Comunione e Comunità Missionaria |
31. - Tra le molte « icone missionarie » presenti nel Nuovo Testamento ve ne è una che attira più di altre la nostra attenzione: la comunità di Antiochia che prega e digiuna nel momento in cui sceglie e manda Saulo e Barnaba in missione.
« C'erano nella comunità di Antiochia prefeti e dottori …
Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati.
Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono » ( At 13,1-3 ).
La missione in tutte le sue componenti viene qui presentata da Luca, in un quadro completo e dinamico: lo Spirito Santo, la comunità, la preghiera e il digiuno, gli Apostoli, i profeti e i dottori, la parola di Dio, donata nella evangelizzazione e accolta nella fede.
Così la missione può essere considerata e vissuta come « opera » divina dove Dio chiama e lo Spirito invia ( cfr. At 13,2; At 14,26 ), e come « opera » umana della quale la Parola di Dio ci indica i modi e le vie.
32. - Una matura coscienza di missionarietà ci apre innanzi tutto all'impegno della missione universale: oltre due terzi dell'umanità a duemila anni dalla venuta di Cristo, non conoscono ancora il suo Vangelo.
Questa situazione pone alla Chiesa una sfida urgente e formidabile, soprattutto se si pensa al numero assolutamente sproporzionato di forze apostoliche che vi sono impegnate e all'insieme di difficoltà e problemi che oggi, più che in passato, si devono affrontare.
Ecco perché il generoso sforzo di guardare alla missione universale, come a una realtà propria e costitutiva della Chiesa e come un dovere imprescindibile, è un traguardo cui occorre tendere con decisione.
Esso è segno di vera maturazione ecclesiale e misura concreta del compito missionario nel nostro Paese perché ci sollecita anzitutto a incontrare l'uomo che è sulla strada, la gente delle nostre città, delle nostre borgate e dei nostri campi.
Da questa gente, spesso anonima, sale una domanda in cerca di risposta che consenta di ricuperare il senso smarrito dell'esistenza, il desidero di una più vasta fraternità e della pace, il gusto di valori morali disattesi ma non mai spenti.
A questo rinnovato compito missionario oggi siamo particolarmente sollecitati dalla presenza nel nostro Paese di non pochi fratelli e sorelle che professano altre fedi e vivono religioni diverse.
33. - Come il Papa ha fatto a Loreto, anche noi ci chiediamo: come annunciare al mondo di oggi soprattutto ai giovani che ne sono l'immagine più evidente, la ricchezza di Cristo e del suo Vangelo per innescare il vero processo di cambiamento interiore in questa società in rapida trasformazione?
Come far risuonare nel cuore della gente affannata da tanti problemi, inquieta e agitata da incertezze e paure, l'eterna parola di Verità che libera l'uomo e gli fa scoprire di essere figlio di Dio?
Come comunicare il senso religioso della vita, cioè l'impossibilità di chiuderci nella gabbia del materialismo e scoprire invece l'intima apertura dell'uomo e del mondo a Dio, creatore e padre che ci ama di un amore infinito?
Quali vie vogliamo percorrere per aprire nuove frontiere di missionarietà?
A nostro giudizio, queste sono le vie principali che una efficace missione della Chiesa nel mondo deve percorrere.
Cristo è principio e fonte di quello stile di vita che caratterizza l'esistenza del cristiano e costituisce visibile esempio di come la fede può trasformare il cuore e l'agire dell'uomo.
La via del cambiamento interiore è essenziale alla missione della Chiesa perché conduce il credente a irradiare la fede attraverso i suoi comportamenti coerenti:
di adorazione e fedeltà a Dio,
di adesione personale a Cristo e dunque di solidarietà e di servizio al prossimo,
di coraggio nella prova,
di fiducia nel bene,
di dominio di sé di fronte al male ricevuto e alla violenza subita,
di temperanza nell'uso dei beni terreni.
« Con tale testimonianza senza parole questi cristiani fanno salire dal cuore di coloro che li vedono vivere domande irresistibili:
perché sono così?
Perché vivono in questo modo?
Che cosa o chi li ispira?
Perché sono in mezzo a noi?
Ebbene una tale testimonianza è già proclamazione silenziosa ma molto forte ed efficace della buona notizia.32
L'annuncio di Cristo passa, ogni volta, attraverso la trasparenza del suo corpo, che è la Chiesa: « Voi siete il sale del mondo; ma se il sale perdesse il sapore? …
Voi siete la luce del mondo …
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli » ( Mt 5,13-16 ).
Questa parola di Gesù ci richiama alla verifica del nostro comportamento sia individuale che comunitario, prima condizione per una efficace missione nel mondo.
A Loreto il Papa ci ha esortati in questi termini: « Come potrebbe la comunità cristiana essere segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, se non vivesse in Cristo questa indissolubile unità, anzitutto al proprio interno? ».33
La presenza testimoniante della comunità è già di per se stessa una proclamazione silenziosa, ma forte e stimolante della buona novella.
Modello sempre attuale di questa testimonianza è la Chiesa di Gerusalemme; assidua nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera, essa godeva della stima di tutto il popolo, e faceva nuovi proseliti: « Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati », ( At 2,48 ).
Oggi, anche nel nostro Paese, urge la necessità di trovare forme appropriate per un primo annuncio del messaggio cristiano fedele alla parola di Dio e attento alle legittime attese dell'uomo.
La Parola infatti è « viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio » ( Eb 4,12 ).
È di tutti i credenti questo primo dovere di annunciare la fede in Cristo, per promuovere quella « coscienza di verità » che sola è capace di rinnovare la vita.
Tanto più che anche tra i battezzati, in Italia, è spesso debole la conoscenza della fede e l'accettazione dei valori morali derivanti dal Vangelo.
Ciò esige una vera e propria ri-evangelizzazione.
Al primo annuncio segue la catechesi.
Da un lato essa sostiene e fortifica la fede dei credenti e dall'altro previene i pericoli di un indebolimento della fede stessa che può arrivare alla defezione.
Ci sono molti che dalla fede, che pure dicono di professare, non sanno trarre motivi per il comportamento morale; altri abbracciano dottrine, ideologie e prassi di vita in netto contrasto con la vera fede.
La comunità ecclesiale è chiamata a ripresentare, mediante una catechesi sistematica e integra, la verità di Cristo, tutta intera, per rendere la fede sempre più consapevole e significativa per la vita e per la storia.
Sia l'annuncio che la catechesi devono essere sostenuti e accompagnati dal dialogo, nella verità e nella carità.
Ciò riguarda soprattutto quelli che hanno una fede diversa o non hanno alcuna fede.
Il dialogo apre la missione ad una duplice possibilità: da un lato di far penetrare il Vangelo nelle forme della cultura contemporanea; dall'altro, di far emergere e valorizzare quei germi evangelici di cui pure sono ricche le espressioni di vita e i valori umani presenti nella cultura del nostro popolo.
Con la liturgia e nella contemplazione, la comunità cristiana testimonia la necessità di un rapporto vivo e liberante con il Dio vivo e vero che chiama al suo Regno e alla sua gloria.
Nella società odierna il tecnicismo tende a soffocare sul piano individuale e sociale, le aspirazioni interiori dell'uomo.
In tale situazione culturale, l'evento celebrativo e la contemplazione sono un richiamo a quei valori liberanti che rispondono alle esigenze di una esistenza che rischia di essere pianificata dall'esterno.
Emerge in particolare la centralità dell'Eucaristia e della sua celebrazione festiva nel giorno del Signore.
Ma è necessario offrire celebrazioni credibili, che rivelino il volto paterno di Dio, il suo giudizio misericordioso e l'amore ai fratelli.
È dall'Eucaristia che scaturisce la missione.
Se la « missione » è un « modo di essere » modellato sul Cristo, essa inizia e muove proprio da quel Corpo donato e da quel Sangue versato che rinnova il sacrificio della croce e su questo insistentemente si misura.34
Una comunità raccolta sotto la Croce - come la nostra Chiesa si è posta a Loreto - per celebrare il sacrificio eucaristico stimola tutti a farsi missionari nel segno della riconciliazione.
Il Sinodo straordinario ha indicato nella « opzione preferenziale » per i poveri, gli oppressi e gli emarginati una delle vie che il Concilio ha aperto alla Chiesa per una sua efficace presenza missionaria.
Non si tratta di scelta esclusiva né riduttiva della missione, che resta universale e integrale: « La missione della Chiesa, sebbene sia spirituale, implica la promozione anche sotto l'aspetto temporale …
Certamente in questa missione c'è una chiara distinzione, ma non una separazione, tra gli aspetti naturali e quelli soprannaturali …
Bisogna quindi mettere da parte e superare le false ed inutili opposizioni, per esempio tra la missione spirituale e la diaconia per il mondo ».35
La Chiesa in Italia più volte ha accentuato questo impegno, sottolineando la sua volontà di « ripartire dagli ultimi e con gli ultimi », i « nuovi poveri ».36
Ciò richiede di servire i poveri nello stile del Buon Samaritano che Cristo, con la sua stessa vita, ci ha lasciato come modello ( cfr. Lc 10,25s ):
saper chinarsi sull'uomo contemporaneo minacciato da tanti mali di ordine spirituale e materiale;
fare strada « in compagnia » con lui, caricandosi dei suoi problemi, istanze e bisogni.
L'improrogabile dovere di dare a tutti il Vangelo, soprattutto se consideriamo le culture, le aspirazioni dei paesi del cosiddetto terzo mondo, pone anche alle nostre Chiese quello che sarà il problema reale del terzo millennio per annunciare validamente il Vangelo:
il cammino ecumenico con le chiese e comunità cristiane e il dialogo con le religioni non cristiane,
l'attenzione allo sviluppo dei popoli per sconfiggere povertà e ingiustizie secolari con l'impegno creativo e critico dei discepoli di Cristo,
il rispetto per i problemi dell'inculturazione da misurare sempre con la comunione cattolica, che ha la sua nota peculiare nel carisma di Pietro e nella collegialità episcopale.
Al riguardo appaiono necessari e promettenti incontri con le chiese e comunità cristiane in Italia, per avviare esperienze di preghiera, dialoghi teologici, collaborazioni nei diversi campi della vita ecclesiale e del servizio dell'uomo.
Particolare attenzione va prestata ai rapporti con la comunità ebraica, nella consapevolezza dell'unica radice che « fraternamente » ci unisce, come ha detto il Papa nella recente visita alla Sinagoga di Roma.
La presenza di molti stranieri di religione e di cultura diversa - quelli dell'Islam in particolare - richiama il dovere di coltivare e di tener vivo quello spirito di accoglienza, di dialogo e di comprensione che ci è stato tanto raccomandato dal Concilio Vaticano II.37
Nello stesso tempo ci sentiamo stimolati a mettere decisamente in atto opportune iniziative, capaci di avviare quel processo di « evangelizzazione delle culture » verso cui ci sollecita la nostra fede e lo stesso compito missionario.
Una missione che non sia permeata da tale spirito è fuori dalla logica del Vangelo.38
40. - Abbiamo indicato alcune « vie » sulle quali urge camminare, procedendo insieme con il coraggio e l'audacia dei grandi missionari di cui è ricca la bimillenaria storia della Chiesa.
È la forza dello Spirito di Dio che tiene viva e dinamica la nostra tensione missionaria, per la quale dobbiamo essere capaci anche di aprire e percorrere vie nuove.39
Dobbiamo superare una pastorale preoccupata più di conservare che di avviare forme e modi di missionarietà che incrocino le reali ed autentiche esigenze dell'uomo.
Con questo spirito facciamo nostro e desideriamo sia presente a tutti la sconvolgente testimonianza di Paolo: « Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere.
Guai a me se non predicassi il Vangelo » ( 1 Cor 9,16 ).
Indice |
32 | Paolo VI, doc. cit. n. 21 |
33 | Giovanni Paolo II, Allocuzione al 2° Convegno ecclesiale di Loreto, n. 4 |
34 | Cfr. C.E.I., Doc past. dell'Episcopato,
Eucaristia, comunione e comunità, 22.5.1983; Nota pastorale dell'Episcopato, Il Giorno del Signore, 15.7.1984 |
35 | Sinodo A vent'anni dal Relazione finale, II.D.6 |
36 | C.E.I.: Cons. Perm, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, n. 4, 23.10.1981 |
37 | Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 11 |
38 | Giovanni Paolo II, Discorso nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, n. 4s, 25.1.1986 |
39 | Cfr. Sinodo A vent'anni dal Relazione finale, II.D.6 |