Convegno ecclesiale di Verona |
Moderatore: Paolo Pezzana, operatore sociale, Caritas italiana, Genova
Segretario: Maria Antonella Di Bello, insegnante, Potenza
17-18 ottobre 2006
Il gruppo ha messo a fuoco diversi snodi, alcuni dei quali evidenziati, altri rimasti in ombra nelle relazioni precedenti.
- Le migrazioni.
Alcuni nostri fedeli sembrano affrontare il fenomeno migratorio con sospetto e diffidenza.
Una vera identità non ha paura dell'alterità, anzi si completa attraverso di essa.
Occorre guardare con speranza al domani, perché le migrazioni, conseguenze di una globalizzazione sperequata e consumistica, sono in atto e non si fermeranno, a meno di mutare il modello di sviluppo.
La persona migrante, con la sua storia spesso intrisa di disagio e con le sue esigenze di integrazione e di salvaguardia della propria identità, è una priorità per la Chiesa.
Dobbiamo fare memoria delle esperienze passate di migrazioni in cui spesso solo la Chiesa ha saputo offrire profetica prossimità.
Grazie a questo impegno, si sono spesso raggiunti livelli di civiltà dai quali non si può arretrare.
Non è un compito estraneo alla Chiesa ma conseguenza della sua intrinseca missionarietà.
- I giovani.
Non sembra esserci una sufficiente cittadinanza « alla luce del giorno » per i giovani, sia nella società che nella Chiesa.
Probabilmente da questa, come dalle altre fragilità sociali che li investono, viene una sempre più frequente loro evasione « nella notte », vissuta come illusione di un protagonismo altrimenti negato.
Una Chiesa che promuove poco i giovani si prende poca cura del proprio futuro.
Educare vuol dire accompagnare e favorire la partecipazione, dando fiducia alle capacità educative e di discernimento dei giovani stessi.
- I cammini formativi.
In questi anni abbiamo fatto progetti ma non attivato abbastanza percorsi; le catechesi ordinarie mancano dei temi reali della vita, dell'educazione alla cittadinanza ecclesiale e civile.
Non abbiamo bisogno di nuove strutture ma di un nuovo modo di vedere la parrocchia e la pastorale come casa della speranza, dalla quale scaturiscono cammini di testimonianza.
- I linguaggi.
I nostri linguaggi non sempre permettono di trovare convergenze di valori su concetti comuni.
Occorre una purificazione del linguaggio per fare unità anche laddove oggi si rischiano divisioni.
Non sarà nominalismo ma un frutto della conversione alla speranza.
- La politica.
Senza animazione cristiana della politica, le città escludono il debole e il diverso, e vanno verso modelli fortificati che non rispecchiano il Vangelo dell'accoglienza.
Tuttavia la solitudine accompagna spesso chi si impegna in politica da cristiano, e le nostre comunità appaiono spaventate dalle possibili divisioni conseguenti alla scelta di uno schieramento che oggi il bipolarismo impone.
Occorre attivare percorsi di sussidiarietà, con stili di vita umili, coerenti e trasparenti che diano visibilità ai valori e alle tradizioni già presenti nel tessuto sociale ed ecclesiale.
In tal modo la comunità cristiana potrà sostenere senza imbarazzi persone e progetti politici di autentico servizio, che portino a superare una diffusa cultura clientelare o della raccomandazione e del privilegio, da cui anche la Chiesa non sembra esente.
Il tutto in una prospettiva di accoglienza della pluralità non solo ad extra ma anche ad intra ecclesiae, che riconosca nella città dell'uomo il kairos per la fraternità.
Dobbiamo obbedire al Vangelo prima che agli uomini: non tutto ciò che è legale è anche evangelicamente legittimo.
La Costituzione italiana, che tanto deve al cattolicesimo, disegna uno Stato che non è un pericolo ma un valore, denso di possibilità di speranza qualora i cristiani italiani, coscienti della loro idea di Stato, partecipino ad animarne le istituzioni.
A partire dalla dottrina sociale della Chiesa, con realismo cristiano, vanno elaborate visioni e prospettive nuove sulla città che, come Chiesa, vogliamo abitare.
Nelle comunità si possono trovare convergenze sui valori e sulle grandi tematiche antropologiche, ma altro è sperimentare e vivere con coraggio scelte di testimonianza coerenti con il Vangelo.
Il terreno più fertile per accogliere queste sfide è la Chiesa locale, se si apre al territorio e se sa essere casa per tutti, luogo popolare, in cui ognuno si senta cittadino della Chiesa e del mondo.
Alcuni pericolosi segnali di fondamentalismo sembrano attraversare anche le nostre Chiese; per questo occorre promuovere una corretta cultura dell'identità, in cui sviluppare il senso di appartenenza alla Chiesa, al popolo e alla funzione pubblica delle istituzioni.
Un ruolo tutto particolare va riconosciuto alle donne.
Al centro delle preoccupazioni della Chiesa dovrà restare il debole, con i suoi diritti di cittadinanza e le sue potenzialità, che ne fanno una risorsa.
Allo stesso modo va affrontata la « questione meridionale ».
La prossimità come stile ecclesiale può testimoniare alla società un modo di essere cittadini attivi e responsabili, a partire dalla memoria delle esperienze di cittadinanza che, nate « sui sagrati delle chiese », hanno generato istituzioni a servizio dell'uomo.
Sulla responsabilità nei confronti del fratello saremo giudicati l'ultimo giorno, per questo non si può improvvisare; occorrono percorsi educativi da proporre per tutto l'arco della vita con catechesi appropriate e aperte.
La presenza dialogante dei cristiani potrà così rivelarsi al mondo con una propria identità ed essere visibile senza demagogie.
L'appartenenza all'Europa e la costruzione di una costituzione comune sono il territorio in cui più spendersi come cristiani.
Le scuole di formazione all'impegno sociale e politico vanno ripensate e rilanciate sia a livello « alto », con corsi qualificati, sia a livello popolare, con iniziative diffuse nei territori.
I luoghi di formazione vanno messi in rete, e la stessa CEI potrebbe coordinarle, anche via web.
Da qui deve scaturire per i laici la competenza a leggere le scelte sociali e politiche, e la capacità di intervenire nei processi partecipativi nei quali si formano, come piani di zona, bilanci comunali, i comitati di quartiere.
Il volontariato, il terzo settore, la protezione civile ed esperienze forti di cittadinanza come quella del servizio civile, rappresentano investimenti educativi e prassi di testimonianza fondamentali per la Chiesa.
Nella scuola vanno riproposte e attualizzate come opportunità di accesso alla cittadinanza esperienze di centralità educativa della persona quali quelle dei santi educatori.
La presenza di mediatori culturali nelle scuole, negli sportelli, nei servizi ecclesiali, potrà rivelarsi un'utile risorsa per integrare tutti.
Attenzione, in un'ecclesiologia di comunione, andrà riservata ai progetti e ai percorsi formativi dei futuri presbiteri e diaconi, affinché non trascurino le tematiche sociali.
La centralità della Parola e dell'Eucaristia dovrà essere il fondamento e l'alimento dell'impegno concreto del cristiano nella città.
In questa ottica il potere potrà essere depurato dalle valenze negative e assunto come strumento di un'autorità al servizio del bene comune.
Più attenzione alla pastorale integrata sarà risorsa preziosa per vivere in pienezza tale unità della vita cristiana.
L'ascolto autentico dei laici da parte della gerarchia è indispensabile.
L'istituzione di un « consiglio dei laici » potrà assolvere tale compito e la Chiesa potrà così formulare indicazioni e strategie più concrete per difendere la propria identità, fronteggiare le sfide culturali, mobilitarsi per lo sviluppo sostenibile e la lotta alle ingiustizie.
Occorre non isolare gli anziani, stimolare una nuova legislazione sulla cittadinanza, in una logica di graduale sostenibilità che consideri le esigenze di tutto il Paese.
In campo pastorale andrà curata l'integrazione delle comunità di immigrati cristiani nelle nostre Chiese locali.
Occorre pensare i nostri cammini in maniera « misurabile », per sottoporli a verifica periodica, anche spiritualmente.
Si auspica la possibilità di una verifica quinquennale delle ricadute pastorali e sociali dei convegni ecclesiali.
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