Realizzazione del Vangelo della Carità |
B271-A7
Stralci dalla conferenza di Mons. Giuseppe Pollano del 27/4/96 nel Gruppo Famiglia dell'Unione
Così come tutta la cultura umana può essere considerata un grande tentativo,1 così con riguardo alla famiglia si può formulare lo stesso giudizio, ossia che la famiglia è un tentativo.
Questa affermazione, particolarmente al giorno d'oggi, risulta vera e non un semplice modo di dire.
Basti pensare che il progetto antropologico che da sempre chiamiamo « famiglia », e che risponde essenzialmente ad un preciso disegno biblico, ha l'obiettivo del raggiungimento della felicità.
Questo obiettivo si innesta nel più generale piano di Dio che ci ha creati per essere felici, finalità questa che solo il cristianesimo ha il coraggio di affermare, e ciò con riguardo non solo alla prospettiva esistenziale che ci perviene da Lui nostra eterna felicità, ma anche per quelle circostanze che ci offre la vita vissuta nell'adempimento della sua volontà, non dimenticando che ogni felicità viene da Dio.
Ed è un fatto assodato che quando due giovani si sposano hanno la convinzione di essere nella felicità e di sempre più incrementarla.
Tale obbiettivo della felicità da raggiungere, si prospetta per due vie, così espresse con efficacia dalla Sacra Scrittura:
« I due saranno una carne sola » ( Gen 2,24 );
« Siate fecondi e moltiplicatevi » ( Gen 1,28 ).
Quanto alla prima, in essa, secondo il linguaggio biblico, con il termine « carne » si intende tutta la natura umana della persona, certo la parte fisica, ma anche quella spirituale, intelligente e libera.
Il significato pertanto è che i due costituiscono una sola umanità, e ciò indipendentemente dall'esito che possa avere l'unione.
Anche per la seconda, il significato va inteso nel senso profondamente umano di espandere questa stupenda apparizione della vita che è l'uomo, capace di intendere, di amare e di dialogare con Dio.
E proprio all'uomo è affidato da Dio il suo piano creativo di diffondere a molti viventi la sua felicità, grazie appunto alla fecondità dell'amore.
Queste due affermazioni, profonde ma semplici, fanno subito capire che la famiglia è un tentativo, perché la storia di due che diventano una umanità sola è lunga, è lunga come la vita.
Pertanto l'integrazione non è mai finita, va sempre sviluppata e soprattutto non deve ristagnare in una specie di rassegnazione di convivenza parallela, educata, ma che nella fusione in una umanità sola non ci crede.
Dobbiamo ringraziare Dio se la nostra storia coniugale continua su questa via dell'integrazione.
Il progetto non è facile perché siamo personalità diverse con provenienza da luoghi diversi, per cui l'integrazione con l'altra persona è sempre un'avventura.
E la difficoltà non scaturisce solo da una nostra possibile cattiveria, ma dalla circostanza che l'ostacolo è intrinseco nella nostra natura, nonostante le inevitabili tendenze a diventare una « sola carne ».
Problematiche analoghe si pongono per la seconda via, quella della procreazione, nei rapporti con i figli, per le difficoltà di dialogo con delle creature che se da un lato risultano tutte dei genitori, dall'altro sembra che esse vogliano essere tutto tranne che del padre e della madre.
Anche a questo riguardo si pone l'avventura della reciprocità con i propri figli, con il rispetto della loro libertà, che viene dichiarata sacrosanta, ma che tuttavia è così difficile da amare quando ci delude.
Da queste brevi considerazioni emerge come nella famiglia umana non vi sia la certezza del risultato, come d'altra parte ci viene confermato dalle statistiche di famiglie in frantumi, il che pare debba smantellare ottimismi facili.
Probabilmente l'ostacolo più insidioso è l'insufficienza del nostro amore, e anche qui non perché non si voglia amare, tutt'altro, ma perché ci rendiamo conto che questa nostra capacità di amare nell'immaginario è infinita, ma nel concreto è finita, cioè tocca dei limiti, e questo fa parte della nostra natura di creatura.
Quando l'altro, o l'altra, o gli altri mi chiedono di essere amati, e io mi rendo conto che le risorse possono esaurirsi, che appunto il mio amore, senza volerlo, non è all'altezza della situazione, il primo ad essere deluso sono proprio io.
Ci sono persone che sanno nobilmente soffrire, perché sembra loro di non sapere amare abbastanza: è una nobile sofferenza, ma con tutto questo il fatto c'è, cioè l'insufficienza ad amare.
A ciò si aggiunga un altro aspetto delicato che può verificarsi, quello della « ambiguità », cioè la nostra terribile capacità di fare tutto e il suo contrario, che nel vissuto dell'amore diventa: « tu mi ami e mi fai soffrire ».
Tutto questo è ciò che gli uomini soffrono nella loro grande speranza familiare, la quale ancor oggi, malgrado tutto, è da ritenere sia la più grande speranza che gli uomini nascondono nel cuore.
A molte altre speranze siamo stati costretti a rinunciare, sia d'ordine culturale che politico, ma a questa non si può venir meno.
Anche i giovani che sembrano più antimatrimoniali, più trasgressivi, nascondono nel cuore questo sogno: magari ricorrendo ad altra denominazione, ne faranno quello che vogliono; ma il sogno c'è, perché è stato stampato da Dio.
Oggi la famiglia non è un tentativo forte, diversamente da come lo era, ad esempio, nel secolo scorso.
Allora si fidava moltissimo di certi valori che poteva anche realizzare; pensiamo cos'era la fedeltà coniugale nella mentalità dell'ottocento: non che non ci fosse l'adulterio, ma l'adultero o l'adultera erano dei clandestini, erano bollati socialmente, e c'erano alcune certezze di fondo.
Anche allora era un tentativo così come oggi, quindi con una bella dose di illusioni, però era un tentativo più forte, che non si rassegnava facilmente.
Oggi invece il tentativo della famiglia è debole, i nostri giovani si scoraggiano presto.
L'amore lo si può interpretare in molti modi e siamo in un'epoca in cui anche l'amore patisce un'interpretazione tecnica, poco capace di slancio profondo, di costruttività, di responsabilità: quest'ultima è una parola che pare non si possa più pronunciare oggi, tanto è vero che i moralisti contemporanei invece puntano proprio su questo termine: la responsabilità.
Mons. Pollano alla Casa di Carità in occasione di una sua conferenza
( da sinistra fr. Felice Proi, prof. Baiano, mons. Pollano, don Allais, dr. Moccia ).
Riscontriamo tra i giovani una preoccupazione latente, una paura di fondo, una diffidenza diffusa.
Siamo ormai legatissimi all'effimero ed essendo scomparso il « per sempre », i giovani ci soffrono molto e sono costretti a porsi la domanda della provvisorietà.
Molti giovani ritengono strano, quasi assurdo, dare il sigillo del « per sempre » a una realtà che pur sperano con tutto il cuore che vada bene.
La parola che consola e vince la precarietà è l'eterno, come afferma Gesù: « Sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza » ( Gv 10,10 ), l'eterna vita, non chissà quale e chissà quando, ma la vita forte di Dio che ci è già data, l'eternità che ci fa camminare sicuri.
Il bisogno di ricordare che l'eterno c'è tra noi, che Dio è con noi.
E qui ci soccorre il messaggio evangelico.
Il Vangelo della carità s'innesta specialmente nella famiglia.
Il Vangelo della carità è stato espresso da Gesù con le sue celebri parole: « Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici » ( Gv 15,13 ).
Non quelli che ci sono già, ma quelli che fai diventare amici proprio perché vuoi loro bene.
Ricordiamo la parabola del samaritano.
La carità è molto forte.
Diremmo quasi troppo forte, pur essendo cristiani.
Il sangue di Cristo è il segno della vita data, ed è un comando, il Signore ha precisato: « Come io ho amato voi, voi vi amerete gli uni e gli altri » ( Gv 15,12 ), ma questo non l'ha detto per portarci a degli eroismi, ma perché sapeva benissimo che è questa la formula della felicità anche in questo mondo.
Solo chi non lo crede e non lo accetta, un po' infelice lo sarà sempre, magari anche tanto, pur nello sforzo di amare, dato che da soli a più di tanto non ci riusciamo.
Gesù aveva in mente una scala di amori, infatti dice: « Nessuno ha un amore più grande di questo ».
Allora non è l'unico.
Egli sa che tutti gli amori ci promettono un poco di felicità altrimenti non ameremmo, e allora ci dice chiaro che se vuoi che il tuo cuore sia sazio dell'amore che tu desideri, da la vita e troverai l'Amore.
Dice anche che « Chi è pronto a sacrificare la propria vita per me, la ritroverà » ( Mt 10,39 ).
Parole dette dalla Verità.
Allora, in cosa consiste questa buona novella?
Notiamo che la parola « Vangelo » ha un'origine storica, era la buona notizia che lo schiavo portava al re, quando la battaglia era stata vinta: ed otteneva la libertà.
Quindi poter annunciare il Vangelo è una notizia di vittoria, vincente sulla nostra infelicità e delusione, sulle nostre fatiche.
Sussiste questo amore perfetto, capace di realizzare la felicità umana.
È possibile dunque una felicità umana, meta inutilmente ambita da ogni tipo di amore, però non la troviamo in tasca, non è nei nostri tipi di amore, ma è quella che ci deve regalare Gesù.
Il progetto di vita è: su quali amori tu ti stai basando per essere felice?
Dobbiamo avere il coraggio di dirlo.
C'è anche il giovane che può decidere di lasciare la pagina bianca, perché non ha nessun amore che lo lusinghi particolarmente, perché avverte una delusione, una ribellione, ma non una rinuncia.
Tutti questi amori non ce la fanno a renderci felici: la carità sì.
Il Vangelo è questo.
Tutto è possibile a chi ama, in campo di felicità.
Il Concilio, nella costituzione pastorale Gaudium et spes, al n. 48, scrive: « L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi, in maniera efficace, siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nella sublime missione di padre e madre ».
Mai scoraggiarsi, perché il Signore è venuto per i poveri.
Il Signore tutti i giorni è lì al nostro servizio e ci da una mano quando ci sente carenti di sostegno, un po' in crisi.
La carità non è una specie di tappabuchi per quando siamo in crisi; e se noi cristiani cambieremo in meglio, come tutti ci auguriamo, allora sarà perché assumeremo davvero la carità come un'arma, non soltanto come un qualcosa di ripiego.
Una riunione del Gruppo Famiglia, presso la sala conferenze del Santuario della Consolata.
La famiglia che si ispira concretamente al Vangelo come prassi di vita, da un'anima nuova ai legami d'amore che l'avvincono e si trasforma in cristianesimo vissuto.
Non è però ancora investita dalla carità una famiglia buona, praticante nel senso usuale del termine, che però nella sostanza si lasci avvincere ancora da amori poco generosi, come quando si vive in definitiva per conseguire un guadagno, un successo o una sistemazione; questa situazione non sarebbe ancora propriamente cristianesimo.
Le indicazioni per essere veramente permeati dalla carità ci vengono da Gesù, dal suo insegnamento.
Facendo particolare riferimento al discorso della montagna, si tratta di vivere, in casa e in famiglia, tali precetti, con le grandi e sublimi indicazioni della gratuità, della misericordia, della lealtà reciproca, della purezza di cuore, del perdono.
Si realizza in tal modo il progetto evangelico familiare, che non usa la carità come rimedio di emergenza, ma come forma strutturale della esistenza quotidiana.
In tal modo avremo possibilità di « edificarci nella carità » ( Ef 4,16 ).
E il Vangelo che da un significato alla nostra vita, poiché anche se esso ha un'importanza pratica, proviene però dal Verbo, dal « Logos »: è la logica di Dio, è la logica per eccellenza, è l'intelligenza della vita.
Se la carità entra nel nostro amore, l'amore vince, l'ha garantito Gesù.
E avremo anche su questa terra quella felicità che Dio serba per chi vuole entrare nella sua casa.
Giuseppe Pollano
( stralci dal testo ricavato dalla conferenza, a cura di Riccardo Mottigliengo, non rivisto dall'Autore ).
1 Cfr. G. Pollano, Cultura e santità, Piemma 1995