la scuola cristiana doversi applicare risolutamente al mondo del lavoro e questo in modo concreto aprendosi all'umanesimo della tecnica, perché anche questo non consumasse l'apostasia e il tradimento di quello classico, inceppato di conformismi ed idolo di se stesso; preparasse, l'Istituto, gli strumenti per tale penetrazione di laici fra laici come il cenno di Dio sembrava indicare con le Case di Carità per le arti e i mestieri.

Ora Fratel Teodoreto non aveva che un modo per « raggiungere » i « poveri, gli artigiani, gli operai »: amare la loro povertà e la loro fatica; ispirare ad altri questo medesimo amore: sarebbero stati come le broccia del suo cuore grande.

Dio ha bisogno dei poveri per il riscatto del mondo e vuoi operai simili a Cristo, « il figlio del fabbro » ( Mt 13,55 ) che non « possedeva » neppure il legno ed i chiodi con cui fu Crocifisso …

« Più saremo poveri, più assomiglieremo a Gesù Cristo, che volle esser povero e vivere la vita del povero.

« La povertà deve metterci in grado di poter ricevere dalle mani di Dio, ogni abbondanza di grazie.

« Ricordatevi che non farete alcun frutto sulle anime fino a che non avrete distaccata la vostra da ogni cosa.

« I vostri alunni non possono riconoscervi come maestri se non sarete poveri, come loro, anzi, più poveri, pronti a sacrificare tutto, a non concedervi nulla ».

Parafrasi lasalliane. Ma da questa libertà dalle cose, quanta ricchezza di disponibilità e di vita!

Uno psicologo l'avrebbe colta, stupefatto, nella mitezza del suo sguardo, che s'accendeva di stima cordiale ed aperta verso chiunque gli si presentasse.

Chi ha, istintivamente teme per quel che possiede; chi non ha nulla, ha ancora se stesso, cui è anche più sordidamente attaccato; solo il Santo si possiede ed è libero, con « la libertà dei figli di Dio » ( Rm 7,21 ) che sanno di disporre dei beni del Padre, e chiunque a te venga, viene per la sua gloria ( Rm 7,21 ) ed è il tuo fratello.

Chi lo frequentava, in quel suo rispetto non d'imprestito in quel suo aprirsi amabile e sorridente, vi scorgeva la gratitudine quasi d'una tua presenza non cercata, né attesa, ma goduta in Dio.

Perché Fratel Teodoreto, come tutti i Santi, era una fiaccola ardente e luminosa di Dio.

Aveva la trasparenza di quello sguardo di cui è detto esser tutto corpo illuminato ( Mt 6,22 ).

Possedeva la terra ( Mt 5,4 ).

Ne gli si sarebbe potuto negare alcuna cosa.

Vero è che non ti chiedeva nulla.

Ti veniva incontro con la gioia della tua e sua carità, come chi è pronto a lodare con te il Signore, e dentro, l'anima preludia l'armonia d'un salmo …

Tu l'interrogavi, talvolta. Ma la risposta era sempre la stessa: « Preghi il Signore di farle vedere quello di cui mi richiede e vedrà che le si scioglierà la questione, e si appianeranno le difficoltà ».

Se tu gli sottoponevi due soluzioni, ed aveva motivo di credere che ti fossero maturate nell'animo, allora, poneva l'accento su quella che anche tu giudicavi migliore, ma di cui temevi il maggior peso, e t'incoraggiava ad essere fiducioso con il Signore.

« Non dobbiamo cercare di questo o quel bene, se più o meno grande; ma non bisogna rifiutare di fare tutto quel bene che Egli ci fa vedere.

Vederlo e già un suo invito a farlo, e con ciò il suo aiuto è assicurato ».

Mai quell'atteggiamento dottrinesco o profetico, che tanto urta le coscienze, perché nelle cose dello spirito ci si accorge bene come anche il consiglio è in fondo un ragionamento soggettivo, valido, ma non assoluto; e specie per ciò che ci tocca più intimamente, è quasi inevitabile che ci ripugni, in qualche modo, di obbedire ad un semplice ragionamento umano.

C'era in Fratel Teodoreto quel pudore proprio della santità, che non ignora come l'uomo è sempre d'impaccio all'uomo, quando vuoi guidarlo ( « caecus autem si caeco duc'atur … » Mt 15,14 ) anziché rivolgerlo a Dio.

E tuttavia, la sua direzione era sicura, quando dovesse o credesse di dovere intervenire.

Ma una cosa va notata: quella risoluzione, che per avventura, tu non avevi presa durante il colloquio con lui, si presentava poi da sé appena lo lasciavi: quella stessa, talvolta, che avevi scartata e sulla quale non ti si era detto altro se non: faccia quel che il Signore le ispirerà.

Le lettere di direzione spirituale del suo s. Fondatore, l'Esprit et vertus di Mr. J.B. de La Salle, del Blain, si presterebbero a molti paralleli: lo stesso rispetto per le anime: la stessa diffidenza schiva di se stessi; l'affidarsi pienamente alla condotta e alla volontà di Dio ed alle vie ordinarie per cui si manifestano, la confessione, cioè, l'obbedienza e l'osservanza dovute …

Innocenza; studio di essere veramente secondo la robusta espressione di S. Leone Magno « carne del Crocifisso »; 5 piena disponibilità al cenno di Dio; e poi il fascino ineffabile d'unga santità austera e nel contempo umana; e ancora, ultima e saliente nota, scomparire, immedesimarsi con la propria opera, adeguarsi all'azione divina così che quella sola appaia.

E questo, sempre, in ogni circostanza, senza smarrimenti.

Movendo incontro alle cose, movendosi tra le cose - e più gli uomini - lievi, liberi, sicuri.

Con il passo di Dio.

Stampandone l'orma.

Ciascuno la scorge come può.

Io per me, non mi ci sono mai avvicinato senza qualche titubanza; non me ne sono mai partito senza qualche certezza.

Anche quando le vie divergevano, e l'impronta spariva alle mie spalle.

Anche quando la polvere del vento che la dissipava, mi bruciava gli occhi.

O il calco invidioso del gesso mi si spezzava, inerte o goffo, tra le mani.

Gli è che per comprendere Dante o Bethoven, - è stato detto, - bisogna avere in sé qualcosa di Dante o di Bethoven.

Il profilo della santità può darlo un santo: tutto il resto, è uno sgorbio, che neppure la gratitudine ricompra.

Noi procediamo con l'impronta d'un vecchio bue, che più s'affonda quanto più è tardo.

Nova et vetera

Per comprendere pienamente la rivoluzione portata da S. Giovanni Battista de La Salle nella scuola del suo tempo in Francia, bisogna rifarsi alla condizione dei maestri delle cosidette « petites écoles » e più ancora delle « scuole di carità », fossero quest'ultime dei Comuni o delle Parrocchie.

Fatte le debite eccezioni, tali maestri non solo mancavano d'ogni coltura ( c'era chi sapeva leggere, ma non scrivere; chi scriveva, ma solo « per copia », ignorando l'ortografia; per non parlare dell'aritmetica, ridotta per lo più all'addizione e alla sottrazione ) e tutti indistintamente provvisti d'ogni nozione sul modo di insegnare quel poco che avevano imparato; ma, quel ch'è peggio, la maggior parte mancava d'una morale dignità di vita.

Girovaghi, colpiti gli uni da censure, che avevano sbarrato loro la via del Santuario, espulsi gli altri dai « Collèges » con condanne infamanti; o gente del sito, che al proprio mestiere di scaccino, fossore, menestrello … univa quello non invidiato di « maestro dei piccoli ».

Lo stesso de La Salle, pur difeso dalla sua santità, è costretto a confessare la sua ripugnanza ad associarsi a tali « maestri » che egli, sono sue parole, « doveva necessariamente mettere molto al di sotto dei suoi propri servi ».

Le storie della pedagogia si limitano a notare, tra le benemerenze del Santo, che istituì le scuole normali, comprendendo bene, che anche l'arte d'insegnare andava appresa come qualunque altra.

Accennano poi al relativo valore metodologico della « Conduite des écoles » ( 1689 ); alla generalizzazione del metodo simultaneo, alla divisione per classi all'incirca omogenee, degli alunni; al valore « pratico » dei suoi insegnamenti.

Taluno si sofferma su dati psicologici e su intuizioni, che siamo soliti dire moderne, come la conoscenza controllata delle capacità degli scolari, la partecipazione dei medesimi al funzionamento delle classi, determinati procedimenti aggettivi … le prime scuole tecniche, commerciali e professionali, corsi festivi per giovani operai, per adulti.

Ma il lasallianesimo, crediamo, non è qui, o tutto ciò non ne è che la parte più appariscente e non di meno, minore.

Il de La Salle ha dato una coscienza magistrale a tali maestri, ponendovi come base l'idea d'una missione soprannaturale, cui adeguare tutta la vita, cultura, arte, moralità.

Ne solo, ma ha voluto che il maestro entrasse come « persona », nella sua classe, non funzionario né distributore autorizzato di sapere; ma « fratello » del piccolo alunno, e come lui, scolaro di Dio, per fare assieme una vita di studio e di lavoro, che li conducesse a Lui.

Scuole cristiane chiamò le sue classi, quando l'aggettivo cristiano poteva sembrare pleonastico, che tutte, erano religiose; ma non pleonastico nella sua concezione dove la realtà quotidiana della casa, dello studio, del lavoro erano la « vita cristiana » nella sua oggettività temporale ordinata all'eterno.

Per questa spiritualità della scuola componeva le sue mirabili Méditations sur l'empiei e quelle più ampie Sur les Dimanches et fètes de l'année ed i Trattati ascetici, cui corrispondevano, per i ragazzi i Devoirs d'un Chrétien e le delicatissime Régles de la bienséawe et civilité chrétienne, « sulle quali, per due secoli, si formò il gentil costume di Francia ».

Il de La Salle fondava il suo Istituto sulla laicità, - lui sacerdote, - pensando che l'educazione popolare fosse tale da assorbire completamente le energie di chi vi attendesse.

Comprese tuttavia che neppure sarebbe bastata l'opera d'una Congregazione ed aprì le sue scuole magistrali a chiunque volesse imparare a far scuola e forse, una « scuola di maestri » fu il suo disegno primitivo, finché non s'avvide di non poter contare che sui propri soggetti.

Fratel Teodoreto realizza questo primitivo disegno ( come del resto l'Istituto già aveva fatto con le sue pubbliche scuole normali, dove era stato possibile, pur soggiacendo a necessari adattamenti verso una funzione più specificamente culturale ) ritornando alle linee originali: i laici, che nel campo loro proprio, quello cioè della professione, del mestiere, dell'arte, attingono, con la scuola del lavoro, gli operai, gli artigiani, il « mondo » dell'officina e quello della « tecnica », dov'è scarso o piuttosto spento il soffio cristiano che pur s'accompagna sempre con gli umili e con le loro sofferenze e difficoltà quotidiane.

Anche qui, la scuola non è concepita come distributrice di determinate capacità lavorative; ma come una « casa » dove ci si incontra con chi fa e vive la tua stessa fatica, maneggia i tuoi strumenti, e sa che, oggettivamente, in questa « terrestrità » si compie il destino eterno dell'uomo.

L'uomo crea, con il lavoro delle sue mani, quella sua similitudine, che lo fa riconoscere figlio del Sommo Fattore, e nella pena, come nell'amore, fratello del Cristo, per quella redenzione che dagli umili, nella Chiesa, scorre a tutto il gran corpo sociale. 6

Le realtà terrene sono pure quelle dell'umano « ritorno » esemplare e finale a Dio, nella giustizia, nella carità, nell'amore, solo che si sveleniscano dell'odio che divide ed uccide; dell'incomprensione che ci estrania gli uni dagli altri; dell'errore, che ci ottunde ed osservo.

La lotta di classe è uno stato violento, condannato ad incancrenirsi, con esiti letali per tutti: dove manca Dio, non c'è né coscienza né libertà: ma l'uomo è lupo per l'uomo; il lavoro stesso, anche esasperato, anche compensato con manciate d'oro, non è che sfruttamento dell'uomo, dei suoi bisogni, come delle sue passioni e l'uomo è fatto « macchina », « bestia », « demonio di violenza o di lussuria ».

Certo, solo un Santo può non disperare, affacciandosi a questa nostra civiltà parossistica e disumana.

Solo un Santo comprende che Dio non può abbandonare gli umili, che il Cristo scelse per sé, per fare la sua Chiesa, dopo averne condivisa la povertà e la fame.

Vae divitibus!

Ma chi comprende il « povero » se non ne vive la « povertà »?

Chi può arrestare altrui sulla china sensuale, se non regge, indenne, l'assalto del fango carnale?

Chi può con autorevolezza richiedere il dovere di ognuno, se già, lui stesso, non l'ha compito con l'elezione e la dedizione dell'amore?

L'esempio del « laico », che può far la tua vita e fa quella invece che gli detta la sua coscienza di uomo e di cristiano, non può passare inosservato.

Fratel Teodoreto, anche prima della Costituzione « Provida Mater Ecclesia » ( 2 febbraio 1947 ) ha compreso bene la funzione del laicato cattolico, in mezzo alla società moderna.

Il laico è nei punti nevralgici della convivenza umana: in famiglia, nell'ufficio, nella fabbrica, nell'azienda, nel quartiere.

Il Fr. Teodoreto alla Messa del Povero, Sez. Via Cibrario, il 6 luglio 1950

Non è che il Sacerdote non entri o non possa entrare più autorevolmente del laico in tutti questi ambienti: non bisogna mai dimenticare che il ministro di Dio reca, con sé, in qualunque luogo, la sacramentalità della sua ordinazione e che la sua parola e la sua azione, per quel che tocca da vicino la testimonianza cristiana ed i valori connessi con questa, attingono il soprannaturale; ma è appunto dalla eminente sacralità dei suoi interventi che il Sacerdote è legato alla Chiesa e alla singola cura delle anime, con caratteri di piena disponibilità, senza quindi che gli sia lecito confinarsi in un orario pressoché assorbente tutte le ore operative, com'è quello scolastico, e per di più in materie profane, che non deve ignorare, ma che nessuno gli chiede di professare.

Oltre questa ragione intrinseca, dovuta cioè alla scelta sacrale del ministero ecclesiastico cui si e costretto il Sacerdote, ve ne sono altre contingenti o estrinseche, le quali riguardano innanzitutto la penuria degli Ordinati, che obbliga, di per sé, a conservarsi liberi per il servizio ecclesiastico, quelli che hanno raggiunto il sacerdozio; poi, la realtà di fatto, d'una società cioè che ha fatto crollare molte barriere ma ne ha, a sua volta, innalzate parecchie altre, tra cui una più netta separazione fra sacro e profano, concepiti non solo distinti, ma opposti e spesso escludentesi come contradditori.

Non si rimedia con una mescolanza o una presenza meramente esteriore e comandata da tutt'altro interesse che quello religioso: il ragazzo mi seguirà, nei ragionamenti matematici perché sono un buon matematico; ma in quelli religiosi … non perché sono un matematico, di certo.

Il laico parte da basi diverse: intanto è nei suoi panni, che il profano è suo appannaggio, e quindi l'insegnamento, poniamo tecnico, è di sua normale competenza; poi, vive la vita di coloro cui insegna, poniamo anche religione; non può essere rifiutata la testimonianza di chi afferma una propria esperienza, o meglio professa determinati principi facendo la tua stessa esistenza: potrai non condividerli, ma non li penserai dettati da una ragione che contrasti con detta vita.

Nel Sacerdote i principi sono la ragione stessa del suo stato; è difficile veder completamente il ministro di Dio quando è fuori dal Santuario e fuori del suo ministero proprio.

Inoltre, il Sacerdote, riservato così alle necessità spirituali delle anime, è davvero, anche nella concezione volgare di chi non crede, un Sacerdote schietto, e non qualcosa di definibile per composizione, con l'inevitabile conseguenza che nel mondo dell'esperienza umana, la sola attingibile, egli possa venir giudicato a tutto discapito di quella misterica, che non ha confronti.

È forse una ragione provvidenziale quella che richiama il Sacerdote nel Santuario e al confessionale, al ministero esclusivo per cui è stato preso dal popolo e costituito sopra del popolo: tra noi, laici, e Dio, per intenderci.

Ma di qui anche la necessità di laici che vivano la vita sacramentale del Sacerdote, per costituirne il tramite con la massa lontana: la formazione dei laici è opera sacerdotale; l'azione dei laici è esclusiva dei laici.

L'urgenza di sacerdoti è grande: ma basta un pastore per tutto un gregge.

Il gregge poi è fatto dalle pecore, non dal pastore, né dal cane.

La situazione che trova Fratel Teodoreto, sotto questo aspetto, è antitetica a quella di s. G.B. de La Salle, che trovò moltissimo clero, alto e basso, ma con nessuna vocazione ecclesiale ad occuparsi delle « piccole scuole ».

I curati che se ne occupavano d'ordine dei Vescovi, non vi vedevano la « scuola », ma solo « l'apprendimento del catechismo » ( ed è già una gran cosa ); mentre l'« ancien Regime » stava per crollare, e il popolo non avrebbe più trovato la sua difesa nella struttura paternalistica ( il sovrano re e padre dei suoi popoli ) ma solo nella libertà, che appena si poteva salvaguardare con l'affrancarsi dall'ignoranza e dal bisogno.

La Rivoluzione Francese fu appunto la forma più esasperata dell'ignoranza dei capi, ubriachi di sangue e di utopie, e del bisogno dei poveri.

Ora il clero è scarso, forse già insufficiente.

Non sono più l'ignoranza e la fame, a minare le strutture sociali o a condizionarne lo sviluppo; ma uno scientismo mitomane, dogmatico, astratto pur nei suoi conati grossolanamente materialistici e la sete di godere, con il tormento della sazietà di beni, che, per fare un'immagine, ingozzano, ma non soddisfano, riempiono e ti gonfiano il ventre.

L'« abbiamo suonato, e non avete danzato », del s. Vangelo ( Mt 11,17 ).

O l'idropico che non riesce a levarsi la sete, pur assaporando la freschezza dell'acqua.

La specializzazione tentata dal de La Salle, è ripresa da Fr. Teodoreto: laici, per la scuola, ch'è tempio, ma senza altare; e laici religiosi viventi nel mondo « che sono nel mondo, ma non sono del mondo » ( Gv 17,16 ) com'è, come deve essere di tutti i cristiani.

Ed è naturale, che detti laici non si disinteressino dei loro fratelli.

Com'è naturale che ricorrano ai Sacerdoti, per il loro contatto con Dio e con il Cristo; che anzi si sentano « pietre vive » di quell'unico tempio ch'è la Chiesa, dove sono le scaturigini delle pure onde lustrali del fiume di vita, che salverà il mondo; che vi facciano barriera intorno perché non siano soffocate dal mare di fango, che ribolle intorno …

Dio nell'Antico Testamento non mandò i Leviti a combattere; ma li volle a custodia del tempio.

N.S. Gesù Cristo manda i suoi Apostoli a predicare il Vangelo del Regno: « tutto quello ch'io vi ho insegnato … l'amore di Dio e del prossimo. »

Certo la grande legge è una sola: a Quaerite primum Regnum Dei et haec omnia adicientur vobis » ( Mt 6,33 ): siamo tutti « operai del regno »; collaboratori di Cristo.

Non c'è che distinzione d'impieghi; condizioni, più o meno dure di servizio.

Del genio si suol dire che supera anche quella difficoltà, in cui l'ingegno naufraga: ecco, la santità sarebbe come il genio, dovunque e dappertutto.

Vero è che l'indegno solo abbonda.

Fratel Teodoreto non ha concepita l'Unione solo come terreno d'elezione e di scelta presso le scuole religiose, le Parrocchie, le « Case di Carità per le arti e i mestieri » ( il titolo di « Casa di Carità » è programmatico ed è stato notato ch'esso ha incontrato più diffidenze ed incomprensioni in alto che in basso: Fratel Teodoreto l'ha mantenuto « perché dato da Gesù Crocifisso stesso » ed in verità, l'opera non è meno arditamente moderna, perché … d'altri tempi l'insegna ), quando fa un obbligo ai suoi associati dell'aperta testimonianza cristiana nel proprio ambiente, coerentemente agli impegni assunti nel battesimo e nella cresima e rinnovati nella « consacrazione » singola, come primizia di quella di tutto il mondo.

Ha visto come una sorta di missione universale, nelle sue dimensioni, estendendosi a tutti i settori, a tutte le condizioni, a tutti i casi del viver civile.

E a creare questa coscienza nei suoi Catechisti, ha speso le sue migliori energie: il suo è sempre stato un appello ad una fattiva adesione ai principi cristiani, alle « massime del S. Vangelo », alle direttive dei Pastori della Chiesa; e non tanto si è preoccupato degli avversavi diremo « ideologici » o dati dalla congiuntura politico-sociale del momento, quanto di salvaguardare che l'opera generosa dei suoi Catechisti non potesse mai essere neppure sospettata d'interesse, personale coonestato da motivi religiosi.

Le Regole e costituzioni ne fanno fede: sensibilità d'un santo, che non può tollerare nessuna profanazione di ciò ch'è sacro.

Del resto, erano suggestioni antiche ch'egli attingeva negli scritti del suo Fondatore, nel cui pensiero, non solo i maestri laici formati dai suoi, dovevano soccorrere all'apostolato della Chiesa, - quando, si noti, la Chiesa dominava ancora e penetrava dall'alto tutta la vita civile, pubblica e privata, - ma anche gli alunni ( Med, CXXXIV,2 ) dovevano essere il mezzo d'una penetrazione cristiana nelle loro case, nel borgo, o anche ( v. i « visiteurs dea absents » incaricati d'un messaggio di pietà e di bontà verso gli ammalati ed i « libertins, qui ne viennent pas a l'école », e loro famiglie ) nel più vasto ambito della città.

Certo, per sostenere « gli interessi di Dio » occorre, ammoniva il Santo, una grande fermezza ed una generosità veramente cristiana ( Med, CII,1 ); né s'illudeva che bastasse l'umano provvedere ( Med, XLIII,2 passim ); né che alla generosità degli sforzi dovesse, di per sé, corrispondere l'esito sperato e la soddisfazione della riuscita, o la gratitudine altrui o il riconoscimento dei meriti acquisiti, che anzi prevedeva come massimo compenso, la persecuzione ( Med, CXVI,2 ).

Ma una cosa non si stancava mai di ripetere: a Voi non potete spingere troppo oltre il vostro disinteresse, poiché sono poveri, quelli che ammaestraste; istruiteli con il vostro esempio; insegnate loro ad amare la povertà essendo poveri voi stessi: che il vostro disinteresse ve la faccia praticare quanto a Dio piacerà » ( Med, CLIII,3 ).

L'opera nuova è dunque ben figlia dell'antica.

Ma Dio, sempre identico, non si ripete mai, nei suoi Santi.

Così l'Istituto secolare dei Catechisti del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, accoglie le istanze della Provvidenza, come il suo ven.to Fondatore ha presentite ed enucleate, con nativo fervore d'opere e di spiritualità.

Fr. Teodoreto ne aveva goduto, in terra, - che ad onta delle difficoltà, l'Istituto cresceva, e s'irrobustiva.

Anzi, erano quelle difficoltà stesse, che lo martellavano più « suo », l'obbligavano, per così dire, a scavarsi il proprio alveo.

Ed ora, dal cielo, vede quel che quaggiù teneva per fede, che « Dio fa bene tutto quello che fa ».

Anche la propria rassomiglianza con il suo santo Fondatore.

Due volti, che si ravvivano del mutuo splendore.

E quello aveva la fiamma più sincera cui men distava la favilla pura, credo, però che più di lei s'invera. ( Par., XXVIII.37 )

F. Emiliano

1 Cfr. Blain, Vie de Monsieur J. B. de La Salle, prètre, docteur, chanoine de la chatédrale de Reims et Instituteur des Frères des Ecoles Chrétiennes, Rouen 1733 ( A. Canon, Parigi 1889 ) 1. 1, o. XVII.

2 Cfr. Raccolta di vari trattateli!, ad uso dei Fratelli delle Scuole Cristiane, Roma 1903 ( ed it. dell'anonima pubblicata da S. G B. de La Salle, ad Avignone, nel 1711 ), Dei mezzi per diventare intcriori, pp. 97-116, di cui si valeva correntemente il Fr Teodoreto.

3 Cfr. Fr. Emiliano delle Scuole Cristiane, Fr. Teodoreto, o della vita comune, Torino, 1954.

4 Fr. Teodoreto, « Il Segretario di Gesù Crocifisso », Fr. Leopoldo Maria Musso, o-f-m; Torino, ( 1944 ), 19.

5 Cfr. « In baptismate … contagio damnatae vetustatis exuitur, ut efficiatur homo corpus Christi, quia et Christus corpus est hominis » ( s. Leone, Epist., LIX, 4 ).

6 Cfr. S. G. B. de La Salle, Méditations : « C'étaient les pauvres qui suivaient le plus ordinairement Jésus-Christ notre Seigneur, et ce sont eux aussi qui soni les plus disposés a profiter de sa dottrine ; parce qu'il se trouve en eux moins d'obstacles extérieurs » ( Med, CLXVI,2 ).

Senza demagogia e senza negare che .anche il ricco possa collaborare, e lo debba - il problema è già vecchio, cfr. Clem. Alex., Quis dives salvetur? - il de La Salle nota: « Jésus-Christ ne dit pas: l'Evangile est préché aux riches; mais: aux pauvres » ( Ivi ).