Pastores gregis |
26 Ai suoi Apostoli Gesù risorto affida la missione di " fare discepoli " tutti i popoli insegnando loro ad osservare tutto ciò che Lui stesso ha comandato.
Alla Chiesa, comunità dei discepoli del Signore crocifisso e risorto, è dunque affidato solennemente il compito di predicare il Vangelo a tutte le creature.
È compito che durerà sino alla fine dei tempi.
A partire da quel primo inizio non è ormai più possibile pensare ad una Chiesa senza tale missione evangelizzatrice.
Ne ha manifestato la consapevolezza l'apostolo Paolo con le ben note parole: " Non è per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo! " ( 1 Cor 9,16 ).
Se il dovere di annunciare il Vangelo è proprio di tutta la Chiesa e di ogni suo figlio, lo è a titolo speciale dei Vescovi i quali, nel giorno della sacra Ordinazione che li immette nella successione apostolica, assumono come impegno precipuo quello di predicare il Vangelo e di predicarlo " invitando gli uomini alla fede nella fortezza dello Spirito e rafforzandoli nella vivezza della fede ".100
L'attività evangelizzatrice del Vescovo, mirante a condurre gli uomini alla fede o ad irrobustirli in essa, costituisce una manifestazione preminente della sua paternità.
Egli perciò può ripetere con Paolo: " Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il Vangelo " ( 1 Cor 4,15 ).
Proprio per questa dinamica generatrice di vita nuova secondo lo Spirito, il ministero episcopale si mostra nel mondo come segno di speranza per i popoli, per ogni uomo.
Molto opportunamente, perciò, i Padri sinodali hanno ricordato che l'annuncio di Cristo ha sempre il primo posto e che il Vescovo è il primo annunciatore del Vangelo con le parole e con la testimonianza della vita.
Egli deve essere cosciente delle sfide che l'ora presente reca con sé ed avere il coraggio di affrontarle.
Tutti i Vescovi, quali ministri della verità, sosterranno questo loro compito con forza e fiducia.101
27 Il tema dell'annuncio del Vangelo è stato davvero preminente negli interventi dei Padri sinodali, i quali hanno a più riprese e nei modi più vari affermato che centro vivo dell'annuncio del Vangelo è Cristo crocifisso e risorto per la salvezza di tutti gli uomini.102
Cristo, infatti, è il cuore dell'evangelizzazione, il cui programma " s'incentra, in ultima analisi in Cristo stesso, da conoscere, da amare, da imitare per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al compimento nella Gerusalemme celeste.
È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace.
Questo programma di sempre è il nostro per il terzo millennio ".103
Da Cristo, cuore del Vangelo, si dipartono tutte le altre verità della fede e s'irradia pure la speranza per tutti gli uomini.
Cristo, infatti, è la luce che illumina ogni uomo e chiunque è rigenerato in Lui riceve le primizie dello Spirito, che lo mettono in grado di adempiere la legge nuova dell'amore.104
In forza, perciò, della sua stessa missione apostolica, il Vescovo è abilitato ad introdurre il suo popolo nel cuore del mistero della fede, ove potrà incontrare la persona viva di Gesù Cristo.
I fedeli giungeranno così a comprendere che tutta l'esperienza cristiana ha la sua fonte e il suo indefettibile punto di riferimento nella Pasqua di Gesù, vincitore del peccato e della morte.105
Nell'annuncio della morte e risurrezione del Signore, poi, è incluso " l'annuncio profetico di un al di là, vocazione profonda e definitiva dell'uomo, in continuità e insieme in discontinuità con la situazione presente: al di là del tempo e della storia, al di là della realtà di questo mondo la cui figura passa […]
L'evangelizzazione contiene dunque anche la predicazione della speranza nelle promesse fatte da Dio nella Nuova Alleanza in Gesù Cristo ".106
28 Il Concilio Vaticano II, proseguendo sulla via indicata dalla tradizione della Chiesa, spiega che la missione dell'insegnamento propria dei Vescovi consiste nel custodire santamente e annunciare coraggiosamente la fede.107
Da questo punto di vista, si rivela in tutta la sua ricchezza di significato il gesto previsto nel Rito romano di Ordinazione episcopale, quando sul capo dell'eletto è imposto l'Evangeliario aperto: si vuole con ciò esprimere, da una parte, che la Parola avvolge e custodisce il ministero del Vescovo e, dall'altra, che la vita di lui dev'essere interamente sottomessa alla Parola di Dio nella quotidiana dedizione alla predicazione del Vangelo con ogni pazienza e dottrina ( 2 Tm 4 ).
Anche i Padri sinodali hanno più volte ricordato che il Vescovo è colui che custodisce con amore la Parola di Dio e la difende con coraggio, testimoniandone il messaggio di salvezza.
In effetti, il senso del munus docendi episcopale scaturisce dalla natura stessa di ciò che dev'essere custodito, cioè il deposito della fede.
Cristo nostro Signore, nella Sacra Scrittura dell'uno e dell'altro Testamento e nella Tradizione, ha affidato alla sua Chiesa l'unico deposito della Rivelazione divina, che è come lo specchio nel quale essa, " pellegrina in terra, contempla Dio, dal quale tutto riceve, finché giunga a vederlo faccia a faccia così come egli è ".108
È quanto è avvenuto nel corso dei secoli sino ad oggi: le diverse comunità, accogliendo la Parola sempre nuova ed efficace nel succedersi dei tempi, hanno docilmente ascoltato la voce dello Spirito Santo, impegnandosi a renderla viva e operante nell'attualità dei diversi periodi storici.
Così la Parola tramandata, la Tradizione, è divenuta sempre più consapevolmente Parola di vita e, intanto, il compito del suo annuncio e della sua custodia si è progressivamente realizzato, sotto la guida e l'assistenza dello Spirito di Verità, come ininterrotta trasmissione di tutto ciò che la Chiesa è e di tutto ciò che essa crede.109
Questa Tradizione, che trae la sua origine dagli Apostoli, progredisce nella vita della Chiesa, come ha insegnato il Concilio Vaticano II.
Similmente cresce e si sviluppa la comprensione delle cose e delle parole trasmesse, sicché nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa si stabilisce una singolare unità di sentimenti tra Vescovi e fedeli.110
Nella ricerca, dunque, della fedeltà allo Spirito, che parla all'interno della Chiesa, i fedeli e i pastori s'incontrano e stabiliscono quei vincoli profondi di fede che rappresentano come il primo momento del sensus fidei.
È utile risentire al riguardo le espressioni del Concilio Vaticano II: " La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l'unzione dello Spirito Santo ( 1 Gv 2,20.27 ), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è particolare mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando "dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici" esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi ".111
Per questo la vita della Chiesa e la vita nella Chiesa è per ogni Vescovo la condizione per l'esercizio della sua missione d'insegnare.
Un Vescovo trova la sua identità e il suo posto all'interno della comunità dei discepoli del Signore, dove ha ricevuto il dono della vita divina e il primo ammaestramento nella fede.
Ogni Vescovo, specialmente quando dalla sua Cattedra episcopale esercita davanti all'assemblea dei fedeli la sua funzione di maestro nella Chiesa, deve potere ripetere come sant'Agostino: " A considerare il posto che occupiamo, siamo vostri maestri, ma rispetto a quell'unico Maestro, siamo con voi condiscepoli nella stessa scuola ".112
Nella Chiesa, scuola del Dio vivente, Vescovi e fedeli sono tutti condiscepoli e tutti hanno bisogno d'essere istruiti dallo Spirito.
Sono davvero molti i luoghi dai quali lo Spirito elargisce il suo interiore ammaestramento.
Il cuore di ciascuno, anzitutto, e poi la vita delle diverse Chiese particolari, dove emergono e si fanno sentire le molteplici necessità delle persone e delle diverse comunità ecclesiali, mediante linguaggi conosciuti, ma anche diversi e nuovi.
Lo Spirito si fa ancora ascoltare mentre suscita nella Chiesa differenti forme di carismi e di servizi.
Anche per questa ragione, certamente, molte volte nell'Aula sinodale si sono udite voci che esortavano il Vescovo all'incontro diretto e al contatto personale, sul modello del Buon Pastore che conosce le sue pecore e le chiama ciascuna per nome, con i fedeli che vivono nelle comunità affidate alla sua premura pastorale.
Infatti l'incontro frequente del Vescovo con i suoi presbiteri, in primo luogo, e poi con i diaconi, con i consacrati e le loro comunità, con i fedeli laici, singolarmente e nelle diverse forme di aggregazione, ha grande importanza per l'esercizio di un ministero efficace in mezzo al Popolo di Dio.
29 Con l'Ordinazione episcopale ciascun Vescovo ha ricevuto la fondamentale missione di annunciare autorevolmente la Parola.
Ogni Vescovo infatti, in forza della sacra Ordinazione, è dottore autentico che predica al popolo a lui affidato la fede da credere e da applicare nella vita morale.
Ciò vuol dire che i Vescovi sono rivestiti dell'autorità stessa di Cristo ed è per questa fondamentale ragione che " quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice, i Vescovi devono essere da tutti ascoltati con venerazione quali testimoni della divina e cattolica verità; e i fedeli devono accordarsi col giudizio del loro Vescovo dato a nome di Cristo in materia di fede e di morale, e aderirvi col religioso ossequio dello spirito ".113
In questo servizio alla Verità, ogni Vescovo è posto di fronte alla comunità, in quanto egli è per la comunità, verso la quale dirige la propria sollecitudine pastorale e per la quale eleva a Dio con insistenza la sua preghiera.
Ciò, dunque, che ha ascoltato e accolto dal cuore della Chiesa, ogni Vescovo lo restituisce ai suoi fratelli, di cui deve avere cura come il Buon Pastore.
Il sensus fidei raggiunge in lui la sua completezza.
Il Concilio Vaticano II difatti insegna: " Per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il Popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma, accoglie non la parola degli uomini, ma qual è in realtà la parola di Dio ( 1 Ts 2,13 ), aderisce "indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi" ( Gd 3 ), con retto giudizio vi penetra in essa più a fondo e più pienamente l'applica nella vita ".114
È, dunque, parola che, all'interno della comunità e di fronte ad essa, non è più semplicemente parola del Vescovo come persona privata, ma parola del Pastore che conferma la fede, raduna attorno al mistero di Dio e genera la vita.
I fedeli hanno bisogno della parola del proprio Vescovo, hanno bisogno della conferma e della purificazione della loro fede.
L'Assemblea sinodale ha sottolineato, per sua parte, questo bisogno, mettendo in rilievo alcuni ambiti specifici nei quali esso è avvertito in modo tutto particolare.
Uno di tali ambiti è costituito dal primo annuncio o kerygma, che è sempre necessario per suscitare l'obbedienza della fede, ma che è ancora più urgente nell'odierna situazione segnata dall'indifferenza e dall'ignoranza religiosa di tanti cristiani.115
Anche nell'ambito della catechesi è evidente che il Vescovo è il catechista per eccellenza.
Il ruolo incisivo di santi e grandi Vescovi, i cui testi catechetici sono ancora oggi consultati con ammirazione, incoraggia a sottolineare che è compito sempre attuale del Vescovo assumere l'alta direzione della catechesi.
In questo suo compito, egli non mancherà di fare riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica.
È perciò sempre valido quanto ho scritto nell'Esortazione apostolica Catechesi tradendae: " Voi [ Vescovi ] avete una missione particolare nelle vostre Chiese; voi siete in esse i primissimi responsabili della catechesi ".116
Per questo è dovere di ogni Vescovo assicurare nella propria Chiesa particolare la effettiva priorità di una catechesi attiva ed efficace.
Egli stesso, anzi, deve esercitare la sua sollecitudine mediante interventi diretti destinati pure a suscitare e a conservare un'autentica passione per la catechesi.117
Consapevole, poi, della sua responsabilità nell'ambito della trasmissione e dell'educazione della fede, ogni Vescovo deve adoperarsi perché simile sollecitudine ci sia in quanti, a motivo della loro vocazione e missione, sono chiamati a trasmettere la fede.
Si tratta dei sacerdoti e dei diaconi, dei fedeli di vita consacrata, dei padri e delle madri di famiglia, degli operatori pastorali e in special modo dei catechisti, come pure dei docenti di teologia e di scienze ecclesiastiche e degli insegnanti di religione cattolica.118
Perciò il Vescovo si prenderà cura della loro formazione, iniziale e permanente.
Particolarmente utile, anche per questo suo dovere, è il dialogo aperto e la collaborazione con i teologi, a cui spetta di approfondire con metodo appropriato l'insondabile ricchezza del mistero di Cristo.
I Vescovi non manchino di offrire loro, come pure alle istituzioni scolastiche e accademiche nelle quali essi operano, incoraggiamento e sostegno, perché svolgano il loro lavoro a servizio del Popolo di Dio nella fedeltà alla Tradizione e nell'attenzione alle emergenze della storia.119
Qualora si renda opportuno, i Vescovi difendano con fermezza l'unità e l'integrità della fede, giudicando con autorità ciò che è conforme o meno alla Parola di Dio.120
I Padri sinodali hanno pure richiamato l'attenzione dei Vescovi sulle loro responsabilità magisteriali in ambito morale.
Le norme che la Chiesa propone riflettono i comandamenti divini, che hanno la loro sintesi ed il loro coronamento nel comandamento evangelico della carità.
Il fine a cui tende ogni norma divina è il maggior bene dell'uomo.
Vale anche oggi la raccomandazione del Deuteronomio: " Camminate in tutto e per tutto per la via che il Signore vostro Dio vi ha prescritto, perché viviate e siate felici " ( Dt 5,33 ).
Non si deve, inoltre, dimenticare che i comandamenti del Decalogo hanno un saldo radicamento nella stessa natura umana e che perciò i valori che essi difendono hanno una validità universale.
Questo vale, in particolare, per la vita umana, da difendere dal suo concepimento alla sua conclusione con la morte naturale, la libertà delle persone e delle nazioni, la giustizia sociale e le strutture per attuarla.121
30 L'evangelizzazione della cultura e l'inculturazione del Vangelo sono parte integrante della nuova evangelizzazione e sono, perciò, un compito proprio dell'ufficio episcopale.
Riprendendo, al riguardo, alcune mie precedenti espressioni, il Sinodo ha ripetuto: " Una fede che non diventa cultura, non è una fede pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta ".122
Si tratta, in realtà, di un compito antico e sempre nuovo, che ha la sua origine nel mistero stesso dell'Incarnazione e la sua ragione nella capacità intrinseca del Vangelo di radicarsi in ogni cultura, di informarla e di promuoverla, purificandola e aprendola alla pienezza di verità e di vita che si è realizzata in Cristo Gesù.
A questo tema molta attenzione è stata rivolta durante i Sinodi continentali, da cui sono venute preziose indicazioni.
Su di esso mi sono soffermato io stesso in più circostanze.
Pertanto ogni Vescovo, considerando i valori culturali presenti nel territorio in cui vive la sua Chiesa particolare, metterà ogni impegno perché il Vangelo sia annunciato nella sua integrità, sì da plasmare il cuore degli uomini e i costumi dei popoli.
In quest'impresa evangelizzatrice potrà essergli di prezioso aiuto il contributo dei teologi, come pure quello degli esperti nella valorizzazione del patrimonio culturale, artistico e storico della Diocesi: esso riguarda sia l'antica sia la nuova evangelizzazione e costituisce un efficace strumento pastorale.123
Ugualmente di grande importanza per l'annuncio del Vangelo nei " nuovi areopaghi " e per la trasmissione della fede sono i mezzi della comunicazione sociale, ai quali si è pure rivolta l'attenzione dei Padri sinodali, i quali hanno incoraggiato i Vescovi ad una maggiore collaborazione tra le Conferenze episcopali, in ambito sia nazionale sia internazionale, perché più qualificata ne risulti l'azione in questo delicato e prezioso ambito della vita sociale.124
In realtà, quando si tratta dell'annuncio del Vangelo, oltre che della sua ortodossia, è pure importante preoccuparsi di una sua proposta incisiva che ne promuova l'ascolto e l'accoglimento.
Questo, evidentemente, comporta l'impegno di riservare, specialmente nei Seminari, uno spazio adeguato per la formazione dei candidati al sacerdozio circa l'uso dei mezzi della comunicazione sociale, in modo che gli evangelizzatori siano buoni proclamatori e buoni comunicatori.
31 Il ministero del Vescovo quale annunciatore del Vangelo e custode della fede nel Popolo di Dio non sarebbe compiutamente esposto, se mancasse l'accenno al dovere della coerenza personale: il suo insegnamento continua con la testimonianza e con l'esempio di un'autentica vita di fede.
Se il Vescovo, che insegna con un'autorità esercitata nel nome di Gesù Cristo125 la Parola ascoltata nella comunità, non vivesse ciò che ha insegnato, darebbe alla comunità stessa un messaggio contraddittorio.
Appare così chiaro che tutte le attività del Vescovo devono essere finalizzate alla proclamazione del Vangelo, " potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede " ( Rm 1,16 ).
Il suo compito essenziale è di aiutare il Popolo di Dio a rendere alla parola della Rivelazione l'obbedienza della fede ( Rm 1,5 ) e ad abbracciare integralmente l'insegnamento di Cristo.
Si potrebbe dire che, nel Vescovo, missione e vita si uniscono in maniera tale che non si può più pensare ad esse come a due cose distinte: noi Vescovi siamo la nostra missione.
Se non la compissimo, non saremmo più noi.
È nella testimonianza della nostra fede che la nostra vita diventa segno visibile della presenza di Cristo nelle nostre comunità.
La testimonianza della vita diventa per un Vescovo come un nuovo titolo d'autorità, che si accosta al titolo oggettivo ricevuto nella consacrazione.
All'autorità si affianca così l'autorevolezza. Ambedue sono necessarie.
Dall'una, infatti, sorge l'esigenza oggettiva dell'adesione dei fedeli all'insegnamento autentico del Vescovo; dalla seconda, la facilitazione a riporre la fiducia nel messaggio.
Mi piace riprendere, a tale proposito, quello che scriveva un grande Vescovo della Chiesa antica, sant'Ilario di Poitiers: " Il beato apostolo Paolo, volendo definire il tipo di Vescovo ideale e formare con i suoi insegnamenti un uomo di Chiesa completamente nuovo, spiegò qual era, per così dire, il massimo della perfezione in lui.
Affermò che doveva professare una dottrina sicura, consona all'insegnamento, onde essere in grado di esortare alla sana dottrina e di confutare quelli che contraddicono […]
Da una parte, un ministro dalla vita irreprensibile, se non è colto, riuscirà solo a giovare a se stesso; dall'altra, un ministro colto perderà l'autorità che proviene dalla cultura, se la sua vita non risulta irreprensibile ".126
È sempre l'apostolo Paolo a fissare in queste parole la condotta da seguire: offri " te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro " ( Tt 2,7-8 ).
Indice |
100 | Christus Dominus 12; Lumen Gentium 25 |
101 | Propositiones 14; Propositiones 15 |
102 | Propositio 14 |
103 | Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte 29 |
104 | Gaudium et Spes 22 |
105 | Propositio 15 |
106 | Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 28 |
107 | Lumen Gentium 25 Dei Verbum 10; Cod. Diritto Can. can. 747 § 1; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 595 § 1 |
108 | Dei Verbum 7 |
109 | Dei Verbum 8 |
110 | Dei Verbum 10 |
111 | Lumen Gentium 12 |
112 | En. in Ps. 126, 3: PL 37, 1669 |
113 | Lumen Gentium 25 |
114 | Lumen Gentium 12 |
115 | Propositio 15 |
116 | Giovanni Paolo II, Catechesi Tradendae 63 |
117 | Congregazione per il Clero, Direttorio Generale per la Catechesi, 233 ( 15 agosto 1997 ) |
118 | Propositio 15 |
119 | Propositio 47 |
120 | Congregazione per la Dottrina della Fede,
Istr. Donum veritatis, 19 ( 24 maggio 1990 ); Cod. Diritto Can. can. 386 § 2; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 196 § 2 |
121 | Propositio 16 |
122 | Discorso ai partecipanti al congresso nazionale italiano del Movimento ecclesiale di impegno culturale ( 16 gennaio 1982 ), 2: Insegnamenti V/1 (1982), 131; Propositio 64 |
123 | Propositio 65 |
124 | Propositio 66 |
125 | Dei Verbum 10 |
126 | De Trinitate, VIII, 1 |