Il Messia sofferente

B172-A2

Durante la sua vita pubblica Gesù non amò farsi chiamare col titolo di Messia: c'era infatti la possibilità di non esatte interpretazioni, presso il popolo e nei capi.

Questi sognavano un liberatore potente che scuotesse il dominio romano e ponesse Israele a capo di tutti i popoli.

Invece Gesù pur dimostrando di essere il Messia promesso, intese esserlo in un modo e secondo uno stile ben diverso, conformandosi alla figura illustrata dal profeta Isaia del Servus Jahwe ( Is 42-53 ), nella povertà, nella bontà e nella sofferenza a beneficio degli altri: « Gesù Cristo, pur essendo in forma di Dio, non ritenne cosa da far propria avidamente l'essere uguale a Dio, ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini e, trovato nel sembiante come uomo, si abbassò ancor più, obbedendo fino alla morte, anzi alla morte in croce … ) ( Fil 2,6-8 ).

Già all'inizio della vita pubblica di Gesù, nel fatto delle tentazioni messianiche, appare questo aspetto fondamentale; le tentazioni nel deserto, luogo tradizionale dell'incontro con Dio, sono un tentativo da parte di satana di condurre Gesù ad adottare dei tipi di messianismo, che non entravano nelle prospettive del Signore, e precisamente il messianismo terreno ( trasformare le pietre in pane ), il messianismo miracolistico ( buttarsi dal pinnacolo del tempio ), il messianismo politico ( i regni della terra ).

Gesù rigetta questi tre tipi di messianismo a carattere terreno per adottarne, obbedendo alla volontà del Padre, un quarto, quello a cui fa allusione S. Luca, quando al termine del racconto delle tentazioni, scrive: « Allora il diavolo, finita che ebbe ogni sorta di tentazione, si partì da Lui fino ad altra occasione » ( Lc 4,13 ).

Pare che « quest'altra occasione » sia precisamente quella della passione e della morte.

Il messianismo di Gesù si caratterizza per questo movimento di discesa, « spogliando se stesso », obbedendo, soffrendo e morendo su una croce; se c'è un miracolo, un segno, che lo qualifica è quello della morte, è il « segno di Giona », l'unico segno promesso da Gesù: « tre giorni e tre notti nel cuore della terra » ( Mt 12,40 ).

Nel solenne ingresso a Gerusalemme Gesù si lasciò proclamare apertamente come Messia regale, a patto però di rimanere nel quadro della profezia di Zaccaria di un Messia che entra nella capitale religiosa seduto su un giumento che è simbolo di pace e di bontà.

La passione e la morte sono dunque una componente essenziale dell'attività messianica del Cristo.

Dal racconto evangelico della Passione un punto certamente significativo è quello della dichiarazione di Gesù davanti al Sinedrio, che l'accusò di bestemmia e lo condannò a morte.

Ci si potrebbe chiedere perché la dichiarazione di Gesù viene interpretata come bestemmia.

Occorre esaminare le tre redazioni evangeliche.

Matteo 26,63-65: « Il sommo pontefice gli disse: " Ti scongiuro per il Dio vivente, che tu ci dica se sei il Cristo, il Figlio di Dio ".

Gesù gli risponde : " Tu l'hai detto. Anzi vi dico: da ora vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza, venire sulle nubi del cielo ".

Allora il sommo pontefice si stracciò le vesti, dicendo: " Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora voi avete udito la bestemmia.

Che ve ne pare? " E quelli rispondendo, dissero: È reo di morte! ».

Marco 14,61-65: « Ma Egli taceva e non rispose nulla.

Di nuovo il capo dei sacerdoti interrogava dicendo; " Tu sei il Cristo, il Figlio del Benedetto? '

' Gesù rispose: "Io lo sono, e vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo ".

Allora il capo dei sacerdoti, strappandosi le vesti, dice: " Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?

Avete sentita la bestemmia? Che vi pare?"

Tutti allora sentenziarono che era reo di morte ».

Luca 22,66-71:

« Quando si fece giorno, si radunò il consiglio degli anziani del popolo, capi dei sacerdoti e scribi e lo fecero condurre davanti al loro sinedrio, dicendo: " Se tu sei il Cristo, diccelo ".

Ma egli disse loro: "Se ve lo dico non mi credete, se vi interrogherò non mi risponderete.

D'ora innanzi il Figlio dell'uomo sederà alla potenza di Dio ".

Allora tutti dissero : " Dunque tu sei il Figlio di Dio? " Egli rispose loro: "Sì, lo sono ".

Allora essi dissero: " Abbiamo ancora bisogno di testimonianze? Noi stessi l'abbiamo udito dalla sua bocca " ».

Secondo Matteo la risposta di Gesù sembra provocata da una domanda solenne, anzi da uno « scongiuro », fatta quasi apposta per indurre ad una bestemmia.

Dall'insieme dei testi paralleli si deduce che a Gesù fu fatta una duplice domanda:

1) sulla messianicità: « Sei il Cristo? » ;

2) sulla divinità: « Sei il Figlio di Dio? ».

In Matteo e Marco le due domande sono unite; in Luca invece sono nettamente distinte.

Gesù risponde alle due domande.

Stando alla descrizione di Luca ( e forse di Matteo ) Gesù avrebbe risposto alle due domande, sulla messianicità e sulla divinità, in modo differente, e cioè evasivamente alla prima e affermativamente alla seconda.

Ma per quale motivo l'affermazione di Gesù: « Vedrete il Figlio dell'uomo sedere alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo » è considerata come una bestemmia?

La bestemmia non consisterebbe nell'una o nell'altra delle due espressioni, in sé ammissibili anche per un Ebreo, ma precisamente nella loro unione.

Il senso della bestemmia avvertito dal Sinedrio consisterebbe nella sintesi geniale operata da Gesù, delle due espressioni; infatti la « sessione alla destra di Dio » da metafora si trasforma in realtà se collocata sulle nubi del cielo.

S. Giovanni, della dichiarazione di Gesù davanti al Sinedrio, non riferisce nulla; un semplice accenno di carattere cronologico: « Anna lo mandò allora legato dal pontefice Caifa » ( Gv 18,24 ).

Il silenzio di Giovanni si può forse spiegare tenendo presente che del processo di Gesù è pieno tutto il suo vangelo; infatti già al cap. X viene posta a Gesù la domanda sulla messianicità « Lo circondarono dunque i Giudei e gli dicevano: " Fino a quando terrai sospeso il nostro animo? Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente ".

Rispose loro Gesù: " Ve lo dissi e non credete; le opere che faccio in nome del Padre mio, esse testimoniano di me … Io e il Padre siamo uno ".

I Giudei presero allora dei sassi per lapidarlo » ( Gv 10,24-31 ); nello stesso capitolo si parla di « bestemmia » ( v. 36 ) e della condanna a morte: « Cercavano allora di prenderlo, ma egli sfuggi dalle loro mani » ( v. 39 ).

È in questo modo che Gesù qualifica la sua messianicità, anzitutto scartando le prospettive unicamente terrene e realizzando la sua missione attraverso, l'obbedienza, la bontà, le sofferenze e la morte.

La resurrezione lo costituisce « Signore »; le apparizioni stesse sono segni di una nuova presenza che dovrà continuare.

« … Perciò anche Dio lo esaltò e gli fece dono del nome che sta sopra ogni altro nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio dei celesti, dei terrestri e dei sotterranei e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre » ( Fil 2,9-11 ).

P. Igino Tubaldo I.M.C.


Dio il quale « vuole che tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità », « dopo avere a più riprese e in più modi parlato un tempo ai padri per il tramite dei profeti », quando venne la pienezza dei tempi mandò il suo Figlio, Verbo fatto carne, unto di Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti, « medico di carne e di spirito », Mediatore tra Dio e gli uomini.

Infatti la sua umanità, nell'unità della persona del Verbo, fu strumento della nostra salvezza.

Per cui in Cristo « avvenne la nostra perfetta riconciliazione con Dio ormai placato … » quest'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio … è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata Passione, Risurrezione da morte e gloriosa Ascensione …

( Sacrosanctum Concilium 5 )