Redemptionis donum |
11 Il profilo pasquale di questa chiamata si fa riconoscere sotto vari punti di vista, in rapporto ad ogni singolo consiglio.
È, infatti, secondo la misura dell'economia della redenzione che bisogna giudicare e praticare quella castità, che ognuno e ognuna di voi ha promesso con voto insieme con la povertà e l'obbedienza.
È contenuta in ciò la risposta alle parole di Cristo, che sono al tempo stesso un invito: "E vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca". ( Mt 19,12 )
Precedentemente Cristo aveva sottolineato che "non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso". ( Mt 19,11 )
Queste ultime parole mettono chiaramente in evidenza che tale invito è un consiglio.
A ciò anche l'apostolo Paolo ha dedicato un'apposita riflessione nella prima lettera ai Corinzi. ( 1 Cor 7,28-40 )
Questo consiglio è rivolto in modo particolare all'amore del cuore umano.
Esso mette maggiormente in risalto il carattere sponsale di questo amore, mentre la povertà e ancor più l'obbedienza sembrano porre in rilievo, prima di tutto, l'aspetto dell'amore redentivo contenuto nella consacrazione religiosa.
Si tratta qui - come si sa - della castità nel senso "del farsi eunuchi per il regno dei cieli"; si tratta, cioè, della verginità come espressione dell'amore sponsale per il Redentore stesso.
In questo senso l'apostolo insegna che "fa bene" colui che sceglie il matrimonio, e "fa meglio" colui che sceglie la verginità. ( 1 Cor 7,38 )
"Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore", ( 1 Cor 7,32 ) e "la donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito" ( 1 Cor 7,34 ).
Non è contenuta - nelle parole di Cristo né in quelle di Paolo - alcuna disistima del matrimonio.
Il consiglio evangelico della castità è solo un'indicazione di quella particolare possibilità che per il cuore umano, sia dell'uomo sia della donna, costituisce l'amore sponsale di Cristo stesso, di Gesù "Signore".
Il "farsi eunuchi per il regno dei cieli", infatti, non è solo una libera rinuncia al matrimonio e alla vita di famiglia, ma è una scelta carismatica di Cristo come sposo esclusivo.
Tale scelta non solo permette specificamente di "preoccuparsi delle cose del Signore", ma - fatta "per il regno dei cieli" - avvicina questo regno escatologico di Dio alla vita di tutti gli uomini nelle condizioni della temporalità e lo rende, in un certo modo, presente in mezzo al mondo.
Mediante ciò le persone consacrate realizzano l'interiore finalità dell'intera economia della redenzione.
Questa finalità si esprime, infatti, nell'avvicinare il regno di Dio nella sua dimensione definitiva, escatologica.
Per mezzo del voto di castità le persone consacrate partecipano all'economia della redenzione con la libera rinuncia alle gioie temporali della vita matrimoniale e familiare; e, d'altra parte, proprio nel loro "farsi eunuchi per il regno dei cieli", esse portano in mezzo al mondo che passa l'annuncio della risurrezione futura ( Lc 20,34-36; Mt 22,30; Mc 12,25 )e della vita eterna: della vita in unione con Dio stesso mediante la visione beatifica e l'amore che contiene in sé e intimamente pervade tutti gli altri amori del cuore umano.
12 Quanto sono espressive in materia di povertà le parole della seconda lettera ai Corinzi, che costituiscono una concisa sintesi di tutto ciò che su questo tema sentiamo nel Vangelo!
"Conoscete, infatti, la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, egli si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà". ( 2 Cor 8,9 )
Secondo queste parole la povertà entra nella struttura interiore della stessa grazia redentrice di Gesù Cristo.
Senza la povertà non è possibile comprendere il mistero della donazione della divinità all'uomo, donazione che si è compiuta proprio in Gesù Cristo.
Anche per questo essa si trova al centro stesso del Vangelo, all'inizio del messaggio delle otto beatitudini: "Beati i poveri in spirito". ( Mt 5,3 )
La povertà evangelica schiude davanti agli occhi dell'anima umana la prospettiva dell'intero mistero, "nascosto da secoli nella mente di Dio". ( Ef 3,9 )
Solamente coloro che sono in questo modo "poveri" sono anche interiormente capaci di comprendere la povertà di colui che è infinitamente ricco.
La povertà di Cristo nasconde in sé questa infinita ricchezza di Dio; essa ne è anzi un'espressione infallibile.
Una ricchezza, infatti, qual è la divinità stessa, non si sarebbe potuta esprimere adeguatamente in nessun bene creato.
Essa può esprimersi solamente nella povertà.
Perciò, può essere compresa in modo giusto solamente dai poveri, dai poveri in spirito.
Cristo, uomo-Dio, è il primo di essi: colui che, "da ricco che era, si è fatto povero" non solo è il maestro, ma è anche il portavoce e il garante di quella povertà salvifica, che corrisponde all'infinita ricchezza di Dio e all'inesauribile potenza della sua grazia.
E perciò è pure vero - come scrive l'Apostolo - che "per mezzo della sua povertà noi diventiamo ricchi".
È il maestro e il portavoce della povertà che arricchisce.
Proprio per questo egli dice al giovane nei Vangeli sinottici: "Vendi quello che possiedi … dallo … e avrai un tesoro nel cielo" ( Mt 19,21; Mc 10,21; Lc 18,22 ).
C'è in queste parole una chiamata ad arricchire gli altri per mezzo della propria povertà; ma nel profondo di questa chiamata è nascosta la testimonianza dell'infinita ricchezza di Dio che, trasferita all'anima umana nel mistero della grazia, crea nell'uomo stesso, appunto mediante la povertà, una sorgente per arricchire gli altri non comparabile con alcun'altra risorsa di beni materiali, una sorgente per gratificare gli altri a somiglianza di Dio stesso.
Questa elargizione si realizza nell'ambito del mistero di Cristo, il quale "ci ha reso ricchi per mezzo della sua povertà".
Vediamo come questo processo di arricchimento si svolge nelle pagine del Vangelo, trovando il suo culmine nell'evento pasquale: Cristo, il più povero nella morte di croce, è insieme colui che ci arricchisce infinitamente con la pienezza della vita nuova, mediante la risurrezione.
Cari fratelli e sorelle, poveri in spirito mediante la professione evangelica, accogliete in tutta la vostra vita questo profilo salvifico della povertà di Cristo.
Cercate giorno pergiorno la sua sempre maggiore maturazione!
Cercate soprattutto "il regno di Dio e la sua giustizia", e le altre cose "vi saranno date in aggiunta" ( Mt 6,33 ).
Che in voi e per mezzo vostro si compia la beatitudine evangelica che è riservata ai poveri, ( Lc 6,20 ) ai poveri in spirito! ( Mt 5,3 )
13 Cristo, "pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" ( Fil 2,6-8 ).
Tocchiamo qui, in queste parole della lettera di Paolo ai Filippesi, l'essenza stessa della redenzione.
In questa realtà è inscritta in modo primario e costitutivo l'obbedienza di Gesù Cristo.
Confermano tale dato anche le altre parole dell'apostolo, tratte questa volta dalla lettera ai Romani: "Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti" ( Rm 5,19 ).
Il consiglio evangelico dell'obbedienza è la chiamata che scaturisce da questa obbedienza di Cristo "fino alla morte".
Coloro che accolgono questa chiamata, espressa con la parola "seguimi", decidono - come dice il Concilio - di seguire Cristo, "che redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza fino alla morte di croce".3
Nell'attuare il consiglio evangelico dell'obbedienza, essi raggiungono l'essenza profonda dell'intera economia della redenzione.
Nell'adempiere questo consiglio, essi desiderano conseguire una speciale partecipazione all'obbedienza di quell'"uno solo", mediante l'obbedienza del quale tutti "saranno costituiti giusti".
Si può dire, dunque, che coloro che decidono di vivere secondo il consiglio dell'obbedienza, si collocano in modo singolare tra il mistero del peccato ( 2 Ts 2,7 )4 e il mistero della giustificazione e della grazia salvifica.
Si trovano in questo "luogo" con tutto il sottofondo peccaminoso della propria natura umana, con tutta l'eredità "della superbia della vita", con tutta l'egoistica tendenza a dominare e non a servire, e proprio mediante il voto di obbedienza si decidono a trasformarsi a somiglianza di Cristo, il quale "redense e santificò gli uomini con la sua obbedienza".
Nel consiglio dell'obbedienza essi desiderano trovare il proprio ruolo nella redenzione di Cristo e la propria via di santificazione.
È questa la via che Cristo ha tracciato nel Vangelo, parlando molte volte del compimento della volontà di Dio, dell'incessante ricerca di essa.
"Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera". ( Gv 4,34 )
"Perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato". ( Gv 5,30 )
"Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite". ( Gv 8,29 )
"Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato". ( Gv 6,38 )
Questo compimento costante della volontà del Padre fa pensare anche a quella confessione messianica del salmista dell'antica alleanza: "Sul rotolo del libro di me è scritto: che io faccia il tuo volere.
Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore" ( Sal 40,8-9; Eb 10,7 ).
Tale obbedienza del Figlio - piena di gioia - raggiunge il suo zenit di fronte alla passione e alla croce: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia, non sia fatta la mia, ma la tua volontà". ( Lc 22,42; Mc 14,36; Mt 26,42 )
Sin dalla preghiera nel Getsemani la disponibilità di Cristo a compiere la volontà del Padre si riempie fino all'orlo di sofferenza, diventa quell'obbedienza "fino alla morte e alla morte di croce", di cui parla san Paolo.
Mediante il voto di obbedienza le persone consacrate decidono di imitare con umiltà in modo particolare l'obbedienza del Redentore.
Benché, infatti, la sottomissione alla volontà di Dio e l'obbedienza alla sua legge siano per ogni stato condizione di vita cristiana, tuttavia nello "stato religioso", nello "stato di perfezione", il voto di obbedienza stabilisce nel cuore di ciascuno e di ciascuna di voi, cari fratelli e sorelle, il dovere di uno speciale riferimento a Cristo "obbediente fino alla morte".
E poiché questa obbedienza di Cristo costituisce il nucleo essenziale dell'opera della redenzione, come risulta dalle parole sopra citate dell'Apostolo, perciò anche nell'adempiere il consiglio evangelico dell'obbedienza si deve scorgere un momento particolare di quell'"economia della redenzione", che pervade tutta la vostra vocazione nella Chiesa.
Di qui scaturisce quella "disponibilità totale allo Spirito Santo", che agisce innanzitutto nella Chiesa, come si esprime il mio predecessore Paolo VI nell'esortazione apostolica "Evangelica Testificatio", ma che si manifesta, altresì, nelle costituzioni dei vostri istituti.
Di qui scaturisce quella religiosa sottomissione, che in spirito di fede le persone consacrate dimostrano ai propri superiori legittimi, che tengono il posto di Dio.5
Nella lettera agli Ebrei troviamo su questo tema un'indicazione molto significativa: "Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano per le vostre anime, come chi ha da renderne conto".
E l'autore della lettera aggiunge: "Obbedite, perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi" ( Eb 13,17 ).
I superiori, d'altra parte, memori di dover esercitare in spirito di servizio la potestà loro conferita per il tramite del ministero della Chiesa, si mostreranno disponibili all'ascolto dei propri fratelli per discernere meglio quanto il Signore richiede da ciascuno, ferma restando l'autorità loro propria di decidere e di comandare ciò che riterranno opportuno.
Di pari passo con la sottomissione-obbedienza così concepita va l'atteggiamento di servizio, che informa tutta la vostra vita ad esempio del Figlio dell'uomo, il quale "non venne per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti" ( Mc 10,45 ).
E la sua Madre, nel momento decisivo dell'annunciazione-incarnazione, penetrando sin dall'inizio in tutta l'economia salvifica della redenzione, disse: "Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto" ( Lc 1,38 ).
Ricordate anche, cari fratelli e sorelle, che l'obbedienza a cui vi siete impegnati, consacrandovi senza riserva a Dio mediante la professione dei consigli evangelici, è una particolare espressione della libertà interiore, così come definitiva espressione della libertà di Cristo fu la sua obbedienza "fino alla morte": "Io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso" ( Gv 10,17-18 ).
Indice |
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