Promozione umana e salvezza cristiana |
A) I saggi teologici di cui abbiamo già parlato prendono le mosse dalle condizioni d'oppressione nelle quali si trovano degli uomini asserviti ad altri in materia economica, sociale e politica, e che aspirano alla libertà.
Questa situazione storica dell'umanità non viene considerata come un destino impossibile a essere cambiato; la storia infatti viene compresa come un processo « creativo » che deve condurre a maggior libertà in tutti i campi dell'esistenza e far sorgere finalmente « l'uomo nuovo ».
Nel cambiamento delle situazioni inumane si scorge una domanda e una volontà di Dio: Gesù Cristo, che con la sua azione redentrice ha liberato gli uomini dal peccato in tutte le sue forme, conferisce un fondamento nuovo alla fraternità umana.
Questa considerazione, che sta all'origine di tali saggi teologici, conferisce anche ad essi la loro forma particolare, in certo modo nuova.
Dio rivela il proprio mistero attraverso gli avvenimenti stessi; più il cristiano penetra le situazioni concrete e la loro evoluzione storica, meglio risponde alla Parola di Dio.
Si coglie meglio così l'unità profonda che lega la storia divina della salvezza operata da Cristo agli sforzi compiuti in favore del bene degli uomini e dei loro diritti.
Senza identificare puramente e semplicemente la storia profana e la storia della salvezza, si concepiscono tuttavia i loro mutui rapporti in termini d'unità.
Non è più permesso di spingere la differenza che le distingue nel senso d'una specie di dualismo, nel quale la storia umana e la salvezza vengono supposte come indifferenti l'una all'altra.
Al contrario l'attività umana acquista nuovo valore, propriamente teologico, nella storia proprio in quanto costruisce una società più umana.
L'avvento di una società giusta è, in realtà, concepito come l'anticipazione della venuta del regno di Dio.3
In conseguenza si concepisce la fede cristiana prima di tutto come una prassi storica che cambia e rinnova l'ordine sociale e politico.
Questo modo di pensare comporta molti elementi di gran valore; bisogna infatti che il cristiano percepisca più pienamente l'unità totale della sua chiamata alla salvezza.4
Senza alcun dubbio la fede, intesa in senso biblico, raggiunge tutta la sua fecondità e la sua pienezza solamente nelle azioni.
Il Concilio Vaticano II5 ricorda a sua volta che lo Spirito Santo agisce nella storia del mondo; che anche fuori della Chiesa visibile si ritrovano, fino a un certo punto, i preamboli della fede, cioè le verità e le norme concernenti Dio e il bene comune, accessibili alla sana ragione e che costituiscono come la base della religione cristiana.6
In parecchie correnti teologiche, tuttavia, questi dati elementari si ritrovano sottoposti a interpretazioni unilaterali, che si prestano quindi ad obiezioni.
Così non si può ridurre l'unità fra la storia del mondo e la storia della salvezza a una concezione tendente a far coincidere la storia profana col Vangelo di Gesù Cristo.
Questo è un mistero dell'ordine soprannaturale, e dunque realtà irriducibile ad ogni altra realtà, completamente trascendente la comprensione dell'intelligenza umana.7
Né si può totalmente cancellare la frontiera fra la Chiesa e il mondo.
Questo, come esiste storicamente, è, sì, il luogo in cui si svolge il disegno divino di salvezza, ma non fino al punto che la potenza e il dinamismo della Parola di Dio si limitino a promuovere il progresso sociale e politico.
Di conseguenza la pratica della fede ( praxis fidei ) non può ridursi allo sforzo per migliorare la società umana.
In realtà questa pratica della fede comporta, insieme con la denunzia dell'ingiustizia, la formazione della coscienza, la conversione delle disposizioni intime, l'adorazione del vero Dio e di Gesù Cristo nostro salvatore, in opposizione ad ogni forma di idolatria.
Similmente la « fede come prassi » non dev'essere compresa come se l'impegno politico debba abbracciare e guidare in maniera totalitaria e « radicale » tutte le attività dell'uomo.
B) Peraltro vanno qui precisati due punti:
1. È necessario che il dibattito politico - il quale s'accompagna ordinariamente con un'opposizione di forze - non finisca col far perdere di vista o con lo svuotare l'obiettivo e il frutto proprio dell'attività cristiana, cioè la pace e la riconciliazione.
Non può esser questione di accentuare le opposizioni e di lasciare il primato alle azioni violente.
2. Dev'essere sempre ben chiaro che, per il cristiano, « l'elemento politico » non costituisce il valore assoluto che conferisce alla vita intera il suo significato ultimo.
Non è un assoluto nell'« eone » cristiano, ma resta sempre contrassegnato dal carattere di strumento fatto per servire.
La dimenticanza di questo principio fa pesare sulla libertà degli uomini il pericolo inerente ai movimenti che favoriscono l'avvento di regimi dittatoriali.
D'altra parte, anche se la teologia è in certo modo ordinata alla prassi, la sua funzione eminente consiste nel ricercare l'intelligenza della Parola di Dio.
In qualunque modo essa si eserciti, dev'essere capace di distanziarsi dai condizionamenti concreti, che quasi sempre comportano pressioni e costrizioni d'ogni sorta in ordine all'agire.
I principi della dottrina cattolica in materia di fede e di morale offrono agli uomini la luce che loro consente di formarsi un giudizio sul da farsi in vista dell'eterna salvezza, senza rischiare di perdere la libertà dei figli di Dio.
Solo in queste condizioni la teologia si trova realmente sottomessa alla verità e pone in salvo l'autorità sovrana e il carattere singolare della Parola di Dio.
Bisogna dunque guardarsi in maniera tutta particolare dal cadere in una visione unilaterale del cristianesimo, che intaccherebbe la cristologia, l'ecclesiologia, la nozione stessa della salvezza e dell'esistenza cristiana come pure il compito proprio della teologia.
C) Le accuse profetiche lanciate all'ingiustizia, gli appelli che invitano a far causa comune coi poveri si riferiscono a situazioni molto complesse, maturate in un dato contesto storico e determinate da certe condizioni sociali e politiche.
Il giudizio profetico da pronunziare intorno alle situazioni del momento non può esso stesso essere formulato senza l'applicazione metodica di criteri sicuri.
Per questo i diversi saggi teologici sulla liberazione si riferiscono a teorie derivanti dalle scienze sociali, le quali esaminano in maniera oggettiva ciò che è espresso dal « grido dei popoli ».
Per sé la teologia è incapace di dedurre dai suoi principi specifici norme concrete d'azione politica; similmente il teologo non è abilitato a risolvere coi suoi lumi i dibattiti fondamentali in materia sociale.
I saggi teologici orientati verso la costruzione d'una società più umana devono tener conto, quando attingono alle teorie sociologiche, dei rischi inerenti a queste utilizzazioni.
Bisogna vagliare nei singoli casi il grado di certezza di queste teorie, giacché, di fatto, spesso esse si riducono a delle semplici congetture, né è raro che contengano elementi ideologici, espliciti o impliciti, fondati essi stessi su presupposti filosofici discutibili o sopra un'erronea concezione antropologica.
È il caso, ad esempio, d'una notevole parte delle analisi ispirate al marxismo e al leninismo.
Se si ricorre a teorie ed analisi di questo genere, bisogna rendersi conto che esse non acquistano nessun supplemento di certezza per il fatto che la teologia le inserisce nella trama delle sue enunciazioni.
Piuttosto la teologia deve riconoscere il pluralismo delle interpretazioni scientifiche della realtà sociale, e non legarsi semplicemente a nessuna delle analisi sociologiche concrete.
Indice |
3 | Talvolta si rimanda alla Gaudium et Spes, n. 39 ( Terra nuova e cieli nuovi ) |
4 | Cf. Gaudium et Spes, n. 10,
n. 11,
n. 57,
n. 59,
n. 61; Ad Gentes, n. 8; Enc. Populorum Progressio, nn. 15-16 |
5 | Cf. Gaudium et Spes, n. 22,
n. 26,
n. 38,
n. 41,
n. 57; Dignitatis Humanae, n. 12 |
6 | Cf. Conc. Vatic. I, Cost. Dogmatica Dei Filius; DS 3005 |
7 | Cf. ivi |