Evang. e sacr. della Penitenza e dell'Unzione degli infermi |
32. La conversione è dimensione permanente della vita cristiana.
Essa implica infatti l'appello e il dono dell'amore di Dio in Cristo Gesù morto e risorto e la umile risposta dell'uomo per una progressiva liberazione dal peccato.
33. Per questo alle soglie del Nuovo Testamento il Battista, riferendo il tema dei profeti, lo compendia cosi: « Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino » ( Mt 3,2 ).
Gesù poi inaugura la sua missione pubblica col lieto annunzio: « Il regno di Dio è vicino », cui subito aggiunge: « Convertitevi e credete al Vangelo » ( Mc 1,15 ).
« Queste parole costituiscono in un certo senso il compendio di tutta la vita cristiana ». ( Paolo VI, Cost. Apost. Poenitemini, I 17 febbraio 1966 ).
La prima e fondamentale conversione, come liberazione dal peccato e adesione a Cristo nella fede, costituisce il momento essenziale e irrepetibile della vita cristiana, sigillato dal Battesimo.
Da quel momento abbiamo cominciato a vivere la « vita nuova », che va conservata ad ogni costo e sviluppata sempre più, individualmente e collettivamente, cosi da fare di tutta la Chiesa una vera « comunione dei santi ».
35. Purtroppo però, anziché andare avanti di progresso in progresso nella comunione con Dio e con i fratelli, possiamo anche abusare della nostra libertà imperfetta e rispondere di « no » al Signore che di continuo ci chiama.
36. Per questo la conversione battesimale deve prolungarsi in una conversione permanente, che pur ritrovando i suoi momenti salienti nei sacramenti dell'iniziazione, dovrà estendersi all'intera esistenza cristiana.
37. Il sacramento della Penitenza o Riconciliazione è il segno efficace specifico di questa conversione.
Esso consente infatti di recuperare, per chi non è rimasto fedele alla grazia del Battesimo, la partecipazione alla vita divina o di rinvigorirla laddove si fosse affievolita.
38. Il rilievo di situazione ha messo in evidenza che la crisi del sacramento della Penitenza ha per sua causa principale lo smarrimento della giusta dimensione della stessa penitenza e l'affievolimento o perdita del senso del peccato.
Non per nulla affermava già Pio XII: « Forse il più grande peccato del mondo d'oggi è proprio quello di aver perso il senso del peccato ».
Il peccato nella sua più profonda realtà è un « mistero » che non può esser pienamente compreso senza la fede.
Per la Bibbia, che della fede è la regola suprema, il peccato è non solo un male, ma il più grande male, la causa di tutti i nostri mali.
40. Secondo la rivelazione, infatti, il peccato, rispetto a Dio, più che trasgressione di una legge morale, è il non volerlo riconoscere come Padre e come unica fonte della vita: è chiusura a lui, rifiuto della sua amicizia.
È soprattutto rottura dell'Alleanza e perciò viene qualificato, già nell'Antico Testamento, come infedeltà, adulterio, prostituzione, idolatria e scisma; mentre per il Nuovo Testamento è addirittura il tentativo di crocifiggere nuovamente il Cristo ( Eb 6,6 ), rifiutando il suo dono di amore e opponendosi al suo disegno di salvezza.
41. Il peccato, rispetto all'uomo, è lacerazione personale interiore, alienazione da se stessi e dagli altri.
Chiudendo nella prigione dell'egoismo, il peccato, come insegna il Concilio, è « una diminuzione dell'uomo » ( Gaudium et spes 13 ), di cui rende labile la volontà e ne deforma il libero arbitrio ( cfr. Rm 7,14 ), impedendogli così di realizzare se stesso e di conseguire la pienezza della vita, alla quale Dio lo chiama.
42. Il peccato ha sempre una dimensione ecclesiale e sociale.
Ogni peccato, infatti, anche quando non offende direttamente i fratelli, è sempre « una ferita inflitta alla Chiesa » ( Lumen gentium 11 ) ed è contro la vera e autentica solidarietà del genere umano.
« Per un arcano e misericordioso mistero della divina Provvidenza, gli uomini sono uniti fra di loro da uno stretto rapporto soprannaturale, in forza del quale il peccato di uno solo reca danno a tutti, e a tutti porta beneficio la santità del singolo » ( Paolo VI, Costo Apost. Indulgentiarum doctrina, 4, 1 gennaio 1967 ).
Giustamente perciò si è detto: ogni anima che si eleva, eleva il mondo; ogni anima che si abbassa, abbassa il livello di santità della Chiesa.
Secondo le immagini della Bibbia ogni peccatore, che sia formalmente e gravemente tale, è cisterna vuota, ramo secco, mano paralizzata, lucignolo fumigante.
Il peccato ha essenzialmente una dimensione personale.
Oggi tuttavia si denunzia con frequenza il peccato « collettivo » o il « peccato del mondo », intendendo con tale appellativo, certamente analogico, qualificare i fenomeni più terrificanti di un perdurante stato di ingiustizia nell'odierna società: come ad esempio la guerra, la tortura, le discriminazioni razziali, la manipolazione delle persone e dell'opinione pubblica, ecc.
La denuncia del peccato collettivo, quando non sia un alibi, quando cioè non intenda escludere la complicità personale, segna un vero progresso nella coscienza religiosa e morale dell'umanità.
La considerazione dei condizionamenti psicologici e sociali, ai quali è sottoposto particolarmente l'uomo moderno, fa porre a molti la questione se e quando possa esservi il peccato grave.
Ovviamente la misura della consapevolezza e della libertà interiore e quindi della gravità del peccato potrà variare a secondo dell'età, delle circostanze e delle persone.
I fatti stessi non hanno tutti, d'altronde, la medesima gravità.
Se quindi non è sempre facile delimitare la frontiera fra peccati gravi e peccati veniali, vi sono comunque azioni o negazioni che, per il loro oggetto e per le circostanze che li accompagnano, rivestono il carattere di peccati gravi.
Pur lasciando a Dio il giudizio definitivo della responsabilità personale di ognuno, bisogna riconoscere all'uomo questo tremendo potere di distaccarsi dal suo Creatore e Redentore, trasgredendo consapevolmente e deliberatamente in materia grave le esigenze del suo amore.
45. Fino dai primi secoli del crIstianesimo, senza che si fosse ancora arrivati alla chiara distinzione tra peccati mortali e peccati veniali, si ammise che vi fossero peccati più gravi e peccati meno gravi e si giudicarono con particolare severità le negazioni più radicali di Dio e dell'uomo.
Già nei testi neo-testamentari si denunzia con estremo rigore l'apostasia, l'idolatria, l'omicidio e l'adulterio come colpe che escludono dalla comunione con Dio e con i fratelli, e perciò impediscono la partecipazione all'Eucaristia ( cfr. At 15,20 ).
46. Rimanendo inalterata la gravità di tali colpe, se si esamina la situazione attuale della società e il comportamento degli uomini alla luce della parola di Dio e dell'insegnamento della Chiesa, si scoprono oggi altre forme storiche di peccato che meritano non minore severità di giudizio.
La corruzione amministrativa, la speculazione edilizia, l'abuso di potere, il commercio pornografico e altre forme di oppressione dell'uomo nascondono subdolamente, sotto l'involucro di strutture sociali, gravissime responsabilità di persone e di gruppi.
Un richiamo alla coscienza pubblica e privata della gravità di tali colpe si rende oggi teologicamente e pastoralmente necessario.
47. Tuttavia non va dimenticato che la causa ultima dei peccati dell'epoca moderna è il diffuso atteggiamento di rifiuto consapevole di Dio, di Cristo e della sua presenza nella Chiesa.
Giovanni nel quarto Vangelo considera peccato per eccellenza il rifiuto della luce che viene da Cristo Signore: « La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.
Chiunque infatti fa il male, odia la luce » ( Gv 3,19-20 ).
Nel giudizio della gravità del peccato non si può dimenticare il ruolo determinante della coscienza, che « è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità propria » ( Gaudium et spes 16 ).
È nel cuore, secondo Gesù, che si cela la vera sorgente di ogni male: « Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo.
Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo » ( Mc 7,20-23 ).
49. È la coscienza, quindi, che giudica in concreto ciò che è bene fare e ciò che invece è male.
« Nell'intimo della coscienza - dice infatti il Concilio - l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce che lo chiama sempre, ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fai questo, fuggi quest'altro » ( Gaudium et spes 16 ).
La coscienza, tuttavia, non è pienamente autonoma, ma deve di continuo riferirsi alla espressa volontà di Dio.
Non dovrà dimenticarsi, perciò, che essa deve essere illuminata dalla parola di Dio, trasmessa e autenticamente interpretata nella Chiesa e in tal modo rettamente formarsi ed educarsi.
Secondo l'affermazione del Concilio « la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa insieme e bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento » ( Lumen gentium 8 ).
In questo dinamismo penitenziale ci è dato di scoprire ad un tempo, senza pessimismi deprimenti, la miseria dell'uomo peccatore e la grandezza cui lo chiama l'amore di Dio.
Dio in verità ci ama senza misura.
Anche quando, peccando, ci allontaniamo da lui, egli non ci abbandona ( cfr. Lumen gentium 2 ).
« In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » ( 1 Gv 4,10 ).
La storia della salvezza non è altro, in fondo, che la storia dei continui interventi del Signore per strappare l'uomo al suo peccato.
Se svela il mistero del male, rivela anche il mistero della infinita misericordia di Dio.
52. Gesù, rivelatore supremo dell'amore del Padre, è venuto a cercare non già dei giusti, ma dei peccatori ( cfr. Lc 5,32 ), poiché « non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati » ( Lc 5,31 ).
Egli che odia il peccato, ma ama i peccatori e la cui gioia sta nel perdonare ( cfr. Lc 15 ) non si limita ad attendere, ma cerca costantemente coloro che si sono allontanati da lui.
53. La penitenza non è un semplice invito, ma è una grazia del Signore che per primo si muove alla ricerca della pecora smarrita e offre all'uomo peccatore la luce e l'aiuto per uscire dalla prigione del proprio egoismo.
« Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato » ( Gv 6,44 ).
La penitenza, che è dunque essenzialmente dono del Padre, per la mediazione del Figlio, tramite lo Spirito, è anche opera dell'uomo, in quanto collaborazione volenterosa alla grazia di Dio e accettazione della sua iniziativa di amore.
Per questo il Signore ammonisce: « Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo » ( Lc 13,5 ).
La penitenza cristiana deve essere necessariamente « conversione », « deve cioè coinvolgere l'uomo nel suo intimo » ( Rito della Penitenza, n. 6 ).
Sotto la luce e la mozione della grazia di Dio, il penitente compie il cammino inverso a quello del peccato.
Il suo è cambiamento di rotta, è distacco dal male, è l'esodo da una situazione di schiavitù per tornare sulla via di Dio.
Convertirsi è diventare evangelicamente fanciulli ( Mt 18,3 ), significa cioè donarsi a Dio con semplicità di cuore e mettersi alla sequela del Signore, persuasi che lui solo è « la via, la verità e la vita » ( Gv 14,6 ).
La vera penitenza è insomma la metànoia evangelica, ossia « un cambiamento intimo e radicale di tutto l'uomo, in forza del quale egli comincia a pensare, a giudicare e a riordinare la sua vita, mosso dalla santità e dall'amore di Dio » ( Paolo VI, Costo Apost. Poenitemini, I, 17 febbraio 1966 ).
Nella misura in cui è autentica riconciliazione col Padre, la penitenza è anche riconciliazione coi fratelli e con la Chiesa.
55. Molti sono i modi e i gesti con i quali il cristiano nella Chiesa esprime e pratica la penitenza:
con la preghiera personale e comunitaria,
con la sopportazione delle prove in unione alle sofferenze di Cristo,
con le opere di misericordia e di carità,
con l'intera esistenza offerta in sacrificio spirituale ( cfr. Rito della Penitenza, n. 4 ).
La contrizione però è l'anima della conversione cristiana e quindi di ogni gesto penitenziale.
Essa non si identifica con un rimorso, depressivo e avvilente, che divora e paralizza; né col senso di colpa di cui parla la psicanalisi, e nemmeno col pentimento motivato soltanto dal timore dei castighi meritati.
È invece il rincrescimento sincero per aver offeso Dio infinitamente buono e per aver recato danno ai fratelli.
Esso si accompagna al proposito di voler restare fedeli al Signore per la vita e per la morte.
57. La contrizione perfetta, in virtù dell'amore che la produce, dà la « giustificazione », ottiene cioè il perdono dei peccati prima ancora dell'assoluzione sacramentale.
È necessario tuttavia, qualora si tratti di colpe gravi, che si abbia il proposito almeno implicito di sottoporle, non appena sarà possibile, al confessore nel sacramento della Penitenza.
Non è conciliabile con l'insegnamento della Chiesa la teoria secondo la quale l'Eucaristia, che pure è efficacissimo « antidoto che ci libera dalle nostre colpe quotidiane e ci preserva dai peccati mortali » ( Paolo VI, Istruz. Eucharisticum Mysterium, 35, 25 maggio 1967 ), perdonerebbe il peccato mortale anche senza che il peccatore ricorra al sacramento della Penitenza.
L'affermazione del Concilio di Trento che l'Eucaristia rimette i peccati gravi ( « peccata etiam ingentia » ) va vista nella luce di tutto il documento conciliare.
Essa significa che il sacrificio della Messa, da cui proviene alla Chiesa ogni grazia, ottiene al peccatore il dono della conversione senza cui il perdono non è possibile; al tempo stesso corrobora il penitente già riconciliato con Dio nella lotta contro le tentazioni, suscitando in lui il fervore della carità.
Ciò non significa affatto che quelli, che hanno commesso un peccato veramente mortale, possano accostarsi alla comunione eucaristica, senza essersi prima riconciliati con Dio nella Chiesa: la necessità di confessare i peccati mortali infatti deriva non solo dal precetto della Chiesa, ma dalla volontà stessa di Cristo.
La Chiesa, sacramento universale di salvezza, ha dal Signore il dono di uno specifico sacramento, che suggella e porta a compimento l'itinerario penitenziale del cristiano.
Cristo infatti ha istituito il sacramento della Penitenza o Riconciliazione come mezzo ordinario per rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo.
Egli stesso, dopo la sua resurrezione, effondendo sugli Apostoli lo Spirito Santo, ha conferito ad essi e ai loro legittimi successori tale missione e facoltà ( cfr. Gv 20,19-23 ), ossia il dono di far rivivere nello Spirito quanti a causa del peccato sono stati privati della vera vita.
60. Il sacramento della Penitenza è la via ordinaria e necessaria alla salvezza per tutti coloro che dopo il Battesimo sono caduti in peccato grave.
I Padri consideravano questo sacramento come un « secondo Battesimo laborioso ».
Nell'antica prassi veniva designato con i termini significativi di « riconciliazione », « pace », « comunione ».
61. Con questo sacramento « la Chiesa proclama la sua fede, rende grazie a Dio per la libertà con cui il Cristo ci ha liberati, offre la sua vita come sacrificio spirituale a lode della gloria di Dio» ( Rito della Penitenza n. 7 ).
Non va, perciò, dimenticato che la celebrazione della Penitenza è sempre un atto di culto nel quale la Chiesa loda la santità di Dio e « confessa » le meraviglie del suo amore.
Tale infatti era in origine il significato della parola « confessione ».
Il sacramento della Penitenza ci inserisce nel mistero pasquale ed è specificamente un incontro con Cristo che sana, risuscita e santifica.
Il sacramento trae infatti tutta la sua efficacia dalla morte e resurrezione di Cristo.
Il Risorto si fa dinamicamente presente e rinnova, tramite la Chiesa impersonata nel ministro, l'efficace annunzio pasquale di liberazione e di salvezza.
63. Frutto del mistero pasquale è l'effusione dello Spirito che nel sacramento della Penitenza muove il credente alla coscienza del peccato e alla compunzione del cuore;
gli dà nuova vita di comunione con Dio e con i fratelli;
gli infonde nell'animo serenità e pace.
Ma attore di questo evento sacramentale non è solo Dio che ci riconcilia mediante Cristo nello Spirito; è anche la Chiesa, operante nel ministro e nell'intera comunità ed è il peccatore che si converte e vive.
65. La Chiesa, in quanto popolo sacerdotale, animato dallo Spirito Santo, partecipa pienamente alla conversione del peccatore.
Infatti essa non solo è il luogo della riconciliazione, ma anche lo strumento efficace, « con la carità, con l'esempio, con la preghiera », con la predicazione della Parola che giudica e che chiama, ed infine « mediante il ministero affidato agli Apostoli e ai loro successori » ( Rito della Penitenza, n. 8 ).
Inoltre la riconciliazione con Dio, per i vincoli che ci legano a Cristo e ai fratelli, è simultaneamente riconciliazione con tutta la Chiesa.
« Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza, ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui, e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato » ( Lumen gentium, 11 ).
La riconciliazione con la Chiesa è la condizione, anzi la espressione e in qualche modo il segno efficace della riconciliazione con Dio.
Proprio unitamente alla riconciliazione con la Chiesa si opera la riconciliazione con Dio.
« La confessione è stata istituita propriamente - dice S. Bonaventura - perché l'uomo si riconcili con la Chiesa e, cosi, rende visibile la sua riconciliazione con Dio ».
È indispensabile nel sacramento della Penitenza la funzione del ministro.
La Chiesa infatti esercita il ministero della riconciliazione per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri; essi attestano e impartiscono la remissione dei peccati nel nome di Cristo e nella forza dello Spirito Santo.
Per svolgere fedelmente il suo ministero il confessore deve esercitare con saggezza il suo compito di giudice, e saper « diagnosticare come medico i mali dell'anima e porvi rimedio »; ma soprattutto deve essere padre e fratello che, attraverso il proprio comportamento virtuoso e umano, rivela agli uomini il cuore del Padre celeste e diventa « immagine viva del buon Pastore Gesù » ( cfr. Rito della Penitenza, n. 10 ).
68. Importantissima è la parte del penitente nella celebrazione del sacramento: « Quando, debitamente preparato, si accosta a questo salutare rimedio istituito da Cristo, egli si inserisce con i suoi atti nella celebrazione del sacramento.
In tal modo il fedele, mentre fa nella sua vita l'esperienza della misericordia di Dio e la proclama, celebra con il sacerdote la liturgia della Chiesa, che continuamente si converte e si rinnova » ( Rito della Penitenza, n. 11 ).
Le parti essenziali del sacramento della Penitenza sono la contrizione, la confessione, la soddisfazione e l'assoluzione.
Esse non vanno considerate come degli atti isolati, bensi come altrettante tappe di un processo penitenziale unitario, il cui culmine è l'assoluzione.
Tanto la conoscenza dei peccati, come tutti gli atti del sacramento non sono esclusivamente opera dell'uomo, ma sono soprattutto frutto della grazia giudicante e liberante di Dio.
Soltanto nella luce della fede l'uomo può conoscere pienamente chi è e chi deve essere, e soltanto mosso dalla grazia può giungere al pentimento e alla conversione.
« Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto.
Essa è il dolore e la detestazione del peccato commesso col proposito di non più peccare » ( Rito della Penitenza n. 6 ).
Per averla in dono da Dio, si dovrà ricorrere all'umile preghiera e mettersi davanti a lui, Amore crocifisso per i nostri peccati.
La contrizione, infatti, nasce dall'amore di carità, che lo Spirito Santo effonde nei nostri cuori ( cfr. Rm 5,5 ).
L'attrizione invece o dolore imperfetto, è generata soltanto dal timore dei castighi o dalla nausea delle proprie colpe e non è sufficiente da sola a rimettere il peccato.
Tuttavia anche essa - come insegna il Concilio di Trento - è dono del Signore e impulso del suo Spirito che, pur non abitando ancora nell'animo del peccatore, lo muove e lo aiuta a prepararsi una via per la piena riconciliazione con Dio e coi fratelli.
L'attrizione, pertanto, è una disposizione sufficiente per accedere alla Confessione, dove la grazia del sacramento può elevarla a vera contrizione.
Con questo atteggiamento di sincero pentimento personale, il penitente, allo scopo di render perfetta e definitiva la sua conversione, passa al secondo atto del sacramento e cioè alla confessione delle proprie colpe al ministro di Cristo e della Chiesa.
La confessione peraltro, in quanto comunicazione interpersonale, oltreché al comando esplicito di Cristo, risponde ad un profondo bisogno della psicologia umana.
Senza inquietudine e scrupolosità e con la persuasione che il dolore sincero è più importante della integralità materiale della confessione, si debbono « confessare al sacerdote, secondo la disposizione di Dio misericordioso, tutti e singoli i peccati gravi che con l'esame di coscienza ognuno ha presenti alla memoria » ( Rito della Penitenza n. 7 ).
Nella confessione dei singoli peccati andrà soprattutto rilevato l'abituale orientamento colpevole della volontà e della vita.
La vera conversione non si limita alle parole, ma si traduce in « soddisfazione », ossia in opere concrete e soprattutto nella penitenza quotidiana per l'emendamento della vita e per la riparazione dei danni arrecati dal peccato.
La soddisfazione, perciò, rientra nella dinamica del sacramento della Penitenza come prolungamento e conseguenza pratica della contrizione.
Le opere penitenziali, imposte dal confessore e accetate dal penitente, non potranno perciò ridursi semplicemente a un proforma: per essere segno concreto della soddisfazione e diventare « medicina efficace » e vero « rimedio del peccato », « dovranno esser commisurate a ogni singolo penitente, in modo che ognuno ripari nel settore in cui ha mancato » ( Rito della Penitenza n. 6 ).
L'assoluzione è parte culminante del sacramento; in essa appare il ruolo decisivo proprio del sacerdote che assolve ed è la ratifica ecclesiale e il sigillo sacramentale del processo penitenziale compiuto dal peccatore per ritornare a Dio.
Mediante il segno dell'assoluzione, quando sia veramente l'ultimo atto di tutto un processo penitenziale ascendente, « Dio accoglie il figlio pentito che ritorna a lui, Cristo si pone sulle spalle la pecora smarrita per riportarla all'ovile, e lo Spirito Santo santifica nuovamente il suo tempio o intensifica in esso la propria presenza » ( Rito della Penitenza n. 6 ).
Ciascun sacramento ha una sua grazia particolare.
La grazia sacramentale della Penitenza ci assimila a Cristo redentore che lotta contro il peccato e lo vince e ci comunica lo spirito di penitenza, non solo per i nostri peccati, ma anche per quelli dei nostri fratelli.
In tal modo la penitenza penetra e si esprime in tutta la vita del cristiano.
Per questo anche la confessione frequente, sempre raccomandata dal Magistero della Chiesa, è per tutti
momento importante di grazia e di crescita spirituale,
tirocinio alla lotta contro il male,
celebrazione festosa della Pasqua del Signore,
rinnovamento di giorno in giorno dell'uomo interiore ( cfr. 2 Cor 4,16 ).
75. La grazia dell'assimilazione a Cristo « penitente » per i nostri peccati inserisce più vivamente e attivamente nella Chiesa, comunità di penitenti, facendoci meglio partecipare alla sua natura e collaborare alla sua missione.
La Chiesa, infatti, è la comunità nella quale si riceve, in virtù della passione e resurrezione del Signore, il perdono di Dio e la forza di convertirsi a lui; ed è il luogo dove si denunzia il mistero della iniquità e si annunzia e si rivela al mondo il mistero della misericordia.
Il penitente, per la grazia del sacramento che diventa in lui testimonianza di vita, si fa cosi nella Chiesa e con la Chiesa, messaggero della Buona Novella dell'amore di Dio, che libera e salva.
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