Orientale Lumen |
17 Trent'anni sono trascorsi da quando i Vescovi della Chiesa cattolica, riuniti in Concilio con la presenza di non pochi fratelli delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, hanno ascoltato la voce dello Spirito che illuminava verità profonde sulla natura della Chiesa, manifestando così che tutti i credenti in Cristo si trovavano molto più vicini di quanto potessero pensare, tutti in cammino verso l'unico Signore, tutti sostenuti e sorretti dalla sua grazia.
Emergeva di qui un invito sempre più pressante all'unità.
Da allora molta strada si è fatta nella conoscenza reciproca.
Essa ha intensificato la stima e ci ha consentito spesso di pregare insieme l'unico Signore ed anche gli uni per gli altri, in un cammino di carità che è già pellegrinaggio di unità.
Dopo gli importanti passi compiuti da papa Paolo VI, ho voluto che si proseguisse sulla strada della reciproca conoscenza nella carità.
Posso testimoniare la gioia profonda che ha suscitato in me l'incontro fraterno con tanti capi e rappresentanti di Chiese e Comunità ecclesiali in questi anni.
Insieme abbiamo condiviso preoccupazioni e attese, insieme abbiamo invocato l'unione tra le nostre Chiese e la pace per il mondo.
Ci siamo sentiti insieme più responsabili del bene comune, non solo come singoli ma a nome dei cristiani di cui il Signore ci ha fatto pastori.
Talvolta a questa Sede di Roma sono giunti i pressanti appelli di altre Chiese, minacciate o colpite dalla violenza e dal sopruso.
A tutte essa ha cercato di aprire il proprio cuore.
Per loro, appena è stato possibile, si è levata la voce del Vescovo di Roma, perché gli uomini di buona volontà ascoltassero il grido di quei nostri fratelli sofferenti.
"Tra i peccati che esigono un maggior impegno di penitenza e di conversione devono essere annoverati certamente quelli che hanno pregiudicato l'unità voluta da Dio per il suo popolo.
Nel corso dei mille anni che si stanno concludendo, ancor più che nel primo millennio, la comunione ecclesiale, "talora non senza colpa di uomini d'entrambe le parti",36 ha conosciuto dolorose lacerazioni che contraddicono apertamente alla volontà di Cristo e sono di scandalo al mondo.
Tali peccati del passato fanno sentire ancora, purtroppo, il loro peso e permangono come altrettante tentazioni anche nel presente.
È necessario farne ammenda, invocando con forza il perdono di Cristo".37
Il peccato della nostra separazione è gravissimo: sento il bisogno che cresca la nostra comune disponibilità allo Spirito che ci chiama a conversione, ad accettare e riconoscere l'altro con rispetto fraterno, a compiere nuovi gesti coraggiosi, capaci di sciogliere ogni tentazione di ripiegamento.
Sentiamo la necessità di andare oltre il grado di comunione che abbiamo raggiunto.
18 Si fa in me ogni giorno più acuto il desiderio di ripercorrere la storia delle Chiese, per scrivere finalmente una storia della nostra unità, e riandare così al tempo in cui, all'indomani della morte e della risurrezione del Signore Gesù, il Vangelo si diffuse nelle culture più varie, ed ebbe inizio uno scambio fecondissimo ancor oggi testimoniato dalle liturgie delle Chiese.
Pur non mancando difficoltà e contrasti, le lettere degli Apostoli ( 2 Cor 9,11-14 ) e dei Padri38 mostrano legami strettissimi, fraterni, tra le Chiese, in una piena comunione di fede nel rispetto delle specificità e delle identità.
La comune esperienza del martirio e la meditazione degli atti dei martiri di ogni Chiesa, la partecipazione alla dottrina di tanti santi maestri della fede, in una profonda circolazione e condivisione, rafforzano questo mirabile sentimento di unità.39
Lo sviluppo di differenti esperienze di vita ecclesiale non impediva che, mediante reciproche relazioni, i cristiani potessero continuare a provare la certezza di essere a casa propria in qualsiasi Chiesa, perché da tutte si levava, in mirabile varietà di lingue e di modulazioni, la lode dell'unico Padre, per Cristo, nello Spirito Santo; tutte erano adunate per celebrare l'Eucaristia, cuore e modello per la comunità non solo per quanto riguarda la spiritualità o la vita morale, ma anche per la struttura stessa della Chiesa, nella varietà dei ministeri e dei servizi sotto la presidenza del Vescovo, successore degli Apostoli.40
I primi concili sono una testimonianza eloquente di questa perdurante unità nella diversità.41
Ed anche quando si rafforzarono certe incomprensioni dogmatiche - amplificate spesso sotto l'influsso di fattori politici e culturali - che già portavano a dolorose conseguenze nei rapporti fra le Chiese, rimase vivo lo sforzo di invocare e promuovere l'unità della Chiesa.
Nel primo intreccio del dialogo ecumenico lo Spirito Santo ci ha consentito di rinsaldarci nella fede comune, perfetta continuazione del kerygma apostolico, e di questo rendiamo grazie a Dio con tutto il cuore.42
E se lentamente, già nei primi secoli dell'era cristiana, sono andate sorgendo contrapposizioni all'interno del corpo della Chiesa, non possiamo dimenticare che per tutto il primo millennio perdura, nonostante difficoltà, l'unità fra Roma e Costantinopoli.
Abbiamo sempre meglio appreso che a lacerare il tessuto dell'unità non è stato tanto un episodio storico o una semplice questione di preminenza, ma un progressivo estraneamento, sicché l'altrui diversità non è più percepita come ricchezza comune, ma come incompatibilità.
Anche quando il secondo millennio conosce un indurimento nella polemica e nella divisione, quanto più cresce l'ignoranza reciproca e il pregiudizio, non cessano tuttavia incontri costruttivi fra capi di Chiese desiderosi di intensificare i rapporti e di favorire gli scambi, così come non viene meno l'opera santa di uomini e donne che, riconoscendo nella contrapposizione un grave peccato ed essendo innamorati dell'unità e della carità, hanno tentato in molti modi di promuovere, con la preghiera, con lo studio e la riflessione, con l'incontro aperto e cordiale, la ricerca della comunione.43
È tutta quest'opera meritoria a confluire nella riflessione del Concilio Vaticano II e a trovare come un emblema nella abrogazione delle reciproche scomuniche del 1054 voluta dal papa Paolo VI e dal patriarca ecumenico Atenagora I.44
19 Il cammino della carità conosce nuovi momenti di difficoltà in seguito ai recenti avvenimenti che hanno coinvolto l'Europa centrale e orientale.
Fratelli cristiani che insieme avevano subito la persecuzione si guardano con sospetto e timore nel momento in cui si aprono prospettive e speranze di maggiore libertà: non è questo un nuovo, grave rischio di peccato che dobbiamo tutti, con ogni forza, tentare di vincere, se vogliamo che popoli in ricerca possano più agevolmente trovare il Dio dell'amore, anziché essere nuovamente scandalizzati dalle nostre lacerazioni e contrapposizioni?
Quando, in occasione del Venerdì Santo 1994, Sua Santità il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I fece dono alla Chiesa di Roma della sua meditazione sulla "Via della Croce", ho voluto ricordare questa comunione nella recente esperienza del martirio: "Noi siamo uniti in questi martiri fra Roma, la "Montagna delle Croci" e le Isole Solovieskj e tanti altri campi di sterminio.
Noi siamo uniti sullo sfondo dei martiri: non possiamo non essere uniti".45
È dunque urgente che si prenda coscienza di questa gravissima responsabilità: oggi possiamo cooperare per l'annuncio del Regno o divenire fautori di nuove divisioni.
Il Signore apra i nostri cuori, converta le nostre menti e ci ispiri passi concreti, coraggiosi, capaci se necessario di forzare luoghi comuni, facili rassegnazioni o posizioni di stallo.
Se chi vuol essere primo è chiamato a farsi servo di tutti, allora dal coraggio di questa carità si vedrà crescere il primato dell'amore.
Prego il Signore perché ispiri prima di tutto a me stesso ed ai Vescovi della Chiesa cattolica gesti concreti a testimonianza di questa interiore certezza.
Lo chiede la natura più profonda della Chiesa.
Ogni volta che celebriamo l'Eucaristia, sacramento della comunione, noi troviamo nel Corpo e nel Sangue condiviso il sacramento e l'appello alla nostra unità.46
Come potremo essere pienamente credibili se ci presentiamo divisi davanti all'Eucaristia, se non siamo capaci di vivere la partecipazione allo stesso Signore che siamo chiamati ad annunciare al mondo?
Di fronte alla reciproca esclusione dall'Eucaristia sentiamo la nostra povertà e l'esigenza di porre ogni sforzo affinché venga il giorno nel quale parteciperemo insieme dello stesso pane e del medesimo calice.47
Allora l'Eucaristia tornerà ad essere pienamente percepita come profezia del Regno e riecheggeranno con piena verità queste parole tratte da una antichissima preghiera eucaristica: "Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la tua Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo Regno".48
20 Ricorrenze di particolare significato ci incoraggiano a rivolgere il nostro pensiero, con affetto e riverenza, alle Chiese orientali.
Anzitutto, come si è detto, il centenario della Lettera apostolica Orientalium dignitas.
Da allora ha avuto inizio un cammino che ha portato, tra l'altro, nel 1917, alla creazione della Congregazione per le Chiese Orientali49 e all'istituzione del Pontificio Istituto Orientale50 ad opera del papa Benedetto XV.
In seguito, il 5 giugno 1960, fu istituito da Giovanni XXIII il Segretariato per la promozione dell'unità dei Cristiani.51
In tempi recenti, il 18 ottobre 1990, ho promulgato il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali,52 perché fosse salvaguardata e promossa la specificità del patrimonio orientale.
Sono questi i segni di un atteggiamento che la Chiesa di Roma ha sempre sentito parte integrante del mandato affidato da Gesù Cristo all'apostolo Pietro: confermare i fratelli nella fede e nell'unità ( Lc 22,32 ).
I tentativi del passato avevano i loro limiti derivanti dalla mentalità dei tempi e dalla stessa comprensione delle verità sulla Chiesa.
Ma vorrei qui riaffermare che questo impegno porta nella sua radice la convinzione che Pietro ( Mt 16,17-19 ) intende porsi al servizio di una Chiesa unita nella carità.
"Il compito di Pietro è di cercare costantemente le vie che servono al mantenimento dell'unità.
Egli, dunque, non deve creare ostacoli, ma cercare delle vie.
Il che non è affatto in contraddizione con il compito assegnatogli da Cristo di "confermare i fratelli nella fede" ( Lc 22,32 ).
Inoltre, è significativo che Cristo abbia pronunciato queste parole proprio quando l'apostolo stava per rinnegarlo.
Era come se il Maestro stesso avesse voluto dirgli: "Ricordati che sei debole, che anche tu hai bisogno di un'incessante conversione.
Puoi confermare gli altri in quanto hai coscienza della tua debolezza.
Ti do come compito la verità, la grande verità di Dio destinata alla salvezza dell'uomo, ma questa verità non può essere predicata e realizzata in alcun altro modo che amando".
È necessario, sempre, "veritatem facere in caritate", far verità nella carità ( Ef 4,15 )".53
Oggi sappiamo che l'unità può essere realizzata dall'amore di Dio solo se le Chiese lo vorranno insieme, nel pieno rispetto delle singole tradizioni e della necessaria autonomia.
Sappiamo che questo può compiersi solo a partire dall'amore di Chiese che si sentono chiamate a manifestare sempre maggiormente l'unica Chiesa di Cristo, nata da un solo battesimo e da una sola Eucaristia, e che vogliono essere sorelle.54
Come ebbi modo di dire, "è una la Chiesa di Cristo; se ci sono divisioni si devono superare, ma la Chiesa è una, la Chiesa di Cristo fra l'Oriente e l'Occidente non può essere che una, una e unita".55
Certo, allo sguardo odierno appare che una vera unione era possibile solo nel pieno rispetto dell'altrui dignità, senza ritenere che il complesso degli usi e consuetudini della Chiesa latina fosse più completo o più adatto a mostrare la pienezza della retta dottrina; ed ancora che tale unione doveva essere preceduta da una coscienza di comunione che permeasse tutta la Chiesa e non si limitasse ad un accordo tra vertici.
Oggi siamo coscienti - e lo si è più volte riaffermato - che l'unità si realizzerà come e quando il Signore vorrà, e che essa richiederà l'apporto della sensibilità e la creatività dell'amore, forse anche andando oltre le forme già storicamente sperimentate.56
21 Le Chiese orientali entrate nella piena comunione con questa Chiesa di Roma vollero essere una manifestazione di tale sollecitudine, espressa secondo il grado di maturazione della coscienza ecclesiale in quel tempo.57
Entrando nella comunione cattolica, esse non intendevano affatto rinnegare la fedeltà alla loro tradizione, che hanno testimoniato nei secoli con eroismo e spesso a prezzo del sangue.
E se talvolta, nei loro rapporti con le Chiese ortodosse, si sono verificati malintesi e aperte contrapposizioni, tutti sappiamo di dover invocare incessantemente la divina misericordia e un cuore nuovo capace di riconciliazione, oltre ogni torto subito o inflitto.
Più volte si è ribadito che la già realizzata unione piena delle Chiese orientali cattoliche con la Chiesa di Roma non deve comportare per esse una diminuzione nella coscienza della propria autenticità ed originalità.58
Qualora ciò fosse avvenuto, il Concilio Vaticano II le ha esortate a riscoprire in pieno la loro identità, avendo esse "il diritto e il dovere di reggersi secondo le proprie discipline particolari, poiché si raccomandano per veneranda antichità, sono più corrispondenti ai costumi dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle loro anime".59
Queste Chiese recano nella loro carne una drammatica lacerazione perché è impedita ancora una totale comunione con le Chiese orientali ortodosse, con le quali pur condividono il patrimonio dei loro padri.
Una costante e comune conversione è indispensabile perché esse procedano risolutamente e con slancio in vista della reciproca comprensione.
E conversione è richiesta anche alla Chiesa latina, perché rispetti e valorizzi in pieno la dignità degli Orientali ed accolga con gratitudine i tesori spirituali di cui le Chiese orientali cattoliche sono portatrici a vantaggio dell'intera comunione cattolica;60 mostri concretamente, molto più che in passato, quanto stimi e ammiri l'Oriente cristiano e quanto essenziale consideri l'apporto di esso perché sia pienamente vissuta l'universalità della Chiesa.
22 Ho vivo il desiderio che le parole che san Paolo rivolgeva dall'Oriente ai fedeli della Chiesa di Roma risuonino oggi sulle labbra dei cristiani d'Occidente riguardo ai loro fratelli delle Chiese orientali: "Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo" ( Rm 1,8 ).
E subito appresso l'Apostolo delle genti dichiarava con entusiasmo il suo proposito: "Ho un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io" ( Rm 1,11-12 ).
Ecco dunque delineata mirabilmente la dinamica dell'incontro: la conoscenza dei tesori di fede altrui - che ho cercato appena di tratteggiare - produce spontaneamente lo stimolo per un nuovo e più intimo incontro tra fratelli, che sia di vero e sincero scambio reciproco.
È uno stimolo che lo Spirito suscita costantemente nella Chiesa e che si fa più insistente proprio nei momenti di maggiore difficoltà.
23 Sono peraltro ben cosciente che in questo momento alcune tensioni tra la Chiesa di Roma ed alcune Chiese d'Oriente rendono più difficile il cammino della stima reciproca in vista della comunione.
Più volte questa Sede di Roma si è sforzata di emanare direttive che favoriscano il cammino comune di tutte le Chiese in un momento così importante per la vita del mondo, soprattutto nell'Europa orientale, dove eventi storici drammatici hanno impedito spesso alle Chiese orientali, in tempi recenti, di realizzare in pienezza il mandato dell'evangelizzazione che pure sentivano impellente.61
Situazioni di maggiore libertà offrono loro oggi rinnovate opportunità, anche se i mezzi a loro disposizione sono limitati a causa delle difficoltà dei Paesi ove operano.
Desidero affermare con forza che le comunità d'Occidente sono pronte a favorire in tutto - e non poche già operano in tal senso - l'intensificazione di questo ministero di diaconia, mettendo a disposizione di tali Chiese l'esperienza acquisita in anni di più libero esercizio della carità.
Guai a noi se l'abbondanza dell'uno fosse causa dell'umiliazione dell'altro o di sterili e scandalose competizioni.
Da parte loro le comunità d'Occidente si faranno un dovere anzitutto di condividere, ove possibile, progetti di servizio con i fratelli delle Chiese d'Oriente o di contribuire alla realizzazione di quanto esse intraprendono al servizio dei loro popoli e comunque mai ostenteranno, nei territori di presenza comune, un atteggiamento che possa apparire irrispettoso dei faticosi sforzi che le Chiese d'Oriente intendono compiere, con tanto maggior merito quanto più precarie sono le loro disponibilità.
Esprimere gesti di comune carità, l'una verso l'altra ed insieme verso gli uomini che si trovano in necessità, apparirà come un atto di immediata eloquenza.
Evitare questo o addirittura testimoniare il contrario indurrà quanti ci osservano a credere che ogni impegno di riavvicinamento fra le Chiese nella carità è solo enunciazione astratta, senza convinzione e senza concretezza.
Sento fondamentale il richiamo del Signore ad operare in ogni modo perché tutti i credenti in Cristo testimonino insieme la propria fede, soprattutto nei territori dove più consistente è la convivenza fra figli della Chiesa cattolica - latini e orientali - e figli delle Chiese ortodosse.
Dopo il comune martirio patito per Cristo sotto l'oppressione dei regimi atei, è giunto il momento di soffrire, se necessario, per non venire mai meno alla testimonianza della carità tra cristiani, perché se anche dessimo il nostro corpo per essere bruciato, ma non avessimo la carità, a nulla servirebbe ( 1 Cor 13,3 ).
Dovremo pregare intensamente perché il Signore intenerisca le nostre menti e i nostri cuori e ci doni la pazienza e la mitezza.
24 Credo che un modo importante per crescere nella comprensione reciproca e nell'unità consista proprio nel migliorare la nostra conoscenza gli uni degli altri.
I figli della Chiesa cattolica già conoscono le vie che la Santa Sede ha indicato perché essi possano raggiungere tale scopo: conoscere la liturgia delle Chiese d'Oriente;62 approfondire la conoscenza delle tradizioni spirituali dei Padri e dei Dottori dell'Oriente cristiano;63 prendere esempio dalle Chiese d'Oriente per l'inculturazione del messaggio del Vangelo; combattere le tensioni fra Latini e Orientali e stimolare il dialogo fra Cattolici e Ortodossi; formare in istituzioni specializzate per l'Oriente cristiano teologi, liturgisti, storici e canonisti che possano diffondere, a loro volta, la conoscenza delle Chiese d'Oriente; offrire nei seminari e nelle facoltà teologiche un insegnamento adeguato su tali materie, soprattutto per i futuri sacerdoti.64
Sono indicazioni sempre molto valide, sulle quali intendo insistere con particolare forza.
25 Oltre alla conoscenza, sento molto importante la frequentazione reciproca.
Al riguardo, auspico che un'opera particolare esercitino i monasteri, proprio per il ruolo tutto speciale che riveste la vita monastica all'interno delle Chiese e per i molti punti che uniscono l'esperienza monastica, e quindi la sensibilità spirituale, in Oriente e in Occidente.
Un'altra forma di incontro è costituita dall'accoglienza di docenti e studenti ortodossi presso le Università Pontificie ed altre istituzioni accademiche cattoliche.
Continueremo a fare il possibile perché tale accoglienza possa assumere proporzioni maggiori.
Dio benedica inoltre la nascita e lo sviluppo di luoghi destinati proprio all'ospitalità dei nostri fratelli d'Oriente, anche in questa città di Roma, che custodisce la memoria vivente e comune dei corifei degli Apostoli e di tanti martiri.
È importante che le iniziative d'incontro e di scambio coinvolgano nel modo e nelle forme più ampie le comunità ecclesiali: sappiamo ad esempio quanto positive possano risultare iniziative di contatto tra parrocchie, come "gemellate" per un reciproco arricchimento culturale e spirituale, anche nell'esercizio della carità.
Giudico molto positivamente le iniziative di pellegrinaggi comuni sui luoghi dove la santità si è espressa in modo particolare, nel ricordo di uomini e donne che in ogni tempo hanno arricchito la Chiesa del sacrificio della propria vita.
In questa direzione sarebbe poi un atto di grande significato il pervenire al riconoscimento comune della santità di quei cristiani che negli ultimi decenni, in particolare nei Paesi dell'Est europeo, hanno versato il sangue per l'unica fede in Cristo.
26 Un pensiero particolare va poi ai territori della diaspora dove vivono, in ambito a maggioranza latina, molti fedeli delle Chiese orientali che hanno lasciato le loro terre d'origine.
Questi luoghi, dove più facile è il contatto sereno all'interno di una società pluralistica, potrebbero essere l'ambiente ideale per migliorare e intensificare la collaborazione fra le Chiese nella formazione dei futuri sacerdoti, nei progetti pastorali e caritativi, anche a vantaggio delle terre d'origine degli Orientali.
Agli Ordinari latini di quei Paesi raccomando in modo particolare lo studio attento, la piena comprensione e la fedele applicazione dei principi enunciati da questa Sede sulla collaborazione ecumenica65 e sulla cura pastorale dei fedeli delle Chiese orientali cattoliche, soprattutto quando costoro sono sprovvisti di una propria Gerarchia.
Invito i Gerarchi e il clero orientale cattolico a collaborare strettamente con gli Ordinari latini per una pastorale efficace che non sia frammentaria, soprattutto quando la loro giurisdizione si estende su territori molto vasti ove l'assenza di collaborazione significa, in effetti, l'isolamento.
I Gerarchi orientali cattolici non trascureranno alcun mezzo per favorire un clima di fraternità, di stima sincera e reciproca, e di collaborazione con i loro fratelli delle Chiese alle quali non ci unisce ancora una comunione piena, in particolare verso coloro che appartengono alla medesima tradizione ecclesiale.
Laddove in Occidente non vi fossero sacerdoti orientali per assistere i fedeli delle Chiese orientali cattoliche, gli Ordinari latini ed i loro collaboratori operino perché cresca in quei fedeli la coscienza e la conoscenza della propria tradizione, ed essi siano chiamati a cooperare attivamente, con il loro apporto specifico, alla crescita della comunità cristiana.
27 Con riferimento al monachesimo, in considerazione della sua importanza nel cristianesimo d'Oriente, desideriamo che esso rifiorisca nelle Chiese orientali cattoliche e siano incoraggiati quanti si sentono chiamati a operare per questo rafforzamento.66
Esiste infatti un intrinseco legame fra la preghiera liturgica, la tradizione spirituale e la vita monastica in Oriente.
Proprio per questo, anche per loro una ripresa ben formata e motivata della vita monastica potrebbe significare una vera fioritura ecclesiale.
Né si dovrà pensare che ciò diminuisca l'efficacia del ministero pastorale, che anzi uscirà corroborata da una così robusta spiritualità e ritroverà in tal modo la sua collocazione ideale.
Tale auspicio riguarda anche i territori della diaspora orientale, ove la presenza di monasteri orientali darebbe maggiore solidità alle Chiese orientali in quei Paesi, offrendo inoltre un prezioso apporto alla vita religiosa dei cristiani d'Occidente.
28 Nel concludere questa Lettera il mio pensiero va ai diletti fratelli i Patriarchi, i Vescovi, i Sacerdoti e i Diaconi, i Monaci e le Monache, gli uomini e le donne delle Chiese d'Oriente.
Sulla soglia del terzo millennio noi tutti sentiamo giungere alle nostre Sedi il grido degli uomini, schiacciati dal peso di minacce gravi eppure, forse persino a loro insaputa, desiderosi di conoscere la storia d'amore voluta da Dio.
Quegli uomini sentono che un raggio di luce, se accolto, può ancora disperdere le tenebre dall'orizzonte della tenerezza del Padre.
Maria, "Madre dell'astro che non tramonta",67 "aurora del mistico giorno",68 "oriente del Sole di gloria",69 ci addita l'orientale lumen.
Da Oriente ogni giorno torna a sorgere il sole della speranza, la luce che restituisce al genere umano la sua esistenza.
Da Oriente, secondo una bella immagine, tornerà il nostro Salvatore ( Mt 24,27 ).
Gli uomini e le donne d'Oriente sono per noi segno del Signore che torna.
Noi non possiamo dimenticarli, non solo perché li amiamo come fratelli e sorelle, redenti dallo stesso Signore, ma anche perché la nostalgia santa dei secoli vissuti nella piena comunione della fede e della carità ci urge, ci grida i nostri peccati, le nostre reciproche incomprensioni: noi abbiamo privato il mondo di una testimonianza comune che, forse, avrebbe potuto evitare tanti drammi se non addirittura cambiare il senso della storia.
Noi sentiamo con dolore di non potere ancora partecipare alla medesima Eucaristia.
Ora che il millennio si chiude e il nostro sguardo è tutto rivolto al Sole che sorge, li ritroviamo con gratitudine sul percorso del nostro sguardo e del nostro cuore.
L'eco del Vangelo, parola che non delude, continua a risuonare con forza, indebolita solo dalla nostra separazione: Cristo grida, ma l'uomo stenta a sentire la sua voce perché noi non riusciamo a trasmettere parole unanimi.
Ascoltiamo insieme l'invocazione degli uomini che vogliono udire intera la Parola di Dio.
Le parole dell'Occidente hanno bisogno delle parole dell'Oriente perché la Parola di Dio manifesti sempre meglio le sue insondabili ricchezze.
Le nostre parole si incontreranno per sempre nella Gerusalemme del cielo, ma invochiamo e vogliamo che quell'incontro sia anticipato nella santa Chiesa che ancora cammina verso la pienezza del Regno.
Voglia Dio far breve il tempo e lo spazio.
Presto, molto presto Cristo, l'orientale lumen, ci conceda di scoprire che in realtà, nonostante tanti secoli di lontananza, eravamo vicinissimi, perché insieme, forse senza saperlo, camminavamo verso l'unico Signore, e quindi gli uni verso gli altri.
L'uomo del terzo millennio possa godere di questa scoperta, finalmente raggiunto da una parola concorde e per questo pienamente credibile, proclamata da fratelli che si amano e si ringraziano per le ricchezze che reciprocamente si donano.
E così noi ci presenteremo a Dio con le mani pure della riconciliazione e gli uomini del mondo avranno una solida ragione in più per credere e per sperare.
Con questi voti imparto a tutti la mia Benedizione.
Dal Vaticano, il 2 maggio, memoria di S. Atanasio, Vescovo e Dottore della Chiesa, dell'anno 1995, decimosettimo di Pontificato.
Giovanni Paolo II
Indice |
36 | Unitatis Redintegratio 3 |
37 | Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente 34 |
38 | S. Clemente Romano, Lettera ai Corinti: Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, I, 60-144; S. Ignazio d'Antiochia, Lettere; S. Policarpo, Lettera ai Filippesi |
39 | S. Ireneo, Contro le eresie, I, 10, 2: SCh 264/2, 158-160 |
40 | Lumen Gentium 26; Sacrosanctum Concilium 41; Unitatis Redintegratio 15 |
41 | Giovanni Paolo II,
A Concilio Constantinopolitano I 2; Lett. ap. Duodecimum sæculum, 2 e n. 4 ( 4 dicembre 1987 ) |
42 | Giovanni Paolo II,
Omelia in S. Pietro, alla presenza di Demetrio I, 3, Arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca Ecumenico ( 6 dicembre 1987 ) |
43 | Ad esempio Anselmo di Havelberg, Dialoghi: PL 188, 1139-1248 |
44 | Tomos Agapis, Vatican-Phanar (1958-1970), Rome-Instanbul, 1971, pp. 278-295 |
45 | Discorso dopo la Via Crucis del Venerdì Santo ( 1° aprile 1994 ) |
46 | Messale Romano, solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, orazione sopra le offerte; ibid., preghiera eucaristica III; S. Basilio, Anafora alessandrina, ed. E. Renaudot, Liturgiarum orientalium collectio, I, Francoforte 1847, p. 68 |
47 | Paolo VI, Messaggio ai Mechitaristi ( 8 settembre 1977 ) |
48 | Didachè, IX, 4; Patres Apostolici, ed. F.X. Funk, I, 22 |
49 | Motu proprio Dei providentis ( 1° maggio 1917 ) |
50 | Motu proprio Orientis Catholici ( 15 ottobre 1917 ) |
51 | Motu proprio Superno Dei nutu, 9 ( 5 giugno 1960 ): AAS 52 (1960), 435-436 |
52 | Cost. ap. Sacri canones ( 18 ottobre 1990 ): AAS 82 (1990), 1033-1044 |
53 | Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Milano 1994, p. 168 |
54 | Unitatis Redintegratio 14 |
55 | Saluto ai Docenti del Pont. Istituto Orientale ( 12 dicembre 1993 ) |
56 | Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche Orientalium ecclesiarum, 30 |
57 | Giovanni Paolo II, Messaggio Magnum Baptismi donum, 4 ( 14 febbraio 1988 ): AAS 80 (1988), 991-992 |
58 | Orientalium ecclesiarum 24 |
59 | Orientalium ecclesiarum 5 |
60 | Unitatis Redintegratio 17; Giovanni Paolo II, Discorso al Concistoro Straordinario ( 13 giugno 1994 ) |
61 | Giovanni Paolo II, Lettera ai Vescovi del Continente europeo (
31 maggio 1991 ); inoltre "Les principes généraux et normes pratiques pour coordonner l'évangélisation et l'engagement oecuménique de l'Église catholique en Russie et dans les autres Pays de la C.E.I." ( pubblicati dalla Pontificia Commissione Pro Russia il 1° giugno 1992 ) |
62 | Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istr. In ecclesiasticam futurorum, 48 ( 3 giugno 1979 ) |
63 | Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istr. Inspectis dierum ( 10 novembre 1989 ) |
64 | Congregazione per l'Educazione Cattolica, Lett. circ. En égard au développement, 9-14 ( 6 gennaio 1987): L'Osservatore Romano, 16 aprile 1987, p. 6 |
65 | Pont. Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Directoire pour l'application des principes et des normes sur l'OEcuménisme, V: AAS 85 (1993), 1096-1119 |
66 | Messaggio del Sinodo Generale Ordinario dei Vescovi, VII: "Appello alle Religiose e Religiosi delle Chiese Orientali" ( 27 ottobre 1994 ): L'Osservatore Romano, 29 ottobre 1994, p. 7 |
67 | Horologion, Inno Akathistos alla Santissima Madre di Dio, Ikos 5 |
68 | Ibid. |
69 | Horologion, Compieta della domenica (1° tono) nella liturgia bizantina |